Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: mizuki95    11/08/2014    1 recensioni
Un bambino arrivato da fuori le mura porterà con sé molte domande, ma anche una speranza.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Mikasa Ackerman, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Dato che sono le 0:58 di notte (o del mattino?), non so come salutarvi. Pertanto, salto direttamente al punto. Prima di tutto, volevo scusarmi con i pochi che leggono questa storia per questo mostruoso ritardo. Avevo in mente di terminare la fan fiction entro Agosto, invece per svariati motivi e problemi non ho potuto. Senza contare che questo capitolo è tra i più lunghi che abbia mai scritto, ho faticato per descrivere tutto come lo vedo nella mia testa e non sono neanche tanto convinta del risultato. Ma parliamo del capitolo: mi scuso per aver ucciso Leìn. Seriamente, piangevo mentre scrivevo il suo ultimo flashback e la sua morte (contando anche che in sottofondo avevo "Borrowed Pain" dei North Til Dawn), ma dovevo farlo. E' stata una decisione sofferta, pur avendo in mente lo schema dei fatti  volevo cambiarlo, ma alla fine non ho potuto farlo a rigor di logica. Perché se fosse sopravvissuto, o si sarebbe suicidato per seguire il fratello o sarebbe stato rapito e nascosto da Jack, visto che anche lui sapeva qualche cosa di importante sui giganti, avendo partecipato agli esperimenti. In ogni caso, sarebbe sparito dalla circolazione e fatto soffrire Armin e i suoi amici. A proposito di questo, voglio scusarmi per l'enorme fattore OOC che mostra questo capitolo. Il motivo per cui alcune parole pronunciate da Leìn sono storpiate, è perché non ha avuto il tempo né l'energia per imparare a pronunciarle. Parlo di energia perché, finito il sangue, sarebbe morto comunque. Il perché verrà spiegato nei prossimi due capitoli, che saranno la narrazione della storia prima dell'arrivo di Leìn al Wall Rose da parte di Matt. Mi scuso per il linguaggio crudo di Fiona, ma il suo personaggio è di ragazza non propriamente "zucchero e fiori" (come si dice dalle mie parti) ed era in un momento disperato. Nel capitolo ci sono stati ben due flashback, ma ne capirete veramente il senso con i prossimi capitoli. Vi consiglierei, quando finirà la storia, di rileggerla da capo, perché così potrete capire gli indizi che ho sparpagliato nei capitoli precedenti. Non che mi senta pienamente realizzata per come li ho scritti, ma (penso che) sono decenti, dai. Vorrei che non fraintendeste, Jack non è affatto cattivo. Anche lui ha sofferto (e molto), ma ha un obiettivo da raggiungere e nessuno, neanche Leìn, è riuscito e riuscirà a farlo desidere. Ora vi devo lasciare, se vi va ditemi cosa ne pensate. Buona lettura! Al prossimo capitolo!

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Tornarono al dormitorio militare. I due ragazzi si erano accorti che il borsone del bambino era scomparso, ma quest’ultimo non spiegò mai il perché né si affannò per cercarlo. Una volta giunti, mentre Eren tornò a dormire, Armin approfittò dell’occasione per far fare un bagno al piccolo e sostituire i vestiti stracciati di questi con quelli regalati da Christa.
 
Leìn non si oppose e si tolse i vestiti autonomamente, in questo modo il biondo poté vedere una lunga cicatrice sull’avambraccio del piccolo. Questi non parlava né si comportava come suo solito; tuttavia, seguendo quello che l’altro gli diceva mimando, si pulì velocemente e indossò i vestiti che quello gli porse. Leìn voleva solo tornare a letto con il biondo, voleva smettere di pensare all’incontro appena avvenuto con Jack e, soprattutto, smettere di pensare al loro penultimo incontro. Episodio che, nonostante tutto, continuava a tornargli in mente…
 
 
Quel pomeriggio Matt e Jack avevano litigato di fronte a tutti; evento inaudito, dato che i due non avevano mai litigato prima e il moro non si era mai interessato particolarmente della direzione presa per il loro cammino «Ti dico che dobbiamo andare avanti. Ci sono delle mura altissime, le hai viste anche tu. Sicuramente c’è qualcuno, ci sono altri umani!» ripeté il biondo, irremovibile quanto sicuro di sé.
 
 «E invece io ti dico che dobbiamo andare verso le montagne! Lì ci sono molte grotte, dunque troveremo riparo e sbucheremo dall’altra parte delle montagne» ribatté Jack, che si era impuntato sul non far procedere il gruppo verso le mura che erano state avvistate in lontananza «Perché non sarebbe sicuro, me lo vuoi spiegare? I giganti non possono aver creato quelle mura, non avrebbe senso. Sono sicuramente opera della mano umana. E questo significa che siamo arrivati alla nostra meta» «Ma hai visto anche quanti giganti ci sono da quelle parti. Non è sicuro»
 
 «Abbiamo affrontato molti giganti in questi ultimi mesi, e possiamo sempre passare con le pellicce o usare gli alberi come mezzo di sicurezza, come abbiamo sempre fatto. Cosa cambierebbe questa volta? La speranza si è fatta realtà, perché non dovremmo afferrarla?» «Perché lì non c’è più nessuno!» gridò il moro, stranamente agitato.
 
