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Autore: Monkey_D_Alyce    05/08/2014    3 recensioni
Si continuava a convincere di aver fatto la cosa giusta.
Non chiedeva il mondo.
Voleva solamente voltare pagina.
Eppure tutte le sfortune di questo pianeta capitavano solo a lei!
Era arrivata a Londra sotto un bell'acquazzone, ma non solo!
Ora doveva pure sorbirsi delle stupide deduzioni da parte di un detective eccentrico ed egoista di nome Sherlock Holmes!
Fantastico!
Veramente fantastico.
(SOSPESA MOMENTANEAMENTE!)
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Nami, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Non-con, Triangolo
Capitoli:
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5° capitolo: Would you go to bed with me?

 
 
A quelle parole, Nami rimase allibita.
Non riusciva a dire o fare nulla di concreto.
Dentro di lei pervadeva una tempesta burrascosa: rabbia, indignazione, stupidità nei suoi confronti per aver creduto a tutto quello che aveva visto o sentito.
Voleva picchiare Sherlock a sangue, continuandogli a dare dei pugni sul suo volto finché non si sarebbe riempito di ematomi e sangue.
Voleva gridare e distruggere tutto.
Forse era ancora sotto gli effetti della droga, pensò ad un certo punto, guardando fuori dalla finestra, osservando le piccole goccioline di pioggia scivolare in lunghe scie arzigogolate sui vetri.
Pioveva a dirotto e il cielo era nero come pece.
 
“Perché?” chiese all’improvviso, tornando a guardarlo, per quanto l’oscurità glielo permettesse.
“Volevo movimentare la giornata. Mi stavo decisamente annoiando” le rispose accavallando le sue lunghe gambe con eleganza, facendo irritare ancor di più la ragazza.
Sembrava la stesse sfottendo.
“Solamente perché ti annoiavi? Solamente perché ti annoiavi?!? Ma ti sembra una cosa da fare? Dannazione, Sherlock! Era tutto così fottutamente reale! Te ne rendi conto?!?” gli inveì contro, avvicinandosi velocemente al detective, prendendolo successivamente per il colletto della camicia, sollevandolo di un poco dalla sua posizione.
 
Gli occhi di lui erano inespressivi e freddi in confronto a quelli della ragazza.
I suoi erano pieni di rabbia e odio.
 
“Certo che me ne rendo conto. Ma la cosa è irrilevante: siamo vivi e vegeti, mi sembra” la rimbeccò lui prontamente, facendola sobbalzare un poco.
Purtroppo aveva ragione, gliene doveva dare completamente atto.
Ma non giustificava del tutto il suo gesto sconsiderato: lei non si era mai drogata e poteva rischiare di andare ancora una volta all’Ospedale.
“Per quanto ancora sarò sotto i suoi effetti?” domandò cambiando completamente discorso, mantenendo, però, la sua posizione, senza scomporsi di un millimetro.
“Ancora quarantasei minuti, circa. Ho fatto in modo tale che la tua somministrazione non risultasse troppo pesante” rispose indifferente, sostenendo il suo sguardo.
“Certe volte sei davvero odioso!” commentò acida per poi mollare la presa sul colletto della camicia, accorgendosi di averla stropicciata un poco, ma decise di non farci caso.
 
Uscì dal salotto nella più totale oscurità, rischiando di cadere molte volte.
Entrò nella sua camera da letto, lasciando la porta aperta, e si cominciò a spogliare, rimanendo solamente in intimo.
 
Sherlock, avendola seguita con passo felpato, rimase a guardare i movimenti fluidi del corpo di Nami, intenta ad allungarsi sulle punte dei piedi per prendere un pigiama dal suo armadio.
“Finito di squadrarmi come se fossi una carcerata?” gli domandò distrattamente infilandosi una t-shirt nera abbastanza lunga da coprirle una piccola parte delle cosce.
“Non ti stavo squadrando. Ti stavo osservando” la corresse lui rivolgendole un piccolo sorriso di scherno, facendola innervosire più di quanto già non fosse.
“Attento Sherlock. Mi prudono terribilmente le mani e potrei non rispondere delle mie azioni future per ciò che hai fatto!” sibilò a danti stretti, mettendosi coricata sul letto a pancia in su.
Il ragazzo la raggiunse, stando fermo e dritto in piedi, cominciando ad osservare ogni dettaglio del viso: dalla sua frangetta che le ricadeva ribella e sbarazzina sulla fronte e parte degli occhi color nocciola alla sua bocca sottile e distesa in una leggera linea dritta.
 
