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Autore: Lilith_s    29/07/2014    9 recensioni
“ma forse è questo il tuo problema. Farsi consumare è...terribilmente bello, i litigi che vivono dentro di te...il cervello, la testa che dice una cosa, ed il cuore, lo sterno e la bocca dello stomaco in fiamme, come se ribollisse dentro” mi bagnai le labbra per riprendere fiato “Ma io ho capito, con tanto dolore, che questa tremenda malinconia poi muta solo in melanconia...come lo spleen di Baudelaire, hai presente?”
Lui sorrise, timidamente, per il paragone che avevo fatto...tornò a seguire l’andamento delle mie labbra “lo spleen è nero, è velenoso, fa male. Fa male al tuo cuore, Ville” gli toccai, senza pensarci troppo, il cuore... “batte, sì, lo fa, ma a che prezzo? Ama chi ti ama” sussurrai poi, dopo un lungo respiro...
*
*
*
Più passavo tempo con lui, più scoprivo un lato inedito del suo carattere, più occasioni avevo di guardare il suo viso, perfetto, più scoprivo una ruga, un particolare, un’espressione dei suoi occhi, o un modo di muovere le labbra tutto suo, qualcosa che gli appartenesse davvero.
Avrei desiderato immensamente abbracciarmi a lui, il suo profumo, anzi, il suo odore, avvolgeva le mie narici, ogni poro della mia pelle, attirandomi a lui come un magnete..
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano passati già venti minuti, ed io e Jesse non ci eravamo fermati nemmeno un secondo per riassestarci, giusto qualche sorrisino sghembo fatto l’un l’altra e la presenza, la pesantezza dello sguardo di Ville inchiodato a noi.

“Dici che tuo fratello ci è rimasto male?” chiesi con una punta provocatoria, che Jesse non avrebbe potuto cogliere però, non sapendo nulla della conversazione con il fratello maggiore.

Gli rivolse un’occhiata divertita, e così feci io... “ti senti di fottere?” chiesi tra me e me, Jesse tornò a guardami, ridacchiando “Non credo proprio, so come è fatto” fece spallucce “preferisce restare lì, e preferisce restare SOLO” ammise, concentrandosi unicamente su di me, facendomi volteggiare al ritmo di musica, al suono – disperato- delle corde vocali del cantante.

“Beh dai, ci sarà rimasto un po’ male” sorrisi “hai detto anche che dovevate parlare”

“Sì sì...”annuì di colpo, prendendomi ora per i fianchi, misi istintivamente le mani sulle sue come a dire “allenta la presa bellezza” e facendoglielo capire con lo sguardo “Ma è stato lui a volermi parlare” continuò “Ha detto che doveva raccontarmi qualcosa che gli è successo ieri sera”.

Ieri sera? Ho sentito bene? IERI SERA?
Lanciai istintivamente un’occhiataccia a Ville, che sorseggiava un drink ora, “Ma hai dodici anni?” pensai, “dio che rabbia”.

“Ah” risposi “Forse voleva raccontarti qualcosa della sua ragazza” suggerii, sviando spudoratamente.

Gli occhi di Jesse, di un verde ancora più profondo e scuro di quelli di Ville, si accesero, come fosse stato fulminato “Direi di no” sollevò le sopracciglia “Lei non è in città al momento...e anche se ci fosse, non avrebbe nulla da dire su quella stro...vabe, su di lei”

Mi fermai per un secondo “Stronza?” completai ciò che stava per finire, un po’ sorpresa dal modo in cui l’aveva apostrofata.
Ecco perché Ville disse quelle cose la sera precedente.
La sua visibile tristezza, il fatto che per lui fosse tutta una protezione, una protezione dal mondo esterno.
C’era qualcosa che non andava...

“Sì, stronza” mi interruppe Jesse “forse non dovrei dirlo, insomma, non sono nemmeno fatti miei...ma lei prima di stare con Ville era la ragazza del cantante della mia band” mi raccontò con astio “una stronza arrampicatrice come non mai...e l’ho sempre avuta sulle palle, ma questa notizia mi manda in bestia! Pensare che sono stato proprio io a presentarli...” scosse la testa “E’ stato un vero disastro”
“Sicuramente per il poveretto mollato di colpo!” dissi, senza pensarci troppo, cercando di chetare la nascente risata “beh, io non la conosco...” sorrisi timidamente “Ma capita di passare da un ragazzo ad un altro, magari che conosci pure, non ci vedo niente di...straordinario” quasi sussurrai, per paura della reazione di Jesse.
E invece non si scompose più di tanto, per quanto livido fosse in viso “Ma tu non puoi capire. E’ una delle ragazze più finte...ed anche brutte, che io abbia mai conosciuto. E sono certo che non ami mio fratello.” 
Le sue parole mi scossero.
 Non so perché ma mi ritornò in mente Adrian, il suo non amare la sua ragazza...ed il suo continuare a starci insieme.
Una fitta di dolore mi attraversò lo sterno. “Oh...” risposi, con occhi velatamente tristi “E lui ama lei?”

Jesse sospirò, un’espressione indecifrabile sul suo volto “se lo conosci, lo capisci subito” mi rispose sibillino.
Non chiesi altro, Jesse si era parecchio sbottonato con me circa il fratello, anche oltre il dovuto...probabilmente perché sono la figlia del suo manager, eppure chissà...Ville sapeva essere davvero incomprensibile.
La sera precedente si era comportato dolcemente con me, come un amico di vecchia data, la mattina lo stesso...ed ora era ritornato ad essere lo stronzo spara frecciatine di sempre.

Le parole di Jesse mi avevano come destabilizzata, incuriosita...e ora che guardavo nuovamente Ville, con l’espressione imbronciata, annoiata e...stanca, mi faceva una certa tenerezza. Magari sentiva la mancanza della sua fidanzata, magari era rimasto male perché aveva bisogno di raccontare davvero qualcosa al fratello...qualcosa che non mi riguardasse.

“Pausa?” mi interruppe Jesse, prendendo ancora la mia mano “Ho una certa sete”mi regalò un sorriso delizioso.
“Certo, andiamo” risposi, accettando di buon grado la stretta alla mano.
Aveva un profumo delizioso, molto diverso da quello che avevo potuto saggiare la sera prima...Jesse 
“Sei davvero bella, Sybil” mi sussurrò ad un orecchio, atterrando al bancone, dove c’era Ville ad attenderci.
“Grazie! Anche tu...passabile” risposi, facendogli l’occhiolino e baciandogli, senza pensarci troppo, la guancia, cosa che fece sbarrare gli occhi del fratello maggiore.
 Ecco, ora era diventato di nuovo ostile. 
Ma perché?

“Siedi pure” mi fece Jesse, io cerco un angolo del bancone meno affollato, così riesco a farmi dare prima la birra “Va bene se ci smezziamo una Laško?”
“Sì, perfetto”
“Tu, Ville, vuoi qualcosa?” domandò, ma Ville rispose solamente esibendo il suo bicchiere per metà pieno. 
“Okay, arrivo subito.” E così sfilò tra le altre persone, poco lontano da noi.

Io e Ville restammo in silenzio per qualche secondo.
Si era creato, e nemmeno so come, un certo imbarazzo tra noi due, del tutto innaturale rispetto alle scene della stessa mattina.
Percepivo il suo sguardo, mi guardava di sottecchi, era una situazione del tutto assurda per me...Ville Hermanni Valo, all’anagrafe trentotto anni, di testa due e mezzo.

Il primo a spezzare il silenzio fu lui.
“Come va con tuo padre? Avete parlato circa…?” mi domandò
“Non abbiamo avuto modo, non ancora” lo interruppi, mordendomi poi la lingua per averlo fatto, ora chissà che avrebbe potuto pensare.
“Ah okay...” pronunciò solamente.

“A che ora partite domani?” chiesi io, con finto interesse, conoscendo perfettamente l’orario di partenza
“Nel tardo pomeriggio” sorseggiò il drink “Alle 19.00”
“Okay...” annuii, poco convinta.

