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Autore: LeGuignol    31/07/2014    1 recensioni
La stanza buia e spoglia, arredata unicamente dal pc e dalle periferiche collegate, è l’ideale per concentrarsi sul caso al quale sta lavorando. L non chiede di meglio che quell’arredamento minimalista studiato appositamente per evitare qualunque distrazione, in modo da focalizzare l’attenzione esclusivamente sull’obiettivo.
Osserva le immagini delle vittime sul monitor. Gli schizzi di sangue, il bianco dei tendini esposti e gli organi interni visibili dagli squarci slabbrati non lo urtano minimamente; non è quello il punto fondamentale. La sua mente razionale lo spinge a notare solo gli aspetti essenziali per ricavare un quadro completo del modus operandi dell’assassino.
Lavorare sui piccoli particolari è la chiave per giungere alla soluzione, e lui ci riuscirà, come ogni volta. Anche questa sfida sarà vinta.
(Per chiunque fosse interessato, questa storia è interrotta; ma riprenderà presto sull'account di MissChiara, che si è gentilmente offerta di proseguirla. Grazie a tutti per avermi seguito fin qui ^^)
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L, Linda, Nuovo personaggio, Watari
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'L'alfabeto della Wammy's House'
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CAPITOLO 4 – LA STANZA OLTRE LO SPECCHIO

 
«Signorina, cosa le succede? Non si sente bene?», esclamò David Warwick correndo verso Rossella non appena la vide a terra, chinandosi preoccupato accanto a lei. «Venga, si appoggi a me».
La aiutò ad alzarsi e l’accompagnò con precauzione fino al divano, dove la fece distendere perché si riprendesse. Rossella lanciò un’occhiata ad L e Kathy e vide che i due non erano più l’uno accanto all’altra. Quasi si persuase che fosse stato solo un sogno.
Che sciocchezza, non è evitando di affrontare la realtà che migliorerò le cose, pensò.
Kathy ricordava parecchio Misa Amane, ed L era un suo fan. A ben pensarci, non c’era stato nulla di strano in ciò che aveva fatto. Lei stessa, se Hugh Jackman avesse tentato di abbracciarla – magari nei panni di Wolverine – non si sarebbe certo tirata indietro. Rossella concluse che quella di L era stata una reazione del tutto naturale, punto e basta. Ma qualcosa di innaturale comunque c’era stato, ovvero la lentezza con cui era giunta a questa conclusione e la reazione esagerata che aveva avuto alla vista dei due vicini. Tanto per cominciare, perché era addirittura scivolata a terra? Lo shock era stato così grande da cancellare in un sol colpo l’abitudine a celare le emozioni? In poche ore era passata con una velocità sorprendente da una perfetta padronanza del proprio corpo alla totale perdita di controllo. Si chiese se la causa di una tale uscita dai binari fosse veramente solo la presenza di L.
 
Non possono più vedermi, ma in qualche modo mi percepiscono e mi controllano.
 
Così aveva scritto lord Cavendish nella lettera per Watari. Sul momento Rossella l’aveva giudicata un’assurdità, ma forse avrebbe fatto meglio a riconsiderare la questione. In effetti, si sentiva confusa. Provò a verificare se mente e ricordi rispondevano a dovere, ma poi vi rinunciò. L’auto-psicanalisi era una causa persa, era risaputo. E, inoltre, il comportamento di David Warwick contribuiva non poco ad aumentarle la confusione. A quanto pareva il ragazzo, dotato di spirito cavalleresco allo stato puro ed eccessivamente premuroso verso le donne per natura, aveva scambiato la sua caduta – nient’altro che una conseguenza a uno stimolo emotivo – per qualcosa di molto più grave di ciò che era in realtà.
«Irene», ordinò infatti alla governante, accorsa nel frattempo, «portami dell’ammoniaca e qualcosa di fresco da farle bere, presto!»
«Ma no, sto bene, non è il caso!», cercò di spiegare la ragazza alzandosi a sedere.
«Stia giù, per carità!», gridò lui forzandola a sdraiarsi di nuovo, «è tutta colpa mia! Si è spaventata per la mia irruzione. Mi dispiace, mi dispiace!», esclamò con un tono identico a sua sorella quando si era accorta di aver fatto colare l’acqua sul pavimento dell’agenzia investigativa.
Rossella non poté fare a meno di obbedire, travolta dall’impeto del ragazzo. La situazione aveva preso una piega surreale: quel pomeriggio, in soffitta, lei ed L avevano convenuto che lo stalker di Kathy non poteva che essere il fratello di quest’ultima, e si erano preparati per ogni evenienza allertando anche Watari e Linda. Ora David Warwick era stato catturato, quindi, in teoria, a Rossella non rimaneva che inchiodarlo in un interrogatorio e costringerlo a confessare le sue colpe; invece la ragazza si ritrovò a fissare i suoi occhi azzurri pieni di premura e preoccupazione e a pensare a quanto fossero piacevoli le sue mani che le stavano praticando un massaggio alle tempie, nel tentativo di scacciare un incipiente svenimento che vedeva solo lui, mentre infarciva il discorso di scuse e “mi dispiace”.
All’ennesimo “mi dispiace”, però, David parve incespicare sulla frase e, tra lo stupore dei presenti, cominciò a balbettare all’infinito la sillaba iniziale come un disco rotto. Quando finalmente riuscì ad attaccare la seconda parola, si intoppò nuovamente spruzzando saliva ad ogni “d” e “p” – inconveniente di cui però questa volta evitò di scusarsi, perfino quando Rossella si asciugò discretamente il viso con la manica.
Kathy, l’unica fra i presenti che conosceva il difetto del fratello, invece scoppiò a ridere.
«Finalmente ce l’hai fatta ad arrivare, Dave Tartaglia! Come va?», lo salutò usando il soprannome che David odiava tanto.
«Zit… t… ta, d… d… d…», farfugliò lui voltandosi inviperito verso la sorella. La faccia gli si contorse nello sforzo di buttar fuori la parola che non voleva saperne di formarsi correttamente nella sua bocca.
«Divina creatura?», lo stuzzicò lei.
«… d… deficiente!», terminò finalmente lui lanciandole uno sguardo di fuoco.
«Non ti innervosire, lo sai che altrimenti la tua balbuzie peggiora!», insistette Kathy continuando a canzonarlo, dando modo a Rossella di scoprire un altro tassello del suo carattere: quando si rivolgeva al fratello, forse grazie alla confidenza che c’era fra di loro, Kathy non era né timida né impacciata. Al contrario, David nei momenti di tensione sembrava molto più insicuro di lei. Ma la sua analisi terminò lì, perché L senza perdere altro tempo si avvicinò al ragazzo e gli imprigionò i polsi con un paio di manette.
«Rossella, che stai facendo, ti distrai invece di rendere inoffensivo il tuo indiziato?», disse rivolgendosi alla detective.
«I… i… in… diz… zzz… ziato? Che significa?», esclamò David sgranando gli occhi e guardando meravigliato le manette.
Rossella si riscosse, liberandosi dalle cure del ragazzo e alzandosi dal divano.