“Tanto non lo farai, Nami. Sei ancora troppo sconvolta dagli eventi per picchiarmi” la derise lui con un ghigno stampato in faccia.
“Tsk! Che antipatico strafottente e…e…psicopatico malato di mente!” lo insultò girandosi a pancia in giù, incrociando le braccia sotto al mento, facendo ondeggiare distrattamente le gambe avanti e indietro.
“Non sono uno psicopatico malato di mente! Sociopatico iperattivo!” sbottò lui offeso, regalandole un’occhiata truce.
“E ne vai fiero? Contento tu!” sbuffò lei infastidita, facendo roteare gli occhi al cielo al consulente detective.
Possibile che non riuscissero avere una discussione civile e seria?
Perché si mettevano a litigare come due bambini capricciosi neanche avessero rubato loro i giocattoli?
“Assolutamente! Il mio cervello è un hard disk in continuo funzionamento: non si stanca mai” ribatté con una nota di orgoglio nella voce, facendo sospirare la rossa pesantemente.
“Però agli altri non pensi mai, vero?!? Fai soffrire la gente a tuo piacimento, provando piacere non appena la gente grida per lo spavento o piange perché si sentono deboli!” gli fece notare guardandolo dritto nei suoi occhi color ghiaccio.
I suoi occhi erano uguale all’animo di quel ragazzo: freddi e privi di empatia.
“Oh, ti sbagli, invece! Io mi limito ad osservare in modo distaccato. Io non provo nulla. Non so che cosa sia la felicità, l’amore o la paura. Io vivo solamente per il mio lavoro e cerco di non annoiarmi con futili sentimentalismi” le spiegò lui per nulla toccato, chinandosi sulle sue ginocchia, osservando così, ogni singolo lineamento di lei.
Il suo volto trasmetteva più di mille parole, e i suoi occhi così grandi e dal color intenso e caldo si mettevano in profonda competizione con il suo viso.
Le molte volte che li aveva visti, leggeva sempre curiosità e un comportamento birichino, proprio come quello di una bambina.
Ma in quel momento erano occhi di una ragazza sicura di sé e che sapeva tener testa a chiunque.
Era bramoso di sapere come avrebbe reagito.
Voleva sapere la sua reazione, gustandosi il suo viso scioccato e indignato.
Nami si avvicinò al viso di Sherlock tanto che poteva sfiorargli uno zigomo con la punta del naso.
Le loro bocche quasi si toccavano.
 
“Sai cosa ti dico, consulente investigativo dei miei stivali? Che sei solamente uno stronzo privo di cuore. Mi chiedo come John ti possa essere amico…” gli disse in un sussurro, per poi allontanarsi velocemente da lui, come impaurita, rimanendo, però, a fissarlo.
Il ragazzo sorrise enigmatico.
“Tu non sai nulla di me” ribatté solamente, guardando la porta aperta per un momento per poi riposare lo sguardo sulla ragazza.
“Ah, già! L’abito non fa il monaco! Però tu sei l’unico caso contrario!” ringhiò con una punta di sarcasmo nella voce.
Più lo conosceva, più lo detestava.
“Tsk! Certe volte sei davvero ingenua e stupida, ragazzina…”
“Ho vent’anni! Non sono una ragazzina!” rispose Nami a quell’insulto velato, digrignando i denti e masticando imprecazioni a Sherlock.
“Come hai detto tu: l’abito non fa il monaco” la derise lui facendola infuriare.
 
In meno di due secondi, la rossa gli saltò addosso, facendolo cadere per terra all’indietro, per poi sedersi sopra di lui e prenderlo per il colletto della camicia.
Dalla sua gola continuavano a salire dei ringhi gutturali, neanche fosse stato un gatto alla vista di un cane.
Aveva una voglia incredibile di “regalargli” un bel pugno sul naso e sputargli in un occhio.
Sapeva di essere una ragazza piuttosto manesca, ma era anche molto paziente.
Solamente lui, quel maledettissimo detective, aveva il misterioso “potere” di fargli perdere le staffe.
Non sapeva cosa provava nei suoi confronti.
Non lo odiava, né gli stava simpatico, ora che ci pensava meglio.
Era un bel dilemma: non era a Londra da nemmeno settantadue ore, eppure, aveva già vissuto incredibili avventure.
Una cosa mai successa prima.
Certe volte voleva picchiarlo a sangue, altre, ringraziarlo per la sua fottuta indifferenza nei suoi confronti.
 
“Fallo.” le ordinò perentorio Sherlock, distendendo le braccia sul pavimento freddo, dandole carta bianca.
 
