Film > Dragon trainer
Segui la storia  |       
Autore: Shadow Eyes    17/08/2014    3 recensioni
A memoria d’uomo la vita di un Bifolko Peloso non era mai stata all’insegna della quiete ma, piuttosto, delle risse più assurde, delle invasioni più audaci, degli incendi più indomabili e, ovviamente, dei draghi. Gli anziani dalle lunghe barbe bruciacchiate, tuttavia, narravano ai nipoti di periodi avvolti nelle nebbie del tempo e del mito, durante i quali esisteva la concordia tra i popoli e qualcosa chiamata: “pace”. Probabilmente. Nessuno in realtà era vissuto così a lungo da poterselo davvero ricordare.
Quando Hiccup vide le insegne delle navi dei Grandi Guerrieri che attraccavano nel porto del villaggio, ebbe la triste certezza che non avrebbe mai visto nulla di tutto quello. Trasse un lungo e sofferto sospiro.
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Dagur 'Lo Squilibrato', Hiccup Horrendous Haddock III, Testa Bruta, Testa di Tufo, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Tua madre
Deranged:
i pazzi crescono senza innaffiarli






Capitolo VIII: I pazzi crescono senza innaffiarli




Regola della vita è che possiamo, e dobbiamo, imparare da tutti.
Ci sono cose serie della vita che possiamo apprendere
da ciarlatani e banditi, ci sono filosofie che ci sono impartite da stupidi,
ci sono lezioni di fermezza e di legge che vengono dal caso
e da coloro che il caso ha scelto. Tutto è in tutto.

- Fernando Pessoa, “Il libro dell'inquietudine”





Berk era una pennellata soffusa di grigio nella foschia delle prime luci dell’alba. La nave di Johann oscillava lievemente, in un silenzio che sapeva di esausta allegria. Il ponte era disseminato di piccoli vichinghi addormentati e grandi, prodi vichinghi inebriati dallo scontro ancora fresco tra i loro ricordi.
Dagur rantolò, masticando tra i denti un’imprecazione.
«Ah, bentornato tra noi!», disse con un sorriso il mercante, gli occhi grigi persi nei primi accenni di verde dell’isola. «Ormai non manca molto!»
Il giovane si alzò, volgendogli un’occhiata cisposa senza degnarlo di una vera e propria risposta. Scrollò le spalle, spostandosi meccanicamente lungo un fianco della nave a fissare l’orizzonte. Erano passate ore da quando erano salpati da quel buco sabbioso dimenticato persino dagli dei e, finalmente, il viaggio era terminato. Tra l’indolenzimento delle membra, riuscì a sentire anche un po’ di felicità.
«Casa dolce casa!», esclamò Skaracchio da qualche parte alle sue spalle, inalando a pieni polmoni una grande boccata d’aria.
«Era ora!», grugnì Stizza Bifolko, dando inavvertitamente voce anche ai pensieri di Dagur al suo fianco.
Lo sbarco fu rapido e silenzioso, salutato solo da pescatori perplessi, che stavano preparando le loro imbarcazioni per una lunga giornata in mare. Dopo essersi congedati del resto della truppa Hiccup, Dagur, Testa Bruta e Skaracchio si diressero verso il centro del villaggio tra sbadigli e stiracchiamenti; una volta fatto rapporto ai capi villaggio, l’intera storia sarebbe arrivata finalmente alla sua conclusione.
«State per raccontare una delle storie più assurde mai sentite a Berk.», rise Skaracchio, lanciando un’occhiata significativa al trio malmesso alle sue spalle.
«E allora?», domandò Dagur, con una nota d’insofferenza nella voce.
L’armaiolo tacque, grattandosi il mento.«Allora non aspettatevi che tutti pendano dalle vostre labbra, quando la racconterete.»
La porta dell’abitazione Haddock parve quasi un miraggio intessuto da un sogno, nelle loro menti impigrite dalla stanchezza. Non appena la varcarono, furono accolti dagli occhi sgranati dei due capi villaggio, seduti vicino al braciere con i volti tirati e stanchi quanto i loro.
«Che Thor mi fulmini adesso!», mormorò Stoick l’Immenso, alzandosi di scatto. «Ho le traveggole!»
«Allora siamo in due.», concordò Oswald Il Simpatico, alzandosi a sua volta ma con meno impeto.
«Questa l’ho già sentita.», borbottò divertito Hiccup tra i denti.
«Guardate un po’ chi non ha fatto da spuntino a un Incubo Orrendo?», esordì di buon umore Skaracchio, salutandoli. «A quanto pare non avevi tutti i torti sulla destrezza di tuo figlio, Oswald!»
Dagur storse le labbra a quel commento, marciando impettito nella stanza. Incrociò lo sguardo sconvolto del padre, rispondendo con un secco cenno del capo.
«Credo che avremo molto di cui discutere.», disse Stoick con un’eloquente alzata di sopracciglia. «Allora, chi vuole cominciare?»
Il racconto fu un capolavoro di coralità teatrale, che si dipanò tra ampi gesti e imitazioni scenografiche, illustrando tutte le peripezie iniziate dal semplice capriccio di un drago. Skaracchio, Testa Bruta, Dagur e persino Hiccup, si alternarono tra particolari e spezzoni di frasi, travolgendosi gli uni con gli altri in un fiume variopinto di parole. Quando ebbero terminato, ci fu un trionfo di esclamazioni colorite e pacche sulle spalle.
«Figlio…» Oswald il Simpatico raggiunse Dagur e gli poggiò una mano tozza sulla spalla, recuperando un po’ di colore sul volto grigiastro. «Hai fatto qualcosa di straordinario.»
Il giovane sostenne il suo sguardo con rigido contegno, sebbene le nocche gli fossero completamente diventate esangui dopo quel breve contatto.
«Non. Toccarmi.», fu, infatti, il sibilo velenoso che gli strisciò tra i denti. «Lo sai che mi fa innervosire.»
«Certo.», sospirò con amarezza il capo tribù dei Grandi Guerrieri, lasciando cadere la mano lungo il fianco. «Lo so.»
Dagur fu tentato di scoppiargli a ridere in faccia. Era ridicolo. Non riusciva a sopportarlo, proprio non ce la faceva. “Il figlio di Oswald il Simpatico”, una volta era così che veniva chiamato tra i Grandi Guerrieri. Il figlio del capo, sangue del suo sangue. Gli faceva ribrezzo anche solo essere associato a quelle parole, eppure, nella sua vita, avevano giocato un ruolo fondamentale. Temuto e viziato, Dagur aveva passato l’infanzia a ingurgitare fiele negli strascichi della soffocante ombra del padre, ne aveva assorbito il fascino, ne bramava il possesso e, al contempo, ne aveva subito la vergogna e lo sprezzo di popolo fiero, che non aveva mai voluto seppellire il proprio orgoglio guerriero. Un’intera identità, la sua, divenuta deforme, morbosa, satura di rancore e che mandava il riflesso, negli occhi di un bambino, di un mostro incatenato.
«La tua fiducia in tuo figlio è stata ripagata, Oswald.», commentò Stoick, inconsapevole dello scambio di battute tra i suoi ospiti. Arruffò goffamente il capo di Hiccup, immobile al suo fianco. «Così come la mia. Per una volta.»
«Aw, dovevi proprio aggiungerlo, papà?», lo rimbrottò scherzosamente il figlio, arrossendo fino alla punta delle orecchie.
