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Autore: giascali    16/08/2014    4 recensioni
I cristiani credono che, dopo la morte, a seconda del nostro comportamento, andiamo o all' Inferno (che, quando diciamo "va all' inferno!", sia una specie di predizione?) o in Paradiso. Gli Indù, invece, pensano che ci reincarniamo. Gli antichi greci avevano una visione più complicata, ma anche molto più interessante (o quanto meno per me). Gli ebrei, invece, non credono nella vita dopo la morte. Ma tutte queste teorie si sono rivelate false ed Ellison Hyde, sedicenne ragazza inglese, grande amante dei libri e incapace di vivere nell' ordine, sta per scoprirlo. E così, tra amici che fanno sedute spiritiche, il fantasma del nonno della tua migliore amica e molto altro, Nellie troverà un mondo che sembra uscito dall' immaginazione di Tim Burton e scoprirà che, dopotutto, non è l'unica con una vita complicata, sopratutto se si parla di un estroverso ragazzo che non ricorda niente della sua vita...
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8
Sibyl Martin
 
 
Ho incontrato Jenna quando avevo circa tredici anni, mancavano pochi mesi al mio compleanno. Quattro, se non erro. Il che implica che io la conosca da tre anni e qualche mese.
Ricordo che ci fu presentata il primo giorno dopo le vacanze natalizie. La professoressa di algebra, Miss Horne, era entrata in classe con accanto a sé una ragazzina dalla carnagione scura.
Poi entrambe, all’altezza della cattedra, si erano fermate e girate verso noi.
Al ché, la Horne aveva iniziato a presentarci la nuova arrivata, che se ne stava in silenzio, studiandoci con curiosi occhi nocciola. - Lei sarà la vostra nuova compagna di classe, Jenna Martin. Viene da New Orleans, in Louisiana.- aveva detto. Alla parola “Louisiana”, ricordo che tutta la classe si era protesa in avanti, desiderosa di carpire più informazioni della nostra esotica e nuova compagna di classe. Broseley era una cittadina piccola, ogni accenno ad altri luoghi attirava sempre l’attenzione.
Anche io mi ero protesa, per poi pensare che Jenna sembrava un lupo con il collare, con addosso la divisa scolastica. Non era un insulto, non sono mai stata il tipo che pensa questo genere di cose, a differenza di Mona Hogg, che quando mi vedeva in giro non perdeva occasione per chiedermi se da grande avessi preso la professione di becchino, per via dei miei abiti perennemente neri, ma una constatazione: Jenna Martin sembrava fuori posto con la camicia bianca, la cravatta e la gonna scura. I suoi capelli, tra cui scorsi delle treccine e delle ciocche con delle perline, gli orecchini colorati, e la sua espressione, come se stesse studiando chi tra noi potesse diventare un suo futuro complice, mal si adattavano all’uniforme.
- Vuoi dire altro, Jenna?- aveva aggiunto poi la Horne. Dal suo tono si capiva che sperava che la tredicenne aggiungesse qualcosa, magari un aneddoto interessante, ad esempio “Sì, i miei hobby sono: suonare la cornamusa e fare foto ai rettili ed anfibi. Una volta ne ho scattata una ad un alligatore.”, ma Jenna non disse altro. Non sembrava desiderosa che altri sapessero i tredici anni che aveva trascorso prima di venire in Inghilterra. Era come se volesse condividere quei ricordi solo con pochi prescelti.
Allora, la professoressa aveva cercato di non assumere quell’espressione annoiata, a cui ero ormai abituata e che non mi aiutava molto a capire perché fosse così importante imparare a risolvere le equazioni, e indicò il banco accanto al mio. - Puoi sederti, lì, Jenna, allora. - aveva detto.
In quel momento, credo di aver mandato mille e più maledizioni a David, già mio amico dai tempi della terza elementare quando, nonostante a quell’età l’altro sesso appariva ai più a dir poco disgustoso e bizzarro, aveva fatto amicizia con me e Dominique offrendoci un po’ della sua merenda, perché si era seduto con la mia amica dall’altra parte dell’aula, lasciandomi da sola.
