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Autore: BlackRose97    17/08/2014    1 recensioni
Dal testo: «Qual è il tuo nome, ragazza?» chiese l’uomo intanto che appiccava il fuoco sulla casa dalla quale erano usciti un momento fa.« Non me lo ricordo» rispose mentre ammirava le fiamme che lentamente invadevano la casa « Beh. Allora te ne affiderò uno, comunque io sono Benjamin»
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mio primo ricordo
23 luglio 2013, New York

Le urla della donna riecheggiavano per tutta la stanza, mentre la ragazza le conficcava i canini sul suo esile collo. La donna le implorava di smettere, ma quelle parole non facevano altro che farla divertire ancora di più. Con violenza si staccò dalla donna, ormai priva di vita, e la gettò con forza sul gelido pavimento, laddove s’incominciò a creare una pozzanghera di sangue.  La ragazza con sguardo famelico guardò l'uomo. Quest’ultimo, che aveva assistito alla scena raccapricciante di poco fa della donna, rimase pietrificato davanti a quello sguardo cremisi. La ragazza con lentezza si avvicinò  a lui, e senza che potesse fare niente lo morse, fino a farlo gemere dal dolore. Poi come accaduto prima con la donna, lo gettò sul pavimento vicino a lei, e li guardò. Con il dorso della mano si ripulì dalle labbra il sangue, nella quale vi era disegnato un sorriso divertito.

 Di colpo aprì gli occhi, e con sorpresa scoprì di trovarmi nella mia camera. « Era stato solo un sogno..» dissi a me stessa cercando di tranquillizzarmi, ma ero ancora parecchio scossa. Chiusi nuovamente gli occhi, ma quelle immagini mi ritornavano in mente e non potei non sussultare nel sapere che era un mio ricordo, ed era proprio quello che non volevo ricordare più di tutti. Stizzita mi alzai velocemente dalla poltrona, nella quale un attimo fa ero seduta, e mi diressi in bagno, chiudendomi con forza la porta dietro di me. Mi precipitai velocemente allo specchio e ciò che vidi mi fece sgranare gli occhi. Avevo la pelle più pallida del solito, i miei capelli castani erano crespi e spenti, le mie labbra erano anch’egli pallide, ma la cosa che mi fece spaventare furono gli occhi erano diventati rossi come il sangue di quelle due persone, che avevo ucciso con le mie stesse mani 290 anni fa a Londra. Mi odiavo per ciò che avevo fatto e la mente non faceva altro che ricordarmi quell'episodio orribile. Con forza diedi un pugno allo specchio, che si frantumò in mille pezzi. La mano, con cui diedi un pugno allo specchio, incominciò a sanguinare ed alcune schegge si erano conficcate nella carne « ACCIDENTI A TE! QUESTO È IL DECIMO SPECCHIO CHE MI SPACCHI» girai lo sguardo in direzione della porta, che si aprì, ritrovandomi un Ben furibondo, e non c’era da biasimarlo questo era il decimo specchio che gli rompevo in una settimana «mi dispiace..» mormorai abbassando lo sguardo sulla mano che sanguinava ancora. Lo sentì sbuffare, e senza accorgermene sentì il suo tocco sulla mia mano sanguinante, e me la esaminò.  A quel tocco sussultai, ma lui fece finta di niente e si rigirò fra le sue la mia « Andiamo in cucina così ti tolgo i vetri dalla mano» rispose per poi portarmi fuori da lì.

