Chapter 3
Come
la precedente mattina e le mattine a seguire, ero presa a guardare fuori dal
finestrino della macchina di papà mentre ci dirigevamo verso la scuola.
“Che lezioni hai oggi tesoro?” mi chiese
improvvisamente, senza però ricevere alcuna risposta... “Mia, mi senti? Che hai?” chiese nuovamente.
Nel
sentir richiamare il mio nome mi voltai verso di lui, guardandolo con aria più
che persa.
“Cosa c’è papà?” gli chiesi,
schiarendomi la voce con un breve colpo di tosse.
Papà
scosse visibilmente il capo, lasciandosi andare ad un lungo sospiro.
“A cosa stavi pensando? Hai la testa tra le
nuvole questa mattina!” asserì, imboccando poco dopo il viale dove si
trovava la scuola.
Feci
spallucce alla sua domanda, rispondendogli nel modo più tranquillo possibile “Niente di importante papà, stai tranquillo.
Mi lasci all’entrata come ieri, mh?”
Sempre
più rassegnato mio padre si limitò ad annuire e a lasciarmi nel grande piazzale
che precedeva la scuola, salutandomi con un tenero sorriso prima di lasciarmi
andare.
Strinsi
nuovamente la mia tracolla tra le mani mentre mi avviavo, leggermente più
sicura, verso l’entrata di quell’edificio, tra i sorrisi di circostanza
scambiati coi miei compagni di corso e qualche semi-sconosciuto.
“Buongiorno signorina, mi sapete dire che
lezione avete all’ultima ora?”
Sussultai
visibilmente. Mi voltai verso quella voce e, con espressione ancora leggermente
spaventata, salutai Vic semi-sorridente.
“Dovresti smetterla di apparire alle mie
spalle ogni volta sai?” gli dissi io, sospirando.
Il
ragazzo scoppiò a ridere, scuotendo appena il capo: “Hai ragione, ma adoro coglierti di sorpresa! Pensi che risponderai mai
alla mia domanda?”
Rivolsi
un ampio sorriso al ragazzo, schiarendomi successivamente la voce: “C’è il corso di musica, pensavo lo sapessi!
Per ora ti va di accompagnarmi in classe?”
Subito
scoppiò in una sentita risata, passandomi come il giorno prima un braccio
dietro la schiena per poi scortarmi verso la mia classe: “Non pensavo che una ragazza talentuosa come te avesse bisogno di
partecipare al corso di musica!”.
Volsi
lo sguardo al cielo, scoppiando a mia volta in una sincera risata: “Sarà più facile per me prendere buoni voti,
no?”.
Alle
mie parole cominciammo entrambi a ridere di gusto, come due amici che si
conoscono da una vita. In men che non si dica eravamo già arrivati davanti alla
mia classe e, prima che la campanella ci sorprese, mi lasciò con un innocente
bacio sulla guancia.
“Ci vediamo all’ultima ora, Mia!” disse,
prima di sparire tra il resto degli alunni.
Con
un gran sorriso entrai dunque in classe, accarezzandomi appena la guancia dove
poco prima si erano posate le labbra del ragazzo. Velocemente mi sistemai come
il giorno prima nel mio banco in seconda fila, in attesa della professoressa di
letteratura.
“Sei la figlia del professor Hamilton,
giusto?” mi chiese tutto d’un tratto la ragazza coi lunghi capelli castani
davanti al mio banco, rivolgendomi un’occhiata curiosa nel voltarsi verso di me.
Velocemente
annuii, guardandola coi miei grandi occhi verdi spalancati: “Sì, perché?”.
“E sei la ragazza di Victor?” continuò
lei, senza staccarmi gli occhi di dosso.
Subito
mi impensierii, scuotendo il capo quasi incredula “Ma cosa… La ragazza, cioè no! Assolutamente no!” balbettai,
guardandola con aria perplessa.
Lei
si strinse nelle spalle, voltandosi nuovamente per non guardarmi più in viso.
