Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Yumao    04/08/2014    9 recensioni
La città in cui vive Emma è racchiusa da mura altissime, assediata da nemici di cui nessuno conosce il nome o l'aspetto, circondata da nient'altro che deserto. Non ha bisogno di un nome, perché non esistono altre città: lontano dalle mura nessuno potrebbe sopravvivere senza perdere ciò che lo rende umano.
La curiosità è peccato, parlarne è pericoloso, anche solo desiderare di vedere il mondo esterno corrompe l'anima. Ma Emma vuole sapere.
Genere: Angst, Avventura, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
3 - La biblioteca

La biblioteca


«Ti dico che non è strana! L’ho sentita io, parla benissimo!»

«Sì che è strana, non importa se parla. Non vedi che ha gli occhi strani?»

Osservò Anton litigare con i monelli di strada sbattendo gli occhi incriminati, di un azzurro intenso, la forma allungata e il taglio diagonale, così diversi dagli occhi scuri e rotondi dei monelli dei canali. «E allora? A me piacciono. Sei solo geloso!»

Ci stava facendo l’abitudine ormai. Più o meno da quando era arrivata, più di un anno prima, ogni volta che uscivano a giocare senza la supervisione degli adulti Anton si accapigliava almeno tre volte al giorno con gli altri bambini Sianelesi, per difenderla dalle prese in giro. Gli aveva detto che non le importava, ma per lui difendere il suo onore sembrava essere il massimo del divertimento.

Lasciò i due ragazzini ai loro giochi e si allontanò dalle vie sopraelevate, dove le case erano costruite su complicate impalcature di legno per tenerle lontane dall’umidità dei canali, scendendo delle strette scalette e correndo per viuzze secondarie.

In realtà le era stato raccomandato dalla signora Agnes di stare lontano da quei bassifondi, dove si respirava aria cattiva e si rischiava di incontrare gente poco raccomandabile, ma a lei piaceva sentire i sentieri di solido acciottolato sotto i piedi, tanto per cambiare. Le piaceva cercare i fiori che crescevano fra le crepe e tirare i sassi nei canali secondari per guardare i pesci che affioravano sperando di trovare qualcosa da mangiare.

Sentì delle voci e si infilò in una viuzza secondaria per non farsi scoprire. A quell’ora tutti gli abitanti dei canali erano a pesca, chi poteva essere?

Sbirciò da dietro una botte per la raccolta dell’acqua piovana e vide il capomastro del rione, Maurus Bondesan, confabulare con una figura grigia incappucciata davanti a un pontile seminascosto. «Ma certo… ma certo, siamo sempre al servizio della vostra congrega… come volete, stanotte. Troverete la barca pronta, proprio qui.»

Rimase perplessa nel vedere Maurus balbettare agitato. Di solito era un omone baffuto, allegro e rumoroso, la cui voce si sentiva spiccare chiara e forte anche sopra il rumore della folla raccolta nella piazza, per l’assemblea domenicale.

Rimase accucciata dietro alla botte finché Maurus e l’uomo in grigio non furono scomparsi, poi corse a cercare Anton.

«Quello era un frate grigio!» Esclamò con ammirazione Bruno, il monello con cui si stava azzuffando fino a un minuto prima. Anton lo guardò scettico. «I frati grigi non esistono, scemo! E nemmeno quelli neri!»

«Ti dico di sì, cretino! Ho sentito mia mamma che ne parlava con una sua amica!»  

«Cos’è un frate grigio?» Intervenne veloce, prima che ricominciassero a litigare. «Sono un po’ dei maghi, un po’ degli studiosi. Super intelligenti, leggono tanti libri… stanno in un posto nel centro della città e non escono quasi mai, a meno che non devono fare degli incantesimi sulle mura.» Spiegò Bruno dandosi un tono. «Ti dico che non esistono!» Insistette Anton. «Sì, invece. Se non mi credi stasera andiamo al posto dove l’ha visto Emma e li spiamo. Così li vedi con i tuoi occhi.» 

«Se ci sono per davvero giuro che mi bevo l'acqua del canale Grando!»

 
«Ancora ricerche per quello strano professore eh?» Emma annuì, con i gomiti appoggiati all'alto bancone del bibliotecario e il sorriso più educato ed innocente che riuscì a produrre. Lo strano professore era Phyllis Astropher, anziano ometto canuto ma energico, unico professore proveniente dai rioni nonché unica altra persona in tutta la scuola ad essere Sianelese. Non a caso insegnava la materia più denigrata di tutta la scuola: scienze geografiche.