«Significa che sei in stato di fermo con l’accusa di minacce, violazione di domicilio e atti di vandalismo verso Kathy Warwick, la mia cliente».
«Cosa?! David, sei stato davvero tu a tagliare le rose e a fare tutto il resto? Ma… perché?», esclamò la cliente in questione, sbiancando. La sua voce, all’inizio una nota acuta, scemò di tono fino a ridursi ad un mormorio, e gli occhi le si velarono di lacrime all’idea che proprio suo fratello avesse potuto farle qualcosa di male.
David vedendola in quello stato cambiò colore e aprì la bocca cercando di articolare una frase di senso compiuto per discolparsi, ma la sua agitazione aveva raggiunto un livello tale il suo difetto peggiorò ulteriormente e le parole gli si ingarbugliarono in un suono incomprensibile. Nel frattempo L raccolse la bustina trasparente contenente la polvere bianca che il ragazzo aveva cercato di versare nella tazza della sorella.
«E di questa cosa ci racconti?», chiese pizzicandola con indice e pollice e tenendola sollevata davanti a sé.
David chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Detestava quel difetto che gli impediva di esprimersi liberamente quando era nervoso. Detestava come lo guardava la gente in quei momenti, come se lo considerassero uno scemo. Gli ci volle quasi un minuto per ristabilire la calma interiore e poter parlare di nuovo normalmente.
«È una p… precauz… zione», rispose sillabando piano.
Si alzò in piedi e si avvicinò alla sorella, che lo guardò diffidente. Però un attimo dopo gli si buttò addosso stringendolo forte, premendo il viso contro il suo petto per nascondere due lacrimoni che le scendevano lenti lungo le guance. Nonostante quello che aveva appena scoperto, la fiducia di Kathy nel fratello era tale che, tutto sommato, era disposta perfino a dubitare delle parole di Rossella. David socchiuse gli occhi e sospirò.
«Ti chiedo scusa. Ti prego di perdonarmi», le sussurrò. Chinò il capo e si appoggiò a lei, visto che le manette gli impedivano di ricambiare l’abbraccio.
«Allora è vero?», singhiozzò piano la ragazza.
«Sì, ma a quanto pare non è servito a nulla, visto che tu sei comunque qui».
«E quindi, siccome non sei riuscito ad impedirle di rispettare la clausola del testamento, hai pensato di toglierla di mezzo con questa?», si intromise Linda acchiappando la bustina dalla mano di L.
«Ma per chi mi ha preso?», proruppe David, questa volta con voce perfettamente ferma. Il tono, sorprendentemente autoritario, rivelò le sue origini nobili. «È una precauzione, ve l’ho detto. È solo un sonnifero, con l’aggiunta di una sostanza naturale, del tutto innocua ma altamente soporifera, che ne moltiplica l’effetto. Avrebbe fatto dormire mia sorella in un modo così profondo che avrei potuto portarla via da qui senza che opponesse resistenza. In quanto al testamento, sarebbe bastato che adempissi io alla clausola. Una volta acquisito il diritto di eredità, avrei diviso il patrimonio con Kathy come aveva stabilito mio nonno, lo giuro sul mio onore».
«Ma… a che scopo fare tutto ciò?», chiese Linda.
«Per mettere Kathy al sicuro, vero?», intervenne L. «David, se volevi tenere tua sorella lontano dal maniero significa che sei a conoscenza di ciò che sta succedendo qui e hai dei sospetti sulla morte di sir Arthur Cavendish.»
Il ragazzo si morse il labbro inferiore.
«No, non è così. Non del tutto, almeno. Posso solo fare delle supposizioni. Vedete, mio nonno aveva fondato una specie di circolo privato insieme ad alcuni conoscenti, a scopo di studio».
«Sì, ne siamo al corrente. Un circolo che riuniva alcune importanti personalità nel campo delle scienze occulte. Arthur me ne parlò in più di un’occasione», intervenne Watari.
Era una bugia, visto che lord Cavendish aveva tenuto nascosto il vero scopo del circolo anche agli amici più intimi, ma Watari pensò che se avesse fatto credere a David di essere in confidenza con suo nonno ad un livello tale da condividere il segreto del suo hobby preferito, probabilmente avrebbero guadagnato più facilmente la fiducia del nipote.
«Sul serio? Allora Lei doveva essere davvero un amico speciale per il nonno. Perfino io sono stato messo al corrente dell’esistenza del circolo solo dopo molto tempo dalla sua fondazione, ed ho faticato non poco ad ottenere il permesso di partecipare alle riunioni, sebbene la mia passione per l’alchimia non fosse una novità per mio nonno», disse infatti l’altro.
Rossella notò la facilità con cui David aveva abboccato all’amo, e concluse che il ragazzo condivideva con la sorella la stessa ingenua fiducia verso il prossimo.
«In cosa consisteva di preciso l’attività di questo circolo?», chiese L.
«Niente di speciale, in realtà. Non dovete farvi l’idea di un covo di stregoni o di praticanti di messe nere. Il circolo era tenuto segreto più che altro per un vezzo dei partecipanti, che in questo modo si sentivano un po’ come i membri di una confraternita. Prendetela come una stravaganza per benestanti eccentrici, ecco. Nella biblioteca del maniero c’è un’intera sezione dedicata all’occultismo, quindi i membri del circolo trovavano comodo riunirsi qui e passare il tempo a leggere i volumi e scambiarsi opinioni mentre bevevano tè. L’unica eccezione ero io, che avevo allestito un laboratorio per esercitarmi. Voglio dire, io ero l’unico a non limitarmi alla teoria».
«Cioè sperimentavi? È davvero possibile ottenere risultati concreti? Ma l’alchimia non è scienza, è una disciplina prettamente filosofica.»
David sorrise, e sul suo volto si dipinse l’espressione di chi si appresta ad affrontare un discorso ripetuto più e più volte di fronte ad un pubblico di scettici.
«Vede, per capire veramente l’alchimia bisogna innanzitutto liberarsi dai pregiudizi che ci sono stati inculcati da una visione esageratamente superstiziosa di essa. L'alchimia è prima di tutto una disciplina fisica e chimica. Intendo dire che si basa su concetti puramente scientifici. Se la sentirebbe forse di dire che Amedeo Avogadro, Marie Curie o Alessandro Volta sono dei ciarlatani? Tuttavia, rispetto alla fisica classica l’alchimia implica un'esperienza di crescita o, meglio, un processo di liberazione spirituale dell'operatore. Da questo punto di vista, si avvicina all’esoterismo. Ecco il motivo della ritrosia a riconoscerla come scienza».
«Devo ammettere che è un concetto interessante», gli concesse L sfregandosi la pianta del piede destro contro il polpaccio. «Ma perché non ne parliamo da seduti? Non vorrei che il tè si raffreddasse. Sarebbe un peccato».
«Ottima idea», concordò David. «A proposito, potrebbe togliermi queste?», chiese sollevando i polsi ammanettati.
