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Autore: contagiouscream    09/08/2014    3 recensioni
“Il problema è che ho un segreto troppo grande dentro me. Un segreto che nemmeno io conosco, è qualcosa che mi fa stare talmente bene da farmi male, un segreto che non riesco più a sopportare, da cui vorrei liberarmi ma a cui sono legata da sempre e per sempre…” dissi a bassa voce, la testa tra le mani e la confusione in cuore.
Intercorsero pochi secondi di silenzio, prima che lui riprendesse a parlare, più esitante che mai.
“E… E se fossi io quel segreto?” Mi sussurrò delicatamente, stringendo maggiormente la presa sulla mia vita per avvicinarmi a sé.
Il cuore mi si fermò per un istante. Probabilmente l’istante più lungo di tutta la mia vita, ma bastò per farmi capire tutto ciò che fino a quel momento avevo considerato un mistero. Era lui il mio segreto, e non avrei potuto capirlo in modo migliore.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jaime Preciado, Nuovo personaggio, Vic Fuentes
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
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Chapter 3

 

 

 

Come la precedente mattina e le mattine a seguire, ero presa a guardare fuori dal finestrino della macchina di papà mentre ci dirigevamo verso la scuola.

“Che lezioni hai oggi tesoro?” mi chiese improvvisamente, senza però ricevere alcuna risposta... “Mia, mi senti? Che hai?” chiese nuovamente.

Nel sentir richiamare il mio nome mi voltai verso di lui, guardandolo con aria più che persa.

“Cosa c’è papà?” gli chiesi, schiarendomi la voce con un breve colpo di tosse.

Papà scosse visibilmente il capo, lasciandosi andare ad un lungo sospiro.

“A cosa stavi pensando? Hai la testa tra le nuvole questa mattina!” asserì, imboccando poco dopo il viale dove si trovava la scuola.

Feci spallucce alla sua domanda, rispondendogli nel modo più tranquillo possibile “Niente di importante papà, stai tranquillo. Mi lasci all’entrata come ieri, mh?”

Sempre più rassegnato mio padre si limitò ad annuire e a lasciarmi nel grande piazzale che precedeva la scuola, salutandomi con un tenero sorriso prima di lasciarmi andare.

Strinsi nuovamente la mia tracolla tra le mani mentre mi avviavo, leggermente più sicura, verso l’entrata di quell’edificio, tra i sorrisi di circostanza scambiati coi miei compagni di corso e qualche semi-sconosciuto.

“Buongiorno signorina, mi sapete dire che lezione avete all’ultima ora?”

Sussultai visibilmente. Mi voltai verso quella voce e, con espressione ancora leggermente spaventata, salutai Vic semi-sorridente.

“Dovresti smetterla di apparire alle mie spalle ogni volta sai?” gli dissi io, sospirando.

Il ragazzo scoppiò a ridere, scuotendo appena il capo: “Hai ragione, ma adoro coglierti di sorpresa! Pensi che risponderai mai alla mia domanda?”

Rivolsi un ampio sorriso al ragazzo, schiarendomi successivamente la voce: “C’è il corso di musica, pensavo lo sapessi! Per ora ti va di accompagnarmi in classe?”

Subito scoppiò in una sentita risata, passandomi come il giorno prima un braccio dietro la schiena per poi scortarmi verso la mia classe: “Non pensavo che una ragazza talentuosa come te avesse bisogno di partecipare al corso di musica!”.

Volsi lo sguardo al cielo, scoppiando a mia volta in una sincera risata: “Sarà più facile per me prendere buoni voti, no?”.

Alle mie parole cominciammo entrambi a ridere di gusto, come due amici che si conoscono da una vita. In men che non si dica eravamo già arrivati davanti alla mia classe e, prima che la campanella ci sorprese, mi lasciò con un innocente bacio sulla guancia.

“Ci vediamo all’ultima ora, Mia!” disse, prima di sparire tra il resto degli alunni.

Con un gran sorriso entrai dunque in classe, accarezzandomi appena la guancia dove poco prima si erano posate le labbra del ragazzo. Velocemente mi sistemai come il giorno prima nel mio banco in seconda fila, in attesa della professoressa di letteratura.