In effetti a che servivano le scienze geografiche quando lo spazio abitabile era così ristretto da poterlo conoscere palmo a palmo? Di certo non c’era il bisogno pratico di orientarsi con le stelle. In più ogni tanto parlava di cose che sconfinavano nella mitologia, se non nell’eresia: diceva che quelle conoscenze erano un retaggio di un’epoca in cui i loro antenati erano stati esploratori e avventurieri, epoca che secondo i dogmi che tutti imparavano fin da bambini non poteva essere esistita. Ogni anno la sua materia rischiava di essere cancellata e se si era salvata fin ora era stato grazie all’intercessione del patrono, che si diceva fosse segretamente appassionato delle leggende sul mondo di fuori.

Forse per solidarietà fra derelitti, forse perché l’accento Sianelese del professore le attenuava la nostalgia di casa, Emma aveva eletto scienze geografiche a sua materia preferita e ogni anno sceglieva il professor Astropher come tutor per la tesi finale.

Il bibliotecario scosse la testa con disapprovazione. «Una signorina come te non dovrebbe farsi riempire la testa di grilli in questo modo.» Emma rimase in silenzio, sorridendo educatamente e insultandolo mentalmente, mentre il bibliotecario la scrutava dall’alto del suo scranno. «Avanti, fila, la strada la sai!» Si rassegnò alla fine, azionando il meccanismo che apriva il cancello.

Emma si avventurò fra le alte file di scaffali in legno scuro, facendo scorrere la mano destra sulle coste dei libri quasi potesse percepire le storie che avevano da raccontare solo sfiorandoli. Man mano che avanzava e che i suoi passi risuonavano leggeri sul pavimento in pietra i libri si facevano più vecchi, malconci e impolverati. I libri nelle altre sezioni erano frequentemente ristampati dalla gilda dei tipografi, ma quelli erano codici vecchi di svariate decine di anni e non venivano sostituiti finché non cadevano a pezzi.

Stava cercando i libri assegnatele dal professore quando il suo sguardo cadde su un grosso libro di pelle con delle borchie ai lati, che si trovava sullo scaffale più alto. Non sapeva perché attirasse così tanto la sua attenzione. Forse per l’aspetto antico e misterioso, o forse solo perché sporgeva un po’ dallo scaffale, o perché mancava il titolo. Circondato da libri molto più piccoli e di materiale più scadente, sembrava essere stato messo sullo scaffale sbagliato.

Non sapendo resistere alla curiosità si guardò attorno cercando una scaletta. Ne trovò una pochi scaffali più in là, in legno di noce come la libreria, con dei ganci metallici in cima per agganciarla allo scaffale. La sollevò con qualche difficoltà e, inciampando un po’, la posizionò accanto al libro che aveva notato. Cercò di convincersi che probabilmente era solo un libro noioso, un catalogo o un testo di vecchie poesie scritte male da qualche nobilotto borioso, ma mentre si arrampicava non riuscì a soffocare uno strano senso di aspettativa. Prese il libro dallo scaffale, notando con un angolo della mente che non era impolverato come gli altri. Era così grande e pesante che era difficile da maneggiare. Scese la scaletta stringendolo a se con un braccio e andò a cercare un angolino appartato della biblioteca. Trovò una finestra a incasso con un divanetto che faceva proprio al caso suo, in fondo alla già poco frequentata ala di geografia e aprì la prima pagina con un timore reverenziale.

Atlante storico di Arhal e delle sue genti.

Il titolo la confuse. Aveva sentito dire che Arhal era il nome con cui qualche studioso si riferiva alla terra emersa su cui sorgeva la città, e aveva visto anche qualche mappa. Ma perché atlante storico? E cosa voleva dire con “le sue genti?”

Un rumore nella corsia accanto la fece sobbalzare e chiudere il libro di scatto. Senza sapere bene perché nascose il libro sotto al divano e se stessa dietro una tenda. Anzi, sapeva perché si era nascosta dietro la tenda: aveva riconosciuto la voce di Rebecca Stieber e non voleva essere vista da lei in un posto isolato e con un’espressione così colpevole stampata in faccia.

Con suo orrore scoprì che Rebecca era in compagnia di un ragazzo. «Dai, qualcuno potrebbe vederci…» stava dicendo il poverino con aria terrorizzata. Anche lei sarebbe stata terrorizzata ad avere Rebecca così vicina. Era una ragazza carina, non la bellezza prorompete di Yuri, una bellezza più sobria ma comunque apprezzabile.

Peccato che fosse una delle persone più perfide che Emma avesse mai incontrato, ed essendo nella sua stessa classe era sicura di parlare con cognizione di causa. A quanto pare essere parte di una delle famiglie più potenti della Città fa questo effetto.