«Non ne vedo il motivo. Hai appena confessato di essere lo stalker di Kathy, e sei ancora in stato di fermo», rispose placidamente L accomodandosi sul divano e rimestando con il cucchiaino nella sua tazza.
«M… m… ma… c… credevo che si f… fosse chiarito tutto, no?» balbettò David, ricadendo nel suo difetto per la delusione.
Guardò in direzione della sorella sperando in un aiuto.
«Katty, non sp… p… porgerai denuncia verso di me, vero?»
La ragazzina per tutta risposta si sedette sul divano nel punto più lontano da lui.
«Hai rotto Priscilla, non te lo perdonerò mai», rispose voltandosi dall’altra parte come una bimba sdegnata.
«La tua b… b… bambola preferita? Ma non lo farei mai!»
«E invece l’hai proprio fatto, quando sei entrato di nascosto in casa mia!»
«Io ho solo fat… t…to uscire P… Polly dalla gabbia, te lo gi… giuro!»
Kathy arricciò il nasino in una buffa smorfia e ci pensò un po’ su. «Uhm… effettivamente non saresti capace di una cattiveria simile, ma non si può mai dire. Comunque, anche se non fossi stato tu, cosa che non mi sento di escludere, tutto il resto già basta e avanza. Sono indecisa se perdonarti o no.»
Mentre David ribatteva qualcosa per smuovere la clemenza della sorella, Rossella ed L si scambiarono uno sguardo d’intesa e, come un tempo, spontaneamente, rientrarono in sintonia.
Sta mentendo?, era la muta domanda sul viso del detective. La ragazza gli fece un cenno di diniego, e notò la mascella di lui aumentare la pressione sui denti. Poté immaginare cosa gli stesse passando per la mente: se non era stato David a rubare la testa della bambola e ad appenderla all’abbaino, qualcun altro era coinvolto in quella faccenda. Ed era con loro al maniero.
«David, tornando al discorso di prima, i tuoi esperimenti potrebbero aver dato origine a qualche conseguenza inaspettata e… negativa?», chiese il detective interrompendo l’alterco tra i due fratelli.
«Lo escludo a priori», rispose prontamente il ragazzo, questa volta senza più incepparsi nemmeno una volta. Poter discutere del suo argomento preferito lo metteva sempre a suo agio, annullando il difetto di pronuncia.
«E perché?»
«Per il concetto stesso di alchimia. Non è magia nera, è elevazione e crescita, gliel’ho detto. L’obiettivo che si pone l’alchimista è la conquista dell’onniscienza e la creazione della panacea universale, ovvero un rimedio per ogni malattia e per il prolungamento indefinito della vita. La trasmutazione stessa del metallo in oro non ha scopi venali, ma simboleggia il tentativo di arrivare alla perfezione in quanto, per la sua natura intrinseca di incorruttibilità, l’oro è la sostanza che meglio la rappresenta.»
«Capisco. Escludendo quindi la tua branca, ti viene in mente qualcuno del circolo che invece si occupava di un settore più… uhm… pericoloso? Come Aaron Mason, per esempio. Era demonologo, vero?»
David rise. Una risata di puro divertimento, che non conteneva nessun accenno di scherno.
«Sì, è così, ma anche in questo caso non bisogna farsi fuorviare dal significato negativo che implica il termine. Demonologo è chi studia le credenze riguardanti le creature definite demoni, non chi cerca di evocarli. Ho detto credenze, badi bene, ovvero ciò che è scaturito da secoli di folclore popolare. Che ciò dimostri o meno l’esistenza di creature del genere è un altro paio di maniche. Personalmente, credo che se Aaron si trovasse a faccia a faccia con un demone gli prenderebbe un infarto, e se Lei lo conoscesse capirebbe perché. Tuttavia la demonologia è un argomento che lo affascina, quindi è sempre in cerca di approfondimenti. Tutto qui.»
«Da come parli sembra che tu affronti ciascuno di questi argomenti in modo molto concreto, elidendo l’aspetto sovrannaturale.»
«Diciamo che sono uno scettico a cui non dispiace l’occulto. L’esoterico e il paranormale rimangono tali solo finché non si trova una spiegazione scientifica. È un ramo ancora tutto da scoprire. Purtroppo è anche zeppo di testimonianze fasulle, che contribuiscono a screditarlo. Da parte mia, finora non mi sono imbattuto in un solo fenomeno che, dopo un attento esame, si sia dimostrato autentico.»
«Però devi aver preso molto sul serio quello che è successo – o che sta ancora succedendo – qui al maniero, se volevi tenerne lontana tua sorella con ogni mezzo.»
David si rabbuiò. Cercò di portare una mano dietro alla nuca, un gesto involontario che faceva sempre quando era sovrappensiero, ma le manette glielo impedirono e posò nuovamente le mani in grembo.
«Sì, mi rendo conto che può sembrare un controsenso. Vede, qualche tempo fa mio nonno, senza alcuna spiegazione, di punto in bianco mi intimò di non presentarmi più al maniero. Non ne capii il motivo – per quanto ne sapevo, non ce n’erano – ma lui fu irremovibile. Era molto serio quando mi fece quella richiesta, e mi fece promettere che non gli avrei disobbedito finché non fosse stato lui stesso a richiamarmi. Scoprii poi che anche gli altri membri non avevano più fatto ritorno alla sede del circolo, ma nel loro caso fu una libera scelta. E se sta per chiedermene la ragione, le dico già da subito che non me l’hanno voluta dire. Aaron mi ha detto semplicemente che era d’accordo con la richiesta di mio nonno, eludendo qualsiasi altra domanda, e la signora Phillips non ha voluto nemmeno ricevermi.»
«Sì, la signora Lane mi ha messo al corrente dell’opinione della signora Phillips in proposito… Piuttosto, ti sei fatto un’idea sul perché Aaron Mason condividesse la scelta di tuo nonno?»
«Suppongo che sia stato a causa dei rumori. Ecco…vede… credo che in realtà gli altri non aspettassero altro che un’occasione per abbandonare il circolo e non farsi più vedere qui, e la richiesta di mio nonno si è dimostrata un’ottima scusa al momento giusto. Non posso biasimarli. Quel grattare dietro le pareti dà i brividi. A volte… sembra quasi di distinguere delle parole.»
«Scusate, ma è da un po’ che non riesco più a seguirvi. Mio nonno non è morto per cause naturali?», chiese ad un tratto Kathy.
«In realtà Ryuzaki e il signor Quillsh sono qui per soddisfare una richiesta di lord Cavendish e far luce su un fenomeno che pare si stia verificando qui al maniero. Però, per quel che ne sappiamo, può avere cause del tutto logiche», le spiegò Linda, evitando di rispondere direttamente alla sua domanda.
«No, non è così!», la interruppe David con veemenza. «Mio nonno non avrebbe mai agito in quel modo per un motivo banale. Non era certo incline all’isterismo, ha sempre avuto i nervi saldi. La mia opinione è che debba aver capito qualcosa di importante sulla natura di quel fenomeno. Però, nonostante quel che stava succedendo, ha deciso di rimanere qui ad affrontare la situazione da solo, e alla fine ha avuto la peggio. Non posso che ammirarlo per questo, e voglio assolutamente scoprire chi o cosa lo ha ucciso. Ma per prima cosa devo portare al sicuro Kathy.»