“Avrei giurato il contrario, in questi due
giorni vi ho visto sempre assieme. Bah, meglio per te, è uno spostato.”
concluse in modo secco, senza permettermi di ribattere.
Subito
dopo la professoressa James entrò in classe, pronta a conoscere la sua nuova
classe e far lezione. Ma tutto quella mattina mi entrò in testa, tranne quello
che quella dolce e giovane professoressa era intenta a spiegare.
Vic
uno spostato? Chi era lei per giudicarlo così acutamente? E cosa le importava
di quello che eravamo?
Sebbene
la sua fosse una misera frase, quasi senza senso, passai le ore con la testa
tra le nuvole, più pensierosa che mai. Cosa voleva quella Rachel da me?
Con
quei pensieri arrivai fino all’ultima ora. Uscita dall’aula di biologia,
camminavo con lo sguardo fisso a terra verso l’aula di mio padre, pronta a
partecipare al corso di musica d’insieme della scuola. Totalmente
sovrappensiero, mi ritrovai in una frazione di secondo addosso ad un ragazzo piuttosto
alto, magro, con un gran sorriso e due occhi pieni d’allegria.
“Ehi, attenta novellina!” mi disse
scherzosamente, appoggiandomi una mano sulla spalla per mantenermi dritta nel
mio attimo di barcollo.
Scoppiai
in una piccola risata nervosa, abbassando improvvisamente lo sguardo. “Sì, scusami, non volevo venirti addosso.” asserii
stringendo forte il mio libro di musica al petto.
“Tranquilla piccoletta.” mi disse,
accarezzandomi con fare scherzoso il capo, scompigliandomi leggermente i
capelli. “Sei Mia, la figlia di Hamilton,
giusto? Mio fratello mi ha parlato ieri di te.”
Arricciai
le labbra in una smorfia, guardandolo con aria perplessa: “Tuo fratello?”
Lui
scoppiò in una risata, facendo successivamente spallucce: “Michael Fuentes, fratello di Vic! Non siamo due gocce d’acqua, ma pensavo
sapessi chi sono!” disse, rivolgendomi un ultimo sorriso prima di darmi le
spalle e sparire dentro la grande aula di musica.
Ancora
leggermente imbarazzata e stupita del fatto che Vic avesse parlato di me al
fratello, entrai in aula, disponendomi lontano dalla cattedra dove mio padre
soleva sedere.
In
men che non si dica arrivarono tutti gli studenti , dal primo al quinto anno,
che avevano aderito al corso di musica della scuola. L’aula era piena e con mio
gran entusiasmo notai entrare anche Vic, il quale non tardò a sedersi poco
lontano da me.
“Non mancherai dopo, vero?” mi chiese in
un sussurro in un breve momento di pausa dalla lezione di papà.
Feci
un cenno di dissenso col capo, sorridendogli con gran tenerezza. Era un ragazzo
così apparentemente dolce e pieno di vita.
La
lezione passò così in fretta che nemmeno me ne resi conto e, persa a leggere e
rileggere pagine del mio libro di storia della musica, lasciai che il suono
della campana mi riportasse al mondo.
Intenta
a risistemare i miei libri dentro la tracolla, vidi mio padre avvicinarsi tutto
sorridente.
“Ti aspetto al parcheggio degli insegnanti,
tesoro?” mi chiese, accarezzandomi amorevolmente il capo.
Sbarrai
improvvisamente gli occhi, scostando successivamente lo sguardo.
“Veramente alcune mie compagne volevano
organizzare un’uscita… Se per te non è un problema.” conclusi io,
balbettando.
Mio
padre scosse amorevolmente il capo, sistemandosi bene la borsa sotto il
braccio.
“Tranquilla! Vai e divertiti tesoro mio!”
disse, facendomi un piccolo occhiolino.
Gli
rivolsi un enorme sorriso, guardandolo sparire fuori dall’aula in un batter
d’occhio.
“Allora signorina, le va ancora di uscire?”
disse improvvisamente Vic, apparso come suo solito alle mie spalle.
Mi
voltai velocemente verso di lui, facendo un breve cenno col capo: “Certo!”
