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Autore: Lurilala    19/08/2014    5 recensioni
[Storia a Oc] [Iscrizioni chiuse] [Ispirato ad Hunger Games]
Dal Trattato del Tradimento
Come punizione per la rivolta, ogni Distretto offrirà in tributo un ragazzo e una ragazza fra i 12 e i 18 anni in una pubblica "Mietitura".
Quei tributi saranno tutti presi in consegna da Capitol City, quindi trasferiti in una pubblica arena dove si sfideranno in un combattimento mortale finchè rimarrà un unico vincitore.
D'ora in avanti e per sempre questo spettacolo sarà conosciuto come:
Hunger Games
____
Il presidente Snow si aprì in un sorriso al gusto di sangue.
-Felici Settantaseiesimi Hunger Games a tutti.- un lampo negli occhi. -Possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!-
____
Si avviarono sotto la pioggia nelle strade cupe del Distretto 3, verso l'imminente Mietitura; solo una luce rimase e rimarrà accesa, adesso e nei giorni che verranno.
La luce della speranza.
____
...Che gli Hunger Games abbiano inizio.
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Passarono i giorni dediti all'addestramento.
Verso l'ora di pranzo del terzo giorno, incominciarono le sessioni private con gli Strateghi.
Ogni Tributo veniva chiamato per dimostrare il suo talento.
Alla fine delle sessioni private, gli Strateghi avrebbero comunicato a tutti un punteggio per ogni Tributo.
Più il proprio punteggio era alto, più persone sarebbero state disposte a sponsorizzarti nell'Arena.
Era il momento X. Il momento che poteva fare la differenza.


Marina stava in silenzio, seduta da sola nel tavolo della mensa.
Suzuno era stato appena convocato e la sedia di fianco a lei era vuota.
La castana strinse le dita intorno al bicchiere di plastica.
Non aveva mangiato niente. Le succedeva sempre, quando era agitata.
Sospirò. Doveva stare calma. Dopotutto lei era una Favorita. Dopotutto lei era stata allenata sin da piccola. Dopotutto eccelleva nel combattimento.
Tenne gli occhi socchiusi, tentando di estraniarsi da tutto il chiacchericcio che riempiva la stanza.
Rimase così, a rimuginare sulle sue possibilità e a perdersi nei pensieri più sciocchi, nel vano tentativo di distrarsi.
Doveva ottenere un punteggio alto. Solo così avrebbe potuto vincere.
Dopo un quarto d'ora, chiamarono il suo nome.
Si alzò con gesti meccanici. Si passò una mano fra i capelli, pettinandoseli, e si sistemò le pieghe della maglia.
Ostentando un passo sicuro, entrò nella palestra.
Gli Strateghi erano attenti, freschi e riposati. Ogni suo errore sarebbe stato visto.
Prese un respiro e si attenne al programma, impugnando saldamente la katana.
Non l'aveva usata spesso, durante l'addestramento, dato che era il suo punto di forza.
Osservò un istante i riverberi di luce sulla lama affilata, poi alzò gli occhi celesti.
Uno scatto. La sua espressione non mutò un'istante. Fulminea, tagliò la corda che sosteneva un sacco da boxe e, mentre quello stava ancora cadendo, ci si avventò sopra, spezzandolo in due con un fendente preciso.
Non si fermò e batuffoli di imbottitura volarono in aria, incastrandosi fra i suoi capelli.
Non ci fece caso e si voltò di scatto, lanciando la katana. Un gesto avventato. L'arma non era fatta per essere scagliata e quello era una mossa da professionisti.
Ma lei era una professionista. La katana, fendendo l'aria con un sibilo, andò a tagliare di netto la testa di un manichino, colpendo in una maniera talmente precisa da spezzarlo in modo millimetrico e andando a conficcarsi nella parete.
La ragazza si fermò, l'imbottitura ancora impigliata fastidiosamente fra i capelli.
Gli Strateghi parvero soddisfatti e la congedarono.
Marina si inchinò e uscì, con passo deciso, senza che la sua espressione fredda mutasse.
Entrò nell'ascensore e approffittò del breve viaggio per togliersi dai capelli i residui di imbottitura.
Ce l'aveva fatta.

