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Autore: mgrandier    28/07/2014    22 recensioni
Siamo di ritorno da Versailles, finalmente. Il sole si sta avvicinando all’orizzonte e il cielo si è tinto di una infinita serie di tonalità di arancione e di giallo, quante nemmeno avrei potuto immaginare che ne esistessero, facendo sì che tutto, attorno a noi, appaia ancora più caldo di quanto non sia già. Non ricordo un’estate così torrida e soffocante, dal mio arrivo a Palazzo Jarjayes. Non credo che sopporterò ancora a lungo questa estate.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Notti'
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Sei di riposo, oggi. Anzi, siamo di riposo. Perché ogni tuo impegno, è da sempre anche mio.
Benché io sia consapevole di non doverti accompagnare a corte, mi sveglio di buon’ora, solleticato dai raggi dal sole appena sorto sull’orizzonte: sembra godere nell’impedirmi di indugiare a letto. Ed è un vero peccato, perché il riposo notturno, a causa della calura di questo periodo, ma non solo per quella, mi è davvero difficile. La scorsa notte, per vari motivi, non ha fatto eccezione.
Mi sono ritirato nella mia camera piuttosto tardi, dopo una serata trascorsa al cospetto del Generale e di un suo nobile ospite, con l’unico compito di controllare che nei loro panciuti cristalli non venisse mai a mancare del vino, prima, e del liquore, poi: un incarico, per il quale continuo a domandarmi per quale ragione il Generale non si sia rivolto a Jerome, il suo attendente personale, anziché a me. Ad ogni modo, sebbene tenere d’occhio il livello del liquido nei bicchieri non fosse un impegno di grande responsabilità, ieri sera nemmeno questo sembrava essere alla mia portata. In piedi di fianco al carrello sul quale era sistemata una quantità spropositata di bottiglie a garanzia di una varietà di scelta adeguata al rango dei due bevitori, fermo ad attendere che fosse necessario il mio intervento risolutivo, ho sopportato il lento scorrere del tempo torturandomi senza sosta le labbra, in una specie di smorfia dolorosa e senza via d’uscita. Nel vano tentativo di celare la mia irrequietezza, mi facevo sempre più vicino al muro, e credo che se il Generale avesse alzato lo sguardo su di me almeno una volta, non avrebbe visto altro che una specie di telamone sofferente, sull’orlo della resa. Il fluire della conversazione dei due uomini imparruccati accomodati sulle poltrone del salotto grande del palazzo mi è stato completamente indifferente, tanto che non ricordo una sola parola di quelle pronunciate in mia presenza, non uno solo degli argomenti toccati.
La mia mente era ancora ferma al tardo pomeriggio, alla scuderia, e il mio corpo non era da meno. Nelle mie mani sentivo ancora la stoffa leggera della tua camicia e, inspirando, il tuo profumo floreale, impresso nelle mie narici, copriva ancora completamente quello pungente del vino e dei liquori che mi erano vicini. E sul mio viso … la pelle bruciava nel ricordo di quel lieve e transitorio contatto con la tua.
Sollevato finalmente dal mio compito serale, che aveva finito per tenermi inesorabilmente lontano da te, avevo raggiunto la mia stanza, scegliendo consapevolmente di evitare di cercarti. Nel buio della mia camera, steso sul letto, con le braccia sollevate e le dita incrociate sotto la nuca, la mia tortura si è fatta ancora più difficile da sopportare. Sì, perché se alla presenza del Generale ero riuscito a mantenere almeno un minimo di sangue freddo, nella solitudine del mio letto la mia essenza liquida si era fatta bollente, senza possibilità di controllo.
Sono stato ad un passo dal baratro e tu, Oscar, mi ci hai condotto consapevolmente. Cosa farò, adesso? E tu, cosa farai adesso?
Avevo cercato sollievo alzandomi dalle lenzuola madide e rimanendo fermo davanti alla finestra spalancata, implorando che un alito di vento venisse in mio soccorso, senza ottenere altro, se non di trovare nel mio campo visivo la scuderia, il luogo del mio tormento. Con un gesto di stizza, mi ero sfilato la camicia sgualcita e appiccicosa, lasciandola cadere sul pavimento, avevo versato dell’acqua nel catino della toilette e mi ero rinfrescato più e più volte il viso; e poi, non soddisfatto, anche i capelli e il torace, con l’unico misero risultato di dovermi recare a prendere dell’acqua pulita per la rasatura della mattina  seguente.