“Sei la figlia del professor Hamilton, giusto?” mi chiese tutto d’un tratto la ragazza coi lunghi capelli castani davanti al mio banco, rivolgendomi un’occhiata curiosa nel voltarsi verso di me.

Velocemente annuii, guardandola coi miei grandi occhi verdi spalancati: “Sì, perché?”.

“E sei la ragazza di Victor?” continuò lei, senza staccarmi gli occhi di dosso.

Subito mi impensierii, scuotendo il capo quasi incredula “Ma cosa… La ragazza, cioè no! Assolutamente no!” balbettai, guardandola con aria perplessa.

Lei si strinse nelle spalle, voltandosi nuovamente per non guardarmi più in viso.

“Avrei giurato il contrario, in questi due giorni vi ho visto sempre assieme. Bah, meglio per te, è uno spostato.” concluse in modo secco, senza permettermi di ribattere.

Subito dopo la professoressa James entrò in classe, pronta a conoscere la sua nuova classe e far lezione. Ma tutto quella mattina mi entrò in testa, tranne quello che quella dolce e giovane professoressa era intenta a spiegare.

Vic uno spostato? Chi era lei per giudicarlo così acutamente? E cosa le importava di quello che eravamo?

Sebbene la sua fosse una misera frase, quasi senza senso, passai le ore con la testa tra le nuvole, più pensierosa che mai. Cosa voleva quella Rachel da me?

Con quei pensieri arrivai fino all’ultima ora. Uscita dall’aula di biologia, camminavo con lo sguardo fisso a terra verso l’aula di mio padre, pronta a partecipare al corso di musica d’insieme della scuola. Totalmente sovrappensiero, mi ritrovai in una frazione di secondo addosso ad un ragazzo piuttosto alto, magro, con un gran sorriso e due occhi pieni d’allegria.

“Ehi, attenta novellina!” mi disse scherzosamente, appoggiandomi una mano sulla spalla per mantenermi dritta nel mio attimo di barcollo.

Scoppiai in una piccola risata nervosa, abbassando improvvisamente lo sguardo. “Sì, scusami, non volevo venirti addosso.” asserii stringendo forte il mio libro di musica al petto.

“Tranquilla piccoletta.” mi disse, accarezzandomi con fare scherzoso il capo, scompigliandomi leggermente i capelli. “Sei Mia, la figlia di Hamilton, giusto? Mio fratello mi ha parlato ieri di te.”

Arricciai le labbra in una smorfia, guardandolo con aria perplessa: “Tuo fratello?”

Lui scoppiò in una risata, facendo successivamente spallucce: “Michael Fuentes, fratello di Vic! Non siamo due gocce d’acqua, ma pensavo sapessi chi sono!” disse, rivolgendomi un ultimo sorriso prima di darmi le spalle e sparire dentro la grande aula di musica.

Ancora leggermente imbarazzata e stupita del fatto che Vic avesse parlato di me al fratello, entrai in aula, disponendomi lontano dalla cattedra dove mio padre soleva sedere.

In men che non si dica arrivarono tutti gli studenti , dal primo al quinto anno, che avevano aderito al corso di musica della scuola. L’aula era piena e con mio gran entusiasmo notai entrare anche Vic, il quale non tardò a sedersi poco lontano da me.

“Non mancherai dopo, vero?” mi chiese in un sussurro in un breve momento di pausa dalla lezione di papà.

Feci un cenno di dissenso col capo, sorridendogli con gran tenerezza. Era un ragazzo così apparentemente dolce e pieno di vita.

La lezione passò così in fretta che nemmeno me ne resi conto e, persa a leggere e rileggere pagine del mio libro di storia della musica, lasciai che il suono della campana mi riportasse al mondo.

Intenta a risistemare i miei libri dentro la tracolla, vidi mio padre avvicinarsi tutto sorridente.

“Ti aspetto al parcheggio degli insegnanti, tesoro?” mi chiese, accarezzandomi amorevolmente il capo.

Sbarrai improvvisamente gli occhi, scostando successivamente lo sguardo.

“Veramente alcune mie compagne volevano organizzare un’uscita… Se per te non è un problema.” conclusi io, balbettando.