**

Hikari sospirò stancamente.
La ragazza del 6, quella che l'aveva minacciata durante l'addestramento -Hakaikuro, le pareva che si chiamasse- non aveva fatto altro che fissarla con aria truce tutto il tempo.
Era riuscita anche a sopportarla, finchè Desarm era stato al suo fianco.
Ma lui era stato chiamato da poco dagli Strateghi e lei era sola; posò la fronte sul tavolo freddo, gli occhi strizzati.
Si tirò a sedere, stizzita e scomoda; giocherellò un poco con il bracciale regalatole da Desarm, distratta.
Voleva distrarsi, voleva non pensare che questa era la prova decisiva, che il risultato che avrebbe ottenuto adesso era quello definitivo, che avrebbe influito molto sulla sua morte.
Aveva salutato Desarm con un bacio; se lei doveva morire, voleva che fosse lui a vincere.
Un quarto d'ora passò troppo in fretta. Chiamarono il suo nome e allora, dopo un profondo respiro, si alzò, scostando rumorosamente la sedia.
Sistemò un poco i capelli ricci e si passò le mani sul volto; era pronta.
Entrò nella palestra, decisa e sicura come non mai. Gli Strateghi la studiarono con i loro occhi perforanti, ma Hikari non ci fece caso.
Afferrò il nunchaku e lo strinse saldamente. Un brivido l'attraversò e iniziò a rotearlo.
Ne afferrò un'estremità e disegnò un otto in aria, per poi lanciarlo e riafferrarlo al volo.
Se lo passò intorno alla vita e intanto si guardò intorno, continuando a rotearlo; cosa fare per rendere la sua performace più interessante?
Un'idea le balenò in mente e si avvicinò ai pesi con un sorriso furbo.
Gli Strateghi si fecero più attenti mentre Hikari legava i pesi ai pezzi di legno del nunchaku.
Quando lo prese di nuovo in mano, pesava quasi il doppio.
Decisa, iniziò a rotearlo; era più impacciata, ma il suo esercizio era comunque eccellente.
Dopo aver passato il nunchaku sotto le braccia, decise di finire in grande stile; lanciò l'arma con forza e quella, nonostante i pesi, roteò fulminea in aria, andando a mozzare la testa di un manichino.
Si fermò, alcuni ciuffi scuri appicciati alla fronte sudata, il fiato grosso.
Gli Strateghi la congedarono, soddisfatti.
Dopo essersi inchinata, Hikari uscì, inaspettatamente felice.
Entrò nell'ascensore e sorrise. Finalmente tutto stava andando nel verso giusto.

**

Kiara sorrise.
Skylin e Misaka stavano battibeccando allegramente, la prima seduta di fianco a lei e l'altra davanti a sè.
Era felice di aver conosciuto le due; con loro si sentiva libera, inaspettatamente serena, come se niente avesse potuto turbarla.
Ormai mancavano pochi giorni al suo ingresso nell'Arena; voleva vivere allegramente quel tempo che le restava, senza nessuna remora o rimorso.
Ryuuji era stato chiamato da poco, la rossa lo aveva visto alzarsi poco tempo prima; era rimasto seduto due tavoli davanti a lei, insieme al ragazzo del 5 e quello dell'8.
In un certo senso, era gelosa. Avrebbe voluto allearsi con lui, ma in realtà non aveva assolutamente motivo di sentirsi tradita. Erano solo "nemici-quasi-amici", confidenti per convenienza.
Però Midorikawa era quanto di più vicino a un fratello avesse in quel momento e voleva che stesse con lei.
Era un pensiero sciocco ed egoistico, ma non ci fece caso.
La chiamarono proprio in quel momento, destandola dai suoi pensieri.
Sospirò, alzandosi, e Skylin l'abbracciò. Ricambiò con un sorriso.
-Vai Kia, facciamo il tifo per te.- le diede un buffetto sulla guancia, sorridendo teneramente.
-Falli fuori, mi raccomando.- Misaka le fece l'occhiolino, alzandosi a sua volta per venirla ad abbracciare.
Sembrava che stessero per separarsi per sempre e quel pensiero la fece ridacchiare.
Entrò nella palestra con ancora un sorriso accennato sulle labbra, che subito svanì.
In realtà, non aveva la più pallida idea di cosa fare. Rimase immobile qualche secondo, sotto lo sguardo indagatore degli Strateghi, e arrossì un poco.
Prese coraggio e avanzò con un passo sicuro ma che traballava un po', tradendo la sua agitazione.
Fece vagare lo sguardo per la palestra e individuò una cerbottana appoggiata alla parete, all'angolo. Con maggiore disinvoltura possibile, la prese e la caricò.
Si allontanò di cento metri e colpì perfettamente il centro del bersaglio. Duecento, il tiro si conficcò preciso. Trecento, bersaglio centrato, ma iniziava a mancarle il fiato. Quattrocento, cinquecento. I tiri erano sempre perfetti e la sua notevole mira iniziava ad attirare gli Strateghi.
Decise di tentare il tutto per tutto. Ottocento metri. Erano davvero tanti. Assottigliò gli occhi azzurri, tentando di mettere bene a fuoco il centro del bersaglio. Doveva centrare perfettamente. Se avesse sbagliato questo tiro avrebbe dovuto scordarsi un punteggio positivo.
Prese un respiro, le gote arrossate dall'emozione e dalla fatica, il fiato grosso.
Soffiò nella canna con tutta la forza che aveva. Il dardo partì a una velocità impressionante, fendendo l'aria. Per un attimo, Kiara fu colta dalla paura di aver sbagliato tutto.
Ma poi il dardo si conficcò preciso al centro, con un po' meno forza dei precedenti ma sempre perfetto. Dentro di sé esultò, ma si limitò a un sorriso soddisfatto.
La congedarono e la rossa si inchinò, mentre un brivido le trapassava la schiena.
Salì sull'ascensore e si concesse un sospiro. Ormai quello che era fatto, era fatto.

