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Autore: Monkey_D_Alyce    25/07/2014    2 recensioni
Si continuava a convincere di aver fatto la cosa giusta.
Non chiedeva il mondo.
Voleva solamente voltare pagina.
Eppure tutte le sfortune di questo pianeta capitavano solo a lei!
Era arrivata a Londra sotto un bell'acquazzone, ma non solo!
Ora doveva pure sorbirsi delle stupide deduzioni da parte di un detective eccentrico ed egoista di nome Sherlock Holmes!
Fantastico!
Veramente fantastico.
(SOSPESA MOMENTANEAMENTE!)
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Nami, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Non-con, Triangolo
Capitoli:
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4° capitolo: Il Gioco delle Ombre

 
 
Nami trascorse il resto della mattinata a giocare con Sherlock a Cluedo finché John non rincasò.
Sembrava piuttosto di buon umore, nonostante fuori ci fosse cattivo tempo da deprimere persino il più allegro della Terra.
“Stasera non sarò a casa, ragazzi. Non aspettatemi alzati” li informò armeggiando con una pentola della cucina mettendoci dentro l’acqua per poi scaldarla sul fornello.
“Appuntamento con Sarah?” chiese il consulente detective iniziando a riporre i cartellini e la tavolata del Cluedo.
“Non ti si può nascondere nulla, eh? Comunque sia, sì. Dormirò da lei” gli rispose prendendo dalla credenza una confezione di pastasciutta.
Nami gettò un occhiata d’intesa a Sherlock, che ricambiò con un sorriso beffardo e divertito.
“Quindi andrai con lei al lavoro? Cioè, non tornerai a casa per la colazione, giusto?” domandò a sua volta la rossa, facendo accendere una sorta di lampadina al medico.
C’era qualcosa che cuoceva in pentola.
E la cosa, non gli piaceva per niente.
“Come mai tutte queste domande? Mi sembra di essere ad un interrogatorio di Scotland Yard” osservò fissandoli sospettoso: Sherlock mantenne lo sguardo fisso su quello di John, mentre la ragazza rideva nervosamente agitando una mano come a scacciare una mosca.
Disse solamente che era una semplice curiosità e che non doveva preoccuparsi.
Inutile dire che John non ci credette molto, ma decise di far scorrere la cosa.
Non voleva rovinarsi la serata con Sarah per colpa di qualche idiozia dei suoi due coinquilini.
Erano maggiorenni e vaccinati.
Potevano cavarsela tranquillamente senza la sua supervisione.
 
Sherlock, nel pomeriggio, alle 15.30, usci di casa, con l’intento di procurarsi il materiale necessario per il gioco di quella notte e qualcosa in più per movimentare la cosa.
Una cosa presa da un suo amico fidato.
John, invece, uscì verso le 17.30, raccomandando a Nami di non fare nulla di insensato e di far desistere Sherlock da qualunque esperimento che richiedeva persone vive.
Nami, dal canto suo, gli rispose candidamente che avevano già programmato la serata, facendo altre partite a Cluedo.
Magari fosse stato per davvero così!
Più l’ora si avvicinava, più lei diventava nervosa e abbastanza irascibile, tanto che dovette andare dalla Signora Hudson per andare bere un thè con biscotti.
Il caffè, se lo sarebbe tenuto per l’avventura che stava per affrontare.
 
Appena Sherlock rientrò, alle 20.30, consigliò, o meglio, ordinò a Mrs. Hudson di andare a dormire da una sua amica, dicendole che quella notte, lui e Nami, avevano un gran da fare, facendo sorridere mestamente l’anziana signora.
Cosa che fece incuriosire non poco il detective.
“Perché ha sorriso in quel modo?” domandò alla ragazza non appena Mrs. Hudson uscì di casa per “lasciarli soli soletti” come aveva detto lei.
“La prossima volta, Sherlock, vedi di usare frasi che non contengano doppi sensi, per favore!” lo rimbeccò lei fulminandolo con lo sguardo, per poi andare a leggere il resto delle “istruzioni” del gioco.
Non che non se le ricordasse, ma voleva essere sicura e pronta mentalmente.
“Hai le cinque candele?” gli chiese osservandolo mentre tirava fuori l’occorrente.
“Sì” rispose automatico lui, mostrandogliele con un ghigno stampato in viso.
“Un oggetto affilato?”
“Assolutamente”
“Sangue?”
“Sì. L’ho preso da un maiale che era stato appena sventrato da un macellaio. Lo vuoi vedere?”
“No, grazie. Mi fido. Hai la polvere di ossa?”
“Oh, sì! L’ho presa in prestito, o meglio, rubata da una tomba di una persona morta circa cinquant’anni fa”
“Oh, Signore del Cielo! Hai davvero profanato una tomba?!?” chiese inorridendo, mettendosi la mano davanti alla bocca per non farsi cadere la mandibola.
“Perché? Che c’è di strano?” chiese lui perplesso, facendo scuotere il capo della ragazza in modo esasperato.
“Ti rendi conto che potremmo essere arrestati?!?” gli sibilò contro avvicinandosi a lui e prendendolo per il colletto della camicia.
“Oh, tranquilla. Non aveva parenti. Non se ne accorgeranno mai”
“Fai bello tu a parlare!!! Credo che morirò stasera a causa tua!!!” lo incolpò staccandosi da lui, mettendosi le mani fra i capelli.
“Vuoi ritirarti?”
“No! Affatto!”- disse cambiando subito opinione, facendolo sogghignare- “Ce l’hai l’accendino?”
“Oh, no! Me lo sono dimenticato! Ma certo che ce l’ho! Secondo te come facciamo ad accendere le candele? Con la forza del pensiero?”
“Potrebbe essere un’idea…”
“Ma non fare domande stupide! Tu, piuttosto, hai preparato il caffè?”
“Sì. Bisogna solamente scaldarlo”
“Molto bene. Non hai mangiato, vero?” le chiese Sherlock guardandola con un poco di disprezzo, facendola irritare.
“Ma certo che no! Non vorrei vomitare. Certo, forse c’è il pranzo di stamattina, ma oramai, le sei ore di digestione dovrebbero essere passate. Se vomito, vomito del caffè e perdo un po’di energie” gli rispose stizzita, incrociando le braccia al petto.
Il consulente non le rispose.
Avevano ancora un mucchio di tempo prima che il gioco iniziasse, quindi era meglio prepararsi.
Iniziò ad aprire tutte le porte delle stanze, comprese quelle del piano superiore e inferiore.
Durante la fuga dovevano avere accesso libero ovunque, così da non entrare nel panico nel tentativo di aprire una porta.
 