Buttai un’occhio su Jesse, doveva ancora ordinare, la quantità di persone assetate era qualcosa di sconcertante quella sera...quando tornai da Ville, lo beccai in pieno a guardarmi, ed i miei occhi scivolarono pian piano dal suo busto al suo viso...le iridi chiare contornate da un po’ di matita sbavata, per accentuarne l’intensità “allora i trucchi non erano proprio tutti di Sandra” pensai, ridacchiando tra me e me.
“Ville, ma che ti prende? Non sembri...tu” chiesi a bruciapelo, e persino il suo sguardo sobbalzò, colto impreparato “Ieri ti sei comportato che nemmeno il mio migliore amico... ti hanno morso la lingua?” mi girai completamente verso di lui, poggiando un gomito sul legno del bancone.
“Beh” schioccò la lingua sul palato, volgendosi anch’egli nella mia direzione “Niente di che, un po’ di stanchezza...” mugugnò poco convinto “anche se...” continuò, con tono leggermente provocatorio sin dall’inizio “anche io ho visto come ieri sera fossi disperata, addolorata...” increspò le sopracciglia “e stasera invece...” indicò, sollevando il mento, la pista sulla quale poco prima stavamo ballando io e suo fratello “sembra che ti sia già passato lo strazio al cuore per il tuo Adrian.” Concluse, con tono stizzito...non solo provocatorio, ma deliberatamente mirato a ferirmi.
“Che hai detto, scusa?” chiesi retorica, indignata dalle sue parole.
“Hai capito cosa ho detto, l’hai capito bene.” Il suo sguardo, freddo, staccato...le sue labbra rigide, appena appena aperte.
“Sei veramente uno schifo!!!” risposi, con voce decisamente alterata, menandogli un ceffone in pieno viso, davanti a tutti.
I suoi occhi, meravigliati, si fecero piccole fessure, forse per l’impatto del mio palmo contro il suo viso, la sua barba appena accennata, o forse, più probabilmente per la figura, di merda, appena subita.

Presi la mia borsa di cuoio “Meriti di stare come stai” dissi, ormai con gli occhi di mezzo locale puntati contro, e girai i tacchi, lasciandolo lì, senza parole, con solo uno sguardo carico di odio.
Jesse, che aveva potuto vedere tutta la scena, non appena mi vide sfrecciare via, corse dietro di me “Sybil? Che è successo?!” chiese con tono preoccupato, prendendomi per il braccio. “Che ha fatto mio fratello?”

Mi svincolai dalla sua presa, accelerando il passo.

“Jesse, torna da lui. Perdonami. Ma non mi sento tanto più di compagnia...e scusa, ma sono sicura che avremo altri momenti per...conoscerci” conclusi, guardandolo negli occhi per un secondo, uscendo dal Tavastia.

 
“Come si era permesso di dire questo?

Quel pallone gonfiato, che rabbia, Dio!!! Avrei desiderato dargli molto più che uno schiaffo...maleducato che non è altro.
Non mi conosce...lui non mi conosce e parla...” 
Mi portai istintivamente una mano sugli occhi, per asciugare la prima lacrima, appena scivolata sull’incavo del viso. “E pensare che volevo sciogliere la tensione, parlare, capire perché stesse così...che stupida che sono stata.
Sapevo perfettamente chi fosse Ville Valo. E mi sono fatta ingannare dalle sue finte buona maniere...non posso crederci”

Questi pensieri mi ronzavano in testa come uno sciame di api impazzite.

“Ma perché meravigliarsi...sono tutti così. Adrian finge con tutti, mio padre mi nasconde la sua relazione, Ville…Ville nemmeno si capisce cosa abbia in testa.
Ma come ho potuto fidarmi di quest’uomo? Come? Gli ho raccontato il mio segreto più grande...e lui mi ha apostrofato dandomi della mezza puttana fintamente affranta...” respiravo affannosamente “Lo odio.”

 
*·~-.¸¸,.-~·*
Quando feci ritorno a casa, era ormai tardi, Ari sicuramente aveva avuto più fortuna della sottoscritta e la serata era andata a farsi benedire.
Chiusi il cancelletto dietro di me, estraendo dalla borsa le chiavi di casa...sollevai lo sguardo, la luce della camera di mio padre era accesa. “Perfetto” mormorai, inserendo la chiave nella serratura “non c’è mai fine al peggio”.
Aprii la porta, entrando con passo sicuro, quando degli ansimi, inequivocabili, giunsero alle mie orecchie.
Aguzzai d’istinto le orecchie, corrugando la fronte...d’improvviso il battito accelerò “Noooo” sospirai “Nella camera di mia madre, no. Questo no.” 
Furibonda, di nuovo in lacrime, affannata, non potevo credere a quello che mi stesse accadendo.



Il pianto che avevano provocato le offese di Ville, inferte poco prima, risultava ridicolo in confronto a quello che mi stava accadendo in quel preciso istante, entrambi i piedi sul tappeto, avvolta nel buio completo, eccetto per quella luce...come costretta a stare lì, ferma, condannata a sentire mio padre ed una donna assieme, nel letto di mia madre.
Intimorita da quella situazione, chiusi dopo un’infinità di tempo la porta, sedendo per qualche istante sulle scale esterne, la testa satura e sfiancata da ciò che mi circondava...non contavano più, improvvisamente, Adrian e Ville, l’unica cosa che si era fossilizzata nella mia mente era il pensiero di mio padre, l’aver tradito mia madre...e l’aver tradito me.
Tanto inebriato da questa cosa da non preoccuparsi neanche di un mio ritorno… “era andato a prenderla...” pensai, rivedendo il nostro incontro del pomeriggio “ovunque io vada ci sono solo casini”.

 
Mi mossi nuovamente a piedi, non potendo prendere l’auto per il rumore che avrebbe creato, ed in poco tempo mi ritrovai nuovamente in centro, passeggiando senza meta nella quiete...non proprio notturna, vista la luce solare, ma almeno non c’era tanta gente per strada, e di questo fui grata.
Avevo bisogno di silenzio per calmarmi, e di un caffè, nonostante l’ora improbabile, che mi rilassasse i nervi.

In pieno centro infatti, a circa cinque minuti dal Tavastia, proprio dietro l’angolo, c’era l’Mbarun caffè piccolino ma decisamente accogliente aperto, in estate, fino a tardi grazie all’enorme terrazza a sua disposizione.
E’ un posto che mi è sempre piaciuto, già il nome infatti sta ad indicare i millibar, e quindi come all’origine fosse davvero un posto microscopico, la musica jazz sempre presente...è lì che ho conosciuto parecchi amici, essendo frequentato da molti ragazzi della mia età, musicisti e studenti.
E’ caratterizzato da vetrate di cristallo enormi, cosicché, in inverno, si possa ammirare comunque la città seppur rinchiusi dentro, o semplicemente rimirare il passeggio per le strade innevate.

Ordinato un bollente cappuccino con panna, presi posto fuori, su una delle poltroncine nell’enorme terrazza del bar.
Nonostante il sole, tutto era blu a quell’ora...il cielo, il mio umore, persino l’asfalto pareva essere di quel colore.
Ferma, con la tazza poggiata sul semplice tavolino in legno grigio chiaro, rimuginai ancora una volta su ciò che avevo visto...o meglio, sentito.
Mio padre si era rifatto, legittimamente, una vita; forse questa donna era più di un semplice affetto...ma che bisogno c’era di continuare a mentire? Mentire alla sua unica figlia.
Certo, anche io non ho detto nulla su Adrian, ma è giusto così, sono questi i nostri ruoli. I figli nascondono le cose ai genitori, non il contrario.

Sorseggiai il caffè, ancora bollente, che mi riscaldava dal freddo di quella “finta” notte, dalla luce fredda dell’una di notte, arrovellandomi il cervello su come risolvere la questione. Dirgli che lo so? O fare finta di nulla? Mio padre avrebbe compiuto gli anni di lì a poco più di due settimane, e conoscendolo avrebbe organizzato la solita festa...e lei ci sarebbe stata per forza.
Aspettare quel giorno dunque?
Ma se me l’ha nascosta per paura della mia reazione non avrebbe senso presentarmela davanti a tutti...tutti che sanno...avrei fatto la figura della stupida.

Concentrata a girare il cucchiaino della tazza, fui distratta dalla figura stagliatasi dinnanzi al mio volto, al di là della recinzione della terrazza, ferma sul marciapiede.
Alzai leggermente gli occhi, chissà come certa di sapere già chi avrebbe incontrato il mio sguardo.