Jenna, alle parole dell’insegnate, aveva fatto spallucce e raggiunto il posto indicatole. Poi aveva disposto le sue cose nel banco, senza dirmi nulla. Non che io avessi tentato un approccio.
Rammento che con la coda dell’occhio l’avevo guardata. Era a dir poco esotica, con la sua pelle color caffèlatte e i capelli scuri e intrecciati. I lineamenti facevano capire subito che uno dei suoi genitori fosse creolo, con il naso schiacciato e le scure labbra carnose, ma nella sua “presentazione” Miss Horne non aveva specificato chi potesse essere, così supposi che si trattasse della madre, perché “Martin” non sembrava un cognome originario di New Orleans.
Dopo averla studiata, avevo lanciato un’occhiataccia a David, allora un allampanato tredicenne con i capelli biondi decisamente troppo lunghi e alcuni brufoli visibili sulla fronte spaziosa, che aveva risposto con una linguaccia.
Avevo riabbassato lo sguardo e tirato fuori dallo zaino un libro, perdendomi nella lettura.
 
Io e Jenna siamo diventate amiche solo qualche giorno dopo. Era entrata nella libreria di mia madre ed io gironzolavo tra gli scaffali come al solito. Cercavo dei libri che non avessi ancora letto, anche se era difficile, siccome non ne erano arrivati di nuovi. Jenna aveva chiesto, senza rivolgersi veramente a qualcuno, siccome mia madre stava gestendo tre clienti, quanto costasse il giallo che aveva preso da chissà dove, visto che non mi ricordavo neanche che ce l’avessimo. Vedendo che mia madre non poteva occuparsene, le ero corsa in aiuto e ci eravamo messe a parlare, con la gentilezza cauta tipica che si usa quando parli con un tuo compagno di scuola di cui non sei proprio amico ma che ti sta simpatico.
Da quel momento in poi, Jenna, che ancora non si era legata veramente a qualcuno, in classe, aveva iniziato a venire ogni pomeriggio, solo per parlare con me, anche se avevo dei libri da riordinare o altro da fare. Poi, come se fosse parte di un processo naturale, faceva già parte della mia ristrettissima cerchia di amici e tutti e tre amavamo quando si metteva a raccontare delle vie colorate del quartiere francese quando c’era il Martedì Grasso.
 
La foto che stavo guardando, raffigurava proprio noi quattro nella camera di Jenna, una piccola e colorata stanza, senza una porta ma un velo di perline dai colori cangianti, con numerose collane al collo, intenti ad ascoltare la nostra amica. Nell’immagine, Jenna mi stava intrecciando i capelli, Dominique disegnava, nel nostro gruppo era l’unica in grado di farlo in modo decente, e David era sdraiato placido sul tappeto della camera.
Mentre maneggiava i miei capelli, neri come inchiostro, Jenna parlava di quando sua madre, qualche giorno prima di Martedì Grasso, le intrecciava i capelli, canticchiando.
La foto era stata scattata da Sibyl, era entrata nella stanza e a tradimento aveva immortalato il momento.
Ero a casa di Jenna, ma lei non c’era. A quanto diceva suo padre, Paul, un giornalista, era uscita per andare a trovare Evelyn Adams. Quando me lo disse, sorrisi, nessuna delle due voleva definire propriamente il loro rapporto.
Ero seduta sul divano del salotto, tentando di mascherare la mia tensione. Non avevo ideato un vero e proprio piano e avevo il terrore di venire fraintesa. Non volevo raccontare a Sibyl della mia “abilità” ma avevo bisogno di qualcuno esperto nel settore e l’unico nome che mi era venuto in mente era quello di Sibyl Martin
La sopracitata, entrò nel salotto, in mano un vassoio con sopra delle tazze, una teiera, un contenitore di zucchero, un piattino con del limone e due cucchiai. Sorrisi all’istante, sentendomi scivolar via la tensione. Amavo prendere il tè a casa Martin: Sibyl si discostava dalla tradizione inglese e, in qualsiasi infuso scegliesse, finiva col aggiungere immancabilmente sempre il limone e lo zucchero di canna, adoravo il risultato.