Rossella ripensò al rumore che proveniva dalla parete della torre, simile al raspare di unghie di qualcuno che cercava di passare, di raggiungerla. E a quel fruscio, che sembrava aver bisbigliato il suo nome. C’era una nota lasciva e spaventosa in quel suono, sapeva di marcio. Sentì di avere la pelle d’oca. Si unì a David dimostrandosi d’accordo con lui nel cercare di allontanare Kathy. Quel posto non era adatto ad una ragazzina così ingenua e fragile – lei stessa se ne sarebbe andata al più presto, se quell’incarico non le fosse stato assegnato da L in persona. Kathy avrebbe avuto comunque la sua parte di eredità, di questo Rossella era certa: i modi e le parole di David l’avevano convinta che il ragazzo tenesse moltissimo alla sorella, e che non si sarebbe rimangiato la parola data. Avrebbe senza dubbio diviso il patrimonio con lei, quindi non c’erano problemi.
«Penso anch’io che sia la scelta migliore, piccola Lady», intervenne Irene unendosi agli altri due, mentre posava un vassoio di biscotti sul tavolo. «Non so come spiegarlo, ma l’atmosfera di Green Haven è mutata. È come se stesse decadendo gradualmente. Confesso che mi sentirei più tranquilla sapendo che Lei è a Winchester.»
David andò verso la sorella e la prese per mano.
«Vieni. È meglio se torni immediatamente in città. Signorina, potrebbe per favore accompagnarla?» chiese rivolto a Rossella.
Ma Kathy scattò in piedi, liberandosi bruscamente dalla presa del fratello.
«Smettetela, tutti quanti!», strillò con un’energia inaspettata. L’espressione, inusitatamente seria, la fece sembrare austera a dispetto della bassa statura e del viso infantile. «Mio nonno non mi avrebbe mai e poi mai messo volontariamente in pericolo. Tuttavia ha voluto che io e David rimanessimo qui al maniero insieme, l’ha chiesto espressamente nel testamento. Nella sua scelta ci deve essere una ragione ben precisa, come fate a non capirlo?»
Le guance le si colorirono per lo sdegno.
«Se gli è successo qualcosa, anch’io voglio vendicarlo. Mi ha chiesto di diventare il guardiano di Green Haven, ed è quello che farò, ad ogni costo! Non potete decidere per me!»
«Ma… piccola Lady…»
«Silenzio! Non me ne andrò mai!» concluse con un tono che non ammetteva repliche.
«Ben detto, principessina!», esclamò con entusiasmo Linda. «Anche se non so se il tuo sia coraggio o incoscienza…»
David sospirò e, cercando di controllare la voce meglio che poteva – non era il momento di farsi bloccare dal suo difetto di pronuncia – insistette pazientemente per farle cambiare idea, ma fu interrotto da L.
«Anch’io sono d’accordo con Kathy.»
Rossella gli lanciò un’occhiata sorpresa.
«Perché ti stupisci?», le chiese L. «Pensaci bene. La stranezza del testamento deve avere uno scopo. Sappiamo ancora troppo poco in proposito, per ora la scelta migliore è assecondarlo e vedere come si evolvono le cose.»
«Capisco, ma… proprio perché sappiamo così poco, dovremmo essere particolarmente prudenti, non credi? E se la situazione fosse più pericolosa di quello che pensiamo? Potrebbe degenerare e coglierci impreparati.»
«Per questo dovrai stare particolarmente attenta alla tua cliente. Sei qui per proteggerla, no?»
Rossella non ribatté, ma abbassò lo sguardo sulla sua tazza e per un attimo le sue labbra si piegarono in una smorfia amara. L le aveva appena ribadito un paio di concetti: lei era e rimaneva una sua pedina, per la precisione quella addetta all’analisi psicologica degli indiziati e alla sorveglianza di uno degli eredi. Due ruoli di rilievo, ma pur sempre da gregario. Il detective era lui, ci teneva a precisarglielo. Queste erano le condizioni per collaborare con L.
Con ancora un po’ di reticenze da parte di David e Irene si decise che Kathy sarebbe rimasta, e la merenda interrotta riprese, lasciando per un po’ da parte gli approfondimenti sulle indagini. A Rossella parve che la conversazione degli altri vertesse sulla foresta di Green Haven, sul laghetto in cui facevano tappa le anatre in periodo di migrazione, sulla chiesetta gotica; le parve anche che si convenisse di togliere le manette a David, ma ascoltò il tutto registrandolo come un mero suono ovattato, lontano. Dopo il “richiamo all’ordine” di L la sua mente era volata altrove, era tornata alla Wammy’s House. La cicatrice al polso gliel’aveva ricordata con una lieve puntura. Chissà se lui aveva mai collegato il suo tentato suicidio alla conversazione che avevano avuto nel giardino dell’istituto? Ma certo, che domande! Nonostante ciò, da allora non si erano più visti né sentiti. Prima di andarsene per sempre dall’istituto Rossella non aveva osato salutarlo, e lui durante la sua convalescenza di due giorni non si era fatto vivo. L’aveva deluso? Era impossibile dirlo.
Quella mattina, quando si erano rivisti dopo cinque anni, L le aveva parlato come se niente fosse successo. C’erano state solo quelle parole, “grazie per aver accettato il mio invito”. A Rossella erano parse quasi di scusa, una specie di “grazie per aver accettato nonostante tutto”. Ma forse era stata solo una sua impressione. Quasi sicuramente L nella sua vita non aveva mai provato per qualcuno la passione bruciante che aveva sperimentato lei. Non sarebbe mai stato in grado di capire veramente quanto le avesse fatto male.
Rossella spremette un ulteriore spicchio di limone nella tazza e mandò giù un altro sorso. Non bastava. L’asprezza del succo stemperata dal tè, non riusciva a schiarirle le idee. Succhiò direttamente lo spicchio, assaporando il gusto agre e pungente. Con lo sguardo perso nel vuoto, ripensò a quanto era stato bello tenerlo per mano nel corridoio della soffitta.
 
.oOOo.
 
Dopo il tè, Irene riaccompagnò gli ospiti nelle rispettive stanze, dove avrebbero potuto rilassarsi fino all’ora di cena. Non mancava molto, per la verità; l’improvvisata di David aveva prolungato la durata del tè pomeridiano più del previsto, ritardando di conseguenza l’ora della cena, che per una volta non avrebbe potuto rispettare la tradizione inglese di consumare il pasto alle sei precise.
«Povera me, la signora Lauper darà di matto quando le dirò che non potremo cenare prima delle sette…», si lamentò la rubiconda governante, scuotendo la testa mentre si allontanava.
Rossella si fermò per un po’ nella stanza di Linda, prima di fare ritorno nella propria.
