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Autore: Allie_Carrots    22/07/2014    0 recensioni
Siamo cresciuti ascoltando innumerevoli racconti di fate e di mostri, principi e stregoni, incantesimi e maledizioni; poi ci hanno insegnato a non credere a niente di tutto questo.
Si sbagliavano.
Da dove credete provengano tutte quelle storie? La mente umana è dotata di grande immaginazione, è vero, ma tutto s’ispira alla realtà.
Coloro di cui nessuno narra sono i Guardiani, che da millenni proteggono la Barriera, la sottile linea che divide la Terra dagli Inferi e che è ormai prossima a frantumarsi.
Cheryl ha diciassette anni e una vita noiosa e ordinaria, con pochi amici e una zia troppo protettiva; ma soprattutto, non ha la minima idea di cosa si celi dietro l’apparente normalità della sua famiglia.
Benvenuti in un mondo dove demoni, streghe e vampiri non sono mai stati più veri.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2

Cheryl non aveva chiuso occhio nemmeno per un momento quella notte. Non sapeva se fosse più assurdo ciò che aveva visto o il solo fatto che potesse essersi immaginata una cosa del genere.

Liv aveva detto che non poteva essere una soprannaturale. Per la prima volta si chiese se invece non si fosse sbagliata. Non conosceva nessuno in grado di fare quello che faceva lei. Sapeva muovere le cose senza toccarle – anche se non di molto e non era capace di controllarle una volta sollevate – vedeva meglio degli altri… e poi c’erano quei presentimenti – frammenti di visioni troppo brevi per essere definiti tali – che l’avvertivano ogni volta che qualcosa non andava, prima che accadesse.

Afferrò il cellulare dal comò e fu sollevata nel constatare che fosse già un orario decente per alzarsi, non avrebbe sopportato di rimanere a letto un secondo di più. La sera prima, dopo essersi ripresa dallo shock, era tornata a casa di corsa e, con molta fortuna, era riuscita a strisciare in camera senza incrociare Leanne.

Quando scese in cucina la trovò appoggiata al bancone di pietra, intenta a sorseggiare una tazza di caffè.

«Buongiorno» disse quando la vide. Cheryl le rispose con un mezzo grugnito, diversamente da Leanne, lei la discussione della sera prima non l’aveva ancora dimenticata. «C’è anche del latte, se vuoi. E le ciambelle.»

Era il loro piccolo rito mattutino, Leanne preparava la colazione prima di andare a lavoro e Cheryl rifaceva i letti.

«Okay» si sforzò di rispondere. Avrebbe voluto emettere un altro verso animalesco per sottolineare il proprio punto, ma era spaventata all’idea che l’avesse sentita rientrare, quella notte. Quindi si sforzò di fare conversazione. «Non devi vedere il tuo editore oggi?» domandò, notando che indossava ancora il pigiama.

«Non ho scritto niente di nuovo, » rispose «quindi non ha nulla da correggere.»

«Oh» Cheryl si sforzò di contenere la preoccupazione nella propria voce. Se quella notte non aveva scritto nulla, allora non era stata assorbita – e quindi distratta – dal lavoro come aveva sperato. «E come mai?»

Versò del latte in una tazza e prese una ciambella dal cartone, prima di sedersi. Ma il suo stomaco era troppo in fermento perché riuscisse a buttar giù qualcosa. «Perché» disse tranquillamente Leanne «Mi sono addormentata sul portatile.»

Cheryl rilasciò un enorme sospiro di sollievo e immerse un pezzo di ciambella nel latte freddo. Leanne bevve l’ultimo sorso di caffè e posò la tazza nel lavello prima di sedersi di fronte a lei. «Ciò che non capisco, è come faceva la porta d’ingresso ad essere aperta e le tue scarpe ricoperte di fango, stamattina.»

Ci mancò poco perché Cheryl si affogasse con il pezzo di ciambella che stava masticando. Lo risputò nel latte, tossendo convulsamente. «Non capisco.»

