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Autore: Mrs Carstairs    02/08/2014    0 recensioni
“ehi. Non sto ridendo di te. Non rido della tua paura, capito? Rido… di tenerezza. È che, vedi, tu rischi di cadere da un edificio di 20 metri tutti i giorni, correndo sui tetti con me, e lì la paura di morire dovrebbe essere viva dentro di te. Una paura tremenda di sbagliare un solo salto e… invece la cosa buffa è che tu… su un tetto, tu non hai paura di niente. Non c’è distanza che tu tema di saltare, non un comignolo che ti veda soltanto camminare sul bordo di un parapetto. Tu corri, non pensi, salti.”
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jonathan era arrivato presto a scuola quella mattina. Quando la sveglia era suonata, alle 6 precise, si era buttato giù dal letto in tutta fretta, come faceva solo il giorno del suo compleanno, ansioso di mangiare la torta per colazione. Aveva aperto l’armadio di botto, arraffando una maglietta a caso e indossando dei jeans strappati e la sua felpa preferita. Aveva poi preso al volo lo skate board appoggiato alla parete e la tracolla con i libri, schizzando fuori dalla porta di casa. Quando era arrivato all’ingresso del cortile dell’istituto, era balzato giù dallo skate, facendoselo saltare in mano con un movimento secco del piede.
L’atrio era pieno di ragazzi che chiacchieravano, altri che si rincorrevano, mentre alcune delle ragazze parlottavano tra loro indicando qualcuno di interessante, o sbuffando teatralmente. Jonathan non aveva nessuna intenzione di rimanere in mezzo a quel marasma e così sgattaiolò al piano di sopra, decisamente meno popolato di quello inferiore. L’aula di musica era ancora chiusa, segno che doveva essere veramente presto, dato che il professore non era ancora seduto alla cattedra. Il banchetto del guardiano del corridoio, Sonny, era vuoto e la bacheca con le chiavi delle aule incustodita. Assicurandosi che nessuno stesse guardando dalla sua parte, il ragazzo ci si avvicinò con calma, per poi scattare e intascarsi le chiavi senza troppo rumore. Poi si diresse verso l’aula e inserì la chiave nella toppa. Quella girò senza far troppo rumore nella serratura, che si aprì in un secondo. Jonathan sgattaiolò dietro la porta, richiudendosela alle spalle.
Respirò forte: l’odore dei vecchi spartiti invadeva la stanza, insieme a quello metallico delle corde del pianoforte a mezza coda aperto. Lasciò cadere per terra la borsa e qualche quaderno sbucò da sotto la cerniera. Sedette sul panchetto di legno, carezzando il velluto rosso della seduta imbottita. Con mani leggere scostò il panno che copriva i tasti, appoggiandoselo sulle gambe. Schioccò le dita delle mani stringendole una sull’altra con forza. Chiuse gli occhi. Le mani sui tasti d’avorio freddo. Le prime note cominciavano a risuonare nella stanza e il pezzo gli scorreva nelle vene, mentre le sue dita si muovevano agili sulla tastiera, veloci, ma precise. Ogni nota era pulita, non una sporcatura, non una nota mancata. Si sentiva trasportare da quella melodia come fosse stata un vento che gli accarezzava la schiena e gli smuoveva i capelli, facendolo dondolare sulla sua seduta. Tradurre le sue canzoni preferite a pianoforte era una cosa che adorava fare, ci avrebbe passato le giornate. Per questa melodia però aveva un debole. Era una delle sue canzoni preferite di una band metal. Nonostante la chitarra elettrica e la voce profonda del cantante, era incredibilmente addolcita dalle parole e da un pianoforte in sottofondo. Dopo molto che la ascoltava, si era messo a studiarla per conto suo e ora riusciva a suonarla discretamente, con sentimento. Forse, un giorno, l’avrebbe anche potuta dedicare a qualcuno, qualcuno di speciale, qualcuno che lo facesse sentire libero e anche un po’ combattuto, come quella musica, che lo faceva tornare indietro a sfogliare le pagine dei ricordi. Stava pensando a tutto questo, quando si accorse di una voce appena udibile che lo stava accompagnando cantando. Tese l’orecchio: era una voce calda, sicura, intonata. Non perdeva una sola parola della canzone, doveva saperla a memoria di certo, con anche tutte le variazioni delle strofe. 