Nami si risvegliò dai suoi pensieri e rimase interdetta per pochi attimi, il tempo di dare a Sherlock di capovolgere le posizioni: lei sotto, lui sopra.
Sapeva di essere abbastanza leggero, ma decise comunque di non sedersi su di lei, sfruttando le sue ginocchia per tenersi in equilibrio, non gravando il suo peso sul corpo della ragazza.
Si chinò, appoggiando le mani sul pavimento ai lati della testa della rossa, “imprigionandola”, e avvicinò al viso quel tanto che bastava per sentire il fiato di Nami sul suo volto.
“E’ questo quello che succede a chi prova dei sentimenti o emozioni: esita” le spiegò non spostandosi di un millimetro.
 
Nami, a differenza di lui, era estremamente scioccata: farsi prendere così alla sprovvista dal ragazzo che in quel momento odiava.
Anzi!
Era scioccata dal fatto che non riusciva ad odiarlo…
Non era odio, quello che provava…e questo la mandava in completa confusione.
Da non dimenticare anche il fatto che da seduta comodamente su Sherlock era passata ad una posizione stesa supina sotto Sherlock.
 
“N-Non c’è nulla di male ad essere umani. Ora, spostati!” esclamò semi scandalizzata, facendolo ghignare divertito.
“E chi ti dice che mi sposterò?” le domandò guardandola con una luce sinistra negli occhi, avvicinando le sue labbra al lobo del suo orecchio, sfiorandolo appena, facendo sobbalzare un poco la rossa.
“Te l’ho ordinato io!” cercò di dimenarsi, ma quello, neanche dava il minimo segnale di volersi spostare.
“Mmh…interessante deduzione, ma non funzionerà”
“Ho altre armi da sfruttare!” lo ammonì lei, addolcendo la voce di un poco.
“La seduzione non funzionerà, te lo garantisco”
“E chi ha detto che avrei usato la seduzione?” domandò lei arrossendo un poco, facendolo sogghignare divertito.
Nami fece un sorrisetto storto e, approfittando della situazione, fece scivolare il consulente detective sotto di lui, sorprendendolo per pochissimi secondi prima di ritornare serio e composto.
Avvicinò il viso a quello di lui, puntandogli un dito contro il petto, cominciando a farlo scendere lungo la camicia fino allo stomaco:
“Vedi che avevo ragione?” lo rimproverò divertita, facendo sorridere Sherlock.
 
John tornò a casa correndo, letteralmente.
Era preoccupatissimo.
Aveva il fiato corto e il suono del battito del suo cuore gli rimbombava a mille nella testa.
Le gambe erano terribilmente doloranti e calde, neanche stessero dentro alle fiamme dell’Inferno.
Aveva una punta allucinante, ma lui non ci fece minimamente caso, occupato com’era ad aprire la porta del 221B con mani tremanti, imprecando non poco quando la chiave cercò di scappargli dalla presa un paio di volte.
Salì le scale a due a due…
Dentro all’edificio regnava il completo silenzio e l’oscurità, facendo intimorire ancor di più il povero Watson.
 
All’improvviso, dei ghigni e delle parole mezze sussurrate gli giunsero alle orecchie, proveniente dalla stanza di Nami.
Con cautela si avvicinò alla camera…la porta era aperta…
 
Con i pugni ben pronti, si piazzò di scatto sullo stipite della porta, osservando la scena decisamente sorpreso:
“Mio Dio…ho…ho interrotto qualcosa?” chiese imbarazzato, guardando con insistenza la posizione della rossa sul consulente investigativo: era seduta comodamente sul bacino del ragazzo con un dito puntato sullo stomaco di Sherlock.
 
“C-Come?” domandò Nami senza realmente capire, osservando prima se stessa e poi il detective.
 
“H-Ho chiesto…se…se vi ho interrotto. Noto che siete in una posizione un po’…ecco…” cercò di spiegargli indicando loro in continuazione, scuotendo la testa in continuazione, sentendosi un emerito idiota.
 
Nami, accortasi di cosa John stesse cercando di dire, arrossì violentemente, per poi alzarsi di scatto, allontanandosi dal ragazzo su cui era seduta…comodamente
“Non è come sembra…John. Io e Sherlock n-non stavamo facendo né stavamo per fare niente. S-Stavamo litigando…” tentò di dire fissandosi i piedi, mentre Sherlock si alzò dalla sua posizione.
 