Fu così che aspettarono pazientemente le 23.45, mentre la caffettiera cominciava a fischiare, annunciando che il caffè era pronto.
Nami fece per alzarsi, ma Sherlock la fermò, dicendole che ci avrebbe pensato lui.
Preparò le due tazze versandoci dentro quel liquido così scuro da sembrare pece mettendoci di nascosto un po’ di polverina colorata per poi mescolarla in modo da discioglierla.
Portò le due tazze in salotto, dandone una alla ragazza, che bevve il caffè abbastanza velocemente, così come Sherlock.
 
Cominciarono a comporre il triangolo di sangue, appoggiando le candele accese agli angoli.
Dopo aver compiuto il primo passo, spensero tutte le luci e qualsiasi oggetto elettronico, per poi ritornare e accendere le loro personali candele, cospargendole con un po’ di polvere d’ossa bagnata del loro sangue.
 
“Sei pronta?” chiese Sherlock guardandola con la coda dell’occhio, nel caso avesse ripensamenti.
“Quando vuoi” gli rispose in un sussurro, facendolo sorridere mestamente.
Si sarebbe divertito sicuramente.
Eccome, se si sarebbe divertito.
 
Quando fu scoccata la mezzanotte cominciarono a recitare la formula per tre volte, prima che succedesse qualcosa:
Helusion! Daemoniacas umbras tres occurrunt!” dissero in coro, mentre qualcosa intorno a loro cominciò a prendere forma, iniziando a girare vorticosamente facendoli perdere i sensi per un minuto intero…

 
“Ti sei svegliata, finalmente” la richiamò Sherlock con tono annoiato, stando alzato in piedi.
Nami si prese la testa fra le mani, massaggiandosi il bernoccolo che si era procurata cadendo per terra.
Il consulente le mostrò un biglietto che teneva in mano, facendole percorrere un brivido di paura lungo la schiena.
Era troppo tardi per tornare indietro: era sulla pista e doveva ballare sino in fondo.
Sul biglietto c’era scritto:

 
Benvenuti al Gioco delle Ombre!
La vostra esperienza si baserà su tre prove: fuga, silenzio e paura.
Dovrete giocare sino in fondo, se non volete rimandare a domani o morire miseramente.
Che il divertimento abbia inizio…

 
“Cristo…” mormorò Nami tremando impercettibilmente, dopo aver letto il messaggio, affiancandosi a Sherlock.
Dire che aveva paura era un eufemismo.
Non era nemmeno terrorizzata.
Si sentiva estremamente a disagio, come se qualcuno li stesse osservando da dietro le spalle.
Nami si girò di scatto, ma non trovò nessuno.
Successivamente, girò la testa a sinistra e fu qui, che i suoi occhi si fecero vitrei: c’era un essere di forma umanoide, ma sembrava intoccabile.
Si vedeva chiaramente la parte superiore del corpo, ma non aveva gambe.
I suoi occhi erano di un rosso acceso e dalla sua bocca spuntavano denti aguzzi e anormali.
Inoltre, era completamento nero: non aveva volto se non fosse stato per il fatto che aveva occhi e bocca e il resto del corpo era come assemblato alla testa.
Nami iniziò a stringere convulsamente il braccio del detective, cercando di richiamarne la sua attenzione.
“Che c’è?” le chiese non degnandola di uno sguardo.
“I-il demone…Sherlock…c’è un fottutissimo demone sulla sinistra…è dietro la tua poltrona…” gli rispose indicandolo.
“E non è l’unico…ci sono anche gli altri due…” aggiunse il ragazzo cercando di tenerli osservati entrambi.
Era come se non si potessero muovere.
Loro ti osservavano a loro volta, finché, all’improvviso, quello sulla sinistra non inclinò la testa da un lato, facendo sobbalzare la ragazza dalla sorpresa.

 
Signorina…non sa che è maleducazione fissare?” chiese ghignando malignamente, mostrando un sorriso storto, reso ancor più terrificante dalla sua dentatura.

 
Nami trattenne il fiato.
La voglia di urlare era tantissima: il suo cuore parve correre in una corsa frenetica all’ultimo battito, il suo respiro si fece pesante.
Non riusciva a dire niente.
Dalla sua bocca le uscivano solamente suoni disconnessi e impercettibili.

 
L’essere avanzò di un passo, trapassando con estrema facilità la poltrona del consulente detective.
Nami indietreggiò e si scontrò contro il corpo di Sherlock.
“Che fai?” le chiese irritato, cercando di non perdere l’equilibrio.
“Dobbiamo scappare…il demone si è avvicinato!” gli mormorò aggrappandosi a lui per il braccio, che prima stringeva convulsamente, facendolo irrigidire.
“La cosa si fa interessante…” commentò continuando a tenere lo sguardo fisso sugli altri due demoni, facendo arrabbiare di non poco la ragazza.
“Sei scemo?!? Vuoi farti possedere e ammazzare, per caso???” gli inveì contro, alzando il tono della voce.
Sherlock le mimò di tacere, lanciandole un’occhiataccia, che la fece rabbrividire.
Lei, proprio non lo capiva.
Che senso aveva finire il gioco così, se non si muovevano e scappavano?
“Sherlock…”- gli sussurrò vicino all’orecchio- “Hai paura, per caso?”
“Affatto” rispose senza esitare, domandandosi cosa c’entrava avere paura o meno in una situazione come quella.
“Vuoi stare qui tutta la notte? Non senti il brivido eccitante attraversarti la colonna vertebrale al solo pensiero di scappare e riuscire ad ingannarli?”
“Certo che sì! Ma secondo me ci trovo più gusto se lo facciamo usando la testa!”
“Potremmo scappare, intanto? Per favore?”
“Me lo stai veramente domandando, Nami?”
“Cazzo, Sherlock! Ti sto supplicando!”
“Hai rinunciato per davvero al tuo orgoglio?”
“Sta’ zitto! Si stanno avvicinando!”
“Paura?”
“Affatto!”
“Se vuoi correre, perché mi stai tenendo convulsamente il braccio?”
La ragazza si accorse della gaffe che aveva commesso e arrossì un poco, nonostante i demoni si stavano avvicinando inesorabilmente a loro.
Si staccò con un gesto, farfugliando varie scuse, mentre il consulente la guardò con divertimento.
Gli piaceva metterla in completo imbarazzo e mettergli il bastone tra le ruote.
Voleva vedere fino a che punto Nami tenesse un certo comportamento.
Voleva sapere i suoi limiti.
Era un caso, così come lo era stato John quando si erano incontrati.
Voleva scoprire tutta la verità su di loro, ecco tutto.
Lo faceva più che altro per tenersi lontano dalla noia.