“I give my heart to you… I give my heart, cause nothing can compare in this world to you…”
Pur con la curiosità di sapere chi, da dietro la porta, cantava sulle sue note a pianoforte, Jonathan restò a fissare davanti a sé, come se non s’accorgesse di nulla. Di colpo, il suono della campanella lo interruppe, insieme all’entrata del professore. Con le sue dita, si fermò anche il canto e i ragazzi cominciarono ad accomodarsi sulle sedie, poggiandosi penne e quaderni sulle gambe. 
“Carter. Che ci fai li?!- il professor Stark lo fissava divertito- non vorrai mica rubarmi il lavoro?!” Jonathan raccolse la sua tracolla sbuffando, per poi andarsi a sedere in ultima fila. Si svaccò sulla sedia, mentre il docente lo guardava ancora, quasi con un senso di scherzoso permalosismo.
“si calmi, professore, fare l’insegnante non è mai stata una mia ambizione.  Non si preoccupi. Non sono qui per rubarle il posto.
“menomale… per un momento ho temuto di poter essere licenziato!” 
Jonathan si era aspettato una reazione seccata del professore, che invece sorrideva sereno alla classe. 
“oggi, cari fanciulli, vorrei presentarvi una persona… resterà con noi per il resto dell’anno, perciò è bene che la conosciate. Persie… entra pure” 
Una ragazza dai capelli neri pettinati tutti da un lato entrò spalancando la porta con una mano.
“lei è Persephone Todd. È nata in Cornovaglia, ma da qualche anno si è trasferita qui a Londra...” Il professore parlava ancora, ma Jonathan non lo stava per niente a sentire. Osservava la nuova compagna di classe con seria attenzione. Adesso che guardava bene, i capelli le si riversavano sulla spalla destra in una cascata di riccioli di diversi colori. Un blu elettrico distingueva una buona parte delle ciocche da quelle nere corvine. Mollette e gel tenevano insieme la pettinatura, che sembrava essere stata fatta con molta cura. La ragazza era vestita in modo diverso da tutte le altre del suo corso: tutta in scuro, i pantaloncini contri che lasciavano intravedere una porzione di pelle nuda che precedeva i calzettoni a righe, blu sulla gamba destra e verde quasi fluo sulla sinistra. Una felpa di almeno due taglie più larghe le ricadeva sulle spalle, scoprendo la clavicola e parte della spalla dal lato a cui tirava nervosamente in giù il polsino della manica. Era un po’ rigida, in effetti, anche nella sua posa disinvolta. Il polsino era tutt’una piega, stretto dalle sue mani affusolate. L’orecchio sinistro, libero dai capelli, brillava dell’argento dei piercing e del lungo orecchino d’acciaio a forma d’ala angelica che le penzolava dal lobo. 
“bene, ora puoi andare a sederti. Guarda, c’è un posto libero accanto a Carter… Jonathan, fa una buona impressione, d’accordo?!”
Jonathan guardò il professore con disapprovazione. Odiava quel genere di cose. Fare gli onori di casa non era proprio quello che gli riusciva meglio… 
Persephone l’aveva inquadrato e, raccogliendo la borsa coperta da spille colorate, aveva mosso qualche passo per raggiungerlo. Gli anfibi che indossava slacciati ai piedi facevano rumore sul parchè con le suole pesanti. Sedette sulla sedia blu, accanto a Jonathan e, dopo una rapida occhiata, voltò il viso verso la cattedra:
“tranquillo, non mi appiccicherò a te…” poi levò il quaderno e una penna dalla tracolla, lasciandola cadere malamente a terra. Jonathan rimase sorpreso. Evidentemente Persephone doveva aver colto la sua disapprovazione alle parole del professore. Ma non era per lei che si era seccato, solo per il fatto che il professore prendesse sempre lui come suo lacchè. 
Ora osservava il suo profilo: i lineamenti regolari, le ciglia lunghe e d’ebano come i capelli, le labbra proporzionate, non troppo sottili, ma delicate quanto quelle di una bambola di porcellana, macchiate di un rosso scuro, come i petali di una rosa. Di colpo lo sorprese a guardarla.
“so quanto possono risultare scoccianti quelli nuovi, sempre curiosi e appiccicati ai veterani… siamo solo stupide matricole, non è vero? Ma non preoccuparti, me la caverò benissimo anche da sola…”
“ma che ti prende? Parli come se ti odiassi?!” 
“beh.. ti dice qualcosa il fatto che abbia cambiato 2 scuole in un anno e non abbia finito il semestre nell’ultima?!”
“wow… dovevi trovarti davvero bene..” Persephone accennò un sorriso storto.