Ville.
Posai lo sguardo su di lui in maniera distaccata sebbene pesante, carica come ero di quel malessere che mi stava lacerando, carica delle sue parole, non appena lo vidi...fermo, spalle strette nella sua giacca nera che nel locale era completamente fuori posto, ma a quest’ora e con la temperatura più fredda...invidiavo tantissimo.
Ricambiava la mia attenzione con sguardo spavaldo nonostante la visibile stanchezza sotto gli occhi ed il viso smunto, anch’esso ingrigito dalla luce blu che tutto ricopriva.
Mi sorrise leggermente, avvicinandosi alla porta d’ingresso.
Seguii muta i suoi passi felpati, girando leggermente la testa...erano anch’essi arroganti e fieri, come il volto che in poco più di trenta secondi si sedette di fronte a me.
“Che fai?” lo interrogai, con un’occhiatina di sbieco
“Mi siedo. Bevo un caffè” fece cenno col bicchiere, sollevando allo stesso tempo le sopracciglia, un ghigno sul suo volto... “fumo una sigaretta”
“Non credevo che le scimmie potessero fare tutte queste cose allo stesso tempo” risposi inacidita, da lui, dalla sua giacca, dalla sua sfacciataggine.
“Oh, non dirmi che te la sei presa? Tu mi hai tirato un ceffone in pieno volto” mi ricordò “eppure io mi sono lasciato dietro questa cosa” si accese la solita sigaretta, aspirando e soffiandomi la nuova di fumo in pieno viso “Dovresti fare lo stesso” sibilò, con uno strano sorriso in volto.
“Lo schiaffo te lo sei meritato” dissi stizzita “perché sei un grandissimo ipocrita, io ti ho rivelato solo ieri sera un mio grande segreto,e tu?” chiesi retorica “Mi dici quella cosa...mi fai schifo Ville, davvero.”

Notai la sua espressione cambiare d’improvviso, come se avesse ricevuto un cazzotto allo stomaco. 
I suoi occhi si incupirono, per un secondo si fecero più scuri, come quelli di suo fratello... “Io non intendevo...”
“Oh sì, invece. Intendevi e anche molto” lo interruppi 
“Fammi parlare!” controbatté lui, sgranando gli occhi, zittendomi di colpo
“Sai cosa?” dissi “tu sei un cantante molto famoso, non dovresti farti vedere in giro con altre ragazze” continuai, alzandomi in fretta e furia dalla poltroncina “quindi continua pure il tuo sproloquio da solo, perché è così che devono restare quelli come te.”

Avevo esagerato?
Naaaah.

Girai i tacchi, lasciando metà caffè non bevuto sul tavolo, e attraversai la porta d’uscita, era stato capace anche di rovinarmi questo momento di pausa!
Ormai per strada, un paio di metri distante dal locale, sentii la mia spalla afferrata da una mano, girandomi, d’istinto, venni praticamente sgridata pubblicamente –per quanto nessuno potesse, fortunatamente, sentirci o vederci- “NESSUNO MI HA MAI LASCIATO COME UN COGLIONE!!!” le sue parole, urlatemi in faccia, mi paralizzarono “E NESSUNO MI HA MAI DATO UNO SCHIAFFO IN PUBBLICO! COME TI SEI PERMESSAAAA?”
Ero spaventata.
Ville non sembrava Ville...per quanto, diciamocelo, chi può dire chi sia davvero lui? Quello dolce? Quello antipatico? O questo iracondo?
“Cristo, calmati, ti farai venire un ictus se continui così!”  spazzai via la sua mano dalla mia spalla dopo qualche secondo, girandomi nuovamente di spalle, ignorandolo e cercando di proseguire, dove, non lo sapevo di preciso...
“ANCORA?” mi tirò la mano, facendomi scattare istantaneamente, ritrovandomi appiccicata a lui, le mie spalle nude contro il cotone scuro della sua giacca, il palmo della sua mano sinistra ancorato a quello della mia destra.
Il mio cuore perse un battito in quegli istanti...la luce cerulea, il caffè troppo forte, le sue urla nella mia testa “ Tu-mi-fai-andare-fuori-di-testa” mi disse lui, meccanicamente, puntandomi le glaciali iridi contro, lame nei miei occhi grigio iolite.
Per quanto sentissi freddo, il mio corpo si riscaldò abbastanza velocemente, tanto da percepire i pomelli delle guance come in fiamme. Alla percezione di questo distaccai gli occhi dai suoi, abbassando lo sguardo “Finalmente sei tornata ad essere una bambina” constatò lui, compiaciuto “stai arrossendo...”sussurrò poco dopo, accarezzandomi una guancia “Ora che ti sei calmata...e che mi sono calmato anche io...ti chiedo scusa per oggi.” Fece risoluto, con voce baritonale “Io ho visto in te molto di me, ciò che mi hai detto ieri, l’amore per questa persona che ti sta consumando...e tu che ti lasci consumare...” finalmente rialzai lo sguardo, incontrando il suo, finalmente rischiarato “Non volevo ferirti, anche se l’ho fatto. E’ che ieri mi hai praticamente lavato la mano mentre piangevi disperata...” ridacchiò “Ed io ti ho visto oggi...e...ho sbagliato. Tu stai solo cercando di uscirne, e su questo siamo diversi...e per un istante non ho tollerato quella cosa” fece di no con il capo “Forse non ci starai capendo molto dalle mie parole, ma io ti sento vicina, molto vicina, e ho solo pensato che il tuo comportamento fosse sbagliato, contro produttivo...perché se ami...ami. E non c’è molto da fare...per quanto l’altra persona possa ucciderti...”

Ancora una volta Ville aveva gettato via una maschera per indossarne un’altra...il bravo ragazzo, il fratello, il cantante, il seduttore...se stesso.
“Ma chi sei tu, Ville?” avrei voluto tanto domandargli in quel momento, approfittando della sua vicinanza, fisica ed emotiva, dei suoi occhi chiari, giada illuminata e fresca che gli accendeva il viso, creando uno splendido contrasto con il cielo color vaniglia...piccole nuvole giallo violacee su di noi, leggere, lontane, libere di fluttuare in eterno...
“Accetto le tue scuse”risposi. Avrei desiderato rispondere con qualcosa di più intelligente, ma la situazione tutta mi destabilizzava, come il nostro contatto fisico, ancora vivo... “ma forse è questo il tuo problema. Farsi consumare è...terribilmente bello, i litigi che vivono dentro di te...il cervello, la testa che dice una cosa, ed il cuore, lo sterno e la bocca dello stomaco in fiamme, come se ribollisse dentro” mi bagnai le labbra per riprendere fiato “Ma io ho capito, con tanto dolore, che questa tremenda malinconia poi muta solo inmelanconia...come lo spleen di Baudelaire, hai presente?”
Lui sorrise, timidamente, per il paragone che avevo fatto...tornò a seguire l’andamento delle mie labbra “lo spleen è nero, è velenoso, fa male. Fa male al tuo cuore, Ville” gli toccai, senza pensarci troppo, il cuore... “batte, sì, lo fa, ma a che prezzo? Ama chi ti ama” sussurrai poi, dopo un lungo respiro...

Il cantante rimase per qualche secondo ammutolito, contemplando il silenzio creatosi attorno a noi, fissando, come se scavasse più in profondità, le mie labbra ora serrate... posai lo sguardo sulle nostre mani, ancora intrecciate, fisse, in quella posizione da parecchi minuti... “E il tuo anello?” sollevai la testa, con tono interrogatorio “l’hai perso?” chiesi ancora, notando come mancasse il suo anello all’anulare sinistro.
La mia domanda comportò il distacco a bruciapelo delle nostre mani, Ville si fissò il dito...sempre in silenzio “No, non l’ho perso. L’ho dato a Sandra.”
“Ah, capisco.” Sorrisi pallidamente “E’ un bel gesto, sei romantico” stavolta le mie labbra si aprirono in un sorriso più ampio, più luminoso.

“Beh, non direi...” ammise imbarazzato “il vero romanticismo è molto più di un anello”
“Ma quello è l’anello dell’anulare sinistro...è una promessa d’amore”
“L’amore...” aspirò a denti serrati dell’aria “Sybil...” sorrise amaramente “la sezione si chiama Spleen et Ideal...l’amore è idealità, a noi terrestri è concesso sognarlo, quasi mai incontrarlo...”