«Credevo che il nostro compito fosse far arrivare fino a qui la nostra cliente sana e salva e proteggerla durante il suo soggiorno al maniero. Ora che è stato chiarito che lo stalker era il fratello, potremmo anche chiudere la faccenda e tornare a Winchester, no?», chiese la detective bionda. Aveva buttato lì la domanda per stuzzicare l’amica, sapendo già che, visti i presunti pericoli in cui poteva ancora incorrere Kathy, il loro incarico si sarebbe rivelato più lungo del previsto.
«No, gli ordini sono cambiati», rispose infatti Rossella. «Rimarremo finché non sarà stata fatta luce sulla morte di sir Arthur Cavendish e su cosa sta succedendo qui.»
«Splendido! L ti attira con un caso facile facile e poi ti scarica una patata bollente. Scucigli almeno un compenso adeguato per questo scherzetto, mi raccomando!»
Rossella le sorrise brevemente.
«A proposito», continuò Linda, «com’è che sembra essere Ryuzaki quello che conduce le indagini?»
«Disposizioni di L», rispose semplicemente Rossella.
«Uhm… e una persona importante come il signor Quillsh fa da aiutante ad un allievo…»
Questa volta Rossella non rispose.
«Domani devi tornare a Winchester. Che ne dici di approfittarne e fare un paio di visite non annunciate?», le chiese invece.
«Chissà perché, ma già me lo sentivo. Fammi indovinare: la simpatica sensitiva e il suo compare demonologo.»
«Già. Chiederò al signor Quillsh di accompagnarti. Il suo garbo potrebbe essere d’aiuto, a volte non sei la persona più diplomatica di questo mondo.»
Linda le elargì uno dei suoi coloriti epiteti, ma Rossella non lo colse perché lasciò la stanza a orecchie ostentatamente tappate, voltandosi per evitare di leggere il labiale.
 
La detective si chiuse la porta alle spalle e si sdraiò sul letto, a fissare un punto imprecisato dell’affresco sul soffitto. Ormai il sole era calato, e la stanza era rischiarata solo dalla luce fioca delle abat-jour che, tutte insieme, producevano a malapena 100 watt di luce. Probabilmente in altri frangenti avrebbero creato un’atmosfera piacevolmente romantica ma Rossella in quel momento, pervasa da un crescente senso di timore, non le apprezzò affatto. Si aspettava da un momento all’altro di sentire quel raspare misterioso. Nemmeno ripensare, con un misto di dolcezza e speranza, a come la sua mente era entrata in simbiosi con quella del suo amato durante il tè, quando un semplice sguardo era bastato per farle intuire la sua richiesta, non contribuì ad alleviarle il disagio. Piuttosto che rimanere lì da sola arrivò perfino a pensare di sgattaiolare nella camera del detective con la scusa delle indagini, prima di imporsi di darsi una calmata e smetterla di fare la fifona. Fortunatamente le camere di Linda e Kathy erano attigue alla sua, e mancava poco alla cena. Non sarebbe rimasta sola ancora a lungo.
Era solo un rumore, accidenti!, si disse. Sì, ma era così sinistro!
Si mise a sedere, cercando di pensare ad altro. Avrebbe potuto farsi un po’ più carina per la cena, per esempio. Era un’idea stupida, ma le avrebbe tenuto la mente occupata per un po’. Non si poteva vivere di sola logica!
Rossella non usava trucco, e non era particolarmente esperta di acconciature – i suoi capelli erano sempre raccolti in una semplice coda di cavallo, e la frangetta richiedeva ben poca cura – ma nella borsa teneva un portacipria per i momenti d’emergenza. Prese quello, e cominciò a studiarsi nello specchietto con particolare attenzione. Non era mai stata sua abitudine badare troppo all’aspetto; per lei l’importante era essere in ordine, tutto lì. Le venne in mente ciò che le aveva detto Linda nel pomeriggio, a proposito dell’esercitarsi nel variare le espressioni, e pensò che fare una prova non le costava nulla anche se quello specchietto era decisamente troppo piccolo per lo scopo.
Come si simulava un’espressione ammaliante? Provò a passarsi la lingua sulle labbra con aria languida, e scoppiò a ridere nel constatare quando fosse ridicola. La sua faccia, mentre rideva, invece le piacque molto di più.
Forse è piaciuta anche a lui, pensò arrossendo lievemente, ricordandosi di ciò che le aveva detto L nel cortile del maniero. Sento che preferirebbe una donna aperta, piuttosto che intrigante. Forse faccio male a simulare anche con lui.
Fu in quel momento che il sangue le si gelò.
Il lato destro dello specchietto rifletteva la porta a due ante alle sue spalle. Una di esse si aprì leggermente, e una mano scivolò dentro. A tentoni, tastò alla ricerca della maniglia dell’altra anta, rivelando l’avambraccio fino a metà. Rossella rimase impietrita davanti allo specchio: quella mano sembrava del tutto normale, eppure in qualche modo non lo era. Il modo in cui percorreva lentamente l’anta, saggiando la superficie, le mise i brividi. Non avrebbe saputo spiegare il perché, ma da come si muoveva le diede l’impressione che il braccio potesse essere privo di ossa, che stesse solo simulando un movimento umano, che, se avesse voluto, avrebbe potuto scorrere lungo l’anta sinuoso come un serpente.
 
Non voleva vedere altro. Non voleva assolutamente. Non voleva sapere che cosa potesse esserci attaccato a quel braccio.
 
Tuttavia, in barba alla sua parte razionale, istintivamente si voltò di scatto verso la porta. Era chiusa. Non c’era nessuna mano, né umana né sovrumana.
Guardò di nuovo nello specchio e vide l’anta socchiusa. La mano non c’era più, ma guardando meglio scorse la punta delle dita che sporgevano appena. Che diavoleria era mai quella?!
Rossella raccolse tutto il suo coraggio e si avvicinò con circospezione alla porta, osservando meglio. Le ante erano accostate perfettamente. Se qualcuno avesse chiuso la porta di colpo, come minimo avrebbe dovuto sentirne il rumore. Ma non ce n’erano stati, a pensarci bene non aveva nemmeno sentito scattare la maniglia quanto l’anta era stata aperta. Che si fosse immaginata tutto?
Facendo uno sforzo di volontà, Rossella aprì la porta e sbirciò nel corridoio. Era deserto. Sentì della musica provenire dalla stanza di Kathy – doveva aver messo in funzione il grammofono – ma nulla di più.
Ancora tremante, la ragazza tornò dentro. Cosa le stava succedendo? Ciò che aveva visto le era sembrato tremendamente reale, non poteva esserselo immaginato. O meglio, un’allucinazione così realistica era sintomo di un grave squilibrio mentale o di una seria malattia. Avrebbe fatto meglio a sottoporsi ad un controllo?
Stava ancora pensando a queste cose quando raccolse da terra il portacipria rimasto aperto. Lo specchietto rifletté la sua immagine, e Rossella urlò come mai aveva fatto in vita sua. Il viso nello specchio era senz’occhi. Lacrime rosse scendevano dalle orbite vuote e martoriate, e un mugolio orribile usciva dalle labbra sanguinanti, cucite fra loro da un fil di ferro. I capelli, tirati all’indietro ai lati del viso in una coda di cavallo, lasciavano intravedere il taglio slabbrato delle orecchie mozzate.