Mia madre preferiva il tè freddo, come me, d’altronde, ma facevo eccezione per quello preparato da Sibyl, e non preparava molto spesso quello caldo, per lo più durante le giornate particolarmente piovose o fredde, che non erano poi questa gran eccezione in Inghilterra.
Con un sorriso, guardai Sibyl versare con eleganza la bevanda in una tazzina di porcellana per poi porgermela e fare lo stesso con la sua. Sibyl assomigliava molto a sua figlia Jenna. Avevano entrambe gli stessi lineamenti, e corporatura, ma la prima aveva un non so ché di più elegante, forse era dovuto per i suoi capelli ricci e scuri che ora teneva legati in una treccia o le sue lunghe ciglia nere che le contornavano gli occhi scuri, più di quelli nocciola della figlia, che aveva ereditato dal padre Paul. Oppure era perché Jenna non si vestiva con lo stesso stile sobrio di sua madre e preferiva indossare colori vivaci e svariati accessori, come decine di braccialetti e più di una collana al collo.
Sibyl prese un cucchiaino e lo riempì di zucchero, prima di versarlo nella tazzina e metterci anche una spruzzata di limone. Mescolò il tutto e diede un sorso, prima di posare i suoi occhi scuri su di me, da oltre la tazza.
Soprapensiero, io feci lo stesso, sperando che Sibyl non notasse il mio comportamento strano. – Nellie, - richiamò la mia attenzione, ad un certo punto, vedendo che non mi stavo decidendo a parlare. – non sei venuta per vedere Jenna, vero? –
Posai la tazzina sul tavolino davanti al divano, cu cui c’erano anche il vassoio e una rivista, ed annuii. – Sì, la stavo cercando. –
Sibyl sorrise. – Oh, ti prego. Dammi del tu, ci conosciamo da anni, Nellie. –
Sul mio viso si fece strada un altro sorriso. – Okay, Sibyl. –
Si appoggiò con la schiena alla poltrona di fronte a me. – Ritornando al discorso di prima… per cosa sei venuta, allora? –
Le mie mani, che ora tenevo in grembo, iniziarono a torturarsi l’un l’altra. Non sapevo se farle sì o no le domande che desideravo porle, forse sarebbe stato meglio dire che non sapevo se fosse stato meglio se mi avrebbe presa per pazza o no.
-Per farle delle domande sul suo lavoro. – le risposi dunque.
Al ché, Sibyl parve per un attimo sorpresa, poi divenne seria ed annuì. Mi scrutò attentamente e poi mi chiese: - Cosa vorresti sapere? –
Lanciai un occhiata al resto della stanza e individuai senza problemi Abraham: era sulla soglia della cucina e ci stava guardando. Dopotutto anche lui era curioso di cosa sarebbe successo, siccome ero venuta lì esclusivamente per lui. Mi grattai la guancia, lievemente imbarazzata ed incerta sulle domande da fare. – Emh… ecco… -  cosa avrei dovuto dirle? Accampare delle scuse e affermare che le mie erano solo ipotesi oppure raccontarle tutto? Non sapevo propriamente perché non avevo raccontato nulla ai miei amici, e pensare che loro sapevano tutto di me, e nemmeno dire se avrei mai svelato loro l’esistenza di una mia capacità che mi permetteva di viaggiare in un altro mondo, ma, nonostante mi sarebbe risultato utile, mi sembrava una sorta di tradimento riferire del mio “viaggio” a Sibyl. Propesi per la prima opzione. – Mi può spiegare come funziona l’evocazione di uno spirito? Insomma, come… come si fa a riportarlo indietro. – a quelle parole, sentii la mia voce spezzarsi. Odiavo il pensiero che Abraham fosse riuscito a ritornare senza che potesse parlare Dominique. Alle mie parole, Sibyl sollevò un sopracciglio e non rispose, mandandomi ancora di più in agitazione. – Insomma, supponiamo che dei ragazzi cerchino di evocare lo spirito di una persona. Se questo rito viene interrotto a metà, questo fantasma quindi si ritrova a dover vagare per l’eternità qui? Oppure può ritornare indietro? E se sì, come? – finite le domande che desideravo porle, richiusi la bocca e mi riappoggiai allo schienale del divano, rendendomi conto solo ora che mi ero sporta verso Sibyl. La donna rimase ancora zitta. Bevve un altro sorso di tè, continuandomi a guardare. Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio, in agitazione. Poi, dalla cucina ne uscì Paul. Con la mano sinistra si teneva al petto varie scartoffie, alcune spiegazzate ed altre macchiate di caffè, invece con l’altra portava la cartella che usava per andare al lavoro. Con il dorso della mano destra si riaggiustò gli occhiali senza montatura e rivolse ad entrambe un sorriso. – Devo andare. Ho un’intervista urgente da fare! – si chinò su Sibyl per darle un bacio a fior di labbra e scappò via dalla porta, seguito con lo sguardo da noi due.