Proprio con queste parole, il testardo, dolce, maledetto Ville, umano troppo umano, aprì il suo cuore.
Non avevo mai pensato a lui come ad uno che parla apertamente dei propri problemi, della tristezza nera che attanaglia tutti, almeno una volta nella vita. Ero anzi convinta che Ville non permettesse a nessuno di conoscere il fondo acerbo del suo essere, un po’ per paura di farsi male, un po’ per paura di fare del male; si sa, condividere un dolore è rischioso per chi parla, che si trova ad essere sotto i ferri, a cuore aperto, ma anche per chi ascolta, responsabile, foss’anche di pochi secondi, di quel muscolo.
E’ una questione di fiducia, di serenità. Ed i suoi occhi, carichi di nuvole grigie, si liberarono improvvisamente, trasferendo un po’ della sua inquietudine a me.

“Vedi Sybil” il mio nome in bocca sua era come un cucchiaino di cioccolata calda, morbida e cremosa, che si adagiava lentamente sulla lingua, procurando un immenso piacere al palato, proprio come il suono della “l” del mio nome, lo schiocco della lingua sul palato...pensieri sciocchi, da cui emersi grazie alle sue parole “Vedi, quando mi hai raccontato la tua storia sono rimasto estremamente colpito. Questo perché ho visto me...in Adrian.” Fece una breve pausa, ricomponendo i propri pensieri. “Per ragioni diverse, ovviamente.” Balbettò leggermente.
Lo guardai dapprima disorientata, non sapendo cosa di lì a poco le mie orecchie avrebbero potuto sentire “Ti va di camminare, mentre ne parliamo?” chiese
“Sì, sì Ville...” gli lanciai un’altra occhiata, turbata.
“Forse mi prenderai a parolacce adesso, data la tua esperienza...” mi guardò sfuggente “ma io posso capire perché lui non la lascia. Questo perché anche io non lascio la mia ragazza…pur non amandola.”

Per un istante restai fossilizzata, il sangue ribollì, poi sentii il battito andare via. 
Non credevo alle mie orecchie.
Percepivo il mio cuore battere all’impazzata, ed ebbi la strana convinzione che anche il suo andasse a quella velocità.
“E non posso chiederti questo motivo?” mi azzardai a dire, confusa.

“No, Sybil” espirò con forza “E’ troppo difficile da mandare giù, da capire, per chi non è all’interno...”
Alzai gli occhi al cielo, avendo ascoltato quelle stesse parole migliaia di volte “ovviamente” pensai
“Ma un motivo c’è, esistono certe cose vedi...succedono certe cose...non è facile cambiare le carte in gioco, per quanto lo si desideri.”
Proseguimmo lentamente, il cielo cambiava pian piano colore, un bagliore di luce ci investii in pieno “la torre...” sussurrai “che protegge ma soffoca...”
“Sì, è così.” Annuì, sorridendomi meccanicamente “Io non sono felice. Provo per lei qualcosa che assomiglia all’amicizia, e sono certo che nemmeno lei ami me. Ma non è colpa sua, credo. Non è facile per nessuno... non giustifico Adrian in alcun modo però. Io, a differenza sua non ho nessuno che ami davvero...” 
In quel momento le sue lame verdi mi trafissero il petto, dandomi per infiniti e brevi secondi un’emozione indescrivibile, di certo acuita dalla fresca aria che mi procurava la pelle d’oca.

Non mossi un ciglio.
Era tutti così...strano.

Proseguimmo, tacitamente d’accordo, per una ventina di minuti. Mai mi sarei aspettata tutto questo, sapevo bene dei suoi vecchi amori, delle sue storie distruttive, ma questo...
“Ville” spezzai il dolce silenzio che ci univa “E se dovessi innamorarti di qualcuno? Cosa faresti?” domandai intimamente speranzosa.
Il suo sorriso, tranquillo e sorpreso, si riflesse nelle mie iridi grigie “Le direi che finché ho potuto...tu sei piccola Syl, ma l’amore, il vero amore, lo inseguirei fino a morire, è pazzo colui che non lo fa, che lascia perdere, chi ci rinuncia, chi vede i tuoi occhi grigi completamente suoi, innamorati, leggeri più dell’aria...E’ davvero da coglioni.”

Le parole finali mi fecero ridere fortemente, sentii il sangue arrivare alle guance, si sa, Ville cambia da un secondo all’altro, da poeta a... “E’ davvero da coglioni”.
“ahahah, sai, spero tanto che tu possa trovare il tuo vero amore, e che sia bello davvero, fatto di carezze, e mai tormentato” lo guardai ridente...con quella luce blu ed il vestito nero, i miei capelli dovevano creare un forte contrasto, nonostante il trucco pensate mi sentivo un bambina...”E dammi quella giacca Hermy, muoio di freddo!” cambiai tono, ed i suoi occhi, fintamente oltraggiati, furono presto contornati da una buffa smorfia sul volto. “Hermy? Mi prendi per il culo? Io ho quasi quarant’anni eh” sollevò il sopracciglio sinistro, lo stesso sul quale ricadeva un ricciolino che il vento si divertiva a spazzare via in continuazione.
“Ahahah sì! Sei tu che fai il deficiente quando ti intervistano! Mentre dici che ti chiami Ville Hermanni Valo, e fai tutto il sexy, passa già un minuto abbondante, bellezza. E poi la gente sa che sei il cantante degli HIM, è inutile che lo ripeti, sei ossessivo!!!” ridacchiai, ricordando effettivamente questa sua strana abitudine. “E ora la giacca, su!”
Ville sbuffò, falsamente offeso “Solo perché sei una bambina infreddolita” se la sfilò, aiutandomi a mia volta ad indossarla. 
“Non ti conviene. Se io sono una bambina, sarò costretta a chiamarti NONNO, e a ridarti la giacca prima che tu possa andare in ipotermia. E non voglio” feci di no con la testa, divertita “Quindi, non farlo” gli feci l’occhiolino, maliziosa, e proseguii lasciandolo indietro di una decina di passi, muto.
Eh già, Ville Valo era stato di nuovo zittito!

“Su, muoviti Herman Hesse! O ti serve una stampella?” chiesi a gran voce, non curandomi troppo dell’ora, ormai con le lacrime agli occhi per le risate.
Il cantante sgranò gli occhi, spalancò la bocca “Brutta stronza!” gridò, anch’egli in un immenso sorriso, sfidandomi con lo sguardo; mi raggiunse in un secondo, prendendomi per le spalle e stringendomi completamente “ti lascio al freddo, sappilo” mi minacciò, “ooooh nooo! Dai!” tentai, invano, di sfuggire alla presa delle sue braccia possenti, seppur magre, che mi abbracciavano tutto il corpo.
In quei brevi momenti, convulsi e concitati, più parti dei nostri corpi vennero a contatto, le sue mani tra i miei capelli, le mie sul suo collo, il suo braccio lungo il mio cinto...perdemmo fiato, ci fermammo per un secondo. “Io sono ASMATICO” sollevò gli occhi al cielo, con la mani poggiate sulle ginocchia, la schiena leggermente arcuata, intento a recuperare fiato “Due notti con te e tenti sempre di uccidermi”, si risollevò subito, portandosi una mano sullo sterno. Rise, quella sua risata unica al mondo che mi era sempre piaciuta tanto...”Potremmo diventare amici, io e te, piccola Sybil” mi si avvicinò ancora, ad un pelo dal naso...fortuna che nessuno ci vedeva in quel momento.
Non contarci troppo, poetastro” gli feci la linguaccia, ricevendo in cambio il suo braccio attorno alle mie spalle, un gesto spontaneo ed inaspettato “Invece lo saremo. Io sono più grande di te, sono un pozzo di saggezza” ridacchiò, nemmeno lui convinto della puttanata che aveva appena sparato. 
Praticamente appiccicata a lui, sollevai lo sguardo, in cerca del suo “Sei sicuro che non ci fosse nulla nel caffè...?” chiesi scherzosamente, dirigendo il miei occhi altrove, per paura della sua reazione “Sei proprio una stronzetta” mi strinse ancora più forte al petto “Mi piaci per questo...”
“Ah, ora io ti piaccio?” domandai, stuzzicandolo, curiosa per la sua risposta
“Certo che sì” fece spallucce “Ti pare che sto fino alle...” guardò velocemente l’orologio “le due di notte con una che mi sta pure antipatica?”
“Cosaaa?” lo interruppi “Le due?” gli feci eco, con voce sfiduciata
“Sì, perché?” lasciò la sua calda presa su di me, cosa che mi dispiacque “Devi tornare a casa?”