Lanciò via lo specchio che però, a causa delle forze che le erano venute a mancare, atterrò vicino, troppo vicino. Contemporaneamente le gambe le cedettero e cadde a terra, incapace di rialzarsi e scappare.
Rossella rimase immobile, bloccata dal terrore, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quell’immagine terribile, emettendo gemiti inconsulti. Fissò ipnotizzata due dita lunghe e raccapriccianti farsi strada piano piano fuori dallo specchio, grattando il pavimento. Quando giunsero a sfiorarle un piede, un’ondata di adrenalina la sbloccò. Schiacciò lo specchio con tutte le sue forze, frantumandolo, e spinse sul pavimento con i talloni per allontanarsi, strisciando per un buon tratto sul sedere prima di ricordarsi che poteva alzarsi in piedi e correre verso la porta.
 
È inutile, è chiusa, è sicuramente chiusa. Non potrò aprirla e quella cosa mi prenderà, e il mio corpo marcirà come quello di lord Cavendish.
 
Contrariamente alle sue aspettative, la porta si aprì di schianto non appena girò la maniglia, e Rossella si catapultò in corridoio. Inciampò nel tappeto e cadde lunga distesa, urlando di paura a pieni polmoni. Un altro grido le fece eco, quello di Kathy, a sua volta schizzata fuori come un proiettile dalla propria camera. La ragazza bionda, correndo guardandosi alle spalle, incespicò nelle gambe della detective e capitombolò a sua volta. Si sbucciò un ginocchio, ma non diede segno di accorgersene. I suoi occhi terrorizzati fissavano la porta della camera.
Un secondo dopo il corridoio si animò: L, Watari e Linda accorsero verso le due ragazze richiamati dalle urla, e poco dopo arrivò anche David seguito da Cheryl e Nathan.
Rossella balzò in piedi e si buttò letteralmente addosso ad L, tremante come una foglia, infischiandosene per una volta del fatto che lui potesse non gradire il contatto fisico. Non sperò minimamente in un abbraccio protettivo e, sul momento, nemmeno ci pensò. La sua reazione era stata puramente istintiva, un bisogno spasmodico di stringere qualcuno che fosse per lei un punto fermo, un appiglio alla realtà. Sentì che se fosse rimasta ancora qualche istante lì sul tappeto, a fissare la camera da cui era appena scappata, con quell’immagine orrenda ancora stampata nella retina, sarebbe impazzita.
Né lei né Kathy all’inizio riuscirono a rispondere alle domande degli altri, che le tempestarono in un coro sconclusionato.
Kathy fu la prima a riprendersi. Anche nello stato confusionale in cui era, Rossella non poté fare a meno di notare che la ragazza bionda possedeva un coraggio inaspettato. In piedi accanto al fratello, gli stringeva la mano come a cercare conforto, ma niente di più. Sembrava tornata padrona di se stessa. Paradossalmente, David pareva quello più in apprensione: i suoi occhi parevano voler guardare contemporaneamente in tutte le direzioni, in attesa di un imminente pericolo.
«Cosa è successo?» chiese nuovamente alla sorella.
«Stavo usando lo specchio che tengo sempre nella tasca interna della valigia, e ad un tratto…». La ragazza si interruppe brevemente e corrugò la fronte, come a valutare ciò che era accaduto. «La mia immagine riflessa mi ha fissato. Voglio dire, è normale che la nostra immagine ci guardi di rimando quando ci specchiamo, ma è rimasta immobile, anche quando io mi sono mossa. Continuava a guardarmi, poi ha sorriso. Un sorriso strano, aveva qualcosa di inquietante. Per lo spavento ho lasciato cadere lo specchio e sono corsa via.»
«Non è possibile, te lo sarai immaginato» le disse David.
«Me lo dici proprio tu, che volevi convincermi in ogni modo a mettermi al sicuro? Al sicuro da cosa?»
David guardò attraverso la porta aperta della camera di Kathy, dove lo specchio giaceva ancora a terra rivolto a faccia in giù.
«Non lo so, è questo che mi spaventa. Non ho idea di cosa possiamo aspettarci.»
«Be’, io sono sicura di quello che ho visto. Non me lo sono sognato. Era una cosa incredibile.»
Incredibile?, pensò Rossella. Lei non si sarebbe espressa in quel modo. Ma, in effetti, l’esperienza di Kathy era stata differente dalla sua. Veder vivere di vita propria un’immagine riflessa forse si poteva definire incredibile. Vedere il proprio viso martoriato non era incredibile, era semplicemente orrendo. Non vedere, non parlare, non sentire, sembrava volerle dire.
Rabbrividì, e tutto ad un tratto stringere la maglia bianca di L non le bastò più. Gli girò velocemente attorno e si nascose dietro di lui, sbirciando nella camera da sopra la sua spalla.
«Anche a te è successa la stessa cosa?», le chiese lui.
La ragazza annuì vigorosamente alle sue spalle, ma lui naturalmente non la poté vedere. Si voltò all’indietro.
«Allora?»
«Più o meno», gli bisbigliò, appoggiandogli le mani sulle spalle e alzandosi in punta di piedi per vedere meglio oltre di lui.
Un attimo dopo si ritrovò priva del suo scudo. L era entrato a passo deciso nella stanza di Kathy ed aveva sollevato lo specchio pizzicandolo con due dita, torcendo il collo come un barbagianni per osservarlo da varie angolazioni. Non vide nulla di strano nella sua immagine riflessa, a parte lo sfasamento creato da una crepa che aveva spezzato la lastra.
«Si è rotto. Forse è un bene.»
«Un bene, dici? Io sapevo che rompere gli specchi porta male» disse Linda.
Dopo un breve silenzio, intervenne la voce turbata di Cheryl, la giovane cameriera.
«No, ha ragione, è meglio così. C’è qualcosa di strano riguardo gli specchi.»
La ragazza bruna guardò un po’ a disagio i presenti, facendo un breve inchino.
«Perdonatemi signori, vi sembrerà strano, ma credo che sarebbe più prudente evitare l’uso degli specchi. In questo maniero sono spariti tutti e… Evelyn, la cameriera che ha lasciato il castello per prima, se ne è andata proprio in seguito ad un episodio legato ad uno di essi. Non ho mai saputo bene cosa sia successo di preciso – non ero in buoni rapporti con lei – ma ho colto qualche frase e due parole in particolare. “Grimorio” e… “quarta dimensione”, sì. Mi sono rimaste impresse perché erano davvero insolite nella bocca di una come Evelyn. Ha detto di averle udite da una conversazione tra sir Arthur Cavendish e il signor Mason, mentre spolverava nella biblioteca. Ad ogni modo, dopo il fatto dello specchio… be’, consideratemi sciocca, ma mi sono tenuta lontana da qualsiasi immagine riflessa. Confesso che a volte ho timore perfino di lucidare l’argenteria. In presenza della signora Lane non lo direi mai – lei non tollera le chiacchiere superstiziose – ma vi consiglio vivamente di evitare di specchiarvi.»