 
“Cosa faresti, se loro mi prendessero?” gli domandò a bruciapelo, fissandola negli occhi.
“Cercherei di salvarti…” gli rispose incerta, guardandolo a sua volta.
Sinceramente, si chiedeva il perché Sherlock avesse posto una richiesta così…assurda.
“Peccato. Io no” ribatté girandosi e scappando a gambe levate, lasciandola sola.

 
Ora, erano tre contro uno.
Nami era rimasta allibita e non sapeva nemmeno il perché non tentasse anche lei di scappare.
Forse aveva sbagliato tutto, nella sua vita.
Aveva sbagliato a scappare dall’America, dal suo ex fidanzato e dalle sue torture, dal quel lavoro che tanto detestava.
Tutto.
Non ci stava capendo più niente.
Aveva caos e tempesta dentro alla sua mente e dentro al suo animo.

 
Alzò la testa, guardando gli altri due demoni.
Il secondo, come il primo, aveva forma umanoide.
Però, a differenza degli altri, era una donna.
La sua pelle era candida come la neve al chiaro di Luna e i suoi capelli mossi, lunghi e dorati le ricadevano sciolti dolcemente sulla sua schiena.
I suoi occhi erano completamente neri, in contrasto con quella figura così eterea.
Indossava un lungo abito bianco con le maniche lunghe e svolazzanti.
Il demone allungo una sua mano affusolata come a voler toccare Nami, ma poi la ritrasse, rivolgendole uno sguardo di stupore misto a paura.

 
Sei così confusa…perché tanto odio e ribrezzo verso tutto e tutti?” le chiese chinando il capo da un lato.
La sua voce era così dolce e pura che Nami avrebbe voluto starla a sentire per ore e ore, crogiolandosi in un limbo così strano e piacevole che le metteva il cuore in pace.

 
Tsk! Tutti gli umani sono fatti così! Provano solamente odio! Sono delle creature così insignificanti e disgustose!” rispose il terzo demone, risvegliandola dal suo stato semi conscio.
Lo fissò per alcuni attimi, osservandogli tutte le caratteristiche.
Non era un umano, ma un animale simile ad un coyote.
Era più grande di un lupo e il suo pelo dai riflessi castano chiaro producevano una sorta di gioco di luci.
Le iridi dei suoi occhi erano rosse cosparse qua e là da alcune chiazze color oro.
Il suo sguardo trasmetteva puro disprezzo e ripugnanza quando la guardava.
Alle sue parole, Nami ci pensò un po’ su, pensando che per certi versi, il terzo demone aveva ragione: le persone uccidono altre persone solamente per divertimento o vendetta, ma mai per un giusta causa.
Perché, anche se qualcuno ti ha fatto un torto, devi saper perdonare, perché la miglior vendetta è il perdono.

 
Doveva reagire.
In fin dei conti, era un gioco, no?
Quindi, perché stare lì impalata, alla loro completa mercé?
Divagò con lo sguardo verso la porta, calcolando approssimativamente quanti metri potevano mancare a quella via di fuga.
Gettò una rapida occhiata sulle tre figure, per poi raccogliere da terra, molto lentamente, il contenitore con dentro la polvere di ossa.
Il primo e il terzo demone si fiondarono su di lei, cosicché, Nami, ebbe il tempo di farli sparire, per poi scappare a gambe levate verso il terzo piano.

 
Non c’era mai stata e questo la metteva a disagio.
Per dirla meglio, lei conosceva a malapena tutta la casa.
Questo era a suo svantaggio, ma anche per i demoni, lo era.
Vide delle porte aperte, mentre sentì dei passi riecheggiare dalle scale.

 
Nami…perché non vieni da me? Ci divertiremo, insieme…” la invitò con fare suadente il secondo demone dalle sembianze di donna, facendola sobbalzare.
Senza pensarci, corse dentro alla penultima stanza in fondo a destra, cercando di fare il minimo rumore possibile.
Aveva paura.
Ma era anche quella paura che ti faceva ridere istericamente, se lo volevi.
Il cuore le martellò nel petto talmente forte che ebbe il timore che si potesse sentire, finché una mano non si poggiò delicatamente sulla sua spalla.
Stette per cacciare un urlo, ma l’individuo le tappò la bocca, mentre con l’altro braccio la teneva ferma per la vita, facendola entrare ancor più nel panico.
“Shhh…Non urlare…” le sussurrò rassicurante Sherlock all’orecchio, tranquillizzandola un poco.
Lentamente, si staccò da lei, prendendola per mano per poi nascondersi dietro ad una trave di legno molto larga e robusta.
La stanza era del tutto vuota, a parte una piccola scrivania di legno e un divano in stile vintage.
Era stata una bella idea nascondersi lì dentro.
Nami si voltò a guardare Sherlock, intento a fissare la porta aperta per aver la situazione sotto controllo.