«Dovresti cominciare a smettere di prendere a pugni le cose; mi risparmieresti di spendere soldi» mi disse, intanto che buttava nella spazzatura i pezzi di vetro. Io rimasi in silenzio mentre guardavo le mie ferite sulla mano, che si cicatrizzavano un po’ più lentamente del solito. Di sottecchi lo vidi prendere posto di fronte a me, e non potei che non sbuffare perché sapevo cosa stava per dirmi  «Non fare quella faccia, lo sai che sono preoccupato per te soprattutto ora che il tuo corpo è debole » mi prese la mano, quella  che non si era ancora cicatrizzata e me la mise davanti agli occhi « La vedi. Se il tuo corpo non ingerisce un po’ di sangue ti indebolirai sempre di più e le tue ferite non guariranno velocemente» con rabbia mi divincolai dalla sua presa. « Non puoi obbligarmi a bere del sangue se io non lo voglio»  « Sì, questo è vero, ma non ti lascerò morire per un tuo capriccio» disse scrutandomi con quei suoi occhi scuri, che in questo momento mi fecero inquietudine. Sapevo che, se avesse potuto me le avrebbe fatto ingoiare con la forza il sangue, anche se io non ero d’accordo. Non sopportando più il suo sguardo su di me, irritata mi alzai facendo un rumore stridulo con la sedia, e me ne andai in soggiorno. Posai lo sguardo sulla finestra e  con gioia vidi che era già buio. Girai lo la testa in direzione della cucina sperando che non ci fosse,e con sorpresa non vidi nessuno. Forse se ne era andato in camera sua. Che fortuna. Con velocità indossai l’impermeabile grigio e mi avvicina alla porta per uscire. Mi girai, nuovamente, indietro un ultima volta sperando di non incontrarlo da nessuna parte, e quando non vidi nessuno  mi diressi fuori dall’appartamento.

Finalmente raggiunsi Central Park. Avevo corso per circa un quarto d'ora, anche se ero debole con la poca forza che mi rimaneva riuscì ad arrivare là. Da quanto eravamo arrivati a New York ogni volta che calava la notte di nascosto, venivo qua. Non c’era mai nessuno a quell’ora, e prima che sorgesse il sole, me ne ritornavo a casa, dove c’era Ben, che mi aspettava non tanto felice. La prima volta che lo incontrai era stato a Londra, e fu lui che mi trovò, e da quella volta decisi di seguirlo nel suo viaggio. Nella mia vita da umana non ricordavo niente, nemmeno il mio nome, però Ben una volta  mi aveva raccontato che quando diventi un vampiro di solito ricordi qualcosa della tua vita umana, ma io non sapevo il perché ma non riuscivo a ricordare niente. Di colpo mi sentì triste. Benjamin mi ha sempre protetta, comportandosi con me con fare paterno ed oggi con lui  mi sono comportata in modo così egoistico. Lui voleva solo aiutarmi ed io lo trattato da schifo, fuggendo pure da lui senza dirgli niente, però se tornassi a casa adesso sicuramente farei in tempo, per scusarmi per il mio atteggiamento. Sì, sicuramente lo fará. Feci per tornare in dietro, ma di colpo ebbi un capogiro, che mi fece cadere sulle ginocchia sull’erba fresca. Ma che mi succede? Sento dolore alla testa ed è molto forte. Delle risate mi fecero distrarre dal dolore ed alzando lo sguardo vidi due donne, una con i capelli neri e l'altra castano scuro, camminare nella mia direzione. Appena mi notarono si precipitarono subito vicino a me « Che le succede?» mi domandò la corvina mentre si chinava vicino a me. La donna appena vide il mio sguardo sofferente si girò verso la castana «Chiama subito l’ambulanza» disse con preoccupazione rivolgendosi all’amica, che non prese tempo a prendere il cellulare per chiamare. Appena vidi quel gesto con forza mi staccai dalla donna, facendola cadere per terra e mi avvicinai all’altra per toglierle il cellulare dalle mani. Se avesse chiamata il pronto soccorso, i medici avrebbero capito che non ero umana e questo non deve assolutamente succedere «Accidenti, che male» mi girai verso la corvina, intenta a controllarsi il gomito, nella quale fuoriusciva del sangue. A quella vista sgranai gli occhi e rimasi bloccata. La sua amica si precipitò da lei, ignorando ciò che stava facendo prima,  mentre io  guardavo quel sangue con sguardo… famelico?! Non doveva accadere ciò che era  successo a Londra, ma mi sentivo debole, e di colpo la vista incominciò a farsi sempre più nitida, poi successe tutto all’improvviso. Delle urla terrorizzate mi arrivarono alle orecchie e poi il buio totale.