 Gli altri non intervenivano, perché erano i primi indecisi sul da farsi. Lui, invece, avrebbe sempre seguito suo fratello, che riteneva avesse ragione sulle gigantesche mura.
 
«E’ da un po’ che me lo chiedo» disse Matt, che non si era scomposto «Come fai a dire con certezza che le mura non sono sicure? Come fai a sapere che non ci sia nessuno? Come fai a sapere esattamente dove si trovano le grotte nelle montagne, impossibili da vedere a distanza? Jack, sii sincero almeno per una volta, se conosci il significato di questa parola: ci stai nascondendo qualcosa?». Il moro non rispose subito, lasciando passare alcuni secondi prima che aprisse nuovamente bocca.
 
Del resto, il biondo aveva espresso a voce il dubbio che alcuni del gruppo covavano, senza riuscire a dar ad esso una forma concreta. Jack si voltò, dando le spalle a Matt, e disse «Se è vostra intenzione andare dritto nella bocca dei giganti, io non vi seguirò di certo. Ho intenzione di vivere, io… e non posso fermarmi, non qui. Addio». Così dicendo, si allontanò in direzione degli alberi.
 
Erano rimasti tutti turbati – anche Matt, pur non dandolo a vedere – di quel litigio, ciononostante si misero in azione per il rifornimento della cena per quella sera e per caricare i barattoli di sangue e i pochi bagagli sui cavalli selvaggi catturati tempo addietro.
 
 Quella notte, Leìn non riusciva a dormire. Aveva lo stesso brutto presentimento che aveva avuto quando erano saliti sulla nave, e questo non lo lasciava riposare accanto al fratello. Attento a non svegliarlo, sgattaiolò fuori dal letto di fortuna, scese dall’albero su cui stavano riposando e, evitando di essere beccato da Fiona e Borak che facevano il turno di guardia, si diresse nella stessa direzione in cui si era avviato Jack. Lo trovò pochi metri più avanti, seduto su un tronco spezzato e posto parallelamente al terreno, che scarabocchiava qualcosa sul terreno polveroso con un ramoscello. «Se sei venuto a fermarmi, puoi tornare pure indietro» lo anticipò il moro, alzandosi e cancellando il disegno con un movimento ripetitivo del piede «Perché non vuoi rimanere con noi? Contiamo così poco per te?» domandò il piccolo, avvicinandosi all’altro «Macché. Solo non mi va di morire solo perché lo volete voi»
 
«Ma non è detto! Le mura sono lì, qualcuno deve averle create! E, se proprio sei convinto della tua idea, torna indietro e parlane di nuovo con mio fratello! Se il tuo non è l’ennesimo capriccio, lo capirà! Ma non andartene, morirai se rimani da solo!» «Ehi piccoletto, io non sono uno sprovveduto» disse il moro, ad un solo passo di distanza dal bambino «Sono sopravvissuto da  solo più tempo di quello che pensi, non morirò per così poco. Non posso fermarmi qui. Devo andare avanti…». Provò a sorridere, ma non convinse affatto il bambino «Non andare, dico davvero. Ti prego, non voglio perdere più nessuno…» piccole lacrime attraversarono le guance del bambino, aumentando velocemente in quantità.
 
Jack non rimase insensibile a quella scena, e si inginocchiò di fronte al bambino «Non morirò, stai tranquillo» gli disse asciugandogli gli occhi con le dita «Io non morirò, so come arrivare al Wall Rose senza dover affrontare i giganti. Anche tu riuscirai ad arrivarci, per cui non ti dirò addio: ci rincontreremo lì. Tu suonerai ancora l’ocarina per me ed io canterò la mia canzone, come abbiamo sempre fatto» «Wall… Rose? Come fai a dirlo con tanta sicurezza?» domandò il piccolo, che aveva smesso di piangere e adesso lo guardava dritto negli occhi «L’ho già detto, ragazzino: ci vedo così bene che vedo nel futuro» rispose il moro abbracciandolo per la prima volta.
 
Leìn rimase immobile dallo stupore, era la prima volta che il ragazzo faceva quel gesto «Non credo che Rachel e Michael riusciranno ad arrivare sani, solo tu puoi farcela. Ti aspetterò lì, per cui il mio non è un addio: è un arrivederci» «Cos…?» stava per chiedere, ma il duro colpo che ricevette nello stomaco gli impedì di completare la domanda. Jack lo lasciò e si alzò, mentre lui si stese sul terreno, con entrambe le mani appoggiate sullo stomaco. Con gli occhi cercava il ragazzo, ma la vista si offuscò velocemente. Lo sentì dire solo «Perdonami… ma devo andare avanti». Il buio calò sui suoi occhi come una coperta e al suo risveglio, tra le braccia del suo preoccupato fratello, non vide Jack. Da allora non lo vide più.
 