 
“Sherl…” iniziò lei con voce bassa, ma il ragazzo la fermò prima che disse qualcos’altro, negando con la testa.
Lei voleva solamente sapere se quello che aveva detto poco prima era vero.
Quel dubbio la mandava nel panico, avendo paura che il consulente detective la tradisse mandandola tra le grinfie dei demoni.
Il suo respiro aumentò notevolmente senza farlo apposta, richiamando l’attenzione di Sherlock.
Si girò verso di lei, tenendo, però, un’occhiata distratta all’uscio della stanza.
Si avvicinò a lei con passi leggeri diminuendo la distanza che li separavano, ritrovandosi quasi attaccato a lei.
Le pupille di Nami si dilatarono come quelle di un gatto quando è minacciato da qualcosa o sta per attaccare una preda.
Il detective dedusse che la ragazza si stava spaventando per le parole che gli aveva detto poco prima.
Forse era stato un po’troppo meschino con lei, ma si era promesso di animare la serata.
Alla fine del gioco si sarebbe scusato.
Per tutto.
“Calmati, altrimenti ci scopriranno” le ordinò in un sussurro, facendole abbassare il capo colpevole.
Tentò di regolare il respiro, pensando a qualcosa che le donava pace e tranquillità, come quando da piccola mangiava i suoi amati mandarini seduta su uno sdraio sotto un albero, mentre il vento le scompigliava dolcemente i capelli.
S’impresse nella mente quella scena per poi prendere un respiro profondo e calmare il suo panico che fino a pochi attimi prima le attanagliava il petto, “stringendole” i polmoni in una stretta morsa d’acciaio.

 
Venite fuori…ci divertiremo insieme…” disse la voce del demone, facendo sobbalzare i due ragazzi dalla sorpresa.
Quell’essere era incredibilmente vicino.
I suoi passi riecheggiavano lungo il corridoio, per poi entrare nella stanza in cui si erano nascosti Nami e Sherlock.
La sua figurava sembrava annoiata e incredibilmente triste.
Passò vicino alla trave.
Il consulente detective cercava di tenere i nervi saldi, mentre la ragazza tratteneva il fiato.
Era talmente agitata che manco sentiva l’impellente bisogno di prendere ossigeno.

 
All’improvviso, comparvero anche gli altri due demoni, ghignando malignamente per il gesto a dir poco inappropriato di Nami, giurando di vendicarsi.
A quelle parole, alla ragazza scappò un singulto, facendo scattare sull’attenti i demoni.
Sherlock, dal canto suo, scosse la testa indignato, osservando mentalmente di quanto fosse soggetta ad emozioni e provocazioni.

 
Sono qui…tutti e due…” affermò con una risata profonda e agghiacciante il demone dalle sembianze di un coyote.
Già…non vedo l’ora di far pentire a quella ragazzina maleducata di avermi scacciato” aggiunse il primo demone che aveva rivolto la parola a Nami.

 
Lei, dal canto suo, pensò che tutti ce l’avevano con lei e che non riusciva a combinare qualcosa di giusto una volta ogni tanto.
Che aveva fatto di male?!?

 
Sherlock, nel frattempo, aveva preso un po’di polvere d’ossa, in modo tale che se due di loro li avessero attaccati, li avrebbe fatti sparire, per poi scappare e rifugiarsi in un’altra stanza.

 
Bu!” li spaventò il primo demone, materializzandosi di fronte a loro.
Senza neanche sfiorarli li spinse allo scoperto facendoli cadere rovinosamente a terra, mentre gli altri due demoni li guardavano indifferenti.

 
Complimenti!”- decretò il demone avvicinandosi pericolosamente a loro- “Avete vinto il primo gioco
“Impossibile”- lo contraddisse Sherlock rialzandosi- “Le due ore non sono ancora scadute”
Vedi…”- lo ragguardò il demone con le sembianze di donna- “Per noi è facile ingannare voi umani. Siete così travolti dalle varie emozioni che perdete la cognizione del tempo e della realtà
Anche Nami si alzò, cominciando a fissare la donna: “Ma sembrano passati solamente dieci minuti!”
Esclamò senza non poca sorpresa.
Il detective guardò il suo orologio da polso, accorgendosi che però, i demoni avevano ragione.
Infatti, erano le ore 2.13

 
Ora passiamo al secondo gioco. Il mio preferito” -sentenziò il demone coyote ghignando sommessamente- “Il silenzio…
Avrete cinque minuti per nascondervi, in cui non sentiremo né vedremo niente, dopodiché, verremo a cercarvi e se vi troviamo…soffrirete di forti allucinazioni per il resto del gioco.
Non dovrete urlare né parlare. Qualunque cosa succeda…” spiegò il primo demone con fare teatrale.
Il gioco…ha inizio…

 
Senza nemmeno pensarci corsero fuori dalla stanza.
Sherlock sapeva un ottimo nascondiglio, dove per un po’ di tempo sarebbe stato difficile trovarli.
Indicò a Nami di seguirlo con gesto della mano e lei annui come per dire che aveva capito.

 
Camminarono fino ad una stanza posta sulla sinistra e ne raggiunsero il centro.
Il ragazzo allontanò la rossa da sé spingendola delicatamente per una spalla per non farle perdere l’equilibrio.
Aprì una botola posta sul soffitto, facendo uscire le scale per salirci.
Diede la precedenza alla ragazza, per poi guardarsi intorno per assicurarsi che uno dei demoni non avesse mentito, per poi guardare l’orologio.
Avevano ancora due minuti per nascondersi.
Salì velocemente e con un colpo delicato chiuse la botola, mentre Nami lo aspettava pazientemente.
La stanzetta era di media grandezza ed era piuttosto disordinata, piena di bauli vecchi e libri ricoperti da polvere e ragnatele.
Nell’angolo, vi erano posizionati un grosso armadio a quattro ante completamente bianco con rifiniture color oro, mentre, alla sua sinistra vi era una grossa scrivania ricoperta da uno spesso velo di polvere.
Sherlock aprì la quarta anta dell’armadio sulla sinistra.
Dentro vi erano un mucchio di vestiti vecchi da uomo e da donna, ma di grande bellezza.
Erano appesi a degli attaccapanni in legno, mentre per terra vi erano riposte delle lenzuola completamente bianche.
Il consulente fece cenno a Nami di entrare, avendo come movente la mancanza di tempo.
Avevano ancora una trentina di secondi.
La ragazza entrò con un po’di timore, seguita a ruota dal ragazzo, che chiuse l’anta delicatamente, lasciando un spiraglio di luce per far entrare l’aria.
Si sedette per terra, nascondendosi con i lenzuoli e gli abiti.
Nami prese posto vicino a Sherlock, eseguendo il suo stesso stratagemma.
Calò un profondo silenzio.
Era veramente opprimente non poter fare nulla se non respirare e sbattere gli occhi.