«Signorina, lei è l’unica cameriera rimasta. Perché se ha così paura continua a lavorare qui?» le chiese L.
«Vede, questo per me è il primo lavoro. Quando sono stata assunta dalla signora Lane, non mi pareva vero di poter lavorare presso una famiglia così rinomata. È un’ottima base di partenza per il mio curriculum. All’inizio, non volevo andarmene semplicemente perché mi sembrava da stupidi rovinare tutto per una fissazione che magari era solo nella mia testa. Ma poi… nel periodo in cui ho lavorato qui ho avuto modo di conoscere e apprezzare enormemente lord Cavendish. Era una persona notevole. Quando ha saputo che avevo problemi di soldi a causa di mia madre e dei miei fratelli che studiano ancora, mi ha anticipato parecchie mensilità di stipendio e anche qualcosa in più, senza bisogno di restituire nulla. Non me la sento di abbandonare così la sua dimora, glielo devo.»
«E tu, Nathan? Perché rimani?», chiese L al ragazzo tuttofare.
«Nate, chiamami Nate», rispose l’altro dando tranquillamente del tu all’ospite. «Ecco, vedi, potrei snocciolarti anch’io la ramanzina infarcita di lodi per lord Cavendish – la risentirai più o meno da tutto il resto della servitù. E non dico che non sia sincera, ma… la mia ragione è molto più semplice. In pratica, Cheryl è la mia ragazza. Rimango per questo, ecco tutto.»
L lo guardò compiaciuto. La spontaneità di Nathan non gli dispiaceva.
«Fra tutti, tu sembri il più calmo. Non sei stato influenzato dall’atmosfera del maniero?»
Nate fece un risolino imbarazzato.
«Be’, i rumori li abbiamo sentiti un po’ tutti. Tranne il signor Edmonds. Forse perché passa tutto il tempo nei giardini e di notte dorme nella dependance. O forse è solo sordo come una campana.»
«Quindi, a parte i rumori nessuno di voi ha avuto esperienze negative?»
«Uhm… no, nulla. Anche se… no, niente».
L gli lanciò un’occhiata interrogativa.
«Be’, se devo essere sincero io e Cheryl cerchiamo di stare insieme il più possibile. Senza farlo sapere alla signora Lane, naturalmente» concluse il ragazzo sorridendo.
«Potremmo fare altrettanto anche noi, almeno di notte», propose speranzosa Rossella.
«Sì, sono d’accordo. Non me la sento di dormire da sola», convenne Kathy.
«Potrei dormire anch’io con voi. Rossella stasera non mi sembra propriamente in grado di difenderti in caso di bisogno», disse Linda.
L meditò un momento sulla situazione.
«Come misura cautelativa non sarebbe male se entrambi gli eredi rimanessero sotto sorveglianza. Se Rossella e Linda rimangono con Kathy, David potrebbe dormire con me e il signor Quillsh.»
«Non c’è problema, andiamo ad avvisare la signora Lane per gli spostamenti. Delle brande saranno più che sufficienti.»
I due domestici si allontanarono per predisporre le camere. Rossella si avvicinò ad L e lo tirò in disparte.
«Posso parlarti un attimo?»
«Vieni, andiamo di là.»
L condusse Rossella nella sua stanza. La ragazza scoprì con stupore che era stato allestito un piccolo quartier generale. I cavi elettrici correvano per gran parte del pavimento, collegando monitor e periferiche. Notò che alcuni monitor mostravano scorci delle sale del maniero: erano già state piazzate delle telecamere in vari punti strategici.
«Wow! Quando hai preparato tutto questo?», chiese meravigliata. Lei aveva portato con sé appena il suo portatile.
«Oggi pomeriggio, dopo che siamo scesi dal sottotetto e prima del tè. Non è stato difficile seguire gli spostamenti di tutti quanti, compresi i domestici. Per ora sembra che nessuno abbia compiuto azioni sospette. Il ladro di teste di bambola non è ancora stato individuato.»
«Ecco tutto ciò che ho trovato sulla quarta dimensione», disse nel frattempo Watari porgendo ad L alcuni fogli appena usciti dalla stampante. «La teoria più originale è quella del fisico Sean Dwight Grant, sulla terza pagina.»
L lesse tutto il plico con una velocità che a Rossella parve incredibile, poi tornò sulla terza pagina.
«Grant ipotizza la quarta dimensione come variabile riferita al tempo, oltre a lunghezza, larghezza e profondità», mormorò fra sé. «Fin qui nulla di diverso da molte altre teorie. Ma, in pratica, Grant parte dalla teoria della relatività e la evolve immaginando una o più dimensioni parallele, o meglio, veri e propri mondi paralleli sovrapposti al nostro – anzi, fusi con il nostro – ma non avvertibili dai rispettivi abitanti in quanto la variabile tempo scorre in modo differente. Secondo lui quando, per cause ancora sconosciute, il tempo tra due mondi diversi scorre alla stessa velocità, i rispettivi abitanti riescono a percepirsi reciprocamente, sebbene in maniera confusa. Questa è la spiegazione delle apparizioni dei fantasmi, secondo Grant. E gli alieni sono individui in grado di spostarsi volontariamente tra tutti questi mondi paralleli, in quanto possono modificare lo scorrere del tempo a loro piacimento.»
«Non avevo mai sentito parlare di questa teoria», ammise Rossella.
« È normale. A quanto pare, a causa delle sue idee astruse, Grant non gode di molto credito nel mondo scientifico. In effetti tutto ciò ha ben poco a che fare con la fisica, se non la base di partenza.»
«E tu cosa ne pensi?»
«Per ora, di tutta questa teoria terremo per buona solo la definizione di quarta dimensione, ovvero la variabile tempo. La signora Lane mi ha detto che lord Cavendish aveva accennato a qualcosa sul tempo durante i suoi ultimi giorni di vita, potrebbe essere importante. A proposito, cosa volevi dirmi?»
«Riguarda la disposizione delle stanze. Va bene dormire in gruppo, però credi che sia prudente lasciare noi ragazze da sole? Non sarebbe meglio formare gruppi misti?»
«Credo che non sia necessario. Finora non è successo nulla di pericoloso, altrimenti, credimi, riconoscenza o no i domestici non sarebbero rimasti qui dopo la morte del loro padrone.»
«Sì, però… Hai notato che i movimenti del viso di Nathan non erano simmetrici? Quando rideva, un angolo della bocca si stirava più dell’altro. È un segno di simulazione delle emozioni. Io credo che la sua spavalderia sia solo una finzione per non allarmare ancora di più la sua ragazza. Se lo interrogassimo, magari scopriremmo che ha visto molto più di quello che lascia intendere.»
«O magari scopriremo solo che anche lui è spaventato dai rumori come tutti gli altri, e non vuole darlo a vedere.»
«Non lo sapremo finché non glielo chiediamo», ribatté la ragazza. Poi gli chiese a bruciapelo: « Posso dormire con te? Cioè… non in quel senso…»
L sospirò.