“Oh, sì, certo!”- disse John sorridendo, per poi ritornare serio e scandalizzarsi un poco- “Eravate seduti l’una sull’altro in una posizione…Mio Dio! Siete peggio di due bambini, voi due! Capisco che non stavate facendo nulla, vi credo. Ma vi chiedo di stare attenti. Per favore, state attenti, altrimenti le voci cominceranno a circolare velocemente”
La rossa, a quelle ultime parole, sobbalzò, ricordandosi del discorso che le aveva fatto John nell’allucinazione durante il gioco, ordinandole di non morire.
Lo guardò con aria colpevole, per poi riabbassare lo sguardo, facendo insospettire John:
“Nami…è successo qualcosa, per caso?” le domandò avvicinandosi con cautela, fino a ritrovarsi a pochi passi da lei.
Sherlock restò in assoluto silenzio, mettendosi le mani in tasca, osservando la scena con sguardo inespressivo.
 
“N-No, no, no! Non è successo nulla! Sono solo un po’stanca!” si giustificò con la sua bugia, facendo sospirare pesantemente il medico militare:
“Lo sai che stai mentendo, vero?” -gli chiese guardandola con rimprovero, facendola annuire lievemente- “Io non vi capisco! Sherlock non ha ancora spiccicato parola, il che mi preoccupa: non ha nessun caso da risolvere e quando è annoiato comincia a parlare su quanto sia intelligente e di quanto siano brillanti le sue deduzioni. E tu, Nami! Spiegami cosa diavolo è successo! Ho chiamato al telefono un mucchio di volte e nessuno mi ha risposto!
Dimmi cos’è successo. Ora!” la minacciò bruscamente, puntandole un dito contro.
John aveva capito benissimo che quella non era stata una serata/nottata passata a giocare a Cluedo.
Lo notò dal fatto che Sherlock era troppo silenzioso e Nami dal suo comportamento da colpevole.
Incrociò le braccia al petto, aspettando le dovute spiegazioni dalla rossa con calma, cercando di non gridare la sua frustrazione.
 
“Beh…ecco…” cominciò Nami torturandosi l’orlo della maglietta con le mani, mordendosi in continuazione il labbro inferiore.
Prese due respiri profondi e tentò di comporre nella sua mente un discorso logico e semplice nonostante il suo stato d’animo agitato.
“A-abbiamo giocato…” cercò di dire deglutendo più volte, sorprendendo John non poco.
 
Non si spiegava il suo comportamento così eccessivo per un gioco.
Forse lei non intendeva un gioco qualunque…
Pensò concentrato, per poi imbarazzarsi un pochino.
“Ma scusa…non avevi detto che non avevate fatto nulla di…eh?” le domandò gesticolando un poco.
 
“Appunto! Non abbiamo fatto un gioco… cioè! Non abbiamo fatto nulla del genere, John!”- s’infervorò la ragazza, alzando di un poco il tono di voce- “Diciamo che ci…siamo sballati e abbiamo giocato al “Gioco delle Ombre”!”
Disse tutto d’un fiato, guardandolo dritto negli occhi.
Non era stato semplice: quella misera spiegazione non era nulla di che, ma si poteva comprendere il concetto, no?
Pensò nel tentativo di tranquillizzarsi, riprendendo a respirare.
 
“Ok. Che diavolo è il “Gioco delle Ombre”? E cosa intendi con “sballati”? Vi siete drogati, per caso?” chiese con un filo di voce, deglutendo a vuoto.
Continuava a ripetersi che no, aveva sentito male, che Sherlock e Nami non si erano drogati con chissà quale schifezza.
Si sbagliò.
Eccome se si sbagliò.
“Sì, John. Ho messo io stesso dell’allucinogeno dentro ai nostri caffè. Nami non lo sapeva. Per tua informazione il “Gioco delle Ombre” è un gioco in cui si richiamano dei demoni e si affrontano varie prove: fuga, silenzio e paura…”
“Ok, ok, ok! Basta così! Ho sentito abbastanza. Ora Sherlock: mi spieghi perché cazzo vi siete drogati?!? O meglio, tu hai drogato tu stesso e Nami. Ti rendi conto che potevate rischiare la vita?!? Siete due incoscienti! E poi: perché Nami ha quell’espressione sul volto da che sono entrato?!? Cosa cazzo è successo di così grave da rid…”
“Ero in guerra. Con te, John. Afghanistan” lo interruppe Nami bruscamente, fermando all’istante la ramanzina del medico.
 
Dentro alla stanza calò un pesante silenzio.
La tensione era palpabile a pelle.
John non sapeva cosa dire o fare: era sconvolto.
Non solo per il fatto che Nami avesse “vissuto” in una qualche maniera le immagini atroci e devastanti della guerra, il calore cocente del Sole che ti penetrava a fondo fin dentro l’organismo, facendoti ansimare e delirare come un malato…oppure…il restare a stretto contatto con la Morte…
Era sconvolto anche dal fatto che non sapeva cosa aveva visto.
Per puro sbaglio, forse, aveva azzeccato appieno il luogo dove aveva prestato servizio in guerra.
Cos’altro aveva “colto” di quell’esperienza? Cosa?
 