“Carter!- il ragazzo si tappò la bocca- grazie…” il professore li aveva beccati questa volta.
“qualcuno con il mio sarcasmo.. interessante” Persephone si era voltata a guardarlo con un sorrisetto malizioso a piegarle la bocca.
“mai quanto i tuoi capelli… bella combinazione di blu…”
“silenzio, signor Carter! Silenzio!” Jonathan vide la ragazza sorridere a testa bassa, trattenendo una risata, mentre il professore lo riprendeva.
“mi perdoni, professore, ma è stato lei a dirmi di fare buona impressione…”
“Carter…” disse il professore spazientito.
“spero di non farti prendere una nota di demerito al mio primo giorno… temo avresti un motivo per odiarmi davvero poi…”
“non ti odierei per così poco… e poi la strada per l’ufficio del preside la so a memoria…”
“uuuh… un bad boy… sempre più interessante…”
“signorina Todd! Ci si mette anche lei adesso?” sempre in tono controllato, ma seccante anche per Persie, il professore stava rimproverando lei, stavolta.
“ok, scherzavo… sto zitta…” una risatina si diffuse in parte della classe alle sue spalle.
“silenzio…”

Quando il professor Stark lasciò l’aula, gli studenti si stavano alzando dalle sedie. Qualcuno si stiracchiava ancora svaccato sulla plastica blu della seduta, altri camminavano su e giù per l’aula parlottando, altri ancora curiosavano fra gli spartiti negli scaffali. Persephone si era alzata in piedi e si era voltata verso Jonathan con un’espressione che il ragazzo non riusciva a decifrare. Sembrava stesse sorridendo, ma gli angoli delle labbra rosse non si alzavano; sembrava ferita, ma gli occhi rimanevano luccicanti e decisi; sembrava agitata, ma le mani non si chiudevano più attorno ai polsini distrutti delle maniche. Anche Jonathan si era lentamente alzato in piedi ora, standole esattamente di fronte. Ma eccola che a passo disinvolto era arrivata alla finestra dell’aula, e si arrampicava sul davanzale di pietra per rannicchiarcisi sopra. Ora guardava verso di lui, sorridendo un po’, con i capelli che le ricadevano sulla spalla. 
Appena fu di fronte alla finestra, con un piccolo slancio dal pavimento, anche Jonathan si accartocciò accanto a lei sul davanzale. 
“padrona del mondo eh?!”
“come?!” per Persie fu come svegliarsi da un’ipnosi. Stava guardando fuori dalla finestra, oltre il campus, verso le verdi campagne inglesi e il cielo, dove nuvole nere rincorrevano le poche bianche rimaste. 
“voglio dire.. è una bella sensazione guardare il mondo dall’alto…. Ci si sente padroni delle distese e principi delle città…”
“già… è come se per un momento si avesse il controllo di tutto… come se niente potesse buttarti giù.. anche se succede di continuo…” Jonathan la osservò ancora per un po’. Sembrava dannatamente triste.. gli occhi grandi immobili, persi nel verde e nel grigio. Doveva fare qualcosa perché si fidasse di lui.
“anche se da qui ci si sente in prigione...” Persephone lo guardò con sguardo penetrante.
“idee?!”
“posso solo dirti che… potrebbe essere più divertente del solfeggio…”
“Qualunque cosa è più divertente del solfeggio! Grazie per aver ristretto il campo…” disse la ragazza allargando le braccia. 
“volevo solo dire che, potremmo anche evadere prima che la professoressa Plumb entri da quella porta..”
“mi stai chiedendo di impiccare?!”
“tecnicamente.. si.” Un gran sorriso si dipinse sul viso di Persephone, che saltò giù dal davanzale. Poi guardò verso Jonathan con aria impaziente.
“ma che ci fai ancora lì?” il ragazzo le si affiancò immediatamente.
“lo prendo come un ‘ci sto’. Senti, se usciamo adesso non se ne accorgerà nessuno… dobbiamo solo arrivare fino al ripostiglio, poi, quando tutti saranno in classe, sgattaioleremo fuori..”
“ok.. allora sarà meglio muoversi.” Jonathan la guardava mentre raccoglieva i libri e si metteva la tracolla. Non gli aveva detto cose del tipo ‘impiccare? Ma sei fuori? E se ci scoprono?!’ non aveva fatto domande, aveva semplicemente acconsentito. Non sembrava aver paura di essere scoperta e per questo sospesa...
Anche lui aveva raccolto la sua roba, caricandosi la borsa sulla spalla. Ora la stava guardando di nuovo, mentre si tirava il cappuccio sulla testa e gli si avvicinava.