La narici di Dagur si arricciarono progressivamente davanti a quel nauseante quadretto familiare. Si trovava di fronte ad uno specchio di due realtà simili, tuttavia distanti tra loro. Due eredi di un potere immenso, due facce della stessa moneta. Avrebbe dovuto sentirsi vicino a Hiccup, legato a lui da quel cammino comune e, forse, un po’ lo era davvero, perché qualche ora prima non aveva permesso che morisse sotto i colpi dell’Incubo Orrendo.
Era buffo, grottesco forse ma, certe volte, quando guardava gli occhi di suo padre, non vedeva altro che gli occhi di un estraneo; erano del suo stesso, identico colore ma traboccanti d’emozioni completamente avulse dai suoi. La lucida follia, d’altro canto, che aveva spinto Hiccup a mettere in gioco se stesso per tentare l’impossibile, quella, oh sì, l’aveva riconosciuta e ci si era riconosciuto. Forse il figlio di Stoick non sapeva ancora chi fosse ma, un istinto viscerale, stava già intessendo nella mente di Dagur un’idea.
«Ci vuole ancora molto? Ho fame.», brontolò Testa Bruta, appoggiata con la guancia contro uno dei muri in legno di casa Haddock in cerca, a quanto pareva, di una posizione che le permettesse di dormire e restare in piedi allo stesso tempo. «E sete. E sonno. Oh, e fame.»
Dagur poggiò la mano sul suo viso scarno, ancora caldo per la febbre, mantenendoglielo premuto contro la parete. «Per le ombre di Hel, taci.»
La giovane scalciò debolmente nella sua direzione, borbottò qualcosa che sapeva d’insulto disarticolato e, nel tempo di uno sbadiglio, cominciò a russare piano, sostenuta solo dalla sua presa.
Oswald assistette a quel breve battibecco con una scintilla divertita nello sguardo; sembrava piacevolmente stupito da quell’interazione. «Dovresti mostrare più rispetto a chi ti ha salvato la vita, Dagur.», asserì con tono austero, invitando implicitamente il figlio a liberare la ragazza.
«Chi, questa qui?», il berserker schioccò oltraggiato la lingua, indicando la gemella con il braccio libero e gli occhi fiammeggianti. «Sono stato io a trascinarmela dietro per mezza isola! L’ho salvata io dal drago! Se non fosse stato per me…!»
Si fermò di colpo, chiudendo piano la bocca. Non era certo di aver mai visto una cosa del genere; il volto barbuto, segnato dal tempo di suo padre si era illuminato di una pace soffusa che parve irradiare gioia e orgoglio in tutta la stanza. Oswald non disse nulla e gli sorrise come mai aveva fatto nella sua vita, lasciandolo annichilito e confuso. La sua mano sul viso di Testa Bruta tremò e la lasciò andare.
«Mh? Ancora cinque minuti…», biascicò la ragazza, rannicchiarsi sul pavimento come un gatto.
«Thorston. Il giorno in cui riuscirò a capirli decapitatemi, perché sarò diventato un pazzo furioso.», affermò solennemente Skaracchio, scuotendo il capo.
«Qualcuno è decisamente stanco.», ridacchiò Stoick, avvicinandosi ai due. «Chi l’avrebbe mai detto…»
La frase rimase in sospeso fra loro e, Dagur ne era certo, avrebbe avuto tanti finali quante erano le teste presenti in quella stanza.
«Bene, dopo questa lunga chiacchierata, direi che meritate di mangiare a sazietà e riposarvi come il resto dei vostri compagni.», disse il capo villaggio dei Bifolki, poggiando i pugni sui fianchi massicci. «Non appena vi sarete svegliati, vi consiglio di farvi un bagno e raggiungere Gothi… ci penserà lei a rimettervi in sesto.»
Dagur si limitò ad annuire con la testa che gli ronzava sommessamente e lasciò l’abitazione senza degnarsi di aggiungere altro.
«Non credo che farà molta strada in quelle condizioni.», sentì costatare Skaracchio alle sue spalle.
«Non preoccuparti, ha solo bisogno di stare un po’ per conto proprio.», lo rassicurò Oswald. «Tornerà.»
Dagur si avviò per le strade polverose del villaggio, senza stabilire una vera e propria meta. Di streghe e magie ne aveva avuto fin sopra i capelli, quindi quella vecchia banshee poteva anche andare in malora, per quanto gli importava; non avrebbe allungato un solo dito su di lui.
Un brivido gli risalì lungo la schiena livida e sudata. Come ogni Grande Guerriero, non aveva mai rigettato l’idea della sofferenza fisica; accoglieva il dolore, lo abbracciava e lo soffocava lentamente. Sapeva che non era sufficiente ad abbatterlo, che non avrebbe potuto fare altro che passare; era solo una questione di resistenza. Così non batté ciglio quando una miriade di microscopici aghi gelidi gli trapassarono la pelle, anzi, gli angoli delle labbra gli vibrarono verso l’alto. Un formicolio irritante prese a circolargli nelle membra, aumentando d’intensità ad ogni passo. Era come se il suo corpo fosse appena tornato in vita dopo un annegamento: i polmoni sembravano esplodere a ogni respiro, le ferite pulsavano, le ustioni bruciavano come l’alito dell’Incubo Orrendo che gliele aveva procurate e ogni muscolo era contratto e gonfio di acido lattico. Era stanco, disidratato ma con la mente troppo sovrastimolata per poter anche solo prendere in considerazione l’idea del riposo. I suoi pensieri erano un vespaio impazzito, non riusciva a ragionare, a elaborare. Voleva solo fare a pezzi qualcosa. Qualsiasi cosa. O qualcuno.
«Oh.»
Un paio d’occhi grigi sporgenti fluttuarono nel suo campo visivo nella quiete del mattino. Non aveva mai avuto una buona memoria per i nomi.
«Tu devi essere Gobber, giusto?»
L’anziana donna continuò a osservarlo muta e con allarmante pazienza. A un tratto sollevò un braccio, facendolo sussultare. Non accadde nulla. Dagur azzardò una sbirciata attraverso le palpebre che aveva appena serrato: l’indice nodoso di Gothi era puntato insistentemente nella direzione del mare.
«Vuoi che me ne vada da dove sono venuto?», eruppe il Grande Guerriero, incredulo. «Be’, grazie tante, vecchia! Non c’è bisogno che me lo dica tu! Odio questo dannato posto e chi…»
Un secco colpo di bastone sullo scalpo gli fece sputare al vento il resto della frase. La donna sbuffò tenendogli il capo piegato verso il basso, disegnando nella terra la forma stilizzata di una capanna.
Dagur le rivolse un’occhiataccia. «Non dirmi che vuoi che venga alla tua lurida catapecchia! Oh, mi dispiace deluderti ma sappi che ne ho avuto abbastanza di streghe e magie! La tua apprendista mi ha già dato mal di testa per settimane!»
Ci fu un istante di genuina confusione sul volto di Gothi, che svanì come un’ombra tra le sue rughe. Puntò nuovamente il dito verso il mare, battendo più volte il bastone a terra per rafforzare il concetto.
«Puoi continuare a sollevare polvere quanto ti pare, non puoi costringermi!», abbaiò il berserker incrociando le braccia sul petto, con le guance congestionate dall’ira.
Nessuno seppe di preciso cosa accadde dopo. La leggenda, narra che quelle furono le ultime parole che Dagur rivolse a Gothi. Alcuni dicono che la donna l’abbia fissato negli occhi e che, un attimo dopo, il Grande Guerriero si fosse ritrovato in mutande alla sua capanna. Altri, nascondendo i boccali, giurano sulla testa dei loro figli che un golem sia fuoriuscito dalle viscere stesse della terra e l’abbia trascinato via. Pochi, infine, credono che la somma Gothi l’abbia steso a colpi di bastone e convinto a seguirla. Nessuno, in realtà, seppe mai la verità. L’unica cosa certa fu che a Berk, l’aneddoto del “Berserker Domato”, continuò a riecheggiare nei secoli.