Tornato al mio letto a notte inoltrata, un sonno agitato e per nulla ristoratore mi aveva finalmente accolto e accompagnato con sogni tormentati, e al contempo sublimi, fino a questa mattina.
Finalmente lascio il letto stiracchiandomi, poi scuoto sconsolato il capo, constatando che una giornata di lavoro alle scuderie mi avrebbe lasciato più riposato; mi avvicino al catino e mi rinfresco abbondantemente il viso. Punto gli occhi nello specchio ovale di fronte a me e il mio sguardo si ferma inesorabilmente sul mio petto nudo, quello che tu, ieri, hai cercato e scoperto, tenendo fra le mani i lembi della mia camicia. Mi porto istintivamente le mani agli occhi: la mia tortura non è finita.
 
Quando arrivo in cucina, consumo la mia colazione, mentre mi accorgo che la tua è ancora lì, sul vassoio, intonsa. Il ricordo di quanto accaduto ieri mi perseguita, ma non posso fare a meno della tua presenza … così come non posso rinunciare a respirare. Ne sono consapevole, anche se temo il momento in cui ti avrò ancora di fronte a me. Vedo la nonna già indaffarata a dirigere la preparazione del pranzo e istintivamente le chiedo in tono fintamente disinteressato: - Oscar non è ancora scesa per la colazione, nonna? –
Lei si ferma un istante, mi guarda da sopra gli occhiali tondi e non perde l’occasione di darmi da fare: prende il vassoio da colazione coperto con un tovagliolo e consegnandomelo mi intima – Eccoti qua! Porta la colazione a Madamigella Oscar. A quest’ora, sarà certamente già in attesa nella sua stanza. –
Mi ha incastrato. Me la sono cercata.
Non batto ciglio, sapendo di non avere scelta, ormai.
Quante volte, salendo la medesima scala e percorrendo lo stesso corridoio con un vassoio tra le mani identico a quello che reggo adesso, ho pregustato il momento in cui ti avrei rivisto … e perché adesso il mio animo, mentre brama l’attimo in cui entrerò nella tua stanza, lo teme?
So bene che sei già sveglia. Tu non indugi mai tra le tue lenzuola, quasi non sopportassi il pensiero di passare più del tempo strettamente necessario tra quell’abbraccio di seta che non condividi con nessuno: se non sei già scesa, è semplicemente perché non hai voluto farlo.
Busso.
- Vieni, André. – mi hai risposto subito, invitandomi ad entrare. Sorrido soddisfatto: mi hai riconosciuto. Mi stavi aspettando. Mi basta udire la tua voce, perché i miei timori svaniscano.
 
Mi appoggio alla balaustra del balcone, dando le spalle al parco, mentre tu, seduta al tavolo del terrazzo, consumi la colazione che ti ho appena portato. Incrocio le braccia, sono finalmente a mio agio, insieme a te, nei tuoi spazi. So che tu non ti aspetti che io me ne vada, so che posso restare qui con te; so che tu vuoi che io resti.
- Dove sei finito, ieri sera? - sei tranquilla, apparentemente serena, rilassata; la tua domanda non mi sorprende, e il tuo tono non è accusatorio. Sei come sempre, sei come eri prima, e questo mi riempie il cuore, perché mi fa sentire al sicuro.
- Il Generale, tuo padre, ha richiesto il mio servizio. Aveva un ospite. –
- Non poteva chiamare Jerome? – sorseggi il tuo tè mentre mi scruti dal basso in alto; leggo il disappunto, nei tuoi occhi, ma mi riempio della carezza del tuo sguardo.
- Sinceramente, me lo sono chiesto anche io, Oscar … Ma cosa potevo fare … - ti rispondo con un sorriso amaro, mentre alzo le spalle.