«Oh, invece penso che tu abbia capito fin troppo bene.» Cheryl comprese dal tono della sua voce che nessuna bugia per quanto convincente, l’avrebbe distolta dalla verità. Quindi tanto valeva prenderla di petto, una volta per tutte.

«Ascolta, tu…» iniziò. «Non puoi impedirmi di fare quello che fa ogni adolescente normale.»

Leanne la studiò con quegli occhi così simili ai suoi e a quelli della defunta sorella. «Cheryl, ne abbiamo già parlato. Viviamo in un posto pieno di…»

«Di pericoli, sì. Proprio come il resto degli abitanti di Chicago.» La donna aprì la bocca per ribattere, ma non gliene diede il tempo. «Non sono più una bambina, perché non provi a fidarti di me un po’ di più?»

Cheryl vide l’esitazione negli occhi di sua zia e pensò di essere abbastanza vicina al centrare il punto. Viveva insieme a Leanne da quando aveva appena pochi mesi. Quando i suoi genitori erano venuti a mancare, la sorella minore di sua madre era l’unica altra parente che le fosse rimasta.

Chi non lo sapesse avrebbe potuto scambiarla perfettamente per la sua vera madre, poiché lei e Cheryl si somigliavano molto. Avevano la stessa esile corporatura e un viso piccolo incorniciato da una cascata di capelli castano chiaro. Leanne era più alta di una decina di centimetri e Cheryl riteneva che questo fosse già un grosso vantaggio, oltre al fatto che sua zia era di gran lunga più attraente di lei.

«Non riprenderemo lo stesso discorso un’altra volta.» disse, incrociando le dita sotto il mento. «E se provi a rifare una cosa del genere, allora sì che sarai costretta a implorare la tua vecchia libertà.»

Cheryl odiava quel suo modo perennemente tranquillo di affrontare anche le liti. Dipendeva dal fatto che alla fine la conclusione era che aveva ragione lei, per questo non si scaldava mai.

Si alzò di scatto, facendo stridere forte la sedia contro il pavimento.

«Mi stai rovinando la vita.» inveì, non senza un pizzico di pentimento per la brusca scelta di parole. Ma era troppo testarda per fare marcia indietro, quindi si diresse spedita verso la porta.

Prima che potesse arrivare a toccare la maniglia, si sentì afferrare il braccio.

«Lo pensi davvero?» Quando si voltò per guardare Leanne in faccia, vide che i suoi occhi erano pericolosamente lucidi e una morsa le attanagliò il cuore. «Ho passato una vita intera a cercare di proteggerti, per lei. Per loro. Credi che fosse questo che avrei voluto per me?»

Se per un momento la ragazza si era sentita minimamente vicina a Leanne, a quelle parole sentì montare la rabbia peggio di prima.

«Vuoi sapere la verità?» ringhiò. «Sì. Penso che la vita di mia madre ti piacesse troppo per lasciarti scappare un’occasione del genere. Perché lei era riuscita a trovare un uomo che la amasse, si era creata una famiglia. Mentre tu? Devi sempre controllare tutto e tutti; non ho mai conosciuto nessuno, a parte me, che riesca a starti vicino per più di un giorno senza impazzire.» Sapeva di star pericolosamente per oltrepassare il limite, ma ormai era fuori controllo. «Anche se ti senti sola non puoi costringermi a essere il tuo animale domestico!»

Rimase a bocca aperta perfino lei, non aveva previsto di usare parole così crudeli. E non aveva previsto nemmeno lo schiaffo che la colpì in pieno viso, con un rumore secco e forse più forte del dolore in sé per sé. Le tremò il labbro inferiore, mentre fissava incredula la donna di fronte a lei.