“C-Che cosa…hai…visto?” riuscì a chiederle, cominciando a sentire l’ansia attanagliargli il petto e il respiro farsi irregolare, contando anche il fatto che il cuore stava battendo all’impazzata come un cavallo imbizzarrito.
Lo stomaco iniziò a contorcersi, facendolo irritare un poco.
 
“Morte…polvere e un ragazzo che moriva…noi che venivamo torturati e imprigionati dal nemico…” gli rispose trattenendo le lacrime, sentendo la voce incrinarsi.
 
John, a quelle parole, rimase basito.
C’era un fondo di verità, in ciò che Nami aveva detto.
Certo, non era stato catturato e torturato, ma un ragazzo era morto tra le sue braccia.
Aveva solamente diciannove anni.
Non poteva dimenticarsi la smorfia di dolore che accompagnò il ragazzo tra le spire della Morte.
Era una figura che gli sarebbe rimasta impressa fino alla fine dei suoi giorni.
 
“Come si chiamava…il ragazzo che hai visto morire…?” domandò ancora, chiudendo gli occhi per prepararsi all’inevitabile.
 
“Michael” ribatté con un fil di voce, mentre una lacrima le solcò lentamente una guancia.
 
John trasse un respiro profondo, sconfortato da quella rivelazione.
Ciò che aveva risposto la rossa era vero.
Dannatamente vero.
Il ragazzo, Michael, morì per poter proseguire sulla linea nemica, chiedendo ai suoi compagni di coprirgli le spalle.
Fu tutto inutile richiamarlo all’ordine, supplicandolo di tornare indietro, di ragionare.
Gli urlò di non fare stronzate, di non compiere quel gesto suicida.
Non lo ascoltò e quel diciannovenne ne pagò le conseguenze, facendo sentire Watson terribilmente in colpa, rimproverandosi il fatto di non essere stato un buon superiore e di non saper comandare i suoi uomini a dovere.
Avrebbe dovuto inseguirlo, proteggerlo dall’attacco dei nemici, sacrificandosi per lui.
 
Ora non sapeva che fare.
Nella sua mente si ripeté il fatto, che a causa sua, le persone stavano male, in un modo o nell’altro.
Adesso, alla sua lista, si era aggiunta pure Nami.
Perché non veniva mai ascoltato?
Gli aveva raccomandato di non fare sciocchezza, invece, era accaduto tutto il contrario.
 
Continuò a darsi dell’idiota e dello sciocco finché non sentì un corpo schiacciato al suo, due braccia esili circondargli il collo e una testolina rossiccia nascondersi nell’incavò del suo collo, cominciando a sentirlo un poco umido.
Nami era andato da lui per abbracciarlo al fine di dargli un po’di conforto, ma non solo quello.
In quell’abbracciò c’era un mix di scuse e affetto fraterno che non aveva mai avuto.
Da nessuno.
Nemmeno da sua sorella Harriet.
Lui e sua sorella non si erano mai voluti bene. Avevano passato tutto il tempo ad odiarsi e litigare per cose futili.
Quindi, quel gesto inaspettato, fu una grande sorpresa per John.
Sulle prime, s’imbarazzò, boccheggiando un poco, ma poi, sentendo quelle braccia stringerlo ancor di più ma delicatamente, gli scaldò il cuore e ricambiò l’abbraccio, avvolgendo il suo arto destro attorno alla vita di Nami e la mano sinistra poggiarsi delicatamente sul capo di lei, affondando le dita tra quei soffici capelli profumati.
 
“Comunque sia…”- riprese John dopo alcuni secondi, non mollando comunque la presa sulla ragazza- “Fate ancora una cosa del genere e vi giuro che non la passerete liscia. Sono stato abbastanza chiaro?”
Sentì Nami annuire e poi volse lo sguardo verso l’investigatore.
“Sherlock?”
“…Va bene. Ma mi stavo annoiando e mi è parso…”
“No, no, no. Non rovinare il momento Sherlock, perché altrimenti non rispondo più dei miei pugni. E non m’importa se sei ancora sotto gli effetti dell’allucinogeno” lo rimbeccò zittendolo all’istante.
 
Dopo quella discussione decisero di prendersi una buona tazza di thè e dei biscotti, complice il fatto che oramai erano le sei del mattino.
John doveva farsi una doccia e sbarbarsi prima di andare in ambulatorio e Sherlock non aveva nessuna intenzione di dormire.
Nami non era da meno, considerando che non avrebbe preso sonno neanche sotto l’effetto di un sonnifero.
Non dopo quello che era successo.
Non ne avrebbe risentito dato che era abituata a cose peggiori che non dormire per una notte.
 