 
All’improvviso sentirono delle urla agghiaccianti disumane e delle sadiche risate provenire dal resto della casa.
Sembrava che qualcuno stesse torturando delle persone senza pietà.
Si poteva persino sentire dei colpi di frusta e la pelle che si lambiva sotto il colpo di quell’arma.
Qualche volta, capitò anche il rumore di ossa spezzate e grida ancora più forti.
Nami non poté fare a meno di mettersi una mano davanti alla bocca per evitare di urlare.
A stento tratteneva dei conati di vomito, reso ancor più difficile dall’aria di chiuso che alleggiava in quell’armadio.
Alle urla si aggiunsero pure dei singhiozzi e dei pianti disperati e dolorosi.

 
Salvatemi! Vi prego!” pregò la voce continuando a piangere e urlare.

 
Delle calde lacrime cominciarono a solcare il viso di Nami.
Chiuse prepotentemente gli occhi e si tappò le orecchie, diminuendo un poco quella tortura.

 
Sherlock, invece, se ne stava con lo sguardo fisso davanti a sé, indifferente.
Anche se sembrava molto reale, tutto quello che sentiva era solamente una finzione.
Guardò la ragazza seduta di fianco a sé accucciata vicino alla parete.
Il consulente pensò che certe volte le persone erano veramente deboli, anche difronte ad una mera menzogna e Nami, ne era la prova.

 
Un rumore di pesanti catene che strusciavano per terra sostituì le urla, accompagnati da voci smorzate di bambini che piangevano e chiedevano aiuto.

 
Holmes sgranò leggermente gli occhi, pensando che quei demoni sapevano bene come toccare i punti deboli, facendo impazzire la gente.
Chi mai si sarebbe rifiutato di aiutare un bambino in difficoltà?
Si rigirò verso Nami e notò che si stava convulsamente tirando indietro i capelli dal viso dondolando leggermente avanti e indietro.
Era visibilmente scioccata e molto triste.
Molto probabilmente, si sentiva in colpa per non poter fare nulla.

 
Passò un’ora intera, dove i rumori e i lamenti si trasformavano man mano, diventando sempre peggiori.
Nami, ad un certo punto, quasi scappò fuori dal loro nascondiglio, certa di aver sentito la voce di sua sorella che le implorava aiuto e degli spari riempire tutto il 221B, per poi sentire il silenzio assoluto.
Sherlock fu costretto a tenerla ferma con tutto il corpo e tappargli la bocca, mentre la ragazza si dimenava come un’anguilla, tentando qualche volte di colpirlo al mento  con la propria testa.
La dovette legare con un lenzuolo, imbavagliarla e coprirle tutta la testa con una federa per farla calmare del tutto.
Dapprima fece ancora una certa resistenza, ma poi si arrese alla forza del consulente detective, stando ferma e buona di fianco a lui, con la testa appoggiata sul petto del ragazzo, ascoltando solamente i suoi respiri e il battito del suo cuore.
La sua mente era come avvolta da un velo nero, non facendole pensare niente.
Era tutto così piacevole che quasi si dimenticò del resto del mondo…

 
Fu svegliata di soprassalto da uno Sherlock piuttosto scocciato, che la guardò con fare beffardo non appena le tolse la federa che aveva usato per coprirle la testa.
Nami respirò una lunga boccata di aria fresca, constatando poi, di non essere più nel nascondiglio.
“D-dove siamo?” chiese in un sussurro, cercando di alzarsi dal pavimento su cui era stesa.
“Abbiamo vinto il secondo gioco. Ora dobbiamo fare il terzo” le rispose il consulente detective alzandosi a sua volta.
Erano ritornati nel salotto dove avevano iniziato il gioco.
I tre demoni li stavano aspettando pazientemente, dando loro il tempo di riprendersi, o meglio, di far riprendere Nami del tutto i sensi.
“Perché non mi hai svegliato prima?” chiese un poco irritata la ragazza, facendo sbuffare Holmes.
“Elementare, Nami. Eri così tranquilla. Non volevo perdere per colpa tua, sai?” ribatté indispettito.
La ragazza non disse niente per non far scattare il suo istinto omicida nei confronti del ragazzo, volgendo il suo sguardo verso i tre demoni.

 
Che il terzo gioco abbia inizio” annunciò il secondo demone inclinando la testa da un lato in modo sinistro.

 
All’improvviso, i demoni scomparvero, lasciando completamente soli Sherlock e Nami.
Si guardarono intorno guardinghi, cominciando a vagare per le varie stanze della casa; il consulente detective a sinistra, la rossa a destra.

 
Nami, sperò in cuor suo di riuscire a portare a termine il gioco, preparandosi mentalmente per la dura prova che la stava aspettando proprio dietro all’angolo.
Scese le scale e si diresse verso il salotto della Signora Hudson, facendo attenzione a dove metteva i piedi.
Era buio pesto e non vedeva nient’altro che la luce filtrante dalla tenda della finestra.
Sentì uno spostamento d’aria dietro di se e un ghigno sommesso che la fecero rabbrividire.
Si girò di scatto ma non vide nulla…

 
“Nami…” la richiamò una voce estremamente famigliare.

 
I suoi occhi divennero vitrei e il suo corpo si fece rigido.
Non sapeva cosa fare.
Si sentiva bloccata.
Impaurita.
Un topo in trappola.

 
“Nami…perché sei scappata da me?” chiese ancora la voce.
Quella volta era molto vicina.
Quasi come se fosse proprio dietro di lei.