 
Il giorno dopo Leìn era allegro come al solito, ma c’era qualcosa che ostacolava la sua totale felicità «Devo aiutare Hanji a decifrare il quaderno, ma non posso tenere Leìn con me. Potete fargli compagnia finché non finisco? Vi prego, non ho altri a cui affidarlo» pregò Armin ai due amici. Infatti, poco prima aveva provato a tenerlo con sé, ma disegnare aveva già stufato il bambino (che peraltro disegnava cose semplici e privi di particolare importanza). Allora si era messo a girare per la stanza ma, parlando incessantemente e facendo di tanto in tanto cadere i libri della libreria posta accanto alla porta dell’ufficio della donna distraeva i due, occupati nella traduzione. Pertanto, il bambino doveva stare lontano dal biondo per un po’.
 
 I due amici accettarono la richiesta di Armin e portarono con sé il bambino in giro per la città. Questi osservava qualsiasi cosa, persino i gatti randagi nascosti nelle stradine, con gli occhi pieni di stupore e meraviglia, parlando continuamente. Mikasa era felice di quell’uscita per il semplice fatto che, dopo tanto tempo, era – quasi – da sola con Eren. Che, tuttavia, prestava più attenzione al bambino che a lei. Quest’ultimo, che correva un po’ dappertutto, ad un certo punto si avvicinò ad una giovane fioraia e prese una margherita dalla cesta della donna e tornò da loro.
 
Tirandola per la mano, fece abbassare Mikasa e le mise lo stelo del fiore tra la sciarpa rossa e il collo, ponendo il fiore sotto l’orecchio sinistro. Le sorrise, e con le piccole dita le tirò le estremità delle labbra verso l’alto, come per suggerirle di sorridere anch’ella. Un piccolo sorriso nacque sulle labbra della ragazza, mentre Eren pagò la fioraia per il fiore «Non ce n’è bisogno, Eren» gli disse la sorellastra rialzandosi, ma l’altro ribatté «Prendilo come un regalo da parte di entrambi».
 
I due sorridevano davanti agli occhi del bambino, che in quel momento si sentiva in pace e sereno come non gli accadeva da anni. Sarebbe stato bello, pensava, se avesse potuto continuare a vivere con suo fratello in quel posto, con gli amici che ricordavano tanto i suoi genitori, con gli altri del gruppo che sarebbero giunti di lì a poco.
 
Il cadavere della madre era schiacciato dalle macerie della casa.
Il padre gridava a Matt «Portalo via di qui, ti prego! Almeno voi mettetevi in salvo!».
Ann moriva a causa della febbre.
Rachel veniva mangiata davanti ai suoi occhi da un Anormale comparso da chissà dove.
Glen moriva per averlo salvato da un Anormale.
Alex e Borak venivano circondati e mangiati dai giganti.
Fiona aveva cercato di fare da esca, ma un grosso albero le schiacciava le gambe mentre i giganti si avvicinavano sempre di più.
I giganti si avvicinavano sempre di più.
I giganti si avvicinavano sempre di più.
Perché Matt non lo seguiva?
 
Un grido di agonia uscì dalle labbra del bambino che si tenne la testa tra le mani, continuando a gridare e con il viso inondato dalle lacrime. «Che gli prende?!» esclamò stupito Eren, inginocchiandosi davanti al piccolo, che continuava a gridare come un ossesso, facendo voltare tutti. Mikasa provò a calmarlo, ma ottenne solo di farlo scappare.
 
 Lo inseguirono e lo fermarono, ma il bambino iniziò a parlare e tra le lacrime indicava le mura «Cosa c’è fuori dalle mura?» gli domandò Eren afferrandolo per le spalle «Chi c’è là fuori? I giganti? Oppure…» «Loro…» disse Leìn ripetendo due delle parole che gli avevano insegnato «Ian…Mark… Bentham… Sven… loro fuori…». Provò a dire altro, ma le sue parole venivano nascoste dai singhiozzi. I due fratelli si guardarono negli occhi, e prendendo per mano il bambino tornarono nell’ufficio di Hanji. Lì trovarono anche Erwin e Rivaille, che si stavano informando sul proseguimento della decifrazione del quaderno.
 
 I due soldati riferirono ai superiori quello che era appena accaduto e quello che il bambino aveva detto «Fuori dal Wall Rose ci sono sicuramente altre persone, persone come lui!» disse Eren, sostenuto dalla sorellastra «Cosa vuoi insinuare, Jaeger?» domandò Rivaille, che si era appoggiato al muro e teneva le braccia incrociate. Il ragazzo deglutì, si prese di coraggio e affermò «Vorrei proporre una spedizione di salvataggio per coloro che sono rimasti fuori dalle mura».
 