Sono un servo, Oscar. Troppo spesso sembra che tu voglia dimenticartene …
Resti in silenzio qualche istante, mentre mastichi lenta un biscotto, con lo sguardo fisso sul piatto dove sono sistemate ordinatamente altre gallette. Stai evidentemente riflettendo, sei indispettita.
Tu non sopporti le prevaricazioni di tuo padre, Oscar. Devi ribadire al Generale il fatto che io debba stare con te, vero? So dove vuoi arrivare …
Mi metto più comodo, poggiando le mani ai lati del mio corpo, e incrocio i piedi. Ti anticipo.
- Ti va di uscire a cavallo, Oscar? Oggi sei di riposo … – tu ti illumini alla mia proposta, arricci le labbra e mi guardi con gli occhi che brillano.
- Prepara Cesar e Alexander. Porta con te le spade … e fatti dare qualcosa dalla nonna per il pranzo. –
 
Arrestiamo i cavalli solo quando sentiamo che la distanza tra noi e Palazzo Jarjayes sia tale da averlo fatto scomparire non solo dalla nostra vista, ma anche dalla Francia, dal mondo, dalla nostra vita, insieme a tutte le sue regole e le sue etichette incomprensibili e inaccettabili. Questo è il luogo delle nostre fughe. Qui siamo liberi, siamo noi, e niente altro.
Lascio Cesar e Alexander a brucare, assicurando le redini ad alcuni rami, mentre tu avanzi nella fresca radura che si apre in riva al canale. Ti siedi a terra con le gambe piegate, poggiando i gomiti sulle ginocchia, lo sguardo assente, rivolto all’acqua. Sei pensierosa; non hai aperto bocca, durante la nostra cavalcata.
- Credevo volessi batterti con la spada … -  mi accomodo accanto a te, mettendo a terra le armi e la sacca con il pranzo.
- Perché quando usciamo a bere, io e te andiamo alla taverna di Monsieur Berthelot, anziché in quella di Monsieur Durant? – mi sorprendi.
Aggrotto le sopracciglia e ti rispondo sogghignando – Perché il vino di Monsieur Berthelot ci piace di più e quando decidiamo di bere, vogliamo solo quello giusto per noi! Possiamo scegliere … –
- E chi ha deciso quale sia il vino giusto?– insisti, ma non ti seguo.
- Beh, è naturale, ogni vino è giusto e ognuno beve quello che preferisce! Jerome, per esempio, ama il vino di Monsieur Durant! Il Generale accetta solo vini da vitigni selezionati personalmente … -
Ti alzi e mi intimi risoluta – Prendi le spade, André. -
 
Ci affrontiamo esperti, come in una danza, come se tra le mani avessimo delle piume e non delle armi taglienti, in uno scambio continuo di sguardi e gesti, mossi dall’istinto. Paro i tuoi affondi e cerco di attaccarti a mia volta; veloce sfuggi alle mie mosse, rispondendomi senza tregua. Tu non ti arrendi alla mia forza e io non cedo alla tua agilità. I nostri occhi si cercano senza sosta, i nostri corpi di sfiorano, i nostri sensi sono all’erta. E’ molto più di un duello, il nostro, e noi ne siamo consapevoli.
Sono io a cedere, come sempre del resto, perché l’intensità della mia forza dipende dalla mia resistenza fisica, mentre la tua agilità è figlia della caparbietà, e il mio corpo si arrende prima della tua forza di volontà.
Riesci a mandare a segno un affondo, deviando la lama tagliente a lato del mio capo, per non ferirmi, ma mi ritrovo con la schiena contro un tronco: hai vinto.
Restiamo così, affannati, accaldati, allacciati nella morsa finale del duello. Io non posso muovermi, se tu non me lo permetti, perché la mia schiena preme contro la corteccia ruvida, sono sbilanciato e le mie gambe sono leggermente piegate; tu mi sei davanti. Nell’ultimo affondo, quando ho urtato il tronco, tu mi sei finita addosso, appoggiandoti a me con il braccio sinistro, mentre il destro alzava la spada sulla mia spalla, per evitarmi. Ora sei ferma e punti i tuoi occhi limpidi, brucianti per la vittoria, nei miei, mentre cerchi di riprendere fiato e il tuo alito caldo fa vibrare la mia camicia sul mio petto, davanti al tuo volto. Non ti sposti. Di nuovo.