**

Zoey era seduta da sola, in un angolo della mensa.
Aveva ignorato con la maggiore disinvoltura possibile le occhiatacce che Skylin continuava a lanciarle, cercando di distrarsi.
Appoggiò la testa alla parete, dondolandosi sulla sedia; i suoi occhi smeraldini corsero per la stanza, tracciando il solito itinerario che seguivano da quasi un ora.
Il suo sguardo si fermò al tavolo appoggiato alla parete sinistra, quasi opposto al suo; Mac era seduto a quel tavolo con il ragazzo dell'11 e quello del 9 e chiaccheravano allegramente.
Zoey gonfiò le guance, gelosa; avrebbe voluto avvicinarsi a loro, stare vicino a Mac, sentire il suo sguardo dolce su di sè, magari stringergli la mano e--
Arrossì di botto, stupendosi dei suoi stessi pensieri.
Ma cosa andava a pensare? Mac era suo nemico. Avrebbe dovuto ucciderlo. Lei era una Favorita, non poteva permettersi certi pensieri smielati.
Strinse i pugni, seguendo con gli occhi i movimenti del ragazzo, che si era alzato in quel momento per entrare nella palestra.
Avrebbe dovuto attendere ancora per poco e poi avrebbe potuto andarsene da quella mensa chiassosa.
Iniziò a disegnare distrattamente spirali sul tavolo con le dita, gli occhi catturati dal movimento ritmico della mano.
Il suo sguardo cadde sul bracciale d'argento che Vincent le aveva regalato, allacciato al polso.
Una fitta di nostalgia le attanagliò improvvisamente il petto, mentre studiava attentamente il quadrifoglio con sopra una piccola coccinella, che era allacciato nell'intreccio d'argento del laccio.
Per la prima volta da quando era arrivata a Capitol City avvertì chiaramente la nostalgia di casa, la voglia di rivedere i suoi genitori, i suoi amici, Vincent.
Scacciò quella sensazione attanagliante scrollando la testa, accompagnata da una cascata di capelli ricci.
A sottrarla da quei pensieri affilati fu il suo nome, che venne chiamato in quel momento.
Si alzò, senza traballare, fiera, lo sguardo freddo e il passo sicuro, mentre si avviava nella palestra.
Quando fu entrata, fece correre lo sguardo per tutta la grandezza della stanza.
Ebbe l'accortezza di non incrociare gli occhi degli Strateghi e afferrò decisa un coltello.
Serrò le dita affusolate sul manico di pelle, in una stretta ferrea ed esperta; sicura come non mai, si avvicinò con calma glaciale a un manichino.
Rimase immobile. Il silenzio era palpabile. Nulla si mosse per istanti che parvero interminabili.
Poi scattò. Affondò il coltello nel petto del manichino e saltò, dandosi slancio sulle spalle del fantoccio. Tenne il pugnale fra i denti, mentre si aggrappava con le mani ai ganci appesi al soffitto.
Dondolandosi con esperienza, percorse tutta la palestra a mezz'aria, arrampicandosi, scattante e sicura.
Ad un certo punto, senza preavviso, si lasciò cadere; trattenne il respiro e mollò la stretta dei denti sulla lama del coltello, che afferrò al volo. Atterrò precisamente di fianco a un manichino e piantò il pugnale nel suo cranio, con violenza dirompente.
Gli tirò un calcio e il fantoccio cadde a terra.
Zoey si fermò, sudata e col fiatone. Alzò gli occhi smeraldini per incrociare quelli affilati degli Strateghi.
La congedarono e la mora si inchinò, trattenendo il fiato.
Uscì ed entrò nell'ascensore; un sorriso sbocciò sulle sue labbra e i suoi occhi si riempirono di gioia.
Mancavano ancora pochi giorni al suo ingresso nell'Arena ed era sicura che tantissimi sponsor l'avrebbero aiutata.
Ne era certa.