Si accoccolò sulla poltrona di John ancora in “pigiama”, avvicinando le gambe al petto, avvolgendole con le sue braccia, fissando il paesaggio fuori dalla finestra.
Nonostante piovesse ancora, il cielo si era ingrigito, “perdendo” il nero della notte che lo aveva caratterizzato poco tempo prima.
 
Sherlock, invece, si era seduto sulla sua poltrona cominciando a pulire il suo violino con cura e delicatezza, richiamando l’attenzione della ragazza, osservando rapita i suoi movimenti eleganti e pratici.
 
Chissà come si comporta Sherlock a letto quando è con una donna…o con un uomo! Forse è gay… No, no, no! Nami, non divagare! Piuttosto usa un termine generico per entrambi i sessi!”- pensò scuotendo energicamente la testa, mentre il consulente investigativo la osservava di sottecchi, capendo dal suo comportamento a cosa stava pensando. Un ghigno gli attraversò il volto, ma la ragazza non se ne accorse, presa dai suoi pensieri- “Forse tratta le persone che vanno a letto con lui come sta facendo con il suo violino, oppure no…forse è un dominatore! Ma che vado a pensare??? Mica ci devo andare a letto insieme!
Si rimproverò nella mente dandosi un pizzicotto sul braccio come punizione.
“Nami, stai bene?” le chiese con fare beffardo Sherlock, risvegliando la ragazza.
Arrossì vistosamente per i suoi pensieri sul ragazzo e distolse lo sguardo dalle sue mani e dal violino.
“Assolutamente!”  disse accennando un sorriso nervoso.
 
“Sicura? A me non sembra dato il tuo comportamento di ventidue secondi fa:  scuotevi la testa come a rimproverarti di qualcosa e ti sei data un pizzicotto sul braccio, forse per ritornare a pensieri più “normali”, inoltre, quando ti ho richiamato, sei arrossita e hai distolto il tuo sguardo dalle mie mani e dal violino. Stavi pensando come fossi a letto, vero?” la mise alle strette ghignando furbescamente, puntandole contro l’archetto dello strumento musicale.
Nami, per l’ennesima volta, voleva saltare addosso a Sherlock e riempirlo di pugni, ma si trattenne.
Se voleva vincere contro di lui, doveva reggergli il gioco e lo avrebbe fatto.
 
“Ma che bravo!”- si complimentò sorridendo melliflua, mettendo in allerta Holmes- “Rispondi, allora!”
Lo sfidò guardandolo con occhi sinistri e maliziosi, leccandosi le labbra in modo calcolato.
“Che intendi?” le domandò interessato, piantando i suoi occhi color ghiaccio in quelli nocciola di lei.
In fin dei conti, lo divertiva: sapeva usare il suo cervello a dovere e gli teneva testa.
Certo, quella ragazza aveva molto da migliorare, ma era sulla buona strada.
Doveva ammettere che “capitavano” le persone giuste nel 221B di Baker Street: prima il medico militare tornato dalla guerra in Afghanistan, John Watson, ed ora, questa ragazza dai capelli rossi, Nami, arrivata a Londra per dare una svolta alla sua vita tormentata dal lavoro e dal suo ragazzo possessivo e poco di buono.
Non poteva chiedere di meglio, Sherlock.
 
“Oh, sai benissimo cosa intendo! Sei stato a dir poco brillante con la tua deduzione sui miei pensieri. La mia domanda era rivolta proprio a questo argomento che tu hai tratto in ballo, Sherlock!” ribatté Nami appoggiando la testa sulle ginocchia vicine al petto, inclinandola contemporaneamente da un lato, continuando a sorridere indisturbata.
Sherlock la guardò più a fondo e sorrise contento della sfida muta che ella gli aveva lanciato.
Sapeva come sconfiggerla in un solo colpo, mettendola in imbarazzo.
Bastava solamente una semplice domanda o…invito.
“Se lo vuoi sapere, perché non provi?” le chiese accavallando sensualmente le gambe, riponendo il violino e l’archetto nella loro custodia, poggiandola sul tavolino, per poi ritornare con l’attenzione su di lei.
 
Nami, per un breve momento, fu come presa in contropiede e non seppe cosa rispondere.
Quel ragazzo sapeva “rimetterla in riga” in pochi attimi, umiliandola, in un certo senso.
Non si doveva abbattere!
Se doveva perdere, avrebbe perso con dignità!
Tanto valeva rischiare il tutto per tutto.
 