Il cielo splendeva nel buio sopra le loro teste, coronato da una luna piena a metà. Non c’era una sola nube a oscurare quella notte, solo stelle, sparse in una miriade di cristalli che rilucevano quieti, a indicare il cammino a chi si era perso per strada, o tra i propri pensieri.
L’aria nel villaggio era frizzante, carica di un vociare allegro e frettoloso. C’erano Bifolki e Grandi Guerrieri ovunque, in pieno fermento per i preparativi della festa. Tra chiacchiere e battute, stavano pian piano trasformando la Grande Sala nel cuore del convito, sistemando con cura sedie, barili e varie vivande sui tavoli. Dopotutto, come aveva detto Johann: “Ogni grande avventura termina con un grande banchetto”.
Testa Bruta se ne stava seduta a gambe incrociate davanti all’ingresso di casa sua, gli occhi persi nel viavai della folla. Sebbene fosse passato un solo giorno dal loro ritorno e lei fosse più simile ad una mummia che ad una vichinga, a causa di tutte le fasciature e gli impiastri che aveva sparsi per il corpo, proprio non riusciva a concepire l’idea di dover rimanere ferma ad aspettare che ogni ferita guarisse. Aveva sempre amato il subbuglio che precedeva una festa e fremeva dalla voglia di prendevi parte assieme al fratello; peccato che al momento fosse intrappolata nelle spire di una Astrid Hofferson intenta ad intrecciarle i capelli con solerte minuzia. C’erano varie ragioni che potevano averla spinta a quell’improvviso capriccio: un improbabile guizzo di creatività, il bisogno di concertarsi o, al contrario, la necessità di evadere, di distaccarsi da un ragionamento dal quale non riusciva a venire a capo. Del resto esercitarsi ad acconciare i capelli era una delle poche cose che facevano insieme da quando erano bambine e Testa Bruta aveva imparato a riconoscere che, ad ogni suo modo di intrecciare, corrispondeva un particolare stato d’animo.
«Testa Bruta?»
La giovane puntellò i gomiti sulle cosce, ingobbendosi. Tutta quella trazione sul suo scalpo le fece intuire che la terza, era senza ombra di dubbio l’ipotesi corretta. Si mordicchiò il labbro inferiore, lanciando occhiate furtive nei dintorni; non le dispiaceva farsi acconciare i capelli, Astrid se la cavava – non bene quanto lei, ovviamente – ma aveva altri piani per la serata e la sua intrusione le stava costando molto tempo prezioso.
«Ehi, mi stai ascoltando?»
«Mh?»
«… Quindi ti sei sul serio gettata in un buco nel terreno senza avere la minima idea di quanto fosse profondo o di dove conducesse?»
«Sì.», le confermò Testa Bruta, facendo pigramente spallucce. «Ѐ così che ho trovato le gallerie di cui vi ho parlato prima… e non grazie a una mappa del tesoro.»
Non aveva bisogno di voltarsi per sapere che le sopracciglia di Astrid si erano sollevate a quella sua ammissione.
«Che c’è? Pensavo che sarebbe stato più interessante raccontato così!»
«Hai mentito ai capi villaggio!»
«E allora? Lo faccio di continuo!»
Il sogghigno di Testa Bruta si trasmutò in una smorfia preoccupata, quando le mani dell’amica smisero di muoversi. Azzardò un’occhiata oltre la propria spalla, scorgendo le labbra di Astrid comprimersi in una sottile linea di disapprovazione, così tipica di lei. O, per lo meno, così tipica di tutte le loro conversazioni.
«… Comunque sia,», riprese con cautela la gemella, voltandosi, «sarò precipitata per metri e metri e, quando sono finalmente atterrata, credo d’aver appoggiato male i piedi, o qualcosa del genere.»
«Deve averti fatto molto male.», annuì la giovane Hofferson, riprendendo ad intrecciare.
«Puoi scommetterci, per un attimo non ho visto altro che bianco! Ma…»
«Niente cicatrici?»
«Niente cicatrici.»
«E poi come hai fatto a strisciare in quelle gallerie sotterranee con la caviglia in quello stato?»
«Uh, la butto lì: strisciando?»
Astrid sospirò.
«Cos’altro avrei dovuto fare? Quell’Incubo Orrendo è come se fosse sbucato dal sottosuolo! Non l’ho visto arrivare!»
«Ah-ha. Fammi indovinare: stavi dormendo invece di badare al fuoco come ti aveva detto Dagur?»
«Può darsi, ma non è questo il punto! Mi sono ritrovata improvvisamente davanti un drago gigantesco! Ho provato a recuperare la lancia che quel cretino mi aveva lasciato ma l’Incubo Orrendo l’ha schiacciata sotto le sue zampe enormi e l’ha polverizzata! Non sapevo che fare, così sono scappata verso gli alberi ma le fiamme mi hanno travolta e si solo appiccicate, letteralmente, ai miei abiti!» Testa Bruta si afflosciò su se stessa, sconsolata. «Ho dovuto gettare il mio gilet preferito per colpa di quello stupido drago. Non mi sembra neanche di essere me, senza. Capisci?»
«Uh, no.», fu l’allegra risposta di Astrid. «E credo sia meglio così.»
Un quieto silenzio calò fra le due, intervallato solo dal fruscio delle ciocche di capelli che venivano meticolosamente sezionate.
«Mh, è da un po’ che non vedo Testa di Tufo. Perché ho paura di chiederti dov’è finito?», sbuffò Astrid dopo qualche minuto, nascondendo una risata tra le parole.
«Ѐ una domanda a trabocchetto?»
Testa Bruta sentì le dita affusolate della giovane passarle tra i capelli, incastrandosi. Soffocò un gemito tra i denti, cominciando ad agitarsi sul posto.
«Oh, andiamo, smettila di sbuffare! Ho quasi finito!», la rabbonì la metodica Hofferson, sbrogliando i nodi tra le ciocche. «E, fidati, mi ringrazierai.»
«Non sbufferei, se tu non strattonassi così tanto! … Mi sembra di avere un Terribile Terrore tra i capelli.», borbottò in tutta risposta la gemella, incrociando le braccia sul petto.
«Oh? Cos’hai detto?» Astrid le tirò giocosamente una treccia, facendole sfuggire un’imprecazione.
Roteando gli occhi invocando pazienza, Testa Bruta si arrese, cercando di muoversi il meno possibile per permetterle di terminare la propria notevole opera.
«Ecco fatto!»
La prode Thorston ringraziò tutte le divinità a lei note per averle concesso la libertà. Si alzò in piedi, studiando la lunga treccia bionda; i capelli erano avvolti e annodati tra loro con eleganza ed equilibrio, lasciando intravedere tre piccole trecce che si univano a quella centrale, correndo tra le sue pieghe.
«Oh, è perfetta!», commentò Astrid, portandosi le mani al viso carica d’eccitazione.
«Ehi, ragazze!»
Sballottati tra Bifolki e Grandi Guerrieri, Gambe di Pesce e Hiccup parvero emergere come naufraghi in quella fiumana multicolore, avanzando verso di loro rossi in viso e tutti arruffati. Le salutarono con un cenno della mano e, quasi in sincrono, piegarono leggermente il capo di lato, osservando incuriositi la gemella.