 
In un moto di coraggio, si volse verso la voce, vedendolo.
Era lì.
Il suo peggiore incubo era lì.
Non era cambiato per nulla.
Aveva ancora i capelli neri lunghi spettinati.
I suoi occhi azzurri erano pieni di rabbia e odio.
Il suo ghigno riusciva ancora a metterla in soggezione.
Il suo corpo la sovrastava in altezza, rendendolo ancor più spaventoso con i suoi vestiti sgualciti e la pistola che si portava sempre appresso nel cinturone dei jeans.

 
La rossa boccheggiò più volte, mentre gli occhi color nocciola si fecero lucidi.
Indietreggiò di due passi, convincendosi del fatto che lui non era reale.
Ma lui sembrava così vero, dannazione!
 
L’uomo si avvicinò a lei, diminuendo velocemente le distanze tra loro.
Le toccò delicatamente uno zigomo con un dito, avvicinando le sue labbra a quelle di lei, dandole un bacio violento, mordendole varie volta il labbro inferiore, tanto da farlo sanguinare.
 
Nami cercò di ritrarsi, ma lui le intrappolò le spalle con le sue mani forti, staccandosi da lei di poco:
 
“Cara mia. Tu non potrai mai scappare da me…io sono il Grande Arlong
 
Sherlock si trovò davanti al demone dalle sembianze del coyote, scrutandolo molto attentamente.
 
Di cosa può aver paura il Grande Sherlock Holmes?” chiese quello con fare beffardo, non scatenando, però, nessuna reazione da parte del giovane.
 
“Le mie paure le affronto ogni volta. Non puoi nulla contro di me” gli rispose freddo, ghignando.
 
Già! Ti credi così forte! Tu menti a te stesso! Di una cosa hai paura, o meglio, un nome…” continuò il demone imperterrito, girandogli attorno in continuazione, come volerlo attaccare da un momento all’altro.
 
Sherlock non rispose, facendogli cenno di proseguire con la sua “teoria”.
 
La tua paura è Moriarty
 
Nami riuscì a scappare dalle grinfie di Arlong, correndo al piano superiore, chiudendosi nella sua camera da letto.
O almeno era…
 
Della sua stanza non c’era rimasto più nulla.
Il pavimento si era trasformato in terra arida e polverosa.
Le pareti non esistevano più, lasciando spazio ad un cielo plumbeo e soleggiato.
Davanti a sé vedeva un mucchio di mezzi bellici e corpi inermi stesi a terra.
Persino i suoi vestiti erano cambiati.
Indossava una divisa a maniche lunghe mimetica.
Ai piedi calzava degli stivali neri molto sporchi e sul capo teneva un elmetto legato con un cinturino sotto al mento.
Portava sulle spalle un grosso zaino che quasi la fece cadere all’indietro, mentre imbracciava un fucile.
Si chiese come mai fosse nel bel mezzo di una guerra, ma soprattutto dov’era.
 
Corse in avanti, schivando per un pelo un uomo che la stava per attaccare.
Stava patendo un caldo terribile e i suoi movimenti erano goffi e limitati a causa dell’enorme peso che trasportava.
Raggiunse una Jeep inutilizzabile, accovacciandosi vicino ad altri soldati, mettendosi a guardare l’orizzonte attraverso i finestrini rotti.
 
“Nami! Per fortuna sei arrivata! Mi hai fatto preoccupare a morte, sai? Non fare mai più una cosa simile!” la rimproverò una voce calda e rassicurante.
La ragazza si girò e trovò John intento a sparare a dei nemici che stavano correndo verso di loro.
“John! Sei…qui…” osservò sorpresa, guardandolo con un misto di sollievo e paura.
Le tremavano terribilmente le gambe e il cuore stava pompando a mille.
“Certo che sono qui! Dove dovrei essere…”
 
“Via! Scappiamo! C’è una bomba!” gridò un soldato facendo segno agli altri di andarsene alla svelta.
 
Watson prese la ragazza per le spalle come a volerla difendere da possibili altri attacchi e si misero a correre a perdifiato vero un muretto mezzo distrutto, nascondendosi temporaneamente.
La bomba esplose, provocando un’enorme onda d’urto, che costrinse  i due ragazzi e altri tre uomini a chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie.
 
“Maledizione! Ne arrivano altri!” sbottò un ragazzo sulla ventina, sparando a coloro che arrivavano.
“Vado avanti! Voi, copritemi le spalle!” dichiarò un altro, alzandosi e mettendosi a correre.
“Michael! Non fare stronzate e torna qui!” gli urlò John.
 
Si staccò da Nami e si guardò intorno come a volersi assicurare che non ci fosse qualcuno o qualcosa di estremamente pericoloso, finché non vide una jeep andare dritto verso Michael, per poi girare bruscamente.
 
“MICHAEL!” gridò John a perdifiato, per poi vedere il ragazzo cadere in avanti.
 
I compagni di Watson cominciarono a colpire con le loro armi i nemici, abbattendoli uno ad uno, mentre John correva verso l’amico riverso a terra.
 
Nami, come guidata da un sesto senso, si alzò e corse verso di loro per aiutarli, affiancandosi al medico.
Il ragazzo, Michael, era disteso in una pozza di sangue, mentre dalla bocca sputava rantoli di dolore e parole incomprensibili.
 
“Michael! Michael! Ascoltami! Resta con noi. Adesso cercherò di curarti!” gli promise John prendendolo tra le braccia, prendendogli il volto in una mano per poterlo guardare.
 
La rossa si accorse che la pallottola gli si era conficcata nel petto e che non si poteva far più nulla per salvare quel ragazzo.
In quel momento si sentì impotente e inutile.
Il suo sguardo si posò sulla figura di John.
Piangeva sommessamente abbracciando il corpo spirato di Michael.
 
“John…” cercò di chiamarlo, ma lui la precedette, appoggiando il corpo del ragazzo sul terreno.
Aveva le mani sporche di sangue e continuava a guardarsele, per poi pulirsi gli occhi dalle lacrime con la manica.
“Lo so, Nami. Lo so…aveva solamente diciannove anni. Diciannove, Nami. Era solamente un ragazzo, dannazione!”- sbottò alzandosi in piedi, avvicinandosi alla ragazza lentamente- “Non azzardarti a morire. Sono stato chiaro?!?”
 