Leanne la guardò come se la vedesse per la prima volta, si portò una mano tremante alla bocca. «Cheryl, tesoro mi dispiace, io…»

Cheryl ritrasse la mano quando cercò di prendergliela, era così sconvolta che non riusciva nemmeno a provare odio nei suoi confronti. Mai, in diciassette anni, Leanne aveva alzato le mani con lei. «Per quanto provi a fingere che non sia così, tu non sei mia madre.» disse e uscì, sbattendosi la porta alle spalle con troppa forza.

Percorse il vialetto di casa quasi correndo, inciampando di tanto in tanto in una delle piante che sua zia coltivava con tanta cura. Era talmente concentrata sui propri piedi che non si accorse del ragazzo che arrivava di fronte a lei, finché non ci sbatté contro.

«Ehi ragazza, dove vai così di fretta?» Kyle fece un passo indietro, per riuscire a vederla in viso. Lei lo afferrò per un braccio e lo trascinò fuori dal cancello. «A proposito, che ti è successo ieri sera? Mi hai mandato quel messaggio folle a mezzanotte e poi non hai più risposto.»

«Sì, lo so scusa.» Cheryl inghiottì il nodo che aveva in gola. «Leanne mi ha beccata.» decise di omettere la parte riguardante gli strani tizi e i loro assurdi discorsi, dato che non era ancora sicura di non esserseli immaginati. Ora che si trovava alla luce del sole, iniziava a dubitarne.

Le labbra di Kyle assunsero una forma buffa. Il suo sguardo catturò il leggero alone rosso sulla guancia destra di Cheryl, e istintivamente le sue dita salirono per sfiorarla. «Ma che accidenti…»

«Lascia stare.» disse lei allontanandosi. «Andiamo»

Quando arrivarono al Queen’s Bee, Cheryl fu sollevata di non trovare la madre di Kyle dietro al bancone. La conosceva troppo bene e si sarebbe accorta immediatamente che qualcosa non andava. Il locale era comunque un po’ affollato, così Kyle, come se le avesse letto nel pensiero, la trascinò di sopra nella sua stanza.

«Cheryl» sospirò, era la quinta volta che la chiamava nell’ultimo minuto. Lei sollevò di scatto la testa dalla mano. «Ma che ti prende? Hai la testa tra le nuvole… Peggio del solito. A tua zia passerà.»

Cheryl annuì, poco convinta. Sapeva che a Leanne sarebbe passata, non era il loro primo né ultimo litigio, quello che aveva per la testa era ben altro.

«Insomma» continuò. «Poteva andarti molto peggio di così… Lei non è così male.»

Lo fulminò con lo sguardo. «Lo dici perché non stai pensando col tuo cervello superiore.»

Kyle esplose in una sonora risata, rischiando quasi di soffocare. «No, no, ehi. Devi ammettere che è una donna incredibilmente attraente, per i suoi trentacinque anni.»

«Trentasette» lo corresse Cheryl alzando gli occhi al soffitto.

Il ragazzo si lasciò cadere di peso sul piccolo letto, talmente vecchio che le molle non ebbero la forza di reagire. Sbirciò in direzione di Cheryl, che era tornata nella sua precedente posizione.

«Se vuoi parlare io sono qui.» disse evitando di guardarla. «Lo sai, vero?»

«Ehm, sì certo.» mormorò lei, le guance rosse e bollenti. Non era abituata a quelle esplicite dimostrazioni d’affetto e non sapeva come gestirle.

Kyle mise le mani dietro la testa e fissò le assi del letto soprastante, dove fino a qualche ora prima aveva dormito suo fratello. «Quindi, che facciamo?»

Cheryl si diede la spinta, aiutandosi con la scrivania, per far ruotare la sedia girevole. «Aspettiamo che sia ora, quando la Phindler sarà fuori a fare la spesa, e andremo a dare un’occhiata.»

Kyle emise un piccolo sbuffo e scosse la testa. «Ancora non posso credere che sto per farlo davvero. Ci intrufoleremo in una casa perché tu hai una strana sensazione su di lei.»

«Sarai costretto a scusarti con me quando scopriremo che ho ragione.»