Testa Bruta alzò gli occhi al cielo, liquidandoli con uno sgarbatissimo: «Allora?»
«Oh, perdonami! È solo che… be’, ti dona molto.», balbettò Gambe di Pesce, tormentandosi le mani paffute. «Comunque sia, siamo qui perché tra un po’ si darà inizio al banchetto e il capo ci vuole tutti riuniti nella Grande Sala!», prese poi a spiegare, quasi saltellando da una gamba all’altra, «Ci credete? Racconterà al villaggio la nostra impresa!»
«Già, lo yak non ha lo stesso sapore senza un pizzico di gloria vichinga.», disse Hiccup, imitando comicamente una posa virile.
Testa Bruta annuì brevemente e, per un folle attimo, le parve di vedere Astrid sorridere alle parole del novello eroe. La mascella quasi le cascò a terra quando la giovane Hofferson, intercettato il suo sguardo incredulo, raddrizzò la postura e si schiarì sonoramente la voce.
«Siete con noi?», chiese Gambe di Pesce, accigliandosi.
«Certo!», trillò immediatamente Astrid, scostandosi la lunga frangia dagli occhi. «Andiamo!»
«Io vi raggiungo più tardi…», disse Testa Bruta, rispondendo ai loro sguardi interrogativi con un mezzo ghigno. «Ho un appuntamento al quale non posso mancare.»
Si congedò con espressione sibillina, dirigendosi verso la Forgia.
Possibile che la signorina perfettina…?
Scosse il capo, scacciando quei pensieri. Aveva questioni ben più interessanti a cui attendere: lei e Testa di Tufo avevano progettato il furto del secolo!
Lo spiazzale antistante la fucina di Skaracchio era quasi deserto. Si guardò attorno, perplessa. Dove accidenti si era cacciato suo fratello? Avrebbero dovuto incontrarsi lì qualche minuto fa e poi lei avrebbe dovuto fare da palo mentre lui avrebbe frugato ovunque. Possibile che quel babbeo avesse deciso di fare tutto da solo?
Un gran fracasso proveniente da qualche parte all’interno della forgia, seguito da un ruggito irato, fu la risposta alla sua domanda.
Testa di Tufo saltò fuori da una finestra stringendo qualcosa sotto il braccio e si fiondò a rotta di collo verso di lei. «Ѐ dietro di me!», gridò, travolgendola e poggiandole qualcosa tra le mani. «Proteggilo come se ne dipendesse la tua vita… be’, e in un certo senso è così, perché io me la squaglio! Ciao, sei stata una brava sorella!»
Testa Bruta guardò a bocca aperta la figura del fratello traditore ormai ridotta a un fuscello oscillante in lontananza.
Quella dannata testa vuota...!
Abbassò lo sguardo sull’uncino di Skaracchio che stringeva in grembo; sobbalzò, quasi fosse incandescente e, sibilando tutte le più apotropaiche parolacce che le vennero in mente, nascose il corpo del reato tra i cespugli lì accanto.
«Tu!» Skaracchio comparve sulla soglia della fucina come un indemoniato, facendola impallidire dalla paura. «Dov’è?»
«“Dov’è” cosa?», gli fece eco lei, poggiandosi con ostentata noncuranza contro la parete esterna dell’abitazione alle sue spalle.
«Il mio maledetto uncino, ecco cosa!»
«Oh. Con me caschi male, sono fuori dai giochi. Ti pare che con questa gamba…?», sbottò la gemella, indicando la caviglia gonfia.
«Se non siete stati voi, allora chi…» Skaracchio si guardò attorno con le narici frementi come un cane da caccia.
«Nessuna idea. Be’, se hai finito, io andrei…»
Testa Bruta fece per allontanarsi, quando l’armaiolo si voltò nuovamente verso di lei.
«Se scopro che tu e quella peste di tuo fratello c’entrate qualcosa, vi spello vivi con questa mano!», l’ammonì, scrutandola con sospetto.
«Quale mano?»
Skaracchio guardò il moncherino, abbassandolo frustrato. «L’altra mano! Chiaro?»
«Chiarissimo!»
Testa Bruta rimase immobile con il cuore a mille, in attesa che l’uomo si allontanasse. Hah! Ce l’avevano fatta! Erano riusciti a sgraffignare il trofeo del secolo: il leggendario uncino di Skaracchio! C’era da vantarsene per settimane!
Soddisfatta e con le gambe ancora molli per la paura, si chinò a sistemare meglio l’uncino tra i cespugli, in modo che non fosse visibile. Dopo la festa o il giorno successivo, avrebbero potuto tranquillamente recuperarlo.
Stava per tirarsi su quando qualcosa di freddo le colpì il capo, bloccandole la visuale. «Ѐ stato Testa di Tufo!», gridò, sollevando le mani in aria in segno di resa.
Una grassa risata isterica la fece sussultare; si volse con gli occhi in fuori per lo spavento, ritrovandosi faccia a faccia con Dagur. Fermo davanti a lei con le mani sui fianchi, il Grande Guerriero continuava a sghignazzare senza ritegno, in tutta la sua rifulgente boria auto celebrativa.
«Ma ti ha dato di volta il cervello?!», fiatò Testa Bruta, arrossendo furiosamente più per l’imbarazzo della sua pavida reazione, che per essere stata colta sul fatto.
«Oh! Oh! Oh! Dovresti vedere la tua faccia!»
La Bifolka gli sferrò un pugno sul petto, recuperando un cipiglio compiaciuto quando lo vide piegarsi in due per il colpo – con un gemito, tra l’altro. Curioso, non l’aveva mai visto incassare così male. Forse aveva esagerato un pochino. Forse. Testa Bruta strizzò gli occhi nel buio della sera, esaminando la figura curva del berserker: oh, per la barba di Thor, se era ridotto male! Aveva lividi ovunque e, quelle che avrebbero dovuto essere le bende bianche delle medicazioni di Gothi, ora erano nulla più che stracci sporchi di terra e chissà cos’altro.
«Si può sapere dove sei stato? Sei... be’, sei più brutto del solito.», constatò con pragmatica schiettezza, inarcando un sopracciglio.
«E perché dovrei dirlo proprio a te? Piuttosto...» Dagur si erse di su lei con espressione altezzosa; emanava di nuovo quello strano odore che gli aveva sentito indosso sull’isola. «È così che mi ringrazi per averti recuperato l’elmo?»
«Cosa?» Testa Bruta si toccò la testa, ritrovando il familiare copricapo metallico a ricoprirgliela. «Dove l’hai trovato?»
«Nel punto esatto in cui te l’avevo fatto cadere due giorni fa con questo.», disse il Grande Guerriero, sollevando un pugno serrato vicino al suo naso.
La ragazza gli abbassò la mano e si tolse l’elmo, rimirando il suo riflesso sulla superficie lucida. «Non posso crederci, ormai ero convinta che avrei dovuto farmene fare un altro! … Migliore di quello di mio fratello, ovviamente.», mormorò, passandoci sopra la punta delle dita. «Pensi che mi porterà fortuna come il tuo?»
«Il mio… cosa?»
«Facci caso: avrei potuto morire in un migliaio di modi tremendi un paio di giorni fa e invece... sono ancora qui!»
A quell’affermazione, un’espressione di puro oltraggio si impadronì dei lineamenti di Dagur, che arricciò le narici, scuotendo il capo. Era facile notare i suoi cambiamenti d’umore: il suo volto era come il cielo estivo prima di un temporale, bastava un palpito e gli occhi si annuvolavano, avvertendo il mondo esterno che presto sarebbero piovute saette sulla testa di qualcuno.