 Seguì un lungo silenzio. Erwin, che aveva ascoltato con attenzione ogni parola del ragazzo, guardò prima lui e poi il bambino. Guardò in volto pure Mikasa, Armin e Hanji – visibilmente eccitata di conoscere il famoso Matt ma anche tesa per quello che sarebbe potuto succedere – e  disse, con voce ferma e decisa «Non ci sarà nessuna spedizione». «Ma perché?!» esclamò Armin, facendosi avanti di un passo «Ragionate, mocciosi» intervenne Rivaille «Di nostro siamo a corto di uomini, e dovremmo mandare i rimanenti a morire per delle persone che non si sa se esistano, dove siano né se siano ancora vive? Tutto solo per le parole di un bambino che non sa neanche parlare correttamente? È troppo poco, i piani alti non ci darebbero mai il permesso» «Ma Leìn potrebbe guidarci» disse Mikasa «Se ricordasse la strada inversa a quella che ha fatto per arrivare qui, potremmo ragg…»
 
«E chi dice che siano ancora vivi, Ackermann?» la interruppe il moro «Se fossero vivi, almeno uno di loro sarebbe dovuto arrivare al Wall Rose con il marmocchio» «Forse… sono rimasti bloccati da qualche parte…» ribatté Eren, e Rivaille ribatté a sua volta «Certo, bloccati tra i denti di qualche gigante» «Sentite» intervenne Hanji «So che perderemmo moltissimi uomini e risorse, ma è un passo avanti mai fatto dall’umanità. Penso che non dovremmo giudicare la cosa affrettatamente».
 
Leìn osservava la discussione senza capire una sola parola, ma ne intuì il fulcro: non sarebbero andati a salvare gli altri. «Fuori…» disse il bambino nella loro lingua, che a stento riusciva a trattenere le lacrime «Altri… fuori… fuori… amicì… pregare voi… amicì, fuori…». Erwin, guardandolo negli occhi, scosse lentamente la testa da destra a sinistra. Leìn avvertì una fitta nel cuore, ma non pianse. Gli occhi si erano asciugati di colpo, la testa la sentiva vuota ma pesante.
 
Hanji gli si avvicinò, ma scacciò la mano che ella gli stava allungando con un gesto brusco. Guardò un’ultima volta Armin negli occhi, poi si voltò e corse via. Prima Armin, poi Eren e infine Mikasa si congedarono velocemente e corsero dietro al bambino. Dopo un po’ Hanji seguì i giovani soldati, non immaginando neanche lontanamente quello che sarebbe successo di lì a poco.
 

 
Hannes stava raggiungendo i colleghi sulle mura, quando qualcosa gli si aggrappò alla gamba destra: era Leìn, che gli gridava qualcosa indicando le mura «Vuoi salire sulle mura, piccolo? Sicuro che non scoppierai a piangere come l’ultima volta?» gli domandò l’uomo, ma il bambino non rispose e continuava ad indicare l’alto. Tentò di prenderlo in braccio, ma quello si rifiutò, stringendosi ulteriormente attorno alla sua gamba. Allora Hannes attivò la manovra tridimensionale per salire sulle mura a causa della fretta del piccolo, ma mentre saliva rapidamente vide in lontananza i tre ragazzi che conosceva correre verso di loro dimenando in aria le braccia.
 
Appena fosse giunto nella sua postazione, pensò l’uomo, avrebbe riconsegnato il piccolo. Ma quando arrivarono, Leìn, che era ancora aggrappato a lui, lo trascinò con sé dall’altra parte delle mura. Hannes dovette riattivare la manovra tridimensionale per evitare di spiaccicarsi da cinquanta metri d’altezza. Quando sì fermò, ad una decina di metri dal suolo, Leìn mollò la sua gamba e saltò tra i rami dell’albero più vicino, cadendo da essi e atterrando rovinosamente al suolo.
 
 Voleva fermarlo e riportarlo indietro, ma prima che potesse ritirare la manovra il bambino era già corso via e due giganti di tre metri si stavano avvicinando al bambino. Da quella distanza non avrebbe potuto salvarlo, ma lo chiamò invano con la forza della disperazione. Ciononostante, quando gli furono accanto, i giganti proseguirono come se nulla fosse, e Leìn fu libero di correre via. L’uomo assistette sconvolto alla scena, mentre la sua mente non sapeva se scegliere tra sganciarsi dalle mura per andare a salvarlo il piccolo o risalire consegnandolo alla morte.
 
Con un grido tornò velocemente su, e prima ancora che i suoi uomini potessero aprire bocca ordinò «Sparate sui giganti che si avvicinano al bambino! Ruskin, Lietche, voi attivate i dispostivi e correte a salvare il bambino, vi faremo scudo con i cannoni!». Gli uomini, seppur dubbiosi, eseguirono subito gli ordini: caricarono i cannoni e li puntarono contro i giganti che andavano incontro al bambino. Però, prima che potessero sparare e che i due potessero attivare i sistemi, videro i giganti avanzare senza badare a Leìn, che ne approfittò per arrampicarsi su un albero vicino e iniziò a saltare da un ramo all’altro con bravura, andando dunque avanti senza camminare sul suolo.
 