Inizia adesso il duello, vero Oscar?
Sento il tonfo della tua spada che finisce tra l’erba e le foglie ai piedi dell’albero che ci sorregge, e il tuo braccio che si appoggia lentamente alla mia spalla, mentre anche io lascio la presa sull’elsa e lascio le braccia abbandonate lungo i miei fianchi. Il mio respiro non rallenta, non riesco a riprendermi, non in questo momento. Non in queste condizioni.
Ritrai impercettibilmente il braccio sinistro portando la mano sul mio petto; deglutisco a vuoto quando percepisco le tue dita cercare la pelle del mio collo e giocare delicate lungo la mia clavicola, solleticando lieve i miei sensi. Il mio cuore batte furioso, ma attraverso la sottile stoffa delle nostre camicie, ora posso intuire anche il pulsare frenetico del tuo.
I tuoi occhi mi chiamano, il tuo profumo mi inebria, un’altra volta. Vincendo la resistenza della mia coscienza, sollevo lentamente le mani portandole sulla tua schiena, ma non oso toccarti davvero … le mie mani si fermano alla tua camicia, intuendo la curva dolce della tua vita. Muovo la destra, come in un sogno; sfiorandoti con due dita risalgo adagio lungo la valle delicata al centro della tua schiena, il dorso accarezzato dalla tua chioma sciolta; sento che inarchi d’istinto il tuo corpo, facendolo ancora più vicino al mio. Hai chiuso gli occhi e ti sei inumidita le labbra. Ti ho vista, stai trattenendo il respiro. Fermo la mia mano sulla tua nuca, approfondendo il contatto e affondando le dita nei tuoi capelli.
Cosa sto facendo?! Cosa stiamo facendo?! Perché non mi fermi, Oscar?
Hai abbassato leggermente il capo e anche io ho chiuso gli occhi. In un angolo remoto del mio essere mi sono imposto di sperare che tu ti stia allontanando da me, forzando il mio abbraccio. Invece sento il tuo naso insinuarsi e accarezzare il mio collo, appena sotto la mia mascella, finché anche le tue labbra cercano la mia pelle, sfiorandola in un moto circolare, quasi ipnotico, fino a posarsi su di essa, in un bacio delicato, timido nei miei confronti, ma terribilmente insolente verso tutto il mondo in cui viviamo. Il mio corpo freme al tuo tocco.
Appoggio il capo al tronco alle mie spalle, e tu ti fai ancora più ardita. Al primo, tenero e insicuro bacio, ne fai seguire un secondo, e un terzo; e poi un altro, e un altro ancora, indugiando ogni volta di più nel contatto con la mia pelle, fino a farmi percepire chiaramente che desideri conoscere il mio sapore.
- Oscar … ti prego … - la mia voce è profonda e tremante, stento a riconoscerla io stesso, ma istintivamente stringo la presa delle mie mani sul tuo corpo.
E mentre prosegui nell’assaggiare il mio collo, percepisco le tue labbra distendersi in un sorriso.
Sto perdendo il controllo. E tu non vuoi fermarti.
 
E’ possibile sognare per una vita che qualcosa accada e poi, mentre il sogno si avvera, implorare che tutto svanisca nel nulla? Desiderare che niente sia mai accaduto?
 
Ti sto stringendo a me. I tuoi baci continuano, impertinenti. Il tuo corpo è premuto contro il mio e imprime nel mio animo le sue forme, mentre le tue mani si fanno strada sulle mie spalle, scivolando sotto la stoffa della mia camicia.
- Oscar … per favore … non … - sto ansimando.
Non mi ascolti nemmeno. Le tue mani scorrono febbrili sulla mia pelle, le tue dita raggiungono le mie scapole in un movimento sinuoso.
- Oscar, no … ti prego … o non riuscirò più a … - mi costa una sofferenza immane, insistere.