«Forse per quelle come te sarà difficile da capire, viste le bislacche credenze a cui vi aggrappate…»
«Le mie… cosa?»
«La fortuna non esiste. Esisto io. Esiste la mia volontà. Ѐ grazie a me se non sei morta.», ringhiò lui, «Io ti ho salvata! Io ho trascinato il tuo penoso sedere a riva e l’ho fatto ancora quando non riuscivi nemmeno a reggerti in piedi! Tu sei sopravvissuta soltanto per un mio capriccio e di nessun’altro!»
Dagur si era avvicinato talmente tanto che Testa Bruta fu costretta a sollevare il mento per poterlo guardare ancora negli occhi. C’era qualcosa… un sentimento torbido, nascosto dietro le sue pupille dilatate e nere.
Si rimise l’elmo.
«Tu dovresti essere grata a me! Me! Dovresti inginocchiarti e baciare la terra su cui cammino…!»
Eccolo che ricomincia.
La giovane continuò a sostenere il suo sguardo in quel crescendo virulento di sdegno, senza ascoltare la minima parola. L’intera scena le era ormai così familiare che poteva quasi prevederne le battute; era chiaro che Dagur avesse una certa passione per le pretese insensate, gli scatti d’ira e che, al contempo, fosse completamente sordo ad ogni protesta o replica.
Testa Bruta spostò il peso da una gamba all’altra. Cominciava ad avere un certo languirono e il Grande Guerriero sembrava averne per ore e ore. Se non fosse stato per quella stupida caviglia, avrebbe potuto svignarsela senza che nemmeno se ne accorgesse.
«… per non parlare di quello stolto di mio padre! “Non devi essere così aggressivo, Dagur”! “Il trattato è importante, Dagur”! “Complimenti! Ora sei un’idiota come me, Dagur! …»
Un callido sorriso cominciò a delinearsi lentamente sulle labbra della gemella, quando un’idea geniale si fece largo, sgomitando, tra i suoi pensieri; forse sapeva finalmente cosa fare. Non ne era completamente certa, ma tanto valeva tentare. Aveva fame, dopotutto.
Con nonchalance, batté le ciglia chiare e fece un piccolo passo verso il berserker, fin troppo preso dal proprio discorso per notare il suo spostamento sospetto. Perfetto. La giovane si issò allora, malamente, sulle punte dei piedi e, trattenendo una risata, gli baciò la guancia, godendosi l’inevitabile deragliare delle sue parole, che finirono per schiantarsi l’una sull’altra fino ad ammonticchiarsi tutte sulla punta della sua lingua.
Paonazzo e colto alla sprovvista dal suo gesto, Dagur scoprì i denti, puntandole un dito contro il petto. «Cos’era quello?»
«Il mio ringraziamento.», ribatté lei con aria d’ovvietà. «Ti è piaciuto?»
«No, era… che schifo!»
«Ne vuoi un altro?», proseguì Testa Bruta, avvicinandosi con movenze maliziose.
«No!», sputò il Grande Guerriero, indietreggiando, «Stammi lontana!»
Questa volta toccò a lei ridere di quella sua reazione impacciata, e lo fece quasi fino alle lacrime.
«Ora dovresti vedere la tua, di faccia!», ululò, stringendosi la pancia tra le braccia. «Basta davvero poco per zittirti!»
Dagur inalò piano la fresca aria notturna, serrando le mani sui fianchi. Sotto il chiarore della luna, appariva pallido, quasi malsano, assorto in chissà quali pensieri.
Che gli prende, adesso?
I suoi occhi verdi, erratici, si mossero dai fili d’erba che circondavano la Forgia, al viso di Testa Bruta e ai suoi capelli chiari, soffermandosi poi per un lungo istante sull’elmo che le aveva ritrovato.
La giovane ammutolì di fronte a quel silenzio persistente e l’osservò a sua volta, stranita, afferrando e stringendo la lunga treccia che Astrid le aveva fatto tra le mani. Stranamente, quel gesto familiare per stemperare la tensione non le portò alcun conforto.
«Be’, perché te ne stai ancora lì imbambolata?», eruppe improvvisamente Dagur, tornando a gonfiare il petto con la solita prosopopea. «Stavi andando anche tu alla Grande Sala, no?»
«Non ero imbambolata, pensavo di aver intravisto un troll!», rispose con finta stizza la Bifolka, zoppicando verso di lui. «… Ma era solo la tua faccia.»
«Non tirare troppo la corda, carina.», le sibilò di rimando il berserker, maligno, prima di incamminarsi senza aspettarla.
«… Carina, eh?»
Inebriata e felice, Testa Bruta alzò lo sguardo verso il cuore del villaggio, sorridendo sotto la volta stellata.

Alto nel cielo, in un trionfo di fulgido splendore, ardeva il sole in quel di Berk, portando sull’isola l’inizio di un nuovo giorno.
Hiccup si stiracchiò sotto la coperta soffice e calda, lasciando che i muscoli, ancora un po’ indolenziti dal raffreddore, si sciogliessero dandogli una piacevole sensazione di pace. Assonnato, rotolò sulla schiena e rimase a fissare le travi del soffitto per qualche istante, godendosi il torpore delle prime ore del mattino.
Se chiudeva gli occhi poteva ancora sentire nelle orecchie quella variegata sinfonia di suoni che avevano vivacizzato i bagordi di poche ore prima; le acclamazioni, i canti e gli sghignazzi erano stati il coronamento di una notte a dir poco surreale. Perché, oh no, non riusciva ancora a capacitarsi che quell’immane banchetto fosse stato organizzato anche per celebrare lui, Hiccup. Il disastro ambulante di Berk, pluricondannato in via definitiva ai lavori alla Forgia per il resto della sua piccola, poco vichinga vita. Si chiese se fosse possibile d’ora in poi per lui vivere così; se, quella, sarebbe potuta diventare la sua quotidianità.
Sospirò stringendo la coperta tra le dita sottili. Non era uno sciocco. La mite condiscendenza con la quale l’aveva salutato il villaggio non gli era affatto sfuggita. Sapeva bene che per loro quella storia era assurda quanto lo era per lui, nonostante l’avesse vissuta sulla propria pelle. Forse era questo quello a cui si stava riferendo Skaracchio quando aveva detto loro di non alzare le aspettative sulla reazione del pubblico al loro racconto. Nessuno cambia opinione dall’oggi al domani. Quello era solo l’inizio di un lungo cammino.
Si sollevò e scese dal letto, percorrendo a piedi nudi la stanza per recuperare gli abiti sparsi disordinatamente nella stanza.
«Papà?»
Hiccup tese le orecchie e sbuffò, interrompendo per un istante la lotta che stava ingaggiando per uscire fuori dalla propria casacca: non arrivò alcun suono dal piano di sotto. Probabilmente suo padre stava attendendo a qualche faccenda da capo in giro per il villaggio.
Terminò di vestirsi e scese dalle scale a balzelloni, atterrando nell’ampio atrio. Aveva un languore che non vedeva l’ora di sedare con qualcosa di dolce; sperò di trovare ancora qualche mela nel cesto sul tavolo. Ancora pochi passi e...
Qualcuno bussò.
«Ovviamente.»
Rinunciando momentaneamente all’idea di fare colazione, si diresse verso la porta e l’aprì, ritrovandosi Astrid davanti l’uscio.
Chiuse la porta.
Astrid.
Astrid era venuta di propria spontanea volontà a bussare alla sua porta.
Astrid.
Astrid Hofferson.