«Mamma, guarda che bello?» rispose allegramente una bambina con in mano un uccellino, mentre correva in direzione della donna, che la guardava sorridente. «Oh, piccola mia. Dai fammi vedere che hai trovato di bello?» la bambina le mostrò l’uccellino azzurro, che aveva trovato, e la donna non poté non sorriderle. «L’ho trovato sotto ad un albero. Ha un ala spezzata» rispose la bambina con sguardo triste. La donna sorrise per l’altruismo per la figlia verso gli altri. «Allora prenditi cura di lui, ma fai attenzione è un animale delicato e il minimo tocco gli potrebbe far male» la bambina con determinazione chinò la testa in segno di sì «Brava piccola mia» disse la donna accarezzandole il capo con affetto. «Mamma, ma se non riuscissi a salvarlo?» rispose tristemente la bambina abbassando i suoi occhi marroni sull’animale. La donna appoggiò la sua mano sulla spalla della figlia, facendole alzare lo sguardo «Non dubitare di te, Roxane. Sono sicura che quell’uccellino fra poche settimane volerà nel cielo insieme agli altri» disse la donna sorridendole con dolcezza.

Cos'era quello che aveva appena visto? Sembrava un ricordo, forse stava incominciando a ricordare qualcosa delle sua vita da umana, e poi aveva sentito quel nome, Roxane. Chissà se era veramente il suo.
« finalmente ti sei ripresa» disse Ben con sguardo sollevato. Da quanto era qua e come aveva fatto a trovarmi? Aspetta un secondo, ma con me non c'era due donne, che fine avevano fatto? Alzai un po’ il capo e mi guardai in giro alla loro ricerca, e appena i miei occhi si posarono su due corpi fatti a pezzi, lanciai un urlo terrorizzato, perché erano proprio le due donne, che poco fa erano con me. Ben mi fu subito vicino e mi abbracciò forte a sé « Non sono riuscito ad arrivare in tempo. Non volevo che lo vedessi» con forza mi strinsi forte a lui. L'avevo fatto di nuovo, avevo di nuovo ucciso delle persone innocenti, ma non ricordo niente di quel massacro. L'ultima cosa che ricordo fu delle urla e poi ho avuto quel ricordo. Smisi di urlare e Ben, senza fatica, mi prese in braccio. Per tutto il viaggio rimasi in silenzio, non sapevo cosa dire in mia discolpa « dirò a dei miei amici di far sparire quei corpi. Non ti devi preoccupare» disse Ben cercando di tranquillizzarmi, ma ero ancora troppo scossa. « Eddai non rimanere in silenzio, bambina mia» disse mentre con la mano mi accarezzava i capelli e a quel tocco mi sentì già meglio « Ho ricordato un episodio della mia vita da umana» mormorai dalla sua spalla «Davvero? E cosa hai ricordato?» Gli raccontai ciò che avevo visto e lui mi ascoltava in silenzio « però la figura della donna era sfogata non si vede bene chi era» mi gira per guardarlo di profilo e lo vidi con lo sguardo perso. A cosa stava pensando? « Forse più avanti ricorderai chi era» « sì hai ragione» dissi stringendomi più a lui « Roxane, eh? Sai ti dona molto questo nome» io alzai le spalle con non curanza « può darsi» « Allora non ti dispiace se ti chiamo con quel nome, poiché negli ultimi tempi non sono a trovartene uno che ti rispecchiava» « Roxane non mi dispiace come nome, puoi chiamarmi così» in realtà non mi importava un granché di avere un nome o meno, ma lui ci teneva che l'avessi, così da avere un'identità.
« Roxane...» appena sentì quel nome, il mio nome, non so il perché ma mi sentì felice «... Andiamo a casa, ti va?» A quella frase non potei che sorridergli felice mentre da dietro alla sua schiena ammiravo il cielo che si era fatto un po' più chiaro. Chissà se quell'uccellino azzurro, del mio ricordo, alla fine ritornò a volare.
 
  
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