La rossa rimase colpita dalle sue parole così piene di preoccupazione e frustrazione.
Pensò che la guerra era davvero inutile e stupida.
Non aveva nemmeno la forza per mettersi a piangere o vomitare l’anima per ciò che vedeva: tutti quei corpi distesi a terra, senza vita.
Quante vite umane erano state sacrificare?
Quante?!?
 
Nell’aria c’era l’odore del sangue e della polvere da sparo.
La polvere bruciava gli occhi e inzaccherava tutti i vestiti e il viso dei soldati.
Lo sguardo degli uomini era freddo e distaccato: si poteva notare che avevano visto tutto.
Non si poteva piangere più di tanto per un amico scomparso.
Bisognava andare avanti, superare il dolore in fretta e continuare a combattere.
Combattere e uccidere.
Persino gli occhi di John erano piuttosto indifferenti, nonostante avesse pianto fino a pochi secondi prima.
 
Nami abbassò lo sguardo, come colpevole di qualcosa, per poi venire abbracciata di slancio dal soldato:
“Ti prego. Non morire. Per nessun motivo.”
 
All’improvviso, calò il buio più totale e i due non riuscirono più a sentire né a vedere nulla…
 
“Forza! Svegliatevi!” gridò una voce, dando un pugno in pieno stomaco ai due ragazzi legati alle sedie.
 
Emisero dei forti gemiti e si svegliarono bruscamente, vedendo, dapprima, tutto sfuocato.
Un uomo aspettava pazientemente che si riprendessero del tutto per dare inizio all’interrogatorio.
 
“Chi diavolo sei?” riuscì a chiedere John stringendo i denti dal dolore infertogli allo stomaco.
“Non te ne deve fregare un cazzo! Piuttosto, voi due! Cosa ci facevate in terreno nemico? Cosa cercavate di sottrarci?!?” domandò l’uomo gridando, alzando il viso di John per i capelli, tirandoglieli fortemente.
“Lascialo stare!” gli ringhiò contro Nami dopo aver preso piena coscienza di sé.
Non aveva più addosso l’intera divisa, se non i pantaloni e la canottiera bianca smanicata.
Lo stesso valeva per Watson.
“Perché? Ti duole il cuore vederlo soffrire?” ghignò vittorioso l’uomo, avvicinandosi alla ragazza.
 
Aveva la pelle molto scura, mentre i suoi occhi e i suoi capelli erano color pece.
Indossava una divisa militare aperta sul davanti, lasciando intravedere parte del petto e le sue piastrine.
Alla cinta portava una pistola, mentre nella mano sinistra portava un pugno di ferro.
Fumava un sigaro cubano, espirando il fumo sul viso dei suoi prigionieri, facendoli tossire, mentre lui rideva sguaiatamente.
 
Nami lo fissò truce, per poi sputargli in pieno viso, facendolo innervosire.
Gli tirò un pugno con la sinistra, facendole sputare sangue misto a saliva.
Le aveva rotto il labbro.
 
“Lasciala stare, bastardo!” gridò John tentando di liberarsi dalla stretta morsa delle corde che lo immobilizzavano.
“Dimmi cosa ci facevate qui, e io la lascerò stare!” lo ricattò l’uomo.
“Non dirglielo…John…” lo pregò Nami in un sussurro, guadagnandosi un’occhiata colma di scuse da parte del ragazzo.
La ragazza nemmeno lo sapeva, perché erano lì.
Lei non sapeva perché era lì, nel bel mezzo di una guerra.
Ma non gliene importava granché.
 
“Fottiti, figlio di puttana” gli rispose Watson, facendo roteare gli occhi al cielo all’uomo.
“Tsk! Voi soldatini del cazzo pensate solamente all’orgoglio e alla vostra patria! Che branco di idioti! Allora spero che vi godiate le torture da parte dei miei uomini!” li salutò andandosene dalla stanza, lasciando entrare altri due soldati.
 
Cominciarono a torturali senza pietà, picchiandoli a sangue in viso e provocandogli numerosi tagli su tutto il corpo, imbrattando di sangue denso i loro abiti stracciati.
Non parlarono.
Non piansero.
Non chiesero pietà.
Non emisero nemmeno un gemito di dolore…
 
Dopo mezz’ora, si ritrovarono stesi a terra in una cella fredda, illuminata dalla luce forte della lampada, ferendo loro gli occhi.
Si sentivano le membra a pezzi.
Respiravano a fatica, emettendo dei rantoli.
Molto probabilmente avevano un bel po’di costole rotte.
 
“N-Nami…”- la richiamò dolorosamente John, cercando di avvicinarsi, strisciando sul pavimento- “Sei ancora abbastanza intera?”
La ragazza guardò la luce forte della lampada, sorridendo tristemente- “La guerra fa schifo, John…”
“Lo so, Nami. Ma…lo facciamo per proteggere la nostra patria e per cercare di aiutare i civili che vivono dentro alla guerra…”
“Uccidendo altre persone… è buffo il mondo” aggiunse ridendo sommessamente, per poi piegarsi su se stessa, sentendo le forze venirgli meno.
“Nami!” gridò  affiancandosi velocemente a lei, per quanto le ferite glielo permettessero, tastandole il polso.
Stava diminuendo troppo velocemente.
“John…vivi. Fatti una nuova vita e allontanati da questa cazzo di guerra!” gli disse aggrappandosi alla canotta dell’uomo per poi ricadere senza vita sul pavimento…
 
Si ritrovò di nuovo dentro alla sua stanza, viva e vegeta.
Continuò a guardarsi intorno, ma non c’era traccia della cella e di John.
Non c’era più nulla, se non il demone dalle sembianze femminili.
 