Vuoi?” si offrì senza pensarci ulteriormente, mantenendo la sua posizione.
“Io ti ho già invitato” le rispose appoggiandosi allo schienale della sua poltrona, incrociando le mani sotto al mento.
Pensava si fosse ritirata, invece voleva andare avanti.
La faccenda diventava interessante per il consulente investigativo.
 
“Se la metti così, lascio a te la prima mossa. Fatti avanti” lo sfidò abbassando il tono di voce, facendogli cenno con l’indice della mano di avvicinarsi.
Sherlock sorrise malandrino, sporgendosi verso di lei, toccandole leggermente parte della gamba.
Inutile dire che a Nami scappò un brivido lungo la spina dorsale mentre sentiva alcune goccioline di sudore imperlarle la fronte.
 
“Prima le signore…” ammiccò infine il ragazzo, allontanandosi.
La rossa si sentiva in trappola, ma aveva deciso lei di andare avanti con quella sfida.
Si doveva fare coraggio.
Non che le dispiacesse tutta quella situazione, in un certo senso.
Sherlock Holmes era affascinante anche se era un sociopatico iperattivo e uno stronzo egoista.
Ma non provava nulla nei suoi confronti, o meglio, doveva ancora capirlo…
 
Si alzò con estrema eleganza dalla poltrona di John e mentre si avvicinava a lui, un’idea le balzò alla mente.
Si accomodò sulle gambe del moro e lo attirò verso di sé attraverso il colletto della camicia.
“Ti dispiace se rimandiamo a dopo? Sai, John potrebbe uscire dal bagno da un momento all’altro…” gli sussurrò vicinissimo all’orecchio sinistro di lui.
Il profumo dei capelli di Sherlock la inebriava, “ubriacandola” un poco.
Sentiva un formicolio piacevole percorrerle tutto il corpo.
Non aveva mai sentito una sensazione così.
 
“Perché? Hai paura, Nami?” la sfidò sollevandole un lembo della maglietta che usava come pigiama, sfiorando con lentezza parte della coscia e del fianco, scoprendo quella pelle incredibilmente morbida e vellutata.
 
La rossa sussultò a quel contatto così ravvicinato e “intimo”, sentendo un altro brivido far fremere il suo corpo, facendo ghignare vittorioso il consulente.
Non. Doveva. Arrendersi.
 
“Io non ho affatto paura. Il mio era solo un consiglio…” sussurrò riprendendo il controllo di se stessa, iniziando a mordicchiare dolcemente il lobo del detective.
“Oh, beh! Puoi stare tranquilla, allora” ribatté prendendo il mento di Nami tra due dita, interrompendo l’operato della ragazza, avvicinando così i loro visi.
I loro respiri si mescolavano tra loro e i loro occhi non smettevano di guardarsi con profondità.
 
Non sapeva che le prendeva.
Non riusciva a spiegarsi i suoi gesti: aveva preso il volto di Sherlock tra le mani, cominciando a fargli lente carezze sulle guance e gli zigomi; la sua fronte era appoggiata su quella di lui e i loro nasi si toccavano.
C’era solamente un’“inesistente” distanza tra le loro labbra.
Trovava gli occhi di Sherlock semplicemente fantastici, anche se la stavano sfidando a farsi avanti.
Sarebbe rimasta a guardarli per ore e ore, nonostante la loro arroganza.
 
“Che aspetti?” le chiese calmo, facendola sorridere lievemente.
“Sei impaziente, eh?” lo schernì facendogli l’occhiolino.
“Per amor del Cielo, Nami! Io posso stare qui quanto vuoi, guardandoti. Però mi faresti pensare che vuoi tirarti indietro” osservò fintamente dispiaciuto, facendo roteare gli occhi alla ragazza.
“Ti ho già detto che non mi sarei tirata indietro!”
“E allora fatti avanti” la incitò accarezzandole delicatamente il mento per poi passare sulle sue labbra sottili.
“Non ho paura”
“Davvero? Dimostramelo”
“D’accordo. Non tornerò indietro!”
“Ti sto sfidando, infatti. Voglio vedere quanto rischieresti pur di vincere. Avanti. Fallo
“Vincerò, te lo assicuro!”
“Fammi perdere, allora”
“Sì. E te ne pentirai!”
 
John, tempo prima, era arrivato nel soggiorno, osservando divertito la scena.
Battibeccavano in continuazione, ma nessuno si decideva a porre fine a quell’amorevole disaccordo.
Incrociò le braccia al petto, scuotendo lievemente la testa.
Erano proprio due bambini.
Purtroppo, non poteva andare avanti oltre, così, decise di intervenire, rischiarandosi la voce.
Nami e Sherlock si voltarono contemporaneamente, guardando John come se fosse stato un padre che aveva scoperto sua figlia fare sesso con un estraneo.
 