In
men che non si dica eravamo già fuori dall’istituto, lontani da qualsiasi tipo
di occhio indiscreto. Con la sua solita dolcezza mi passò una mano dietro la
schiena, avvicinandomi lievemente a sé.
“Dove andiamo di bello?” chiesi io con
gran curiosità.
“E’ un segreto!” disse lui con tono
fiero, scortandomi alla sua macchina. “E’
stato difficile convincere Mike a prendere l’autobus per tornare a casa, sai?” disse
infine, ridendo di gusto.
Mi
aggiunsi a quella risata, lasciando successivamente che il ragazzo mettesse in
moto la sua autovettura, guidando per circa un quarto d’ora verso Clairemont
Mesa, un quartiere di San Diego. Passammo il tempo a cantare come matti le
canzoni che passavano alla radio, dai Queen alla musica dance anni ottanta,
proposta e riproposta da qualsiasi stazione.
Arrestata
la macchina in un viale alberato, Vic scese immediatamente per raggiungermi dal
lato del passeggero.
“Sei pronta?” mi chiese, tendendomi una
mano, la quale presi leggermente titubante per poi uscire dal veicolo.
“A qualsiasi cosa, giuro!” asserii con
entusiasmo, affiancandomi successivamente a lui.
Insieme
ci incamminammo verso l’altro lato della strada. Ero incredibilmente curiosa di
sapere dove mi avrebbe portata quel ragazzo semi sconosciuto, che volevo
infinitamente conoscere.
Improvvisamente
Vic si fermò davanti al Guitar Trader, posando una mano sulla maniglia, aprendo
la grande porta. Entrammo in quel immenso negozio di musica e, quasi d’istinto,
mi aggrappai appena al suo braccio. Lui si muoveva disinvolto tra tutti quegli
strumenti, salutando i ragazzi del personale come se si conoscessero da secoli.
Afferrò
velocemente una meravigliosa Gibson Explorer tutta nera e, senza mollarmi, fece
strada verso uno dei box del negozio, dove ovviamente si potevano provare gli
strumenti prima di comprarli.
Chiusa
la porta del box insonorizzato, si sistemò su un piccolo sgabello, invitandomi
ad accomodarmi a quello accanto al suo. “Siediti
qui, Mia.”
Non
esitai un secondo e, leggermente imbarazzata, lo guardai collegare tramite il
jack lo strumento all’amplificatore, accendendolo e attivando tutti i
potenziometri per far suonare quella meraviglia di strumento che teneva
gelosamente tra le mani. Dopo una piccola improvvisazione dai toni quasi blues,
si voltò verso di me, guardandomi coi suoi occhioni scuri.
“La musica è la parte più importante della
mia vita, sai?” cominciò lui, arrossendo lievemente sulle guance, come se
stesse parlando della ragazza di cui era innamorato. “Quando ti ho vista suonare, ieri… Mi trasmettevi le stesse emozioni
che sento quando suono queste sei corde. Siamo simili Mia, e questo è il motivo
per cui volevo condividere tutto questo con te, perché nessuno ha mai capito
quanto tutto questo significhi per me, mentre so che tu puoi farlo.” mi
confessò, mordendosi appena le labbra.
Rimasi
in silenzio per qualche secondo, guardandolo con dolci occhi sinceri prima di
schiarirmi la voce.
“La musica è sempre stata la mia più grande
amica Vic, posso capirti più di chiunque altro.” ammisi, rivolgendogli un
dolce sorriso sincero, posandogli successivamente una mano sull’avambraccio.
Lui
sorrise. Si scostò il ciuffo di capelli da davanti gli occhi e, tirandosi
leggermente su le maniche della camicia, afferrò con convinzione il manico di
quella meravigliosa chitarra, guardandomi successivamente negli occhi.
“L’abbiamo scritta io e mio fratello, spero
ti piaccia. Sei la prima che l’ascolta…” sussurrò, qualche secondo prima di
cominciare a suonare quella chitarra. Era così disinvolto nell’eseguire quelle
serie di accordi che tra loro suonavano dannatamente bene, mi vennero quasi i
brividi.