I tre ragazzi giunsero sulle mura guardandosi intorno in cerca del piccolo. Prima che potessero domandare ad Hannes dove questi fosse, l’uomo indicò la figura che si allontanava velocemente. Armin, solitamente riflessivo e cauto, fu il primo ad attivare il dispositivo e ad uscire dalle mura; lanciando le corde ad ogni albero, si lanciò all’inseguimento del bambino, evitando di pensare ai giganti che gli andavano dietro. Anche Eren seguì l’amico, e Mikasa lo affiancò. Hannes provò a fermarli, ma non gli diedero neanche il tempo di parlare che erano già in aria, allontanandosi dal Corpo di Guarnigione che era stupefatto dall’evento totalmente inaspettato.
 
Leìn cercava di fare in fretta. Non aveva neanche un attimo da perdere, gli altri probabilmente erano nei guai. Ma perché, si domandò, se alla guida c’era suo fratello? Perché solo Matt era giunto alle gigantesche mura? Improvvisamente si fermò sul grosso ramo su cui era inginocchiato. C’era qualcosa che non quadrava, e riguardava proprio suo fratello. In quel momento avvertì un forte dolore alla testa, al punto da farlo piegare su se stesso. Era un dolore lancinante e insopportabile, istintivamente chiamò suo fratello «Matt, ho male alla testa… Matt…». Ma il biondo non rispose.
 
Nessuno rispose. E così ricordò.
 
 
 Ricordò le nuvole grigie sulle loro teste, le prime gocce di pioggia che li avevano colti preparati. Ma a coglierli davvero impreparati furono i giganti. Il gruppo cercò di aggirarli allontanandosi cavalcando, ma quelli li raggiunsero in poco tempo e li circondarono, tagliandogli qualsiasi via di fuga. Glen fu il primo a morire. Un Anomalo gli si era gettato contro, e Glen lo aveva intercettato prima che potesse raggiungerlo. Il soldato che tempo prima gli aveva augurato buona fortuna durante l’esercitazione a cielo aperto in cui era morta Leìf, adesso gridava dal dolore. Era riuscito ad uccidere l’Anomalo, ma questo gli aveva divorato la parte destra del corpo dalla vita in su. Il sangue scorreva copioso fuori dal corpo di Glen, mentre Mark cercava vanamente di evitare la fuoriuscita del sangue. L’uomo morì sotto la pioggia che cadeva sempre più forte.
 
 Le grida che gli altri membri del gruppo lanciavano dall’avvistamento dei giganti si moltiplicarono, la disperazione li colse tutti alla velocità di un battito di ciglia. Alcuni si gettarono urlando contro i giganti, ma la paura ottenebrava le loro capacità di giudizio e di movimento, avvantaggiando così quei mostri. Molti morirono tra le fauci dei giganti, altri trovarono una pietosa fine dopo essere stati scaraventati più e più volte contro il terreno. Non c’erano più vie di fuga. I cavalli erano fuggiti quasi tutti appena sentirono l’odore del sangue, era rimasto solo quello che Matt tratteneva a fatica. Non potevano salvarsi salendo sugli alberi superati, dato che si trovavano in una pianura nuda, e la foresta davanti ai loro occhi era inaccessibile a causa dei giganti che erano in mezzo. Alex e Borak cercavano di difendere quelli che potevano, mentre suo fratello gridava di mantenere la calma e di rimanere uniti. Alcuni ripresero il controllo di sé il tempo sufficiente per estrarre le armi e affiancare la rossa e il nero nella protezione del gruppo.
 
Vide Fiona correre lontano dal gruppo, mostrando le armi e la sentì gridare ai giganti «Provate a prendermi, eunuchi! Vi farò provare l’ebbrezza di essere delle ragazze nel periodo del mestruo!», poi riprese a correre via. Non sapeva se quelli avessero capito cos’aveva detto la ragazza, ma Leìn vide alcuni correre dietro alla rossa. La ragazza era riuscita ad arrivare vicino alla foresta, ma proprio in quel momento si udì un rumore fortissimo ed un lampo di luce squarciò il cielo; un gigantesco tronco di pino le cadde addosso colpendola in pieno e la schiacciò al suolo. A pancia in giù, schiacciata dal peso dell’albero, anch’ella vide che il fascio di luce caduto  aveva colpito proprio la base del tronco, spezzandolo di conseguenza. I giganti raggiunsero con calma la ragazza.
 
 Udì il grido di disperazione di varie persone tra cui quello di Alex, il più forte di tutti, ma non poté fare altro che tapparsi le orecchie e chiudere gli occhi.
Non voleva sentire.
Non voleva vedere.
 
 Ciononostante, quando riaprì gli occhi, vide due giganti che mettevano in bocca come se nulla fosse le gambe e il busto di Fiona. Disperato, si voltò verso il gruppo, assistendo ad uno spettacolo anche peggiore.
 