Era proprio diverso da sua moglie. Sibyl sembrava prendere tutto con calma e sarebbe arrivata in ritardo, piuttosto che iniziare a correre, al contrario di Paul che sembrava aver bisogno sempre di qualcosa da fare e correva sempre da un posto all’altro. Se Jenna aveva ereditato molto da Sibyl, in quanto a ereditarietà fisica, aveva preso la stessa quantità di tratti del carattere del padre.
Una parte della mia mente si chiese che intervista urgente avesse da fare in una cittadina come Broseley. Forse l’intervista era con un signore venuto da una città grande, come Londra…
-Bisogna completare il rito. – mi distrasse dai miei pensieri la voce della madre di Jenna. Mi voltai subito verso di lei, ricordandomi solo adesso per cosa ero venuta. Sentii Abraham sussultare.
Riposai lo sguardo su di lei. – Cosa? -  domandai con voce improvvisamente rauca.
Sibyl socchiuse gli occhi, prima di specificare. Mi ricordava vagamente un gatto che stava tranquillo sotto il sole. – La risposta alla tua domanda. Vorrei sapere cos’è successo ma, finché ci sono fantasmi in giro prima dei tre giorni dell’oltretomba, mi basta sapere che qui c’è un fantasma del tutto innocuo e che ora sai come riportalo indietro. -
Non appena vide la mia espressione sorpresa, sorrise, bevve un altro sorso di tè e si voltò verso la cucina. No, sarebbe meglio dire che posò il suo sguardo a destra dell’entrata, esattamente dov’era Abraham. Poi, i suoi occhi si alzarono, fino ad incontrare i suoi, sempre che lo vedesse, cosa che proprio adesso stavo iniziando a sospettare. Il nonno di Dominique, incrociato lo sguardo color caffè di Sibyl, sbiancò del tutto, sempre che potesse farlo, vista la sua attuale situazione di fantasma. Sibyl sorrise di nuovo, assumendo un’espressione amichevole e tranquilla che non avevo mai visto nel volto di sua figlia. – Ciao, Abe. -

Note dell'autrice:
Umh, sì, questa volta il ritardo si è fatto sentire di più.
Già.
Chiedo venia ma mi sono imposta di avere almeno un capitolo di scorta (?) ogni volta che pubblico, quindi volevo aggiornare una volta finito il nono che ho appunto terminato oggi :)
Comunque... anche questo è di passaggio parecchio ma mi serviva per introdurre Sibyl che ho intenzione di far spuntare altrei volte nella storia u.u 
E poi mi piace il suo personaggio. Voi che ne pensate?
Coooooooomunque, mi è piaciuto molto scrivere questo capitolo, sopratutto per la prima parte. Amo scrivere di Ellison con i suoi amici in questo genere di scene pre-viaggio. David poi... devo assolutamente dargli più spazio nella storia, sto iniziando ad amarlo. 
Prima di andare, voglio fare un accorgimento che non ho scritto nel sesto capitolo (in cui si nomina per la prima volta la cittadina di Ellison): Broseley esiste veramente. E' una città che si trova in... come si chiamano le cose in cui è suddivisa l'Inghilterra? Vabbe', Broseley è nel Salop. Anche chiamato Shropshire. Vicino al Galles.
Al prossimo capitolo :)

 
   
 
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