**

Hakai sospirò, gli occhi fissi sul piatto ancora pieno.
Non aveva fame, sentiva l'agitazione scorrere gelida nelle vene.
Hiroto era appena entrato nella palestra. Oh, le mancava già sentire la sua risata.
Il rosso era rimasto seduto con il ragazzo dell'8 tutto il tempo, ma le aveva sempre lanciato occhiate sorridenti.
La ragazza non aveva potuto non arrossire, però le piacevano le attenzioni che lui le dedicava.
Avrebbe voluto dirglielo, ma sarebbe stato stupido, inutile e molto fraintendibile.
E poi ora doveva concentrarsi solo sulla sua sessione.
-Ehi Hakai! Cos'è sul muso lungo?-
La bionda alzò lo sguardo, incontrando gli occhi sfavillanti di Roxie.
-Xie, ciao.- esclamò e un sorriso nacque sul suo viso.
La rossa la squadrò qualche secondo, poi scoppiò a ridere.
-Neneh, ti manca già Hiroto?- disse con un sorriso malizioso e la voce cantinelante.
Hakai arrossì di botto. -N-No! C-Che cosa vai a pensare... I-Io... No... N-Non stavo pensando a lui!- balbettò, scuotendo le mani e la testa, negando.
-Ceeeerto, come no.- la quattordicenne le strizzò l'occhiolino, allungando le vocali in maniera esasperante.
La bionda incrociò le braccia sotto il seno, socchiudendo gli occhi azzurri.
Roxie non aveva tutti i torti. Però ammettere che non riusciva a stare senza Kiyama era davvero troppo, significava che per lui provava qualcosa di decisamente forte.
E non era così... vero?
Arrossì di nuovo, sotto lo sguardo scettico della rossa, che sospirò sorridendo.
-Eh già, la nostra Hakai è proprio cotta...- ridacchiò e la bionda si imbronciò.
-Vogliamo parlare di te e Yuuto? Guarda che si consuma a forza di mangiarlo con gli occhi!- sbuffò e godette nel vedere il rossore espandersi sulle gote dell'altra.
-M-Ma no!- provò a protestare la rossa, ma fu sopraffatta dalla risata dell'altra, a cui preso anche Roxie si unì.
Il nome di Hakai fu chiamato in quel momento e la bionda parve gelarsi sul posto.
Sospirò, cercando di tenere a bada l'agitazione che all'improvviso aveva iniziato a roderle il petto.
-Vai e scaglia diritta i tuoi coltelli.- la incoraggiò Roxie, sorridendole.
Hakai ingoiò un mezzo sorriso ed entrò nella palestra.
Gli Stateghi le lanciarono occhiate indagatrici e la ragazza si strinse leggermente nelle spalle.
Prese una decina di pugnali e si posizionò davanti al bersaglio.
Sospirò e strinse le dita fini intorno all'impugnatura di un coltello. Alzò gli occhi, senza tremito.
Il primo tiro. Per suo padre.
Il secondo tiro. Per sua madre.
Il terzo tiro. Per Riku.
Il quarto tiro. Per il suo Distretto.
Il quinto tiro. Per Roxie.
Il sesto tiro. Per Hiroto.
Il settimo tiro. Hiroto. Hiroto Kiyama.
L'ottavo tiro. Per i suoi occhi acquamarina e quel sorriso speciale.
Il nono tiro. Per la sua risata, bella, cristallina, affascinante.
Il decimo tiro, il più potente. Per quel sentimento che non conosceva e che li legava.
Si fermò, gli occhi freddi e letali, le gote leggermente arrossate.
Gli Strateghi parvero soddisfatti e la congedarono.
Hakai si inchinò con un sorriso e uscì, improvvisamente pervasa da una strana adrenalina bruciante.
Salì sull'ascensore e si sentì inspiegabilmente felice.