 Nonostante cercassero di resistere, gli altri membri del gruppo venivano assaliti da nuovi giganti che sostituivano quelli appena uccisi. Vide Peter attaccare un gigante, ma quello afferrò con i denti la corda della frusta e la tagliò con un solo morso. Il ragazzo indietreggiò mentre si tastava la cintura in cerca di un’altra arma, ma prima che potesse afferrarla le fauci di quella creatura si chiusero su di lui, lasciando solo i piedi che schizzavano sangue sull’erba già bagnata dalla pioggia.
 
Anche Alex e Borak fecero una brutta fine, circondati ed uccisi dai giganti dopo averne uccisi tre a testa. Xander seguì la sorte del cugino poco dopo: mentre cercava di sincronizzare i sopravvissuti per un attacco di gruppo, il nero venne afferrato per il braccio destro che teneva sollevato durante il breve discorso di incitamento e per la gamba sinistra. Il gigante, come se fosse un bambolotto, tirò i due arti fino all’estremo e,  prima che Ian potesse intervenire per salvarlo, il ragazzo si ritrovò disteso a terra, urlante dal dolore e con una forte emorragia. Nel mentre di tutto ciò, Mark si accostò a lui e a Matt, per poi chiedere al fratello «Siamo spacciati, Matt! Cosa possiamo fare? Cosa dobbiamo fare? Moriremo tutti! Non c’è via d’uscita! I giganti si avvicinano sempre di più!».
 
La pioggia cadeva incessante. Il biondo non rispose, il suo sguardo vagava sui cadaveri dei compagni caduti, sui sopravvissuti che morivano circondati dai giganti e su questi ultimi che si avvicinavano. Il braccio con cui lo stringeva a sé rinforzò la presa, mentre con l’altra mano teneva le redini del cavallo spaventato. Leìn lo vide affidare le redini a Mark, che lo guardò con aria interrogativa, poi Matt si tolse di spalla il borsone che portava con sé e glielo mise sulle spalle
 
. Lo abbracciò di nuovo, questa volta con entrambe le braccia, e gli sussurrò all’orecchio «Giunti a questo punto, solo tu puoi farlo. Vai avanti, c’è ancora speranza. Non siamo soli. Ti voglio bene… sii felice». Mark, osservandoli, mormorò «Quindi è questa la tua scelta, Matt…».
 
 Prima che Leìn potesse domandargli il perché di quell’atteggiamento, il biondo riprese con uno strattone le retini nella propria mano. Subito dopo lo afferrò per i vestiti e lo fece montare sul cavallo. Di nuovo, non ebbe il tempo di domandargli il motivo di quelle azioni. Il fratello legò le estremità delle redini al suo polso sinistro, per poi dare uno schiaffo al fianco del cavallo, che nitrendo corse verso la foresta dietro ai giganti.
 
Leìn voleva scendere dal cavallo, ma non riusciva a sciogliere il nodo delle redini intorno al polso. Si voltò indietro alla ricerca del biondo, e rimase paralizzato davanti a quello che vide: mentre gli altri giganti continuavano la mattanza, Matt lo salutava sorridendo con il braccio sinistro sollevato in aria. Vide –o gli sembrò di vedere-, tra le gocce di pioggia che ormai avevano inzuppato il fratello, tristi lacrime scorrere dagli occhi fino alle mandibole. Forse gli stava dicendo qualcosa, ma le grida di dolore dei compagni, il rumore della pioggia e degli scontri gli impedirono di udirlo.
 
 Perché Matt non lo stava seguendo? Un gigante molto alto comparve dietro le spalle del ragazzo, ma questi non mostrò di essersene accorto.
 Nonostante lo avesse afferrato per i fianchi, continuava a salutarlo.
Nonostante quel mostro stesse aprendo la gigantesca bocca, continuava a salutarlo.
 Nonostante lo stesse sollevando da terra, continuava a salutarlo.
 
Gridò il nome del fratello, ma la pioggia smorzò la sua voce. Non riuscì a distogliere lo sguardo, per cui vide il biondo, che aveva capito quanto fosse futile combattere a quel punto, che aveva guidato tutti loro per tre interi anni, circondato dai giganteschi denti. Questi tranciarono in due il corpo che aveva tante volte abbracciato, che gli aveva donato così tanto calore nelle notte gelide e nei momenti di sconforto. Vide sgorgare il sangue del fratello, e gli sembrò di provare lo stesso lancinante dolore, nel petto. Il cavallo correva veloce nonostante il tempo avverso, mentre lui non poteva fare altro che piangere e gridare.
 
 Non ricordava quando avesse smesso di piovere, o quando il cavallo si fosse fermato all’interno di macerie sparse ricoperte d’erba, probabilmente rovine di un’antica abitazione. Non ricordava quando fosse stata l’ultima volta che aveva urlato così tanto da sentirsi la gola secca. Ricordava solo una cosa: doveva andare avanti. Non poteva deludere Matt, doveva obbedire alla sua ultima – cercò di non pensare a questa parola – volontà.
Pertanto, doveva andare avanti.
 Le mura erano lì, più avanti, anche se ad occhio nudo non le vedeva.
 Ma doveva raggiungerle.
 Doveva andare avanti, finché non avesse incontrato un altro essere umano.
 Doveva andare avanti.
 