Improvvisamente
cominciò a cantare, una melodia dolcissima ma allo stesso tempo piena di forza,
la sua voce così meravigliosa e così piena d’emozioni.
Capivo
cosa voleva dire mio padre quando diceva che quel ragazzo aveva più talento di
quanto immaginasse. Avevo la pelle d’oca dalla bravura, ero totalmente catturata
dalla sua voce, dalle sue mani che si muovevano su quella chitarra come se
avesse sempre fatto solo quello in tutta la sua vita.
Improvvisamente
lo sguardo si fermò su quelle cicatrici che, avendo scoperto buona parte del
braccio, spuntavano fuori dalla camicia. Mi si strinse il cuore per un attimo
e, sospirando, lo guardai terminare quella canzone, coi brividi ma allo stesso
tempo la preoccupazione per quello che avevo appena visto.
Abbassato
il volume della chitarra, mi guardò, rivolgendomi un gran sorriso.
“Cosa… Cosa ti è sembrato?” mi disse,
abbassandosi velocemente le maniche della camicia che portava addosso, come se
si fosse accorto dov’era indirizzato il mio sguardo, il quale scostai
prontamente.
“E’ meravigliosa Vic.” dissi nella più
totale sincerità, guardandolo negli occhi con gran tenerezza.
“Sono contento ti piaccia, significa molto
per me.” mi confessò, accarezzando appena il corpo di quella chitarra. “Non
vedo l’ora che questa piccola meraviglia sia mia, sto risparmiando da quasi un
anno per comprarla.”
Mi
intenerii visibilmente alle sue parole, facendo un piccolo cenno col capo.
“Voglio essere presente il giorno in cui la
comprerai, voglio vederti felice come adesso!” dissi, alzandomi
successivamente dallo sgabello sul quale ero seduta.
Il
ragazzo annuii velocemente, lasciando che un attimo di silenzio pervase quella
piccola stanza, prima che lui cominciasse a smontare l’attrezzatura, sospirando
appena.
“Hai visto, vero?” mi chiese, intento ad
arrotolare il jack appena utilizzato. “Le cicatrici, intendo.” concluse,
tenendo lo sguardo basso su quel cavo.
Mi
irrigidii alle sue parole, emettendo un piccolo sospiro, poco prima di esalare
un piccolo “Sì.” a labbra quasi serrate.
Lui
si girò con un piccolo sorriso malinconico, tenendo saldamente tra le mani la
Gibson.
“Non lo faccio più da tanto, ho solo avuto
un brutto periodo.” disse in modo secco, avvicinandosi a me con lo stesso
sorriso di sempre ma l’aria incredibilmente malinconica.
Quasi
istintivamente feci scorrere la mia mano ad afferrare la sua, senza malizia.
“Non
preoccuparti Vic, ci sono io qui. Io ti capisco.” sussurrai, senza smettere di
rivolgergli un gran sorriso.
Non
era un sorriso falso, né tantomeno un sorriso pieno di compassione.
Lo
capivo, sapevo cosa volesse dire essere incompresi. Lui era solamente più
debole e, probabilmente, senza le persone giuste accanto.
Usciti
dal box, si avvicinò al porta chitarre vuoto che reggeva quella Gibson e la
riposò nuovamente lì, sorridendo a quella chitarra come fosse la sua migliore amica.
Dopo
aver risalutato tutti, uscimmo da quel negozio, avviandoci verso la macchina.
“Vic!”
esclamai io, facendolo voltare verso di me.
“Sì,
Mia?” mi sussurrò, con la stessa espressione di poco prima.
“Hai
trovato un’amica.” gli dissi con allegro tono di voce, guardandolo sgranando i
miei grandi occhi verdi.
Lui sorrise, questa volta senza malinconia.
Senza dire niente mi abbracciò, come si abbracciano gli amici, le persone a cui
si vuole bene, quelle che più contano nella vita.
Un
sentito ringraziamento a Layla e JJsHug per le recensioni! :3