«Già» disse lui mangiucchiandosi l’unghia del pollice. «Esattamente cosa ti aspetti di trovare? Uno sgabuzzino pieno di cadaveri o un sala delle torture? Perché sai, sinceramente, non credo che una…»

Kyle si bloccò quando la mano di Cheryl gli sfiorò il ginocchio, si era mossa silenziosamente e ora lo stava fissando in un modo che lo spaventò parecchio. «Kyle, devo dirti una cosa.»

Il ragazzo si mise a sedere troppo velocemente e sbatté la testa contro il legno rigido. Fece una smorfia di dolore, ma si sforzò di mantenere un tono di voce normale. «Che succede?»

Cheryl incastrò le mani sotto le cosce e si dondolò avanti e indietro. «Tu credi nella magia?»

Kyle, che fino a quel momento aveva trattenuto il fiato, lo rilasciò tutto insieme. «Che cosa?» le sue ciglia lunghe urtarono il vetro quando riportò lo sguardo a un’apertura normale. «Cheryl, so che fai delle cose che, ecco… Ma la magia è… non saprei.»

Kyle non era a conoscenza di tutte le cose che era in grado di fare, nessuno lo era. Forse, se fosse riuscita a parlarne con qualcuno, si sarebbe sentita meno folle.

Il ragazzo dovette cogliere la delusione nei suoi occhi, e le diede un leggero colpo spalla contro spalla, per rassicurarla. «Intendi roba tipo Long Island Medium?»

Cheryl stava per rispondergli, quando il suo telefono prese a vibrare a intervalli regolari. Guardò lo schermo e scattò in piedi. «È la sveglia, andiamo.» Un piccolo avviso in basso a destra diceva anche che aveva due chiamate perse, entrambe di Leanne. Eliminò la notifica e se lo rimise in tasca.

Questa volta l’impresa di addormentare il grosso pitbull andò a buon fine, con Kyle che faceva la guardia e Cheryl che si occupava del resto. Fecero il giro della casa dall’esterno, rincontrandosi davanti all’ingresso.

«Accidenti» disse Cheryl. «Tutte le finestre sono barricate. Che motivo ci sarebbe di nascondere la casa in questo modo, se non avesse nulla per cui temere di essere scoperta?»

Kyle si strinse nelle spalle, guardandosi freneticamente intorno. «Forse è una ossessionata dalla paura dei ladri. Andiamo, un pitbull non è esattamente un cagnolino da compagnia.»

«Aspetta» fece, come se non l’avesse neppure sentito. Esaminò le piante che facevano da ornamento alla veranda, infine i grossi vasi che affiancavano il portone. Si chinò e ne sollevò uno, soltanto per trovare le mattonelle sbeccate del pavimento. Fece lo stesso con l’altro e questa volta, una piccola chiave argentata brillò al riflesso del sole. La prese in mano, sventolandola davanti all’amico come un trofeo. «Ta-daan»

Kyle aprì la bocca, indietreggiando. «Non ci penso nemmeno.» farfugliò. «Il patto era che avremmo dato un’occhiata da fuori. Questo… Questo è… No, no e no. Non posso farlo.»

«Ma ormai siamo qui!» lo incalzò Cheryl. «Entriamo, facciamo un giro e richiudiamo. Non se ne accorgerà nessuno.»

Chiuse gli occhi e finse di sbattere la testa contro la colonna. «Qualcuno mi ricordi perché sto dicendo di sì a questa cosa.»

Cheryl sorrise e gli mandò un bacio volante. «Perché sei il miglior amico del mondo e in fondo il brivido ti piace.» Infilò la chiave nella serratura e, con un cigolio non poco inquietante, la porta si aprì. Kyle borbottò qualcosa di incomprensibile e la seguì dentro.

La casa era buia e immersa nel silenzio. Furono costretti ad accendere le luci, poiché tutte le finestre avevano gli scuri chiusi. Esaminarono lo spazio intorno a loro e Cheryl si chiuse la porta alle spalle lentamente. La prima cosa che le venne da pensare fu che era tutto un enorme cestino.