Mio padre scosse amorevolmente il capo, sistemandosi bene la borsa sotto il braccio.

“Tranquilla! Vai e divertiti tesoro mio!” disse, facendomi un piccolo occhiolino.

Gli rivolsi un enorme sorriso, guardandolo sparire fuori dall’aula in un batter d’occhio.

“Allora signorina, le va ancora di uscire?” disse improvvisamente Vic, apparso come suo solito alle mie spalle.

Mi voltai velocemente verso di lui, facendo un breve cenno col capo: “Certo!”

In men che non si dica eravamo già fuori dall’istituto, lontani da qualsiasi tipo di occhio indiscreto. Con la sua solita dolcezza mi passò una mano dietro la schiena, avvicinandomi lievemente a sé.

“Dove andiamo di bello?” chiesi io con gran curiosità.

“E’ un segreto!” disse lui con tono fiero, scortandomi alla sua macchina. “E’ stato difficile convincere Mike a prendere l’autobus per tornare a casa, sai?” disse infine, ridendo di gusto.

Mi aggiunsi a quella risata, lasciando successivamente che il ragazzo mettesse in moto la sua autovettura, guidando per circa un quarto d’ora verso Clairemont Mesa, un quartiere di San Diego. Passammo il tempo a cantare come matti le canzoni che passavano alla radio, dai Queen alla musica dance anni ottanta, proposta e riproposta da qualsiasi stazione.

Arrestata la macchina in un viale alberato, Vic scese immediatamente per raggiungermi dal lato del passeggero.

“Sei pronta?” mi chiese, tendendomi una mano, la quale presi leggermente titubante per poi uscire dal veicolo.

“A qualsiasi cosa, giuro!” asserii con entusiasmo, affiancandomi successivamente a lui.

Insieme ci incamminammo verso l’altro lato della strada. Ero incredibilmente curiosa di sapere dove mi avrebbe portata quel ragazzo semi sconosciuto, che volevo infinitamente conoscere.

Improvvisamente Vic si fermò davanti al Guitar Trader, posando una mano sulla maniglia, aprendo la grande porta. Entrammo in quel immenso negozio di musica e, quasi d’istinto, mi aggrappai appena al suo braccio. Lui si muoveva disinvolto tra tutti quegli strumenti, salutando i ragazzi del personale come se si conoscessero da secoli.

Afferrò velocemente una meravigliosa Gibson Explorer tutta nera e, senza mollarmi, fece strada verso uno dei box del negozio, dove ovviamente si potevano provare gli strumenti prima di comprarli.

Chiusa la porta del box insonorizzato, si sistemò su un piccolo sgabello, invitandomi ad accomodarmi a quello accanto al suo. “Siediti qui, Mia.”

Non esitai un secondo e, leggermente imbarazzata, lo guardai collegare tramite il jack lo strumento all’amplificatore, accendendolo e attivando tutti i potenziometri per far suonare quella meraviglia di strumento che teneva gelosamente tra le mani. Dopo una piccola improvvisazione dai toni quasi blues, si voltò verso di me, guardandomi coi suoi occhioni scuri.

“La musica è la parte più importante della mia vita, sai?” cominciò lui, arrossendo lievemente sulle guance, come se stesse parlando della ragazza di cui era innamorato. “Quando ti ho vista suonare, ieri… Mi trasmettevi le stesse emozioni che sento quando suono queste sei corde. Siamo simili Mia, e questo è il motivo per cui volevo condividere tutto questo con te, perché nessuno ha mai capito quanto tutto questo significhi per me, mentre so che tu puoi farlo.” mi confessò, mordendosi appena le labbra.

Rimasi in silenzio per qualche secondo, guardandolo con dolci occhi sinceri prima di schiarirmi la voce.

“La musica è sempre stata la mia più grande amica Vic, posso capirti più di chiunque altro.” ammisi, rivolgendogli un dolce sorriso sincero, posandogli successivamente una mano sull’avambraccio.

Lui sorrise. Si scostò il ciuffo di capelli da davanti gli occhi e, tirandosi leggermente su le maniche della camicia, afferrò con convinzione il manico di quella meravigliosa chitarra, guardandomi successivamente negli occhi.