«Non ci vedrà nessuno bello. Questo è il reparto geografico.» da come lo disse lei, “geografico” sembrava un’imprecazione ben peggiore di quelle che si sentivano a Sianel. E a Sianel sapevano imprecare come da nessun’altra parte.

«Certo tu sei tranquilla… se ci scoprono tu te la caverai con un rimprovero e una punizione. Io invece…» “Bello” esitava molto nel parlare, come se Rebecca avesse potuto staccargli la testa da un momento all’altro. Per un attimo se la immaginò come una grossa mantide religiosa, come quelle che osservava da bambina sui pochi fili d’erba che crescevano sulle rive dei canali. Effettivamente aveva uno strano modo di tenere le mani quando camminava che rendeva il paragone con l’insetto ancora più azzeccato. Chissà cosa avrebbe avuto da dire Yuri.

Ovviamente a Rebecca non importava nulla di quello che sarebbe successo all’amico se li avessero beccati, perché dal disgustoso rumore di risucchio pareva che gli si fosse attaccata come una ventosa.

Le relazioni fra studenti erano proibite, ma Rebecca era praticamente intoccabile quindi non si curava molto di seguire le regole, anzi: le infrangeva solo per dimostrare che lei poteva farlo.

Improbabile che si potesse dire lo stesso per il povero Bello, Rebecca non era stupida e non avrebbe mai giocato così con un suo pari. Emma cercò di trattenere un sospiro e sbirciò fuori dalle tende. I due ragazzi erano circa a sei metri da lei, appoggiati al muro in fondo alla fila di scaffali. Con un raro moto d’orgoglio, decise che lei aveva diritto di essere lì tanto quanto Rebecca, e che non si sarebbe nascosta come una ladra solo per paura di una ragazzina viziata. E poi sembravano piuttosto impegnati, probabilmente sarebbe riuscita a scivolare via senza farsi vedere.

Fece qualche passo trattenendo il respiro. Era arrivata quasi al corridoio, poi poteva sparire dietro un’altra fila di scaffali e… «Cos’è stato?»

Maledisse con tutto il cuore Bello, la sua ipervigilanza e la piastrella sconnessa che l’aveva tradita producendo un lieve tonfo, poi si girò piano cercando di sembrare tranquilla, anche se era sicura di avere la stessa faccia rassegnata di una mucca con il cappio al collo. Rebecca la vide ed emise un verso rabbioso.

«Cosa ci fa qua dentro una stupida carpa come te? Dovevi proprio venire a disturbarmi?»

Tu dovevi proprio venire qui a tormentare Bello, con tutti i posti che potevi scegliere?  Sarebbe stato poco saggio rispondere in modo del genere, a meno che non avesse deciso di passare il resto della sua vita come schiava in una miniera di carbone, così si affannò cercando una risposta che non suonasse irrispettosa. «Io… leggevo?» la frase le uscì come una domanda un po’ balbettante, che la fece vergognare di sé. «L’ho capito che leggevi, siamo in una biblioteca! Sei più cretina di quanto pensassi.» La guardò con disprezzo, riflettendo, mentre Emma si fissava le scarpe. «O forse pensi che sia cretina io?» Aggiunse con tono minaccioso.

Era un colpo basso, quello. Cioè, sì, pensava che fosse un po’ cretina, ma Rebecca aveva una così alta opinione di sé che non avrebbe mai veramente creduto che qualcuno la considerasse meno che perfetta, stava solo cercando di metterla in difficoltà. «No… io…»

Non essere vigliacca, tirale un pugno! Un pugno sul naso! O hai paura? La accusò una voce in un angolo della sua mente, mentre cercava di decidere cosa dire.

Non è che ho paura, è che non voglio guai.

Sì, hai paura.

Ok, ho paura, ma sono giustificata. Questa è una squilibrata.

E allora rompile il naso.

Sì certo, quando vorrò essere arrestata e impiccata nella pubblica piazza per aver aggredito una Stieber.

Probabilmente aveva mantenuto uno sguardo vitreo per tutta la durata di questo piccolo dialogo mentale. Unito al boccheggiare in cerca di una giustificazione doveva farla sembrare una replica piuttosto fedele di una carpa.

Ora Rebecca si trovava a circa cinque centimetri dal suo naso e la cosa la metteva un po’ a disagio. Parecchio a disagio.

«Se osi dire a qualcuno quello che hai visto ti ributto nel canale a cui appartieni.» Disse glaciale. Evidentemente era già stufa di giocare con lei. Emma aveva bisogno di deglutire ma si impose di non farlo. Guardò un attimo Bello da sopra la spalla di Rebecca e non poté che provare pena per lui. Non lo conosceva: frequentava troppo poco le aree comuni per conoscere i ragazzi della scuola.