**

Hakaikuro socchiuse gli occhi scuri, sbuffando.
Non aveva proprio voglia di starsene ferma di quella sedia scomoda, voleva mettere le mani sulla sua katana.
Su ordine di quell'idiota del suo mentore non l'aveva usata spesso durante l'addestramento ed era rimasta a bramarla durante tutti i tre giorni.
Ora voleva solo tirare qualche bel fendente e magari tagliare la testa agli Strateghi, molto casualmente.
Emise l'ennesimo sbuffo, facendo sollevare una ciocca di capelli bruni che era ricaduta sul viso e lasciandosi scivolare sullo schienale.
C'era troppo rumore, troppa gente che starnazzava.
Solo a vederli mangiare si capiva che erano bestie da macello, nient'altro. Lei, invece, ne aveva di possibilità di vittoria.
Sperava solo che quegli idioti degli Strateghi capissero subito le sue doti, dopotutto lei era l'unica ad avere esperienza nell'uccidere in quella stanza.
Fudou era già entrato nella palestra da quasi dieci minuti, non ne poteva più di aspettare; portò distrattamente le mani ad accarezzare la testa del serpente di ardesia che era arrampicato sul suo ciondolo e il suo sbuffo si tramutò in un sospiro.
Aveva già addocchiato le persone che pensava potessero esserle utili nell'Arena, perciò aveva già in mente di proporre qualche alleanza, giusto per non essere colta di sorpresa da persone potenzialmente pericolose.
Non aveva assolutamente intenzione di morire, per di più durante uno spettacolo che veniva trasmesso in tutta Panem.
Sarebbe stato un disonore troppo grande per lei.
Il suo nome venne chiamato e Hakaikuro si alzò con uno sbuffo che stava a metà fra lo scocciato e il sollevato.
Voleva solo uscire da lì e buttare a terra qualche manichino.
Dopotutto, pensò mentre entrava nella palestra, non le serviva un'esibizione da grande talento, solo qualcosa di veloce ed efficace.
Come se stesse uccidendo per davvero.
Sorrise provocatoria e guardò i manichini come se fossero esseri umani.
Afferrò la katana e non degnò di uno sguardo gli Strateghi, che iniziavano ad essere distratti dopo dodici sessioni.
Passò un dito sulla lama sottile e leggermente curva e dalla carne iniziò a stillare un po' di sangue.
Sogghignò e la impugnò saldamente; la sua espressione mutò totalmente da quando era entrata.
Il suo sorriso acquistò sfumature di malignità, il suo viso somigliò in tutto per tutto a quello di un assassino.
Prese un barattolo di vernice rossa dal reparto di mimetizzazione e ci immerse la lama dell'arma; tagliò di netto la testa di un manichino, con velocità invidiabile e una potenza impressionante, mentre il liquido cremisi schizzava su tutto il fantoccio come sangue.
Squoiò undici manichini senza mai fermarsi, il pavimento sporco di gocce rosse, l'atmosfera improvvisamente tesa.
Gli Strateghi si erano fatti attenti; non era difficile per loro notare quella luce spettrale negli occhi della ragazza, quella ferocia che cercavano in ogni Tributo.
Hakaikuro si concentrò sul dodicesimo manichino, l'ultimo; lacerò viso di cotone senza tagliare la testa e poi si concentrò sul petto.
Lo buttò a terra e con impeto affondò più e più volte la lama vermiglia, fin quando il manichino non fu ridotto a un'ammasso di stoffa e imbottitura.
Afferrò il barattolo di vernice e lo rovesciò sopra il fantoccio, per poi lanciarlo in aria, in modo che gli ultimi schizzi cadessero come pioggia di sangue intorno a lei.
Si fermò, affannata ma soddisfatta, sogghignante nella sua attività preferita.
Gli Strateghi la congedarono, stupiti da tanta ferocia; Hakaikuro li fissò sprezzante e uscì, senza inchinarsi.
Una volta entrata nell'ascensore si concesse una risata, mentre i suoi occhi brillavano di luce spettrale e sui capelli bruni scintillavano le gocce cremisi di vernice come presagio di morte.