 
Inginocchiato su se stesso, non riusciva a smettere di piangere. Come aveva potuto dimenticare quello che era successo? Come aveva potuto dimenticare le ultime parole di Matt? Il suo ultimo sorriso e le sue ultime lacrime? Come aveva potuto dimenticare il sacrificio di suo fratello, che non lo aveva seguito per permettergli di avanzare senza essere preso di mira dai giganti non Anormali? Gli venne un’istintiva voglia di gridare, ma non uscì nessun suono dalla sua bocca. Il dolore dei ricordi appena riacquistati era talmente forte da impedirgli di fare qualsiasi cosa, anche di muoversi.
 
 Fu in quel momento che una mano gli afferrò la spalla sinistra e lo fece voltare bruscamente «Finalmente ti ho trovato! Dobbiamo tornare subito indietro, qui non è sicuro!» esclamò Armin, ma l’altro si rifiutò di seguirlo. Il biondo cercò di tenerlo fermo, ma il bambino si dimenava furiosamente, arrivando a spingerlo.
 
Il ramo su cui si trovavano ondeggiò pericolosamente e il ragazzo rischiò di perdere l’equilibrio, cosa che fortunatamente non avvenne. Stava per chiedergli il motivo di quel comportamento pur sapendo che non lo avrebbe capito, ma Leìn lo anticipò. Tra le lacrime, guardandolo dritto negli occhi, parlò con difficoltà nella lingua del biondo «Tuti… loro tuti… morti, amicì… no Matt, no amicì. Io solo…».
 
Armin non sapeva cosa rispondere a quella scoperta, ma sapeva che doveva sbrigarsi a tornare col bambino all’interno nelle mura. Sentiva in lontananza le voci degli amici che lo stavano chiamando e raggiungendo, mentre i giganti sarebbero potuti comparire da un momento all’altro e l’altezza dell’albero non sarebbe stata di alcun aiuto.
 
 Leìn cercò di sorridere, e aggiunse «Io andare avanti. Gratie… Armin, gratie…», per poi lasciarsi cadere all’indietro dall’albero. Prima che il ragazzo potesse afferrarlo, il bambino gli lanciò in faccia il pugnale ancora nella fodera. Armin ebbe appena il tempo di afferrare l’arma per istinto, che Leìn era già caduto sul suolo e correva con tutte le energie rimastegli in corpo avanti a sé.
 
 Eren e Mikasa, che si stavano avvicinando e che videro la scena, non poterono intervenire, bloccati da dietro rispettivamente da Erwin e Hanji. Rivaille invece li superò e afferrò Armin prima che potesse riattivare il sistema di manovra tridimensionale. «Mi lasci!» gridò Eren, cercando di liberarsi dalla stretta del superiore «Se mi trasformo in gigante posso ancora raggiungerlo e salvarlo! Posso salvarlo! La prego, mi lasci andare!» «Non posso» furono queste le parole pronunciate dall’uomo, per poi indicare Ovest.
 
Anche Armin si dibatteva nella morsa del caporale, mentre con lo sguardo seguiva Leìn e supplicava il superiore di lasciarlo andare. Improvvisamente i sei videro sbucare da Ovest un gigante di circa cinque metri che, invece di camminare, correva facendo dei lunghi saltelli. Era senza dubbio un Anomalo, e senza dubbio stava puntando al bambino.
 
 Furono inutili gli avvertimenti che gridava con tutta la voce che aveva in gola, a quella distanza il bambino non poteva né sentirlo né tantomeno capirlo. Sotto gli occhi dei militari l’Anomalo si piegò a quattro zampe e avanzò in quella posizione con la bocca spalancata, finché non la chiuse sul corpo del bambino.
 
 Una non calcolata quantità di sangue fuoriuscì dai denti del gigante e creò una grossa macchia di sangue sul terreno. I tre ragazzi erano sconvolti e in lacrime, ma non ebbero il tempo di rimanere lì a compiangere la prematura morte di Leìn: difatti l’Anomalo era tornato in posizione eretta e, con la testa leggermente inclinata, ora guardava nella loro direzione.
 
Seppur scossi da quello che era appena successo, dovettero seguire celermente i superiori per evitare di fare la stessa morte del bambino.
 

 
Nel frattempo, sulle mura arrivò un soldato novellino con una lunga ciocca bionda che non si era fatto vedere da un po’. «O’Lantern, che fine avevi fatto?» gli domandò Ruskin, ma il ragazzo non rispose e si limitò a mostrare un sorriso abbozzato. Aveva faticato molto per intrufolarsi nelle stanze dei superiori senza farsi beccare, scoprire dove Zoe avesse messo i barattoli e la siringa, infine portarli con sé senza farsi scoprire e senza lasciarsi dietro alcuna traccia di sé. Ma ora aveva finalmente ottenuto i barattoli, e avrebbe potuto allungare la vita di Leìn per qualche altro mese. Lo aveva cercato per l’intera città ma senza trovarlo, stessa cosa per Eren, quel mostro che aveva per sorella e Armin il frignone. Stava giusto pensando che dall’alto delle mura avrebbe avuto qualche possibilità in più di avvistarli e magari avrebbe pure potuto svolgere un turno interno di guardia, quando lo schiamazzare degli altri soldati attirò la sua attenzione «Stanno tornando, ma sono tutti interi? Non vedo il bambino, voi?».
 