La cravatta rossa lo identificava come uno dell’ultimo anno, e lo stemma sulla giacca come uno della gilda dei tipografi. Era piuttosto bello in effetti: biondo, occhi turchesi, delicato… sembrava decisamente terrorizzato. «Non dirò nulla a nessuno.» Disse decisa guardando Bello negli occhi per un attimo. Se non altro perché mi dispiace per te. Lui sembrò sollevato ed Emma si aggrappò all’idea che se non denunciava il rapporto illecito di Rebecca non era per paura delle conseguenze ma per generosità d’animo.

Solo Rebecca non sembrava molto soddisfatta, forse avrebbe preferito che lei provasse a denunciarla, così avrebbe avuto una scusa per farla cacciare fuori. Probabilmente era anche per quello che l’aveva provocata tanto, sperando di spingerla oltre al limite.

Se ne andò con un passo marziale, lasciando lei e il ragazzo soli nel corridoio per un attimo.

Bello la fissava. Emma fissava il pavimento come se fosse la cosa più interessante che avesse mai visto.

Dopo un minuto, che evidentemente era il tempo di sicurezza che doveva aspettare prima di seguire Rebecca da qualche parte, se ne andò anche lui, passandole molto vicino. Emma faceva molta fatica a credere di averla passata liscia, ed era abbastanza sicura che avrebbe subito altre ripercussioni in futuro. Si affrettò a cercare sugli scaffali i libri che servivano e a tornare a scuola prima che chiudessero i cancelli, prima del tramonto. Rimanere fuori dai cancelli voleva dire passare la notte all’aperto, e se l’avessero trovata sarebbe potuta finire nei guai. E guai, per la gente dei rioni che aveva la fortuna di frequentare l’accademia, voleva dire guai molto brutti: peggio dell’espulsione. Amavano usarli come esempio del perché la gente semplice non deve avere ambizioni, appena ne avevano occasione.

In camera trovò ad aspettarla una Yuri tornata completamente alla normalità, che leggeva canticchiando seraficamente. Come facesse a leggere e contemporaneamente a canticchiare per Emma era un mistero, ma il mistero era parte integrante di Yuri, e lei la preferiva così che sconvolta. Forse.

«Ehilà!» la salutò sorridente prima di reimmergersi nel suo libro. Poi fece un balzo come se uno scorpione l’avesse punta. «Oh, Emy, ho una cosa per te!»

Prima o poi dovresti dirle che odi essere chiamata così.

Preferisco non anticipare il momento in cui mi sgozzerà nel sonno con la penna d’oca. Può chiamarmi come vuole.

Yuri frugò nella borsa che usava per portare i libri a lezione e tirò fuori un tovagliolo. Emma lo aprì e vide che era pieno di biscotti. Gli occhi le luccicarono voraci.

«Mi dispiace averti fatto saltare così tanti pasti, così ho chiesto alla capo cuoca se poteva darmi dei biscotti. Lei mi adora.» Emma sentì un’onda di calore partirle dallo stomaco gorgogliante e arrivare al viso, fino a pungerle gli occhi. Regalarle del cibo era il modo migliore di guadagnarsi la sua riconoscenza. Specie se si trattava di dolci, cosa di cui la sua vita era sempre stata tristemente priva. «Grazie…»

Avrebbe voluto aggiungere altro… ma non sarebbe stato da lei. E poi poteva sembrare esagerato reagire così per qualche biscotto. Aveva già la bocca piena quando pensò che sarebbe stato educato dividere.

«Nhe voi unho?» Chiese cercando di non sputacchiare troppe briciole e ignorando la voce che le urlava “taci e divorati tutti i biscotti”.

Con suo grande sollievo Yuri declinò l’offerta ed Emma poté finire di abbuffarsi in pace.



Ed ecco che è venuto fuori questo misterioso atlante del titolo! Ma perché svelare tutto subito quando può apparire la str**za di turno a far stare tutti sulle spine? Sì, è un po' stereotipa in stile le sorellastre di Cenerentola, ma visto che Emma ha conosciuto solo questo lato di lei e che la storia è raccontata dal suo punto di vista ho trovato appropriato rappresentarla così.
Avrei tanto voluto che Emma avesse ascoltato la sua voce interiore e le avesse tirato un pugno sul naso, ma più che altro per istinto di sopravvivenza ha preferito evitare. Yuri sembra aver trovato la strada più diretta per il cuore di Emma! Sarà stato un caso o una mossa calcolata? Chissà! XD ----- 羽毛
 

   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Yumao