Vimini, c’era vimini ovunque. Le sedie, i tavolini, perfino i mobili più grandi. E un’enorme quantità di piante, delle specie e dimensioni più svariate. Fece un passo verso la libreria, e lesse alcuni dei titoli sul dorso dei libri. Guida alla botanica, I fiori – L’arte del coltivare… e ancora Dalle erbe agli arbusti – Un mondo da esplorare.

«Wow» fu il commento di Kyle. «Sembra che la signora Phindler abbia un enorme, gigantesco e segreto… pollice verde.»

Cheryl strinse gli occhi a due fessure, concentrandosi. «Lei esce spesso, e quando esce sbarra tutte le finestre. Le piante hanno bisogno di luce, come fanno a essere così rigogliose?»

Kyle incrociò le braccia al petto. «Mmm» disse, prolungando il suono più del necessario. «Quindi cosa suggerisci, Sherlock?»

«La smetti?» brontolò.

Il ragazzo alzò le mani sulla difensiva. «Di fare cosa, scusa?»

«Senti, io lo so quello che ho visto. Al Queen’s si lamentava con tua madre del suo dannato rubinetto rotto e quando tuo fratello si è offerto di venirglielo a riparare, è diventata bianca come un cencio e ha iniziato a balbettare scuse assurde.»

«Che ti devo dire?» fece Kyle. «Magari ha un debole per gli uomini più giovani.»

Ma Cheryl non lo stava più ascoltando. Improvvisamente si sentì strana, leggera come una farfalla… era la stessa sensazione che aveva provato la sera prima, nel seguire quel gatto. Era un attrazione inspiegabile, e la stava guidando verso un punto preciso.

«Cheryl?» Kyle era chiaramente nervoso. «Che… dove stai andando?» La guardò dirigersi verso la piccola porta del sottoscala, i suoi occhi erano vuoti e distanti. «Per favore, andiamocene adesso.»

Cheryl la aprì con la lentezza con cui si apre qualcosa di fragile, delicato. Accese la luce e si sentì mancare l’aria. La stanza che stava guardando era fisicamente troppo grande per essere un semplice sottoscala. Il soffitto era alto almeno quattro metri, ma ciò che la impressionò davvero fu quello che conteneva. C’erano scaffali ovunque, con una montagna di piccole ampolle, ognuna contenente un liquido di colore diverso. Alle pareti erano appesi oggetti di ogni genere, alcuni riconoscibili, altri così bizzarri che Cheryl non avrebbe nemmeno saputo dar loro un nome. Individuò alcuni acchiappasogni, dei talismani appartenenti alle etnie più svariate e qualche cartina piena di piccole annotazioni e puntine per segnare i luoghi. Le ricordava il covo di qualche mago dei cartoni animati che guardava da bambina, o dei videogiochi di Kyle.

Quest’ultimo, vedendola ferma immobile sulla porta, le corse dietro e la scosse delicatamente per la spalla. «Cheryl, che ti prende?»

La ragazza indicò l’interno della stanza. «Guarda!»

Kyle guardò e annuì. «È un ripostiglio» disse. «Pieno di secchi e scope. Se il disordine non è un reato, non mi sembra nulla di compromettente.»

Cheryl si voltò. «Aspetta, cosa? Tu non… Non vedi niente?»

Kyle corrugò la fronte, sistemandosi gli occhiali sul naso. «Non capisco, cosa dovrei…» s’interruppe, perché si era accorto del vocio non molto lontano da loro.

Cheryl impallidì. «Oddio!»

«No, Dio non ci aiuterà, siamo decisamente dalla parte del torto.» Kyle si portò le mani alle tempie, massaggiandole.

La ragazza lo strattonò per la maglietta. «Che stai facendo? Cosa facciamo adesso?» Senza attendere una risposta, lo trascinò nel sottoscala e chiuse la porta nel preciso istante in cui quella d’ingresso si apriva. Si accucciarono davanti alla serratura, in modo da riuscire a sbirciare.