Appena udì questa voce tra le tante si voltò di scatto verso la direzione in cui guardavano tutti, ovvero verso l’esterno. Nascostosi velocemente dietro ai compagni, vide rientrare Smith, Zoe e il caporale, seguiti da Eren, Mikasa e Armin.
 
 Ma non c’era Leìn.
 
 Tentò vanamente di dissimulare l’espressione stravolta che aveva in viso, ma fortunatamente nessuno lo stava guardando. Era successo di nuovo. Prima sua sorella, ora Leìn. Ancora una volta, non era riuscito a salvare chi gli era caro. Era da anni che le lacrime non bagnavano le sue ciglia e il suo viso per cui, anche se con difficoltà, riuscì a trattenersi. Indietreggiò silenziosamente, approfittando dell’attenzione che i sei attiravano per allontanarsi.
 
 Dopo circa tre chilometri percorsi con passo accelerato, si fermò. Sotto di sé, davanti alle mura, due giganti grattavano ostinatamente le pareti delle mura. Per la seconda volta dopo anni, perse l’autocontrollo. Le dita della mano destra strinsero con forza la cintola della borsa di Leìn, mentre il braccio indietreggiava. Con un movimento veloce lanciò la borsa con tutto il contenuto verso il basso, schiantandosi contro il viso del gigante impassibile «Riprendetevi il vostro maledetto sangue!» esclamò, col cuore gonfio di tristezza e rabbia.
 
Incominciò a camminare avanti e indietro, con il viso rivolto verso il basso e gesticolando con le mani per tentare di calmarsi, mentre riepilogava quello che avrebbe dovuto fare. Aveva recuperato la borsa e, seppur non aveva potuto restituirla al legittimo proprietario – non riusciva a pensare nemmeno al nome di Leìn, tanto era il dolore che provava –, almeno si era sbarazzato del suo contenuto prima che i militari avessero potuto analizzarlo.
 
Ora mancava solo il diario di viaggio di Matt. Doveva recuperare il quaderno il prima possibile, prima che Zoe riuscisse a tradurre la parte davvero importante del quaderno. Che si tenesse pure gli stupidi monologhi di Russell, pensò Jack, ma non “quella” parte.
 
Quella parte non sarebbe mai finita tra le mani né dei militari né del Re, tempo addietro aveva fatto quella promessa e si era ripromesso di mantenerla. Gli uomini che vivevano nelle mura dovevano avere meno informazioni possibili sui giganti.
 
Non poteva fermarsi, doveva andare avanti.
 

 
Erano passate due settimane da quel giorno. Pur avendo ancora in mente quell’episodio, tutti riuscivano ad andare avanti. Tutti tranne Armin. Nonostante fingesse di stare bene, nonostante avesse visto altre volte delle persone conosciute morire a causa dei giganti, non riusciva a dimenticare il bambino e la sua morte.  
 
Furono i pensieri che lo torturavano giorno e notte, a spingerlo a fare quella richiesta ad Hanji «Posso leggere con calma il quaderno di Matt Russell?». Difatti, lui e Hanji avevano proseguito la traduzione del quaderno lasciato da Leìn, riuscendo a completare la prima parte scritta. Anche se aveva partecipato alla traduzione, voleva leggere il testo con la scorrevolezza e l’assenza di interruzioni che gli dava la traduzione.
 
 La donna acconsentì, ma solo a patto che il ragazzo non portasse il quaderno fuori dal suo ufficio. Le ribolliva ancora il sangue dalla rabbia per la sparizione dei preziosi barattoli di sangue di due settimane addietro, evento per cui non aveva trovato né un colpevole né le sue tracce. Il solo pensiero di ciò che quel sangue nascondeva e che ora non era più in mano sua, era fonte di grande frustrazione per lei. Pertanto, dopo aver salutato il ragazzo, chiuse a chiave la porta come da un po’ di tempo aveva l’abitudine di fare. Sarebbe passata più tardi per controllare che avesse finito, nel frattempo sarebbe andata nella biblioteca personale a dare un’occhiata ad alcuni libri.
 
Armin, sedutosi davanti alla scrivania, aveva il quaderno davanti a sé. Lo aprì, e le prime righe comparvero davanti ai suoi occhi.
 
 
Umanità sopravvissuta, questo quaderno è un messaggio di speranza. Com’è vero che il cielo è azzurro, com’è vero che il mare è salato, com’è vero che sto scrivendo, io, Matt Russell, vi dico: il mondo può tornare nelle mani dell’umanità”...
  
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