“pronto?!” 
“andiamo.. abbiamo circa 20 secondi prima del suono della campanella…”
“perfetto.”
“sicura che..?!”
“stiamo già perdendo tempo… tic tac tic tac… i secondi scorrono…” disse toccandosi il polso sinistro con un dito, per poi agitare le mani come in segno di saluto. Jonathan scosse la testa ridacchiando, mentre usciva dalla classe correndole dietro. A metà del corridoio la vide fermarsi, ma troppo tardi, perché le finì addosso.
“perché ti sei..?!”
“mi sono appena resa conto che sei tu quello che sa la strada..” 
“ok, in effetti sono uno scemo… di qua!” e, trascinando Persephone per un braccio, Jonathan si precipitò verso le scale, ormai quasi deserte. Dopo poco si accorse che non stava più tirandosi dietro Persie a fatica, ma che stava scendendo le scale due gradini alla volta, al suo stesso passo. Le mani ancora intrecciate. La cosa non pareva infastidirla, anzi, ogni tanto quando pareva non troppo sicura su uno degli scalini, stringeva di più la presa, per poi rilassare le dita un secondo dopo. All’ultimo piano, si fermarono in tempo per evitare un gruppo di ritardatari che andava di corsa, spiaccicandosi contro il muro. Di colpo il suono assordante della campanella invase il corridoio ormai vuoto, lasciando dietro di se un silenzio inquietante.
“adesso o mai più.” Disse Jonathan strattonando Persie dietro di sé. Oltre al rumore della loro corsa, altri passi si sentivano avvicinarsi alla rampa di scale. Con un piccolo scatto Persie si ritrovò a spalancare la porta del ripostiglio con un calcio e ad infilarcisi dentro, sentendo il rassicurante sbattere della stessa dopo l’entrata di Jonathan. 
“salvi.- disse Jonathan tra un respiro e un altro- bel lavoro… con la porta.”
“Grazie… kick boxing… ritorna utile, sai?!” Persephone parlava cercando di riprendere fiato dalla corsa, appoggiata al muro fresco dello stanzino. 
“di la verità- disse lei guardandolo in faccia- credevi che non ce l’avrei fatta a starti dietro, eh?!” Jonathan la guardò con aria colpevole. 
“beh… a quanto pare.. mi sbagliavo…”
“già… idee per uscire?!”
“che ne dici della porta dietro di te?!” Persie si guardò alle spalle. Effettivamente il fresco che aveva sentito sulla schiena non era dell’intonaco bianco, bensì del vivido metallo di un’uscita di sicurezza senza l’allarme sopra. Ridendo di sé stessa si spostò piano dall’uscita.
“dico che mi sembra un’ottima idea…” Jonathan aprì la porta con il rumore secco della maniglia antipanico rossa, invitando Persie ad uscire per prima. Richiudendosela alle spalle, vide Sonny che stava entrando nel ripostiglio e così, si accucciò sotto la parte vetrata della porta, in modo che non lo vedesse. 
“Jonathan, perché sei…?!” in un secondo anche Persie era accucciata vicino a lui, che le stava stritolando un polso per tenerla ferma.
“guarda che l’ho visto… per questo mi sono abbassata. Puoi anche mollare la presa, non sono così stupida da alzarmi al momento sbagliato.” Jonathan le lasciò il polso con delicatezza.
“hai ragione, scusa…comunque ora possiamo andare… mi sembra sia uscito”
“dove andiamo?! Non dirmi a fare il giro turistico del campus, perché il prossimo ragazzo con il pass della biblioteca al collo che incontro riceverà un pugno in faccia, giuro.”
“troppe visite il primo giorno eh? Beh… non erano mai state queste le mie intenzioni…” Persie gli si avvicinò tanto da poter vedere il verde nei suoi occhi riflettere la sua immagine. 
“bene, allora nessuno si farà male…” il sorrisetto sulle labbra rosse di Persephone le faceva sembrare la pelle ancora più chiara di quello che era, i lineamenti più duri di quello che gli erano sembrati poco prima. 
“ok, dopo questa, non porterò mai più al collo il mio pass per la biblioteca…” Persephone rise davvero questa volta, senza forzature, solo di gusto.
“faccio paura eh!”
“soltanto a volte… senti, se mi prometti che la caffeina non aumenta il tuo grado di aggressività, potremmo andare da Starbucks… ciambella e caffè.. ti va?”
“non dire altro.”
   
 
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