Casa.
Sì, come no, devo tornare a casa Ville.

Le sue parole provocarono una mia risatina isterica, diametralmente opposta alla reazione che avevo avuto qualche ora prima.
“Anche se volessi, non potrei.” Sentenziai, lanciandogli un’occhiataccia “Mio padre sta con la sua non so cosa a casa mia, insomma...puoi immaginare”

Le labbra di Ville si aprirono a dismisura, il naso si arricciò e sgranò gli occhi in una smorfia di sorpresa “Dici davvero? Ahahah, hai visto Seppo!” rise inizialmente, placandosi solo dopo aver incontrato la mia espressione davvero spenta “Dai Sybil... mi dispiace che non te l’abbia ancora detto” allungò una mano verso di me, tendendola.
“Fa molto di più. Ignora completamente il fatto di poter essere scoperto, mente come un bambino...” afferrai la mano di Ville, freddissima al tatto ed enorme rispetto alla mia, piccolina.
Ville sorrise fraternamente, avvicinandosi a me, sempre stretto alla mia mano “Chiamo un taxi e vieni a casa, okay? Almeno hai un posto dove dormire”

Sorrisi, tentata dalla sua proposta, unica via di salvezza “Ti rendi conto che non ci vedevamo da anni e che questa sarebbe la nostra seconda notte insieme, di fila addirittura?” domandai, divertita, e con un pizzico di malizia “Ci stai prendendo gusto eh” ammiccai al cantante “Sei pazzo di me ma non vuoi ammetterlo!!” rinsaldai la mia presa alla sua mano, conscia in quel momento di volergli stare davvero vicino “Grazie Ville” feci poi, sorridendogli sinceramente “Basta che domattina ci sia qualcosa da mangiare!!”
“Ahahah, ti stupirò sai. Ho fatto la spesa!” puaaaah, cosa aveva detto? Ville a fare la spesa?
“Sì, ti ci vedo proprio bene a scegliere i prodotti migliori al minor prezzo, cara la mia casalinga”
“Faccio finta di non ascoltarti” sciolse la presa, facendo con una delle mani in gesto della papera, e con l’altra estrasse il telefono dalla tasca del jeans per chiamare il taxi che, in poco più di dieci minuti, ci portò alla torre.

 
Questa volta trovarsi nel suo letto, entrambi completamente ubriachi, ma solo di sonno, fu davvero strano; condividere il momento durante il quale si è più vulnerabili, stesi tra delle lenzuola, tanto stanchi da iniziare a parlare di ogni cosa...
Dopo essermi fatta la solita treccia con la quale ero abituata a dormire, mi tolsi le scarpe e salii sul letto, la stessa metà che avevo occupato la sera precedente...Ville intanto, già scalzo, chiudeva la tenda della grande finestra della sua stanza, per non far filtrare la fastidiosa luce notturna.
“Mi hai portato tu ieri, qui?” domandai, curiosa di come ci fossi finita su quel letto la sera prima.
Il cantante mi adocchiò divertito, impegnato a ricordare cosa fosse avvenuto precisamente.
“Me l’hai chiesto tu” sorrise, sedendosi di fianco a me, sul letto “sulla terrazza, biascicavi ed eri terribilmente assonnata” continuò, facendomi arrossire “E sono rimasto a vegliarti almeno due ore, mentre dormivi profondamente, insomma, nel caso ti sentissi male o vomitassi...” rise, mordendosi il labbro inferiore “non volevo avere cadaveri sul mio letto” concluse, alzando un sopracciglio, mettendosi più comodo.

Sentii una tremenda vampata di calore investirmi il petto e a salire, il collo e le guance; sapere che Ville mi aveva guardato dormire per così tanto tempo mi fece attorcigliare, inspiegabilmente, lo stomaco. Non sono mai stata una ragazza eccessivamente timida, non che non mi facesse piacere questo, anzi...ma era lui. Lui mi sfidava continuamente, mi faceva ridere, mi faceva arrabbiare, e vegliava su di me.
“Spero di non aver sbavato, nel sonno, o russato...” ammisi, leggermente preoccupata. Si sa, da ubriachi anche il controllo nel sonno viene meno “o fatto la pipììì ahahahah” risi a crepapelle, e contagiai il bel tenebroso al mio fianco che, una volta steso, si girò verso di me “Ti avrei dato un calcio sai!”
“Non sei affatto carino...” feci di no con la testa, stendendomi completamente e voltandomi su di un fianco.
Ora eravamo vicinissimi, potevamo guardarci perfettamente negli occhi...ci sorridemmo a vicenda per un paio di minuti, senza alitare una parola. Più passavo tempo con lui, più scoprivo un lato inedito del suo carattere, più occasioni avevo di guardare il suo viso, perfetto, più scoprivo una ruga, un particolare, un’espressione dei suoi occhi, o un modo di muovere le labbra tutto suo, qualcosa che gli appartenesse davvero.

Avrei desiderato immensamente abbracciarmi a lui, il suo profumo, anzi, il suo odore, avvolgeva le mie narici, ogni poro della mia pelle, attirandomi a lui come un magnete...perché mi faceva quell’effetto? Perché sarei rimasta a guardare i suoi occhi color giada, immaginandoli ancore per i miei?
“Hai risposto al messaggio di Adrian?” chiese improvvisamente lui, portandosi una mano sotto l’orecchio, poggiata al cuscino. La sua domanda mi spiazzò, mandò via tutti i pensieri di quel momento, facendo strada all’ennesima burrasca nel mio cuore.
“Non credo lo farò...” sussurrai, piano, detestando Ville in quel momento per avermi ricordato di Ad.
“Ah...” rimase colpito, forse si aspettava altro... “Posso...puoi darmi il tuo cellulare?” lo guardai stranita, ma non feci domande, estrassi velocemente il mio telefono, quasi scarico, e glielo porsi “Questo è il messaggio” gli indicai il testo, il mittente “Adrian” pulsava fastidiosamente sullo schermo, illuminato.
Ville allungò leggermente la mano, lesse il testo...passò qualche secondo...fece scorrere da destra verso sinistra il messaggio e cliccò su “elimina”.
Quel suo gesto mi provocò un tuffo nel cuore, la bocca dello stomaco si chiuse, ero confusa “Ville?!” chiesi, pronunciando il suo nome “Perché lo hai fatto?” deglutii a fatica la saliva, strappandogli di mano il telefono.

“Perché qualsiasi amico l’avrebbe fatto al posto mio.”  Si sollevò, prendendomi tra le sue braccia “Sei scappata da lui, smettila di torturarti” mi portò una mano al viso “Cancellalo, sul serio” sibilò, prima di darmi un bacio sulla fronte. Le sue labbra, premettero leggermente contro la mia pelle, caldissima, regalandomi un fremito di piacere.
La tempesta dentro di me si era magicamente calmata... “Dormiamo, okay?” mi chiese, non lasciandomi andare, stendendosi con me, continuando ad abbracciarmi per un tempo indefinito, e così chiudemmo gli occhi.

 
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Una dolce ventata d’aria mi solleticò il naso, stuzzicò le palpebre, ancora chiuse, che si aprirono pian piano, ancora pesanti e stanche. 
La tenda, ancora tirata, rabbuiava gran parte della stanza, permettendomi però di cogliere il viso di Ville accanto al mio; la testa china, la pelle rilassata...ebbi paura nello spiarlo, ma mi sentivo in diritto di farlo, eravamo ancora abbracciati l’uno all’altra, come quando ci eravamo addormentati...anche con Ari ho dormito centinaia di volte, ma mai è capitato di svegliarci in questo modo, di rimanere un’intera notte abbracciati...sorrisi intrepida, non volevo liberarmi da quella stretta, con Ville mi sentivo a mio agio.
Lui mi faceva stare bene.