Quella che la sera prima aveva tentato di smontarlo pezzo per pezzo perché le aveva per sbaglio rovesciato un bicchiere d’acqua addosso. Perché mai si era presentata al suo uscio? E poi perché era certo di averla appena vista stringere tra le mani qualcosa dall’aria inquietantemente simile ad un coltello?
Oh.
Be’, aveva senso. Era lì per terminare il lavoro.
Hiccup si gettò di schiena contro la porta, presto scossa dal possente pugno della fanciulla.
«Hiccup?», si sentì chiamare con impaziente perplessità dall’esterno, «Cosa stai combinando?»
D’accordo, sangue freddo, pensò, analizzando febbrilmente le opzioni che aveva: poteva provare a chiederle perdono in ginocchio e venire pestato oppure poteva aprire la porta e venire pestato. Gli scappò un gemito dalle labbra. O forse sarebbe stato meglio per la sua incolumità gettarsi fuori dalla finestra e correre verso le colline, rimanendoci fino alla maggiore età.
«Hiccup! Piantala, so che sei qui dietro!», gridò Astrid, spalancando con viril mano ferma la porta, travolgendo il buon figlio di Stoick nel processo. «Ma che…?»
Hiccup ruzzolò a terra, senza poter fare altro che fissare la Bifolka mentre marciava risoluta verso di lui.
«Cosa accidenti ti è preso?», sbuffò Astrid, scuotendo il capo biondo. «Sai cosa? Lasciamo perdere. Sono venuta a portarti questo.»
Lucente e terribile nel palmo della giovane, si stagliava il sapiente intaglio del profilo di un lupo. L’occhio immobile della belva era spalancato e sembrava quasi fissarlo dalla superficie chiara dell’impugnatura.
«Quello… è il coltello di Dagur. Oh, no, me n’ero completamente dimenticato!»
Hiccup si portò le mani nei capelli: aveva promesso al berserker che glielo avrebbe restituito non appena fosse riuscito a cavarlo fuori dalla rete! ... Peccato che quella parte del piano fosse lievemente mutata alla comparsa dell’Incubo Orrendo.
«Già, anche io.», confessò Astrid. «Avrei dovuto portartelo ieri al banchetto ma...»
In quella breve pausa imbarazzante che seguì quelle parole, Hiccup si rimise in piedi con le guance in fiamme.
«Da quel che mi è sembrato di capire, Dagur ci tiene molto a questo pugnale.», riprese la giovane, porgendoglielo. «Non credo sia saggio non restituirglielo.»
«Può darsi…», mormorò sotto voce Hiccup, rigirando con un brivido quel piccolo, agghiacciante capolavoro d’artigianato tra le dita. Non aveva alcuna voglia di parlare con il suo collerico proprietario, soprattutto se teneva conto del fatto che, l’ultima volta che gli si era avvicinato a causa di quel coltello da caccia, gli aveva quasi sbriciolato una mano.
«Preferisci che Dagur faccia ritorno a Berk uno di questi giorni per riprenderselo?», gli chiese Astrid con un ghigno divertito, poggiando le mani suoi fianchi.
«Assolutamente...!» Hiccup fece una pausa. «No.»
«Bene.»
Il giovane trasse un profondo respiro e assicurò il pugnale in una tasca interna del gilet. «A quest’ora sarà al porto con il resto dei Grandi Guerrieri. Meglio che mi sbrighi.»
Superò Astrid con lo sguardo basso, perso tra i propri pensieri e raggiunse la soglia, affacciandosi nella luce ospitale di Berk.
Un momento...
Arrestò il passo, esitante e cominciò a sentire il sudore invadergli i palmi delle mani. Se Astrid avesse voluto, avrebbe avuto a disposizione una miriade di espedienti e di motivazioni per cacciarlo nei guai con suo padre, con i berseker o con Dagur. Invece eccola lì, con quel suo prepotente senso di giustizia che soffocava ogni sentimento di rivalsa, anche quando era più che giustificato. Per quanto bizzarro e fortuito fosse, per una volta era stata dalla sua parte, senza alcuna esitazione. Sentì il cuore saltare un battito e, per un istante, ebbe paura di battere anche una sola volta le ciglia e scoprire che in realtà quello era un crudele scherzo della sua mente assonnata.
Si voltò a guardarla, facendo leva su tutta la sua fermezza per cercare quei profondi occhi azzurri con i suoi. «Mi dispiace.», disse, con un sorriso impacciato che andava ad allargarsi piano sul suo viso arrossato, quasi con cautela. «Per ieri, sai l’acqua e io, be’...»
«Hiccup...»
«Ti prego, aspetta.», caracollò frettolosamente, sollevando le mani. «Lasciami finire. Io... non ne combino mai una giusta. Invece tu sei perfetta, lo sei sempre stata. Mi hai aiutato, mi hai salvato da una pioggia di fiamme e... d’accordo, in realtà quello che ti sto dicendo suonava molto più sensato e suggestivo nella mia testa. Insomma, quello che vorrei dirti è: grazie. Per tutto.»
La meraviglia sui lineamenti di Astrid si sciolse in un grazioso rossore che andò a sfumarle le gote. Accolse con un solenne cenno del capo il suo ringraziamento, poggiandogli una mano sulla schiena che pareva bruciare con la stessa intensità di una fiamma. «Su, sbrigati!», sbottò, spingendolo senza alcun preavviso oltre l’uscio, lanciandolo verso il villaggio.
Hiccup incespicò con uno squittio di protesta ma, una volta recuperato l’equilibrio, non si fermò e lasciò che l’inerzia muovesse le sue gambe lontano da casa. Non si accorse che Astrid rimase a guardarlo trotterellare via con un mezzo sorriso.
Era incredibile come un solo gesto potesse metterti le ali ai piedi. Dagur, il pugnale, Berk intera furono spazzati via dai suoi pensieri, che mutarono sinuosamente fino a formare i familiari tratti di un viso. La vibrante euforia che gli invase le membra, mentre procedeva di corsa per le strade sterrate, gli fece venire una gran voglia di saltare e esultare. Magari a bassa voce, così da non distruggere in un colpo solo quel poco di dignità che si era appena guadagnato.
«Ehilà, Hiccup!»
«Ehilà!»
Finì quasi per inciampare nei suoi stessi piedi. Arrestò di colpo ogni movimento, sollevando un gran polverone e, temendo di aver perso una volta per tutte il senno, ripercorse i propri passi fino a ritrovarsi dinanzi una scena a dir poco pittoresca: i gemelli Thorston, con inedito savoir-faire, stavano penzolando a mezz’aria come degli insaccati, appesi a dei ganci fuori dalla Forgia.
«Non sono sicuro di volerlo sapere…», mormorò Hiccup, resistendo all’impulso di sfregarsi gli occhi. Quei due avevano l’ultraterrena abilità di fare apparire normali anche le situazioni più assurde.
«Abbiamo restituito l’uncino a Skaracchio.», disse Testa di Tufo, riuscendo in qualche modo a fare spallucce in quella scomoda posizione.
«Non fraintendere, è stato forte finché non l’abbiamo visto ieri al banchetto…», aggiunse Testa Bruta, piegando il capo di lato con le labbra strette in una linea di manifesto disappunto.
«Triste.», continuò Testa di Tufo.
«Malinconico.», rincarò Testa Bruta.
«Non era Skaracchio.»
«Proprio no.»
«Così stamattina glielo abbiamo riportato…»
«… E lui era felicissimo!»
«Avessi visto con che sorriso ci ha appesi qui!»
«E poi ci ha detto che doveva decidere cosa fare e se n’è andato.»