“Non è come sembra!” esclamò Nami stringendo la camicia di Sherlock.
“Invece lo sembra eccome!” la smentì subito il consulente investigativo, facendola sobbalzare e innervosire.
 
“Appunto” aggiunse Watson sorridendo mestamente cercando di trattenere le risa.
 
“Taci! Non è vero, Sherlock!” gli inveì contro voltandosi verso il riccioluto.
“Come sarebbe? Sbaglio, o mi stavi per baciare? Hai detto che non ti tiravi indietro!”
“Lo so! Infatti non mi sono tirata indietro!”
“Giusto. E allora perché stai smentendo quello che stavi per fare?”
“Non lo smentivo! Sei tu che hai iniziato con quella deduzione sui miei pensieri!”
“Quindi è colpa tua! Perché se stata tu, a fare simili pensieri!”
“No, bello! E’ colpa tua che stavi pulendo il violino in quel modo!”
“E allora non dovevi guardarmi!”
“Sei stato tu ad iniziare!”
“Che dovevo fare? Annoiarmi?”
“Potevi leggere un libro!”
“Ah, sì? E chi lo sa! Forse avresti iniziato a fare pensieri su come sfogliavo un libro, paragonandolo al sesso!”
“Ma che ti salta in mente? Credo che la droga abbia effetti devastanti sulla tua mente!”
“Hai iniziato tu! Sei stata tu a fare pensieri di un certo genere!”
“E di chi è la colpa? Tua!”
 
“Ok, ora basta!” sbottò al limite della pazienza John alzando il tono di voce.
 
I due, come ordinato loro, smisero di litigare e guardarono in parti opposte.
John sbuffò lievemente, rivolgendo loro un’occhiata bonaria:
“Mi promettete che, durante la mia assenza, non farete nulla per cui dovrei chiamare Lestrade o Mycroft?”


Sherlock, come colto in flagrante, si irritò non poco, guardando il suo amico biondo con espressione indecifrabile:
“Non occorre. Sappiamo badare a noi stessi” disse con fare freddo e distaccato, non smuovendosi di un millimetro.
D’altra parte, come poteva? Nami era ancora seduta su di lui.
Avrebbero ripreso la discussione non appena il medico se ne fosse andato.
 
“Nami. Posso contare su di te questa volta o mi devo aspettare qualche altra sorpresa?” gli chiese diffidente Watson, non badando minimamente al commento del suo coinquilino sociopatico iperattivo.
 
La ragazza sobbalzò e si morse il labbro inferiore, voltandosi a guardarlo:
“Tu puoi contare su di me! E’ colpa di Sherlock!” si difese indignata per poi trattenere un gridolino di dolore a stento: il ragazzo le aveva dato un forte pizzicotto al fianco.
Dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per trattenere i due lacrimoni agli angoli degli occhi.
 
Gliela avrebbe pagata.
Si sarebbe vendicata di lui e nessuno l’avrebbe fermata.
Poco ma sicuro.





Angolo di Alyce: Buonasera!!!!!!!!!!!!!!!!!
Ma quanta aria di sfida nell'aria, gente!
Ma...torniamo seri (soprattutto io, dato che la mia pazza mente sta già fantasticando su qualcosa tra Sherlock e Nami)!
Partiamo dal titolo!
E' spunto della canzone "Would you..?" dei "Touch and go" e significherebbe: Vuoi venire a letto con me?
E credo che in questo capitolo abbia molto senso, dato che Sherlock "invita" Nami a farsi avanti...vi svelo un piccolo segreto: Il nostro Carissimo Holmes non intendeva solo un bacio, ma anche del sesso, ovvio...ma solo per sfida...e attrazione.
Punto due: Nami e Sherlock NON si amano!
Sono solamente curiosi e...attratti l'uno dall'altra.
Come avrete notato, Nami, odia Sherlock in un primo momento, ma poi non sa cosa realmente prova: questa è una dimostrazione del fatto che è veramente confusa.
Povera ragazza, sono cattiva nei suoi confronti. -.-''
E passiamo al nostro eroe! (rullo di tamburi) JOHN WATSON!!!!!!!!!!
Diciamo che lui si sente padre/fratello nei confronti dei nostri Nami e Sherlock, considerandoli due bambini che amano giocare e litigare.
Lui è un'anima pia. Fosse per me, gli avrei già fatto mille monumenti per la sua comprensione e...bontà.
E' veramente un Santo.
Non ho altro d'aggiungere!
Ci si vede al prossimo capitolo!
Ciao e un strasuperbacione a tutti!
Alyce :))))))))))))))))))))))))))))))))
  
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