Mi godetti quei brevi minuti nella pace totale, sapere che sarei tornata a casa di lì a qualche ora mi sconfortava, stare con quel cantante era un rifugio fuori dal mondo, un regalo che mi faceva e che mai avevo potuto vivere appieno in una vita fatte di ansie, di scappate, di bugie...
I miei piccoli movimenti bruschi però lo destarono poco dopo, aprì gli occhi di scatto, come lo avesse morso un serpente, mi trovò a guardarlo, appoggiata sul fianco sinistro, zitta.
“Sybil” bofonchiò, accorgendosi forse qualche minuto dopo di trovarsi realmente con me nel letto...sorrise dolcemente, gli occhi piccoli ed il respiro affannato... “ti stavo sognando, non ricordavo se stessi qui davvero o solo nella mia mente” soffermò il suo sguardo su di me, ancora imbambolata, scendendo pian piano verso le mie labbra, gonfie di prima mattina “Sono qui” sussurrai a mia volta, facendomi impercettibilmente più vicina a lui, sentendo brividi freddissimi correre lungo la schiena, “Ne sono felice” sorrise, prendendo una ciocca dei miei capelli fuggita alla treccia, ormai scomposta, e giocandoci, alternando ogni tanto lo sguardo...sui miei capelli, su di me, sulle mie labbra; ancora una volta, complice l’oscurità, sentii i suoi occhi come magnetici, attirarmi senza scampo nel suo campo...il trucco della sera prima si era rinsecchito, rendendo lo sguardo ancora più profondo, i capelli, ricci ribelli, se ne stavano lì, perfetti sul suo capo, le labbra sporgenti verso il mio viso...passò anche l’altro braccio attorno a me, toccandomi il cinto con piacevole forza.
Potevo sentire il mio cuore scoppiare, era lì lì per esplodere, come una bomba ad orologeria...mi avrebbe baciato? Perché era questo che desideravo in quell’esatto momento, posare le mie labbra sulle sue, mordergli il labbro che era solito torturarsi da solo, essere un’unica cosa con il verde persiano di quegli occhi... “Vil...” sussurrai appena, zittita di colpo, dallo squillare di un telefono, il suo.
I miei occhi, delusi, imbarazzati, fecero un ideale retrofronte, Ville, paralizzato quasi quanto me balbettò qualcosa vicino ad uno “scusa”, sciogliendo la sua presa su di me un istante dopo, rispondendo al telefono... “Ehi Sandra...” sentii subito, una strana morsa di stupida ed infantile gelosia mi attanagliò, così corsi verso la finestra, levando la tenda e facendo spazio alla luce...vidi Ville guardarmi con la coda dell’occhio e poi scendere verso il salotto.

Ci ero rimasta male.
Ma forse era meglio così, io stavo come stavo e lui era un uomo impegnato, molto più grande di me e che si era comportato solamente in modo carino con una ragazza che aveva visto piangere, la sera prima.

Tornai al letto, indossando in fretta e furia le mie scarpe, prendendo tutte le mie cose e precipitandomi giù senza nemmeno essermi lavata la faccia dal sonno; scesi rapidamente le scale a chiocciola, slegando la treccia ed arrivando nel salone, più illuminato che mai, trovando Ville di spalle e sentendolo salutare la sua ragazza...inutile dire che la cosa mi fece, ancora una volta, un certo effetto, soprattutto dopo quello che mi aveva raccontato la sera prima, ed il bacio...mancato che ci saremmo, probabilmente dati.
Ma dovevo lavare via questi pensieri dalla mia testa.
E poi ci eravamo detti di diventare amici, SOLO AMICI.

“Sybil...” ripeté, per la seconda volta, quella mattina “Vai già via?” mi chiese, poggiando il telefono sul pianoforte, visibilmente deluso.
“Sì, sì Ville...” risposi vagamente, farfugliando parole giustapposte “E’ tardi, devo andare...Ari mi starà cercando, mio padre forse...insomma, devo andare”
“Ari?”
“Sì, l’amico con il quale sono andata ieri al Tavastia, mi crederà morta ormai” feci spallucce, sorridendo appena
“Capisco...” abbassò lo sguardo “
“Scusa per il disturbo di questa notte, grazie di tutto...” abbozzai, immusonita
“Ah aspetta...” fece, prendendo il telefono “Mi dai il tuo numero?”

“Sì, così ti chiamo anche io come Sandra” pensai, infastidita
“Certo” sorrisi, dettandogli il mio numero e segnando il suo a mia volta, ripetendomi che dovevo farmi passare quell’assurda, e falsa, gelosia, “Hai già un problema, Syl” mi ricordai più volte, salutando il cantante senza baci o abbracci, augurandogli solamente in bocca al lupo per il giorno dopo, al Sonisphere.
 
 
*·~-.¸¸,.-~·*
Ancora una volta verso casa,  mi resi conto di quanto fossero, di fatto, distanti le nostre abitazioni, almeno questo poteva funzionare da deterrente per prossimi incontri...
Durante tutto il tragitto non riuscii a pensare a niente, ero sempre più convinta che troppe emozioni rendessero impassibili, sì, perché è così che mi sentivo in quel momento...e se dovevo davvero recuperare, cosa che sosteneva Ari, avrei dovuto volare basso, buttarmi in cose semplici, perché già mi ero complicata, e di troppo, la vita.

Rientrata a casa, trovai un misero bigliettino da parte di mio padre, attaccato da un magnete al frigo, che neppure lessi; sicuramente recitava qualcosa del tipo “Vado in ufficio e all’aeroporto da lì, i soldi li trovi in camera tua, ci vediamo tra due giorni. Papà” come ero stata abituata sin da piccola.
Abbandonai la borsa sul divano, aprendo la portella del frigo, affamata ed assetata come ero dalla sera prima... “mmmh, che abbiamo qui?” scorsi con gli occhi i vari alimenti presenti all’interno, non trovandoci niente che potesse sfamarmi del tutto, così mi buttai sul the freddo alla pesca, scolandomene quasi un litro, tutto d’un fiato...almeno non sarei svenuta.

Dopo una lunga e fredda doccia, con solo l’asciugamano a coprirmi, mi stesi sul letto, notando di sfuggita i soliti soldi lasciati da mio padre per le partenze...chiamai così Ari, nella speranza che mi rispondesse, senza urlarmi addosso per essere sparita nel nulla.
“Syl! Ma dove sei finita?? Perché te ne sei andata ieri sera??” mi urlò letteralmente nell’orecchio, tanto che fui costretta ad allontanarlo dal timpano, una cosa era certa, Ari era ultraprotettivo con me!
“Ohhh calmo! Non puoi sapere cosa mi è capitato mentre te ne stavi a fare il James Dean, ieri, al Tavastia...” presi fiato
“Adrian??” domandò lui, con tono leggermente preoccupato
“No no” lo rassicurai immediatamente... “Peggio, moooolto peggio.”
“Davvero?” chiese, incuriosito “Ma sei a casa ora?”
“Sì, sono appena tornata...”
“Arrivo tra dieci minuti, aspettami!” riagganciò, così corsi a cambiarmi per rendermi più presentabile; lavai via il trucco residuo ed indossai una semplice tutina a mo’ di vestitino per la casa, color lilla; Il tempo di acconciarmi i capelli in una coda improvvisata, che andai ad aprire la porta ad uno zombie più che ad una persona “Ari?” alzai un sopracciglio, disorientata alla vista delle sue occhiaie profonde “ore piccole stanotte, vero?” ammiccai, facendolo accomodare.
“Oh, non ne parliamo, mai più vodka e birra insieme, sto per morire...” si portò una mano allo stomaco, dolorante 
“Vuoi un bicchiere d’acqua?”
“Eh, magari...”
“Okay, aspettami in camera, arrivo subito” 
Corsi quindi a riempire un bicchierone di acqua tiepida per il mio amico che non vedevo in quello stato da…anni!
“Tieni, bellezza” gli porsi il bicchiere, facendo attenzione a che non sgocciolasse “Parli prima tu o prima io?” domandai poi, mettendomi sul letto ed incrociando le gambe, portandomele al petto...
“Vai tu, io non sono sicuro di riuscire ad articolare bene le parole...” sboccò, con sguardo livido, stendendo la schiena su uno dei miei cuscini “Hai incontrato qualcuno?”.
La sua domanda mi fece ridere e non poco... “Quando te ne sei andato ha rimpiazzato il tuo posto un bellissimo, bellissimo ragazzo...occhi verdi, capelli più o meno lunghi, decisamente magro, insomma...bellissimo” ripetei, convinta e con sguardo vagamente sognante “E sai chi è?...Jesse VALO. Il fratellino di Ville” alzai gli occhi al cielo, pregustandomi la sua reazione “Scherzi? Davvero?”
“Ahahah, ti giuro...sapevo avesse un fratello, ma insomma...non quel fratello, che cazzo!”
“Te lo sei scopato?” chiese a bruciapelo
“Ari...ma che cazzo dici! L’ho appena conosciuto...e insomma, stavamo parlando e secondo che ti poteva arrivare?” domandai, con tono incalzante
“Il fratellone?”
“Ahahah esatto! Insomma, ballo con lui, con Jesse...e Ville mi fa una sfuriata e gli tiro un ceffone” continuai a dire, parlandogli di tutta la serata, passando per lo spiacevole incontro-non incontro con mio padre e l’aver incontrato, ancora, Ville.