“L’abbiamo scritta io e mio fratello, spero ti piaccia. Sei la prima che l’ascolta…” sussurrò, qualche secondo prima di cominciare a suonare quella chitarra. Era così disinvolto nell’eseguire quelle serie di accordi che tra loro suonavano dannatamente bene, mi vennero quasi i brividi.

Improvvisamente cominciò a cantare, una melodia dolcissima ma allo stesso tempo piena di forza, la sua voce così meravigliosa e così piena d’emozioni.

Capivo cosa voleva dire mio padre quando diceva che quel ragazzo aveva più talento di quanto immaginasse. Avevo la pelle d’oca dalla bravura, ero totalmente catturata dalla sua voce, dalle sue mani che si muovevano su quella chitarra come se avesse sempre fatto solo quello in tutta la sua vita.

Improvvisamente lo sguardo si fermò su quelle cicatrici che, avendo scoperto buona parte del braccio, spuntavano fuori dalla camicia. Mi si strinse il cuore per un attimo e, sospirando, lo guardai terminare quella canzone, coi brividi ma allo stesso tempo la preoccupazione per quello che avevo appena visto.

Abbassato il volume della chitarra, mi guardò, rivolgendomi un gran sorriso.

“Cosa… Cosa ti è sembrato?” mi disse, abbassandosi velocemente le maniche della camicia che portava addosso, come se si fosse accorto dov’era indirizzato il mio sguardo, il quale scostai prontamente.

“E’ meravigliosa Vic.” dissi nella più totale sincerità, guardandolo negli occhi con gran tenerezza.

“Sono contento ti piaccia, significa molto per me.” mi confessò, accarezzando appena il corpo di quella chitarra. “Non vedo l’ora che questa piccola meraviglia sia mia, sto risparmiando da quasi un anno per comprarla.”

Mi intenerii visibilmente alle sue parole, facendo un piccolo cenno col capo.

“Voglio essere presente il giorno in cui la comprerai, voglio vederti felice come adesso!” dissi, alzandomi successivamente dallo sgabello sul quale ero seduta.

Il ragazzo annuii velocemente, lasciando che un attimo di silenzio pervase quella piccola stanza, prima che lui cominciasse a smontare l’attrezzatura, sospirando appena.

“Hai visto, vero?” mi chiese, intento ad arrotolare il jack appena utilizzato. “Le cicatrici, intendo.” concluse, tenendo lo sguardo basso su quel cavo.  

Mi irrigidii alle sue parole, emettendo un piccolo sospiro, poco prima di esalare un piccolo “Sì.” a labbra quasi serrate.

Lui si girò con un piccolo sorriso malinconico, tenendo saldamente tra le mani la Gibson.

“Non lo faccio più da tanto, ho solo avuto un brutto periodo.” disse in modo secco, avvicinandosi a me con lo stesso sorriso di sempre ma l’aria incredibilmente malinconica.

Quasi istintivamente feci scorrere la mia mano ad afferrare la sua, senza malizia.

“Non preoccuparti Vic, ci sono io qui. Io ti capisco.” sussurrai, senza smettere di rivolgergli un gran sorriso.

Non era un sorriso falso, né tantomeno un sorriso pieno di compassione.

Lo capivo, sapevo cosa volesse dire essere incompresi. Lui era solamente più debole e, probabilmente, senza le persone giuste accanto.

Usciti dal box, si avvicinò al porta chitarre vuoto che reggeva quella Gibson e la riposò nuovamente lì, sorridendo a quella chitarra come fosse la sua migliore amica.

Dopo aver risalutato tutti, uscimmo da quel negozio, avviandoci verso la macchina.

“Vic!” esclamai io, facendolo voltare verso di me.

“Sì, Mia?” mi sussurrò, con la stessa espressione di poco prima.

“Hai trovato un’amica.” gli dissi con allegro tono di voce, guardandolo sgranando i miei grandi occhi verdi.

Lui sorrise, questa volta senza malinconia. Senza dire niente mi abbracciò, come si abbracciano gli amici, le persone a cui si vuole bene, quelle che più contano nella vita.

 

 

 

Un sentito ringraziamento a Layla e JJsHug per le recensioni! :3

   
 
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