Hiccup ascoltò in silenzio quell’alternanza ritmata di frasi, stringendosi nelle spalle. «Vi rendete conto che probabilmente le state per prendere?»
Testa Bruta roteò gli occhi, facendogli il verso. «Certo! Ci credi stupidi?»
«A me sta bene, l’importante è che usi anche il fuoco!», concesse Testa di Tufo, annuendo tra se. «... O forse il martello?»
«Siete irrecuperabili.», sospirò Hiccup.
«Grazie!»
«Non era un… lasciamo stare.», tagliò corto il figlio di Stoick, «Sentite, io devo restituire il pugnale a Dagur, quindi ci vediamo più tardi al porto. Credo.»
«Oh, no! Oggi i Grandi Guerrieri se ne vanno! Voglio vedere le navi!»
«Ѐ colpa tua se ce le perdiamo!»
«Cosa? Ma se sei stata tu a…!»
Con la loro baruffa alle spalle, Hiccup riprese a camminare. Non poteva crederci: quanto tempo era passato? Tre giorni? Eppure, nonostante fosse passato così poco tempo, dovette ammettere a se stesso che gli era stranamente mancato vederli bisticciare.
Quando raggiunse il piccolo molo fu salutato dallo sciabordio tenue delle onde, nel quale svettavano le possenti imbarcazioni dei Grandi Guerrieri, adorne di scudi e fluenti strisce blu. C’era un gran viavai tra le navi e l’intera banchina era invasa da un glorioso accozzame di casse, bauli, otri e barili, alcuni dei quali – ne era certo – fossero di Johann. A quanto pareva il suo spirito mercantile gli aveva concesso di fare ottimi affari.
Le ampie figure di suo padre e Oswald si stagliavano nella folla, intente a dirigere le operazioni di imbarco. Hiccup si diresse verso di loro, badando a non inciampare o rovesciare nulla.
«Hiccup!» Una pesante braccio calò come una mannaia sul suo collo, circondandoglielo con forza. Quel grande figlio di un Grande Guerriero di Dagur aveva un’attitudine impressionante per gli agguati.
«Dagur! Che coincidenza!», riuscì a gorgogliare il minuto Bifolko, opponendo una fievole lotta contro la sua morsa ferrea. «Stavo proprio...»
«Scommetto tutto quello che ho su Dagur!»
Hiccup sentì la presa attorno al suo pomo d’Adamo allentarsi e ricadde sulle assi del molo come un bambolotto di pezza, oscurato dalla notevole stazza di Dagur. I due si voltarono, vedendo i gemelli Thorston dirigersi verso di loro con una camminata a dir poco eccentrica.
«Te l’avevo detto che avremmo fatto in tempo!», berciò Testa di Tufo alla sorella, sferrandole un paio di gomitate nelle costole.
«Ma se non la smettevi più di lagnarti!», fu la piccata risposta di quest’ultima, siglata da un sonoro pugno.
«Non le chiudete mai quelle bocche, voi due?», sbuffò Dagur, incrociando le braccia sul petto.
Testa di Tufo e Testa Bruta lo fissarono come se stessero valutando attentamente la sua domanda.
«No.»
«Proprio no.»
«Non sembrate malconci…», disse Hiccup mentre il Grande Guerriero alzava gli occhi al cielo.
«In realtà per giudicare dovresti dare un occhiata ai nostri sederi.», sussurrò Testa di Tufo, avvicinandosi a lui con aria cospiratoria. «Non sono un bello spettacolo!»
«Ah, no, grazie. Vi credo sulla parola.»
Dagur, fermo tra loro, digrignò rumorosamente i denti, prendendo a battere ripetutamente il piede a terra. «Per i ghiacci di Hel, sono stufo di aspettare!», abbaiò improvvisamente, facendoli trasalire. «Le partenze sono noiose quasi quanto voi Bifolki!»
«Possiamo sempre dare fuoco a Testa di Tufo per passare il tempo...», propose Testa Bruta.
«Ci sto!», esclamò il fratello, dandole il cinque. «Un momento...»
Il berserker seguì con lo sguardo il loro scambio di battute, nascondendo fra le ombre dell’elmo un’espressione inquieta. Si accostò a Testa Bruta, con le spalle larghe scosse da una risata soffocata. «Perché non diamo fuoco a te, invece?»
«Ci sto!», ripeté Testa di Tufo, aspettando un battimano da parte di Dagur che, ovviamente, non arrivò. Se lo diede da solo.
«Sì, potremmo...», controbatté con un’indifferente alzata di spalle la gemella. «Ma la tua testa di legno brucerebbe molto meglio della mia.»
Hiccup sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena. Quei due erano davvero come le teste di un Bizippo... chissà se i secchi d’acqua funzionavano anche con loro.
«Freia mi sia testimone: in tutta la mia vita», ringhiò Dagur, sembrando far forza su sé stesso per non infuriarsi. «non ho mai incontrato nessuno come te.»
«Puoi scommetterci che non ha mai incontrato nessuno come lei!», s’intromise ancora Testa di Tufo. «È l’unica a Berk che riesce a ruttare più forte di me e, modestia a parte, io sono un maestro, in quell’arte.»
Il Grande Guerriero lo stese con una testata, guadagnandosi immediatamente l’attenzione della sorella. Hiccup, sbalordito, si rimpiccolì dinnanzi a quell’atteggiamento ostile e pregò che suo padre e Oswald fossero sufficientemente distratti da non notare l’imminente spargimento di sangue.
Dagur allungò un braccio verso Testa Bruta e le prese la mano destra nella sua, osservando rapito la sottile cicatrice che le percorreva le nocche. «Tu sei pazza.», mormorò, stringendole le dita affusolate. «Mi piace.»
L’espressione che fece la ragazza a quella dichiarazione fu indescrivibile.
«Hiccup!» Stoick l’Immenso li raggiunse assieme a Skaracchio, attirando su di sé l’attenzione di tutti. «Ѐ ora figliolo, i Grandi Guerrieri sono pronti a partire!»
Con un sospiro di sollievo, Hiccup li accompagnò alle navi che oscillavano tranquillamente nell’acqua, mentre alcuni abitanti del villaggio aiutavano i berserker a caricare le ultime casse.
«Alla prossima, Hiccup.», disse Dagur, salutandolo con un brusco con un cenno del capo.
«A-Ah…» Il giovane tentennò, con lo stomaco contratto. «Aspetta!», esclamò infine, frugando convulsamente nelle tasche del gilet. Recuperò il pugnale e lo porse al suo legittimo proprietario, con la mascella dolorosamente irrigidita dalla tensione. Cosa temeva? Avevano affrontato un drago insieme, per Odino! Dagur, incredibilmente, aveva scelto di cooperare! … Doveva dargli credito almeno per quello.
«Oh.»
Hiccup si raddrizzò, azzardando un’occhiata diretta al Grande Guerriero; stava fissando il coltello da caccia con nient’altro che un indolente sopracciglio inarcato. Non l’aveva mai visto reagire con tanto distacco alla vista di un’arma, figurarsi una che sembrava essere suo orgoglio e vanto.
Dagur gli coprì le dita tremanti con la sua mano, chiudendogliele sull’impugnatura pallida del pugnale. «Ti concedo di tenerlo.», dichiarò, sollevando con sovrana alterigia il mento.
Hiccup guardò disorientato il pugnale e poi sollevò gli occhi al cielo. No, niente maiali volanti. «Ma…!»
Il berserker lo zittì con un cenno secco del braccio. «Ho visto come hai affrontato quel drago. Quella luce nel tuo sguardo… non mi sbaglio, oh, no. Qua dentro», disse, indicando il suo petto gracile, «c’è un lupo.»