“Quindi...dici che lui voleva baciarti?”
“Beh...” sbuffai, insicura. Forse avevo interpretato male io ma... “Mi ha abbracciato, per tutta la notte” sottolineai “E una volta svegli mi ha passato un braccio attorno, stringendomi di più...dai Ari, non ho due anni! Non voglio tirare conclusioni forzate, ma ci sono poche interpretazioni a ciò che è successo...anzi, a ciò che non è successo” mi corressi, prontamente.
“Voi due vi piacete un sacco, è innegabile.” Mi disse il mio amico, accendendosi ora una sigaretta “E per la sfuriata che ti ha fatto al locale, okay, sarà stato sincero dopo, quando si è spiegato e ti ha chiesto scusa...ma sono convinto che l’abbia mosso la tarantola” sorrise, malizioso “Era geloso, Syl...fidati dello zio” ghignò “E comunque meglio così, concentrati su Jesse” mi fece l’occhiolino “E’ giovane, è SINGLE...e hai ripetuto cento volte quanto sia bello” concluse, logicamente.

“Sì, Ari...lui mi piace, ma come amico. Non mi vedo con lui, in alcun modo, è stato davvero...fraterno con me. Mi sono fatta guidare dall’istinto cieco, ed ho toppato, e poi non mi interessa Ville Valo. E non scordiamoci mai che sono la figlia del suo manager...quindi, niente stronzate” mi dissi, sicura delle mie parole e della mia decisione.
Era stato un piccolo momento di debolezza, forse solo mio, forse di entrambi.
Ma non ci sarebbe stato altro, in alcun modo.

“Ah, comunque...quanto a mio padre” continuai “Se lo vedo lo uccido, te lo giuro” ringhiai, rabbiosa, alzandomi in fretta dal letto e girando per la stanza “Voglio divertirmi, ho bisogno di svago Ari! Mio padre tornerà il cinque mattina, dopo il concerto...quindi domani...” non ebbi nemmeno bisogno di concludere la frase
“Domani qui ci sarà una festa!” completò lui, sorridendo a trecentosessanta gradi
“Assolutamente!” risi, buttandomi sul letto, in braccio al mio amico “Ho un centinaio di euro, più tardi facciamo la spesa, avvisa Jonne, deve assolutamente suonare qui...la facciamo di sopra eh?” indicai il piano di sopra, ovvero il piano dell’immensa terrazza costruita appositamente da mio padre per eventi di questo tipo “Inizia ad invitare tutti, tutti quelli che conosci e anche di più” sorrisi, felice per l’idea avuta “Ho bisogno di staccare la spina...”
“Okay piccola” prese in mano il telefono, intento ad inviare già i primi messaggi “Ti prometto che sarà una bomba questa festa!”

 
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Avevamo preso di tutto, dal solito cibo spazzatura delle grandi feste, a fiumi di alcol di ogni tipo, birra, vodka, tequila, rum, scotch, bourbon, già conservati nei frigoriferi presenti sulla grande terrazza, in modo da avere tutto pronto e fresco; Il dj, un nostro vecchio amico, Jonne, aveva accettato di suonare, gratis ovviamente, e tra noi tre, come per una reazione a catena, la notizia della festa si era sparsa in città come un virus, tanto da ritrovarmi mezza Helsinki in casa!
Ari volle interpretare questa festa come un “Bentornata Sybil”, ed era così che mi piacque vederla; nella mia città con tutto ciò che mi apparteneva, finalmente.
Inutile dire che la festa decollò splendidamente, con un’alta percentuale di ragazzi brilli, un’altra invece di completamente ubriachi, come la sottoscritta, paradossalmente, o forse non troppo, in armonia...nessun disguido, nessuna lite, tutti assorbiti dalla dubstep di Jussi...mi ritrovai, a metà della festa, in un semplice pantaloncino di jeans e t-shirt bianca, a ballare per un’ora sotto cassa con il mio migliore amico, anch’egli perso nei fumi dell’alcol...
“Syllll, dovreeesti andaare giuuu” mi disse “E’ fignita a birra” sbufflò, come un bambino, così subito mi recai al piano di sotto, sorprendentemente ancora lucida, per prendere qualche altra bottiglia.
Occupata a scendere le scale senza intoppare il viavai di gente, incrociai, andare nel mio verso opposto, il ragazzo dagli occhi verde smeraldo...Jesse.
Doveva essere appena arrivato se stava salendo “Sybil!” sorrise smagliante, dicendo agli amici di proseguire senza di lui, seguendo me al piano di sotto.
“Ehi Jesse!” gli sorrisi, camminando con lui verso il sottoscala, dove avevo sistemato gli altri alcolici
“Anche tu qui?” mi domandò. Che carino...quella sera non indossava la coppola, ma solo una maglietta blu scuro che gli illuminava, alla luce del sole, gli occhioni verdi.
Ridacchiai per la sua domanda “Beh...” corrugai le labbra “Questa è casa mia” risposi, maliziosa “Non leggi mai i campanelli tu?” gli porsi una bottiglia “Tieni, scolatela prima che se la beva qualcun altro” 
Accettò di buon grado il mio invito, prendendomi per mano e conducendomi lui, stavolta, verso la terrazza sulla quale ballammo ancora, proprio come la sera precedente, solo più ubriachi e più vivaci.
La bottiglia che gli avevo passato era Tequila purissima, una botta per il fegato, ma anche un potente unificatore di gente...insomma, l’alcol funziona così secondo me.
Più ci passavamo la bottiglia l’un l’altra, sotto la musica assordante, in mezzo a tutta quella gente esaltata, più perdevamo il controllo di noi stessi, ma in maniera diversa dal solito.
Certo, ero ubriaca, ma sapevo perfettamente ciò che stavo facendo e, cosa ancora più importante, sapevo di volerlo fare.
Così, terminata la tequila fino all’ultimo goccio, la poggiai sul banco del dj, portandomi Jesse per mano, scendendo ancora le scale e conducendolo in casa.
Anche da lì sotto risuonava la musica, ma sicuramente più ovattata ora che ci trovavamo nel silenzio della mia camera da letto.
“Vieni qui” fece lui, tirandomi verso il suo petto, chiudendo la porta “Ti voglio, mi piaci troppo, sei troppo bella...” mi guardò languidamente, avidamente; ricambiai il suo sguardo, e lui mi chiuse la bocca, baciandomi con passione, mordendomi appena il labbro, intrecciando la mia lingua con la sua.
Mi mise spalle al muro, togliendomi la maglia tra un bacio e l’altro, scendendo sempre più giù e facendomi rabbrividire di piacere...adoravo quei baci, gentili e pieni di passione… “Jesse, fai fare a me” sussurrai, passandogli la lingua sulle labbra, umide e schiuse.
Gli sfilai la maglietta, ansimando per il piacere che ebbi nell’ammirare quel fisico perfetto... “Ah, no, prima tu, bella” mi fece girare, restando appiccicato a me, alle mie spalle, afferrandomi con una mano e abbassandomi i pantaloncini con l’altra...mi riempì di baci sul collo, sulla schiena...lo volevo, volevo fare sesso con lui più di ogni cosa.
Mi liberai dalla sua presa, stretta, e lo condussi sul mio materasso, che a breve sarebbe diventato teatro di una notte di passione... lo feci stendere supino, inginocchiandomi su di lui, sfilandogli prima i jeans e poi i boxer...con sguardo assassino, mi curai poco dei suoi fremiti, giocando col suo membro, facendo su e giù con la mano e passandoci leggermente la lingua sopra. Sentii una mano sui miei capelli spingermi verso il basso, un muto invito a continuare, cosa che feci e che mi eccitò fino all’inverosimile...
“Spogliati tutta, Sybil...” mi disse Jesse, leggermente rosso in viso per quello che stava accadendo, i capelli scompigliati...e così feci.
Ci ritrovammo nudi, sul mio letto, lucidamente ubriachi e con una voglia pazzesca di unirci per tutta la notte.