- André … - finalmente sollevi il tuo viso dal mio collo e sentendo che ti muovi da me, giusto quanto basta per guardarmi in viso, torno a cercare i tuoi occhi. La tua voce è un sussurro, il tuoi occhi lucidi e socchiusi, sono nei miei – … André, perché no? Dimmi, perché? – sembri smarrita, stai tremando.
Abbasso lo sguardo, non ho il coraggio di sostenere il tuo. Ho un nodo che mi chiude la gola.
- Oscar … lo sai. Io sono … sono solo … un servo … mentre tu … Non è giusto. Non mi è permesso … - scuoti il capo alle mie parole, sgranando gli occhi incredula, ferita.
- E’ solo per questo che tu non … ? – mormori; e poi di colpo - … No! – Sei risoluta come mai ti ho sentito prima, stringi i pugni e li pianti sul mio petto – No, André! – stai alzando la voce e ti sei irrigidita – Dimmelo ancora perché andiamo da Monsieur Berthelot! – sono allibito, ma tu continui – Vuoi dirmi che secondo te è giusto? Scelgo il vino che mi stordisce quando non sopporto più la mia vita, ma non posso scegliere l’unico uomo che … - esiti un istante - … che la rende degna di essere chiamata vita? –
Non riesci a continuare oltre, hai gli occhi lucidi e trattieni le lacrime, ma le tue parole dentro di me sono esplose, mandando in frantumi gli argini del mio essere uomo, mi stanno sconvolgendo, e senza potermelo impedire porto le mani al tuo viso, mentre le lacrime pungono anche nei miei occhi.
- Oscar … tu … perdonami, ti prego … - ora la mia voce è un sussurro colmo di dolcezza - … io volevo solo proteggerti … proteggerti da me … Ma tu … - le mie braccia tornano a stringerti, senza timore; sto abbassando la guardia.
- André, io voglio vivere … voglio vivere davvero. Voglio scegliere il mio vino. Come è giusto. – soffi queste parole sulle mie labbra, come in una preghiera.
Ti lasci avvolgere dal mio abbraccio, nascondendo il tuo viso nell’incavo del mio collo, dove sento il tuo respiro solleticarmi delicato. Non mi muovo. Non ho il coraggio di farlo. Mi limito a piegare le ginocchia,  mettendomi a sedere, trattenendoti a me. Le mie mani tornano ad accarezzarti, a sfiorarti leggere … Le mie labbra si posano sui tuoi capelli. Non ho dovuto aggiungere nulla, alle tue parole. Avrò tempo per aprirti il mio cuore … come hai avuto il coraggio di fare tu con me, anche se tu sai già cosa custodisce da una vita intera. Ora ho davvero compreso: la tua non era una sfida, ma una scelta. Io temevo l’abisso fra di noi, mentre tu l’hai colmato con il tuo amore e mi hai chiamato a superarlo, senza indugi.
In questo attimo di pace inattesa mi lascio cullare da ciò che ci circonda, permettendo ai miei sensi di confermarmi che non sto sognando: i riflessi dorati, come i tuoi capelli, sulla superficie dell’acqua; il tuo profumo che è quello dei fiori e dell’erba tutto attorno a noi; qualche battito d’ali lontano, sopra le nostre teste, come il pulsare unisono dei nostri cuori … il mio corpo è permeato dal benessere insperato del saperti tra le mie braccia, adagiata sul mio petto …, rilassato in questa dimensione nuova, che non ho mai osato pensare di poter sperimentare realmente.
Ti muovi, e io apro gli occhi, fissando le fronde sopra di noi. Sento che ti sposti leggermente nel mio abbraccio, che ti accomodi solo un po’… e poi il mi o cuore si ferma, sgrano gli occhi, con la bocca asciutta e il respiro improvvisamente spezzato. I colori tenui attorno a noi si fanno d’un tratto forti, quasi accecanti. Le tue labbra hanno raggiunto di nuovo il mio collo e scendono sul mio petto, mentre le tue mani sfilano la mia camicia dai pantaloni, per tornare a cercare la mia pelle, indugiando poi sulla mia cintura …
Cosa fai, Oscar? Cosa fai, amore mio? Sai che non potrò resistere,vero? Sai che non voglio nemmeno provarci, questa volta?
 
  
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