“H-ho perso?” gli chiese timorosa, ancora scossa dall’allucinazione che aveva vissuto.
Tranquilla. Però, devo ammettere che te la sei cavata piuttosto bene. Di solito le persone impazziscono subito correndo a destra e a manca continuando ad urlare” ammise sorridendole dolcemente, per poi farle cenno di seguirla…
 
Quello…poteva definirsi un vero e proprio incubo.
Londra era completamente vuota e dimenticata.
Camminava per le sue strade in cerca di qualcosa per riuscire ad uscire da quell’allucinazione, ma tutto quello che vedeva erano strade, palazzi e ancora palazzi.
Continuò così per un bel pezzo, finché non incappò in una figura del tutto coperta.
 
“Chi sei?” gli chiese freddo, avvicinandosi a lui.
“Come chi sono? Sono io! Il tuo più Grande fan! Moriarty!!!” esclamò quello con fare teatrale, facendo ridurre gli occhi a due fessure a Sherlock.
Non capiva cosa ci faceva li…
“Lo sai che questa…realtà non è troppo lontana? Tu ridurrai così Londra! Starai solo. Senza amici. Senza anima viva. Completamente solo…” continuò ridendo, compiendo una giravolta su se stesso.
Sherlock rise.
Rise perché sapeva che non era vero ciò che gli stava dicendo.
“Vedrai che riuscirò a farti smettere di ridere! Non sto scherzando, Sherlock! Stai in guardia. Potrei essere ovunque. Potrei essere chiunque, tanto che sarai costretto a non fidarti più di nessuno…ci vediamo…detective” lo salutò per poi sparire.
 
Tutto si distorse e Sherlock tornò alla realtà, ritrovandosi di nuovo davanti al demone coyote.
“Vedo che la tua allucinazione non ha avuto l’effetto sperato…” osservò il consulente investigativo con una nota di spavalderia nella voce.
Il demone scoppiò a ridere sonoramente, irritando non poco il ragazzo.
“Che c’è di così divertente?” chiese cercando di restare calmo.
“Sherlock. Tu non hai capito. Hai notato che la tua allucinazione non è durata nemmeno un’ora? E’ vero. Tu non hai bisogno della paura. Quello che ti ho mostrato è un avvertimento per il futuro. Comunque sia, avete vinto. Sia tu, che la ragazzina” decretò senza tante cerimonie.
 
Nami entrò nel salotto, affiancandosi a Sherlock, restando in religioso silenzio.
 
Ora, i demoni, erano lì.
Di fronte a loro, aspettando la loro richiesta.
 
Il consulente guardò la ragazza di sottecchi, notando che qualcosa la turbava nel profondo.
“Io non ho bisogno di esprimere desideri. Lascio la scelta a te, Nami” disse andandosi ad accomodare sulla propria poltrona, lasciando la rossa alla sua scelta.
 
“Sparite…per sempre…” mormorò stringendo i pugni e quelli eseguirono senza fiatare, scomparendo dietro una nuvoletta di fumo leggera.
 
Nami andò a coricarsi sul divano, esausta, cominciando a fissare il soffitto, mentre Sherlock la guardava divertito, poggiando il mento sulle mani intrecciate tra loro.
 
“Non credo che tu voglia rifare quest’esperienza, non è vero?” le domandò a bruciapelo, tagliando il silenzio.
“Mai più. Ho visto John…” affermò guardandolo a sua volta, sospirando pesantemente.
 
Londra era ancora avvolta dall’oscurità e solamente i lampioni, illuminavano l’interno della casa con la loro luce arancione forte, regalando un po’di visibilità ai sue ragazzi.
 
Sherlock le fece cenno con la testa di andare avanti e Nami non se lo fece ripetere due volte.
“Ero…eravamo in guerra…un suo amico è morto…piangeva e poi mi ha detto: Non azzardarti a morire…Sono stato chiaro?
Anche se poi è ritornato il soldato serio e impassibile di prima…si vedeva che era arrabbiato e deluso.
Siamo stati catturati e torturati fino a ridurci in fin di vita…l’ho lasciato al suo destino, morendo…” gli spiegò sinteticamente con il tono della voce un po’incrinata.
Voleva piangere a dirotto e continuare a chiedere scusa a John.
Sapeva che era stata solamente un’allucinazione, ma a lei sembrava di non aver visto cosa più vera.
“Era solamente un’allucinazione. Non era reali. Ti chiedo scusa, Nami…” disse Sherlock fissando avanti a se, incuriosendo la rossa di un poco.
 
Si alzò e si sedette sulla poltrona di John, aspettando che proseguisse con il suo discorso.
“Tutto quello che hai visto e sentito…non era reale…”
“Lo so…erano delle allucinazioni…”
“No, non intendo questo. Anche i demoni lo erano…”
“Sherlock…ma che stai farneticando?” gli chiese Nami ridendo nervosamente, ma vedendo che Sherlock non aveva la sua stessa reazione, si allarmò.
 
“Nami. Ti ho drogata. Anche io mi sono drogato. Tutto quello che abbiamo visto non era reale






Angolo di Alyce: Buonasera a tutti!!!
Siete liberi di trucidarmi e...e...quel che volete voi! ^_^''
Parto subito con il dire che Nami è un po' OOC, perchè, come avrete visto, non si è messa ad urlare a squarciagola appena aveva visto i demoni o cose simili.
Però, ho cercato anche di renderla umana e non come Sherlock, ovviamente.
Forse questo capitolo è un po' pesante e, se avete delle critiche, le comprenderò perfettamente.
Ho scritto "Il Gioco delle Ombre" in un solo capitolo, perchè altrimenti, se lo avrei spezzetato, i capitoli sarebbero risultati piuttosto brevi ed insensati.
Spero mi perdoniate (si inchina).
Tornando a noi!
Abbiamo scoperto che il fidanzato, o meglio, ex fidanzato di Nami è Arlong!
Ve l'aspettavate?
Se no, a chi avevate pensato come ex?
Per quanto riguarda Sherlock...non ho nulla da dire...vi è risultato un po' OOC?
Cosa succederà nel prossimo capitolo?
Come ragirà Nami, sapendo di essere stata drogata da Sherlock?
Tutto, nel prossimo capitolo!!!
Ringrazio, inoltre, chi mi recensisce (un grosso bacio per voi) e chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate!
GRAZIE MILLE!!!!!!
Ciao e un strasuperbacione!
Alyce :))))))))))))))
  
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