Con Jesse c’era stata subito una strana alchimia, non come quella con con Ville...diversa. Non più superficiale, ma essenzialmente di natura diversa, più istintiva, erotica...quegli occhi scuri in quel momento erano famelici di me, della mia carne.
Mi fece scivolare con la schiena sul materasso, baciando ogni angolo della mia pelle...le labbra, il collo...il seno, mordendo leggermente i capezzoli e mandandomi in estasi...fino a poggiarsi totalmente su di me; mi prese le mani, le strinse e in meno di un secondo, con una spinta sicura, fu dentro di me.
Non so esprimere appieno quel momento, ma è stato meraviglioso. Ero certa di volerlo, che lui volesse me...e quegli atti di gentilezza che mi aveva mostrato poco prima, andavano ben oltre il sesso.

Le sue spinte, esperte e capaci, furono dapprima lente e gentili, trasformandosi poi e sempre di più in veloci e profonde...vedevo le sue iridi brillare di piacere nel vedermi ansimare, nel vedermi gemere per causa sua...mi baciava ripetutamente l’orecchio, solleticando ogni nervo del mio corpo, sensazioni di piacere estreme, acuite forse dall’alcol, ma non solo...sapeva cosa desiderassi e sapeva darmelo.
Percepivo il fuoco in ogni suo gesto, bacio o sguardo che mi rivolgesse... avrei desiderato che non finisse mai, mentre ero accavallata su di lui, danzando a ritmo sul suo bacino, fradicia dei suoi baci, dei miei umori, dei nostri sudori...era tutto così antico e così nuovo, fu qualcosa di magico.
 
L’indomani mattina aprii gli occhi di scatto, confusa da un lato, certa di quello che era successo dall’altro.
Mi voltai sull’altro fianco, liberandomi dal tocco setoso delle lenzuola color glicine, constatando la presenza di Jesse sul mio letto.

“Non è né scappato, né mi ha abbracciato” sorrisi pensierosa, con un immenso cerchio alla testa dovuto alla sbornia, ma compiaciuta di ciò che si presentava alla mia vista...Jesse, completamente nudo, appena coperto dalle mie lenzuola.
Ricordai più momenti della notte passata insieme, piccoli flash che illuminavano la mia mente... “Ehi, Jesse...” gli soffiai in un orecchio, giocherellando col suo dilatatore, facendogli il solletico.
Mugugnò qualcosa dal canto suo, stiracchiandosi e voltandosi verso di me, aprendo gli occhi... “Buongiorno...” sussurrò, sorridendo come se avesse visto un angelo; cercò subito la mia mano, trovandola immediatamente...si porse verso di me, sistemando meglio il lenzuolo e baciandomi le nocche... “Sei bellissima anche di mattina” ridacchiò, passandomi una mano tra i capelli.
Risi per l’imbarazzo nel sentire quelle parole, ricambiando il bacio con dolcezza “Sono davvero contenta che tu sia capitato qui, stasera...”ammiccai maliziosa.
Per quanto quel momento fosse solo nostro, Ville si intrufolò comunque. Nella mia testa. Non potei fare a meno di notare quanto, seppur simili, i due fratelli fossero diversi. Diversi nei modi, nello sguardo, nel volto...in tutto.
“Capiterò più spesso” ridacchio, stendendosi con me sul materasso, facendomi spazio tra le sue braccia.
“Sai Sybil...tu mi piaci un sacco, non ti conosco affatto, è vero...ma mi piaci.” Mi strappò un bacio “E se tra noi dovesse riaccadere ciò che è successo stanotte, ne sarò felice...” arrossi appena “ma da sobri” piegò un sopracciglio, baciandomi ancora, scendendo verso l’incavo del corpo.
Sorrisi nel sentire quelle parole, nel vedere quelle labbra gonfie per i baci... “Sì, hai ragione...” annuii leggermente col capo.
Ma quanto sapeva essere dolce quel ragazzo?

Ci rivestimmo con calma, conversando piacevolmente... “I miei amici saranno infuriati con me” mi disse, riferendosi ai compagni della band che si era portato dietro “Ma non importa...meglio così” aggiunse, stampandomi un bacio sulle labbra.
Lo accompagnai alla porta, piena di qualcosa che non era felicità di certo, ma leggerezza. 

 

“Non ti chiedo numeri o altro...” mi disse “Sono sicuro che ci troveremo molto presto” mi fece un occhiolino, accompagnato da un ridicolissimo baciamano “A presto Sybil” sorrise

“A presto Jesse...” salutai di rimando, aspettando che uscisse dal cancello, prima di chiudere la porta.

Inaspettato.
Incredibile.
E non mi sentivo così vuota e così piena da chissà quanto.

Tornai in camera per prendere il telefono, recandomi poi in cucina, in cui, trovai, praticamente buttato sul divano, il mio migliore amico.
“ARII” urlai, svegliandolo con uno spintone “Che ci fai qui?” scoppiai a ridere, vedendolo muoversi in modo convulso
“Oh cristo” sbuffò, tirandomi un cuscino appresso “Sono entrato in camera tua, stanotte, ma stavi col bel ragazzo, quindi sono venuto qui” disse, tra uno sbadiglio e l’altro… “Piuttosto” si alzò di scatto “Come è stato?” domandò, ghignando.
“Ahahah, è stato...perfetto!” tracannai dalla bottiglia dell’acqua, il massimo per reidratarsi dopo una sbronza “Sono contenta” ammisi, recuperando il telefono e sedendomi accanto a lui...
“Meglio così...” si stese nuovamente, le braccia dietro la testa.
Scorsi velocemente i messaggi ricevuti, quando ne trovai uno che mi bloccò all’istante “Cazzo, leggi qui” gli feci vedere lo schermo “Hai seguito il concerto in streaming? Abbiamo spaccato! Ville.”  Ripeté Ari, strabuzzando gli occhi “woooow” se li stropicciò.

 “Quindi sei amica del grande e ti scopi il piccolo?” rise amaramente, facendo di no con la testa.

 “Lo sai, vero, che ti stai ficcando in un enorme casino?”



Angolo della scrittrice delirante :3

Chiedo umilmente perdono per il mese di "pausa", ma una cosa tira l'altra e non ho avuto tantissimo tempo per stare al pc, il che ha comportato che scrivessi un po' sulla carta, un po' sull'iphone ed un po' su dei post it svolazzanti xD

Ma eccoci qui :3

Parto dalla questione più EVIDENTE, cioè questa nuova forse sicuro chissà COPPIA...Sybil e Jesse.
Avevo avverito qualcuno che forse mi avrebbe linciato perché avrei "osato", ma invece ho visto che la cosa ha avuto ottime reazioni :D
Sybil ha fatto questo non per ripicca/rabbia/lieve frustrazione nei confronti di Ville, ma solo perché, seguendo il consiglio di Ari, vuole prendere le cose alla leggera, nel segno del "se puoi, perché no?"
E quindi ha deciso di andarci a letto...ora, niente spoiler eh, ma non sarà una roba da poco tipo sesso e buonanotte, il nostro Jesse merita anche lui eh ;)

Per quanto riguarda Ville (vi dico solo che nel prossimo capitolo ci sarà lei, la splendida xD), ho offerto un ritratto di lui che credo possa essere plausibile...un ragazzo alla mano, per quanto ombroso, che rivela pian piano piccoli -ed allo stesso enormi- lati della sua personalità...come la confessione che fa a Sybil sulla sua relazione su Sandra...gettando luce, e per il momento non farà di più, su un preciso MOTIVO che lo "costringe" a mantenere questa relazione, praticamente di facciata.
Tra Sybil e Ville il rapporto non è ancora ben definito, viaggiano su onde così uguali che sembrano irriducibilmente distanti, a volte.

Per quanto riguarda Seppo, quello stronzone xD, il prossimo capitolo parlerà molto di lui.... Piccolo Spoiler: Ci sarà la sua festa di compleanno, quindi ne vedremo delle belle su più fronti XD

Ringrazio chi segue, commenta e legge la mia storia <3
Sono davvero tanto contenta :3
Ogni recensione/parere/critica è sempre ben accetto, graaazie :3

Alla prossima (spero prestissimo)
Lilith_s



 
   
 
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