Hiccup si mordicchiò l’interno delle guance; d’accordo, ora non aveva davvero più idea di cosa pensare o dire. Non era mai stato certo che Dagur fosse in grado di comprendere o interpretare le emozioni altrui. Certe volte gli dava tutta l’impressione di non comprendere appieno nemmeno le proprie. Tuttavia, non era neanche il tipo che mostrava interesse per qualcosa che non ritesse degna della propria attenzione; forse, quindi, aveva davvero visto del potenziale in lui.
«Ti… ringrazio?», balbettò infine in imbarazzo, tormentando l’impugnatura del coltello da caccia tra le dita.
«Oh! Oh! Oh!», rise allegramente Dagur, tirandogli una sonora pacca tra le scapole. «Io e te siamo destinati a grandi cose, lo sento!»
Con il vento in favore, le navi dei Grandi Guerrieri salparono. Hiccup aveva raggiunto il largo fianco del padre, lasciando scorrere lo sguardo silvano tra tutti quegli elmi e scudi. Le partenze avevano sempre un sapore dolceamaro; per alcuni erano sinonimo di euforia, di novità, d’avventura ma, per altri, erano anche un addio e, questo, riusciva sempre a tingere l’aura che le circondava di solenne rispetto. In quel momento, Hiccup seppe che si era chiuso un capitolo della sua vita e se n’era appena aperto un altro. Era un sentore impalpabile, completamente irrazionale ma poteva quasi sentire l’odore dell’inchiostro fresco sulla pergamena, che cominciava a narrare una nuova storia. La storia di Hiccup Horrendous Haddock III, apprendista fabbro di giorno, inventore di notte, scotennatore di draghi nel tempo libero.
«Ti mancherà molto, vero?», scherzò Skaracchio poggiandogli una mano sulla spalla, lo sguardo perso nelle vele in lontananza.
«Ogni giorno.»
I due si scambiarono un’occhiata complice e sorrisero, unendosi ai Bifolki Pelosi che tornavano alle proprie mansioni.
«Sai, credo di avere appena avuto un’idea per un nuovo prototipo...», cominciò Hiccup, fingendosi vago.
«Ah, sì? E di cosa si tratta?»
«Vedrai, Skaracchio... vedrai!»











.:~*~:.

[…] dovrei riuscire a terminare questa storia poco prima dell’uscita del film.” – Cit. Quell’idiota dell’autrice

Le ultime parole famose! X°D
Argh, porca p… papera, non ce l’ho proprio fatta. Quest’ultimo capitolo è stato davvero difficile da gestire e non avete idea di quante volte l’abbia riscritto! :X Se penso che l’intera storia è nata perché mi era venuta in mente la scena finale tra Dagur e Hiccup con il coltello...! *sigh* Nonostante fosse già bella che prestabilita, è stata quella che mi ha dato più gatte da pelare.
... Mamma mia, è strano dire “fine” dopo tutti questi mesi.
Dunque, quei pazzi dei protagonisti sono cresciuti un po’? Che dite? Se ho imparato qualcosa, andando all’università da fuori sede, è che in certi momenti della vita si comincia a cresce da soli, senza essere innaffiati o aiutati da qualcuno. Ci si incammina da soli per la propria strada e, ogni incontro o scontro che ci si para davanti, è un’opportunità per imparare qualcosa e crescere.
Tranquilli, lunge da me dire di avere capito qualcosa della vita alla mia età perché non è così… ma, questo pezzo della mia esperienza, ve lo voglio lasciare comunque qui.

- Passiamo alle note finali:
Psst, ehi... *si avvicina con aria circospetta* l’invenzione a cui allude Hiccup è quella che userà per catturare Sdentato. Un notevole miglioramento di quella che gli ho fatto usare io. Yeah! XD
Per chi se lo fosse chiesto, il papà di Dagur ha sorriso così perché è riuscito a fargli ammettere implicitamente di aver salvato e protetto di propria spontanea volontà una persona. È felice di vedere che c’è ancora del buono in quella pallina di scelleratezza che è suo figlio. Buon Oswald. Ha mandato un po’ in crisi il figliolo. X°DDD Oh e, ovviamente, la “lucida follia” che ha visto Dagur in Hiccup è, be’, un fraintendimento perché, sì, Hiccup corre dei rischi folli quando è necessario ma non contempla affatto l’intera gamma di violenza fisica e morale a cui arriva la pazzia di Dagur. Ma va’ a spiegarglielo…! XD
Ripeto, tutto quello che avete letto su Dagur e Oswald sono mie interpretazioni personali. Dati concreti sul loro rapporto (a parte le allusioni del figlio), purtroppo, non ne abbiamo. Che ne dite? Spero di essere riuscita a conservare una parvenza di sensatezza in tutto il discorso che ho fatto su di loro nel corso della storia.
E, prima che mi passi di mente: “Gobber” è il nome originale di Skaracchio… dato che Dagur sembra avere qualche problema a ricordarsi i nomi che non gli interessano, ho pensato fosse divertente che chiamasse così Gothi. Era solo un’idea, così… non uccidetemi. X°D E, a proposito, quando Dagur la definisce “vecchia banshee”, è una mia licenza poetica perché non ho idea se anche i vichinghi fossero a conoscenza di questi esseri fantastici. Non credo ma mi sembrava un termine calzante per il vocabolario di uno come Dagur, che ormai odierà tutte le sciamane di questo mondo! XDDDD
Mmh, che altro? Ah, già: in quest’ultimo capitolo c’è qualche piccola citazione dei capitoli precedenti perché, be’, ho recuperato tutti i fili che avevo sparso. Ad esempio “Che Thor mi fulmini adesso! Ho le traveggole!” / “Allora siamo in due.”, è un’esclamazione che ho fatto usare a Stoick e Oswald in questo capitolo e a Skaracchio e Stizza Bifolko nel capitolo precedente. “Basta davvero poco per zittirti”, invece, gliel’ho fatto dire a Testa Bruta anche nel terzo capitolo. E il “Tu sei pazza. Mi piace.” di Dagur è una mini citazione dal primo film. *-*
Per la scena del pre-festa, volevo solo aggiungere che c’è un headcanon che circola ormai in tutto il fandom: ad Astrid piace intrecciare i capelli e lo fa spesso e volentieri a chiunque le capiti a tiro. Mi sembrava un’idea carina per farle fare due chiacchiere con Testa Bruta (i loro contatti nel film e nelle serie sono pari a zero) e per farvi capire che, poverina, è un po’ in crisi anche lei perché non sa più che pensare di Hiccup. XD

Bene, è giunto il momento di calare il sipario! Mi sono divertita tantissimo e ho imparato un sacco di cose sulla cultura vichinga a non, durante le ricerche che ho fatto! (*´▽`*) Ho spremuto tutto il limone che mi ritrovo al posto del cerebro per scrivere questa storia a capitoli e spero con tutto il cuore di essere riuscita ad intrattenervi! ... Almeno un po’. Davvero.
Eeeeeee ringrazio infine wacciuweis per aver aggiunto la storia tre le preferite e kunoichi_chan009 e OnePotterhead per averla messa tra le seguite! Mi ha fatto estremamente piacere!! (≧∇≦) E, ovviamente, ringrazio chiunque abbia letto la conclusione della storia! Fatemi sapere cosa ne pensate, non vergognatevi! :)
E come dico sempre…

See ya,

Shadow Eyes
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Dragon trainer / Vai alla pagina dell'autore: Shadow Eyes