«Ma non doveva star via un’ora?» chiese Cheryl.

Kyle, che continuava a dondolare la testa avanti e indietro, non rispose. Stava parlando da solo sottovoce, e a Cheryl ci volle un po’ per capire che stava pregando.

«Signore ti prego non voglio morire, non voglio morire, Misericordia…»

«Oh, sta zitto Kyle!» gli intimò.

Lui interruppe il suo sermone solo per lanciarle un’occhiata di fuoco. «Se non fossi troppo sconvolto per parlare, a questo punto direi te l’avevo detto. Ma sono estremamente fuori di me in questo momento, quindi continuerò a pregare finchè…»

«Shh!» lo zittì di nuovo. Spiò oltre il buco della serratura, e le si gelò il sangue nelle vene. La signora Phindler era nel soggiorno, intenta a parlare con un poliziotto dalla pancia tonda e sporgente.

«Mi è sembrato di vedere dall’esterno che le luci fossero accese, e sono più che certa di averle spente prima di uscire… E come ha visto la porta era aperta, qualcuno dev’essere entrato.» il suo tono era fin troppo pacato.

Bugiarda, penso Cheryl. Dall’esterno era impossibile vedere se le luci fossero accese o spente, visto che aveva sprangato le finestre.

«D’accordo» disse il poliziotto guardandosi intorno. «Lei è sicura di non aver alcun parente… Magari un figlio, un nipote… che ha una copia delle sue chiavi?»

«C’è soltanto una copia delle chiavi.» rispose la signora senza esitazione. «Era sotto quel vaso ed è sparita.»

«Va bene, va bene.» L’uomo sbuffò e il suono che produsse era molto simile a quello dell’acqua che bolle in pentola. «Mi lasci fare un giro della casa.»

Siamo fregati, si disse la ragazza. Completamente fregati. Osservò il poliziotto setacciare il salotto e la cucina, senza emettere un fiato. Quando si avvicinò alla porta dello sgabuzzino, il suo cuore perse un battito e cercò istintivamente la mano di Kyle, che strinse forte la sua.

Ma quello passò oltre velocemente, dirigendosi al piano di sopra. Entrambi rilasciarono un sospiro di sollievo, e l’ossigeno le invase la mente. «E adesso?», chiese piano Kyle.

«Aspettiamo che anche lei vada di sopra e ce la filiamo.»

Kyle annuì e si appoggiò a Cheryl per non perdere l’equilibrio, indugiando più del necessario.

«Quando usciremo di qui ricordami di non parlarti fino a per sempre.» disse, ma entrambi sapevano che non parlava sul serio.

In quattordici anni, ogni volta che litigavano non erano mai riusciti a tenersi il muso per un tempo davvero lungo. Il record l’aveva battuto Cheryl, quando aveva beccato Kyle sbirciare nel suo diario. Non era un vero e proprio diario in realtà, era più un quaderno nel quale Cheryl appuntava i propri pensieri e faceva degli schizzi. Lei li definiva scarabocchi, ma Kyle era convinto che si vergognasse di ammettere quanto fosse brava. In ogni caso si era infuriata come non mai, perché nessuno poteva leggerlo, e non gli aveva rivolto la parola per quasi una settimana.

Lo squillo del cellulare di Kyle la riportò alla realtà come una doccia gelida e sentì la bocca dello stomaco stringersi improvvisamente. «Oh, mio…»

«È tua zia.» la interruppe, imprecando sottovoce.

«Che cosa vuole adesso? Non lo puoi spegnere?» il panico le fece dimenticare di moderare la voce.

«Ci sto provando.» sputò tra i denti.

Alla fine l’apparecchio smise di squillare da solo, ma nessuno dei due vi prestò attenzione, perché la porta venne aperta all’improvviso, inondandoli di luce.

* * *

  
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