«No, devi sorvegliare la tua cliente. E non posso venire con voi, metterei in imbarazzo le altre ragazze.»
«Se ti fosse successo quello che è successo a me, non saresti così rilassato! Tu non sai che cosa ho visto!» insistette lei.
«No, in effetti non me l’hai ancora detto. Cosa hai visto di preciso?»
Rossella gli fece un resoconto dettagliato, anche se le costò un certo sforzo descrivere i particolari più macabri.  
«Capisci? Quella cosa potrebbe tornare!»
«Rossella, ragiona. Non hai sentito scattare la serratura, e non c’era nulla dietro la porta quando l’hai aperta. Per quanto possa sembrare assurdo, tutto ciò che hai visto non stava succedendo qui, ma nello specchio.»
Già, nella stanza al di là dello specchio. Quella precisa identica al salotto dove stiamo, ma dove le cose son messe alla rovescia, pensò L citando un brano del libro di Carroll. Chissà se ci abitava qualcuno, in quella stanza?
«Lord Cavendish ha parlato di porte. Avevo già fatto un’ipotesi in proposito, e dopo quello che hai visto mi sto convincendo sempre di più che intendesse gli specchi. Finché non ce ne sono in giro, con molta probabilità puoi stare tranquilla.»
No, ti sbagli, pensò Rossella. Anche se non ci vedono, in qualche modo ci controllano. Tu non te ne accorgi perché non ci si può auto-analizzare, ma lo stanno già facendo, e ci sei dentro anche tu. Non è da te non valutare tutti gli aspetti possibili, non è da te non avere la minima reazione se qualcuno ti abbraccia. Forse non ti manovrano ancora, ma ci stanno provando.
«Però hai detto che quanto lord Cavendish è morto non c’erano specchi. Come la mettiamo?» insistette.
«Ho detto che sono spariti quella notte, ma non possiamo sapere se prima o dopo la sua morte. E comunque, se può rassicurarti, lord Cavendish non è stato ucciso, è morto di estrema vecchiaia.»
Rossella spalancò gli occhi.
«Non… non è stato un omicidio? Un momento! Come può essere morto di estrema vecchiaia? Va bene che era anziano, ma avrà avuto al massimo una settantina d’anni!»
«Eppure il referto della scientifica riportava proprio questo come causa di morte. Fa parte dei numerosi punti che dobbiamo ancora chiarire.»
 
Contrariamente ai presupposti la cena fu relativamente allegra, allietata soprattutto dai piatti prelibati della signora Lauper. Dopo il dessert tutti fecero ritorno nelle rispettive stanze per affrontare la notte. Kathy ebbe l’idea di far dormire Silky Nose nella camera delle ragazze; la sua mole smisurata e i suoi denti aguzzi sarebbero stati un buon deterrente per qualsiasi malintenzionato. Il cane, felice per quella novità, girò per la stanza per tutto il tempo in cui le ragazze si prepararono per andare a dormire, annusando ogni cosa. Quando si accucciò fra il letto di Kathy e la branda di Rossella sulla coperta che era stata preparata per lui, mulinellava ancora la coda all’impazzata per l’eccitazione.
I ragazzi invece si trasferirono nella camera di Watari, visto che era la più spaziosa e che nella stanza di L, zeppa di apparecchiature, era impossibile aggiungere ulteriori posti letto.
«Lasceremo le telecamere in funzione. Se dovesse succedere qualcosa di interessante, la riprenderanno. Vado a predisporre la registrazione», disse il detective.
Tornò nella stanza dei monitor e lavorò alla tastiera per qualche minuto. Aveva bisogno di rimanere da solo per un po’ e tirare le somme di tutto ciò che era emerso durante la giornata. Chissà se nella biblioteca avrebbe trovato qualche trattato del dottor Grant? Approfondire la sua teoria sulla quarta dimensione avrebbe potuto rivelarsi utile.
Mentre ragionava, appollaiato sulla sedia con le braccia incrociate sulle ginocchia e il mento appoggiato sopra, notò un luccichio sulla parete a lato. Guardò meglio: la spia di una delle apparecchiature elettroniche creava un bagliore intermittente tra i blocchi di pietra del muro.
Incuriosito, si alzò per controllare meglio. Effettivamente tra i blocchi sembrava esserci qualcosa che rifletteva la luce della spia. Infilò le dita nella fessura tra di essi, ma le ritirò di scatto emettendo un sibilo di dolore e sorpresa quando sentì una fitta improvvisa all’indice. Qualcosa l’aveva ferito, e una gocciolina di sangue si stava formando sulla punta del dito. Se lo infilò in bocca, succhiando rumorosamente. A quanto pareva, quell’edificio nascondeva insidie anche nei punti più impensati!
Sempre succhiandosi il dito, rovistò alla ricerca di qualcosa che potesse fungere da pinza. Trovò solo un paio di forbici, e con quelle armeggiò per estrarre l’oggetto con cui si era tagliato. Quando finalmente riuscì a prenderlo, si rivelò essere un frammento di specchio di pochi centimetri di lato.  L lo osservò pensieroso. Se quella era una porta, era ben minuscola per farci passare alcunché; gli stava comodamente sul palmo della mano. La piccola superficie rifletteva a malapena uno dei suoi occhi, tondo, scuro e… no, un momento! Non scuro. Rosso! Rosso vermiglio! Gli diede l’impressione che il viso riflesso lo stesse guardando come attraverso uno spioncino. Con enorme sorpresa vide l’immagine spostarsi senza che lui si fosse mosso, e nello specchio apparve ora la sua bocca, animata da un ghigno assolutamente estraneo. Le labbra si mossero a formulare delle parole, che gli giunsero smorzate, lontane, come da dietro un vetro spesso. Riuscì comunque a leggere il labiale.
Sarai tu ad ucciderli. E ti piacerà. Te lo prometto.
«No!», gridò terrorizzato, respingendo nella mente sia l’assurdità del fenomeno a cui stava assistendo sia la promessa del suo alter-ego.
Senza pensare a cosa stesse facendo spezzò lo specchio in due ferendosi i palmi sui bordi taglienti, e rimase ansimante a fissare ipnotizzato i frammenti che riflettevano, ora, il suo viso di sempre, anche se sconvolto e più pallido del solito.
Incapace di gettarli via, rimase immobile finché Watari e David non accorsero e lo riscossero.
 
 
Commenti personali:
finalmente entriamo nel vivo della trama! Però, più vado avanti e più questa storia diventa difficile da scrivere. In cosa sono andata a infilarmi!
Vi lascio a meditare sugli avvenimenti per un mesetto o giù di lì. Ci si rivede a fine settembre!


Aggiornamento del 31.8.2016
ATTENZIONE! Questa storia, interrotta da tempo per mancanza di tempo/ispirazione/motivazione, riprenderà sull'account di MissChiara, che si è gentilmente offerta di continuarla. Non appena saranno pronti i capitoli successivi, inserirò qui il link. Per aggiornamenti o chiarimenti, sentitevi liberi di contattarmi ^^
   
 
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