**

Annalisa si arricciò annoiata una ciocca di capelli ricci sulle dita, guardandosi intorno svogliatamente.
Natsumi e Amelia, sedute accanto a lei, confabulavano sottovoce e lei non si sentiva di partecipare al discorso.
Si stava annoiando terribilmente; non era agitata per la sessione privata, anzi, quella era la sua ultima preoccupazione.
Essere così tranquilla non era da lei, ma la ragazza non ci fece poi molto caso.
Gouenji era appena entrato nella palestra e Annalisa lo aveva seguito con gli occhi fin quando non era sparito dietro alla porta.
Avrebbe voluto parlargli, anche se in realtà non aveva la più pallida idea di cosa dirgli.
-Nali? Hai sentito quello che ho detto?-
La ragazza sobbalzò e si girò verso le due alleate, che la guardavano in attesa.
-Ehm... No.- rispose abbozzando un sorriso di scuse; Amelia sospirò sconsolata e Natsumi ridacchiò leggermente, mormorando un rimprovero amichevole.
-Stavo dicendo- riprese Amelia lanciandole un'occhiataccia. -che volevo proporvi un'altra alleanza con il ragazzo del mio Distretto.-
La riccia si sporse un po' verso l'altra, incuriosita.
-Mh? Chi, quel bel castano?- rispose con un sorrisetto, indicando con un cenno del viso Fideo, seduto tre tavoli avanti a loro con il ragazzo del 10.
-E' carino...- commentò, lanciando un'occhiata maliziosa verso Amelia.
La castana arrossì leggermente, spostando piccata lo sguardo. -Certo certo, tutto quello che vuoi. E' furbo e questo mi basta. Vediamo come andrà nella sessione privata, ma ho il presentimento che il suo punteggio sarà alto.-
Natsumi si scambiò un'occhiata d'intesa con Annalisa e poi ridacchiarono all'unisono, facendo arrossire ancora di più l'altra.
-E questa risata cosa vorrebbe dire?!- sbuffò incrociando punta nel vivo le braccia al petto, cercando di ignorare il rossore che le copriva le gote.
Annalisa soffocò un sorriso; Amelia non sarebbe cambiata mai.
Il suo nome venne chiamato in quel momento e la riccia si alzò, sorridendo verso le altre, senza che l'agitazione la sfiorasse minimamente.
-Allora... Ci vediamo nell'Arena.- disse e le ragazze annuirono.
Annalisa alzò la mano in segno di saluto, avviandosi verso la palestra.
Tutto stranamente sembrava andare per il verso giusto e lei non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Circondata da amiche come Natsumi e Amelia persino gli Hunger Games parevano meno minacciosi; era così strano che la loro amicizia fosse nata così, un fiore in mezzo ai rovi.
Entrò nella palestra e notò vari schizzi di vernice rossa per tutto il pavimento; mise da parte lo scettismo e impugnò la scure.
Strinse saldamente il manico, arricciando le labbra carnose in un espressione concentrata.
Chiuse gli occhi smeraldini e tutti i giorni nel bosco con suo padre le passarono davanti come un film. Doveva solo ripetere quei movimenti tanto familiari, come se stesse abbattendo un albero in un pomeriggio qualunque di una giornata qualunque.
Con uno scatto repentino aprì gli occhi e sollevò l'arma, affondandola poi con potenza letale nella sua custodia.
Il legno si incrinò con un schianto secco e varie scheggie si alzarono dall'oggetto.
Colpì la custodia della scure ancora e ancora, facendo saltare pezzi di legno ovunque, nel violento modo che suo padre chiamava "barbaro".
Se si spezzava legno in quella maniera non lo si avrebbe mai potuto vendere e Annalisa ricordava le volte in cui l'uomo glielo ripeteva stenuamente.
Però a rompere così violentemente quell'oggetto provava una soddisfazione innata; quasi non riusciva a credere di possedere tanta forza.
Si fermò solamente quando non ci fu più nulla da rompere. Pezzetti di legno erano disseminati disordinatamente per il pavimento, troppo piccoli per essere tagliati ancora.
Annalisa alzò lo sguardo con freddezza e lanciò la scure senza spostare gli occhi dagli Strateghi; l'arma si conficcò nella parete, rimanendo a mezz'aria.
Godendosi le loro espressioni stupide, la riccia si inchinò e uscì, i capelli spettinati e le gote arrossate, ma un sorriso soddisfatto sul volto.
Già, non avrebbe potuto andare meglio di così.

**

Misaka affondò il viso fra le braccia, sospirando.
Aveva passato il tempo a chiaccherare con Skylin e a lanciarsi occhiate sporadiche con Nagumo, che se n'era stato in un altro tavolo per tutto il tempo.
Però ora Haruya non era più seduto là, a scoccarle occhiate spavalde con i suoi splendidi occhi color miele, ma era entrato nella palestra per la sua sessione privata.
Alzò gli occhi cerulei, insoddisfatta, cercando di incrociare lo sguardo dorato di Skylin, magari un sorriso su quelle labbra sottili.
Ma la castana non la stava guardando; seguendo la traiettoria dei suoi occhi, Misaka capì che stava fissando il ragazzo del suo Distretto. Fubuki, le pareva si chiamasse.
Era rimasta molto colpita dal suo gesto durante l'addestramento; era intervenuta per bloccare la rissa e quindi salvare quel ragazzo da una punizione severa.
La bruna non sapeva che lei avrebbe fatto lo stesso per Nagumo; probabilmente no, anche se non ne era sicura.
Non comprendeva perché Skylin avesse rischiato di finire in mezzo a quella storia per un suo nemico, non aveva senso.
-Ehi Skyl.- la chiamò e la castana sussultò, distogliendo lo sguardo dal Fubuki e girandosi verso Misaka.
-Sì?- rispose incerta, gli occhi dorati che bramavano di incastrarsi di nuovo con quelli color argento del ragazzo.
La bruna scosse la testa con un mezzo sorriso. -Nulla.- e si disse che era ovvio il motivo per cui Skylin aveva salvato Fubuki.
Il perché risiedeva nelle loro iridi, in quel dolcissimo luccichio pervadeva i loro occhi quando si incrociavano. Forse -si disse- c'erano occhi che erano destinati a rimanere incatenati e quando si incontravano quella luce speciale li illuminava.
Chissà se anche lei aveva nelle iridi quel bagliore quando guardava Haruya.
Non si chiese perché proprio Nagumo, ma in un certo senso sperava che anche i suoi occhi brillassero per lui.
Il suo nome venne chiamato in quel momento e Misaka si alzò, stiracchiandosi come un gatto.
-Ci si vede.- disse facendo un cenno a Skylin, che le sorrise caldamente, salutandola.
Entrò nella palestra con un sospiro, tentando di togliersi di dosso quella malinconia appiccicosa. Non era il momento per farsi prendere da pensieri tanto stupidi.
Scoccò un'occhiata stizzita agli Strateghi, che dopo sedici sessioni iniziavano ad essere più attratti dal banchetto che era stato allestito per loro che dai Tributi.
Raccolse una katana non molto lunga, stringendo febbrilmente il manico.
Tirò qualche fendente ai manichini, frustrata; rivolse uno sguardo sdegnato agli Strateghi, che però non sembravano assolutamente considerarla.
Sentiva l'ira montare dentro al petto e le tornò in mente suo padre, quel sognatore ribelle dagli occhi scuri che lei non aveva mai conosciuto.
Buttò arrabbiata un manichino a terra e scagliò in un angolo la katana, che scivolò per il pavimento con un triste clangore metallico.
Prese un coltello e attese un attimo, gli occhi cobalto che fissavano insistentemente gli Strateghi.
Le dedicarono solo qualche occhiata per nulla interessata e quella reazione fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Misaka, senza pensare, scagliò il coltello contro il loro tavolo; si udì un sibilo e tutta l'aria intorno al banchetto sembrò criptare, poi la lama venne sbalzata indietro dal campo di forza.
La bruna si chinò repentinamente e il pugnale andò a piantarsi nella parete; gli Strateghi la guardavano, chi spaventato e chi stupito.
La ragazza si alzò, con gli occhi ancora colmi di disprezzo; senza inchinarsi uscì, mentre una soddisfazione prepotente le invadeva il petto.
Sperava solo che quel gesto avventato non le sarebbe costato troppo.

**

Natsumi sospirò, borbottando qualcosa riguardo al fatto che in quella mensa ci fosse davvero troppo caldo.
Si passò una mano fra i capelli quasi ricci, tentando di dissipare la calura che la circondava.
Le luci dei lampadari asettici le davano il mal di testa; con un sospirò si lasciò scivolare sul tavolo, godendosi l'impatto fresco del suo viso accaldato contro la superficie, mentre Amelia ridacchiava della sua espressione sconfitta.
La rossa sentì qualcosa sfiorarle la spalla e alzò curiosa gli occhi nocciola; fece appena in tempo a vedere una chioma di capelli turchesi che si allontanava verso la porta.
Rimase a guardare stupita il punto in cui Kazemaru era sparito; l'aveva... toccata.
Le aveva posato una mano sulla spalla e poi era andato via. Arrossì piacevolmente, mentre un mezzo sorriso incosciente si faceva spazio sul suo volto.
La risata di Amelia la fece sobbalzare, si era quasi dimenticata della sua presenza.
-Dovresti vedere la tua faccia!- rise la castana e Natsumi arrossì ancora di più, tirando una gomitata alla coetanea.
-Questa è la mia faccia.- esclamò seccata, incrociando le braccia.
-Non ti ha baciata Natsu, ti ha solo toccato la spalla! Non mi sembra il caso di fare tutto queste scene, potrebbe averti sfiorato anche per sbaglio.- ribatté Amelia con un sorrisetto, ignorando totalmente il suo commento.
La rossa sentì di essere cascata dalle nuvole. La castana aveva ragione e lei era una vera e propria stupida.
Voltò il viso da un'altra parte, con espressione delusa; non aveva motivo di esaltarsi tanto per un contatto così minimo, se ne rese conto solo in quel momento.
E poi, non aveva motivo di agitarsi. Kazemaru l'aveva toccata, e allora? Non era certo la prima volta che qualcuno le sfiorava le spalla. Ichirouta era esattamente come chiunque altro, un nemico qualunque.
Sbuffò, stanca di rimuginare su argomenti così idioti.
Amelia era girata verso il tavolo di Fideo e lo guardava con uno sguardo dolce e attento, che mai la rossa le aveva visto fare.
Sogghignò leggermente: la prendeva tanto in giro, ma anche lei non scherzava! Sembrava volesse mangiarsi con gli occhi quel ragazzino.
Si scostò di nuovo i capelli dal collo, ricordandosi improvvisamente di avere caldo.
A salvarla da quella calura fu il suo nome, che venne chiamato in quel momento, richiamando anche l'attenzione di Amelia.
-Ciao, eh.- la castana le diede un buffetto sulla spalla, facendola sorridere leggermente.
Entrò nella palestra con sguardo freddo. Non era agitata, dopotutto sapeva benissimo cosa fare. Gli Strateghi non avrebbero potuto che stupirsi davanti alla sua mira.
Impugnò l'arco e incoccò, facendo vagare lo sguardo alla ricerca di qualche bersaglio interessante.
Se voleva essere considerata, doveva attirare subito l'attenzione su di sé.
Abbozzò un sorriso vittorioso, notando numerosi dardi conficcati in un bersaglio nella posizione di lancio.
C'era una distanza sottilissima fra loro e chi li aveva lanciati -forse la ragazzina del Distretto 3- doveva possedere una buona mira, ma poca esperienza.
Natsumi sorrise e scoccò; la freccia schizzò nell'aria e andò a conficcarsi nel leggerissimo spazio fra due dardi vicini.
I seguenti tiri furono tutti dimostrazioni di una padronanza innata dell'arma; era andata così da subito, dato che aveva dimostrato un talento speciale per il tiro con l'arco da quando aveva pochi anni.
Sua madre era sempre stata compiaciuta di questa sua passione per l'arco e Natsumi l'aveva assecondata, un po' per non deluderla e un po' perché quell'arma la affascinava tantissimo.
Ormai l'arco era un'estensione naturale del suo braccio, una parte di sè; perciò tirare frecce in spazi sottili era una passeggiata per lei.
Stava per lanciare l'ultima freccia, quando gli Strateghi la interruppero e congedarono.
Insoddisfatta, la rossa la scagliò verso l'alto; la freccia fendette l'aria e andò a conficcarsi nel lampadario a neon sopra di lei, rompendolo.
Una cascata di scintille si riversò a terra e Natsumi sorrise, esibendosi in un inchino spavaldo e uscendo.
Gli schizzi di luce di quella sessione le rimasero dentro, imprigionati fra un sorriso e una consapevolezza scarlatta.

**

Roxie si dondolò distrattamente sulla sedia, soffocando uno sbadiglio annoiato.
Dopo che Hakai se n'era andata, la rossa non aveva fatto che annoiarsi a morte.
La mensa ormai si stava svuotando; rimanevano solo lei e Yuuto, i due dell'11 e quelli del 12.
La stanza era molto più silenziosa e la quattordicenne proprio non si trovava in un ambiente del genere; si sarebbe sentita molto più a suo agio circondata da chiacchere e rumore.
Si alzò dalla sua sedia, con l'intento di andare a sentire cosa dicevano Kidou e il ragazzo del 12.
Gofiò le guance; si sentiva offesa dal comportamento del castano, che l'aveva ignorata per tutto il tempo.
Purtroppo però non fece in tempo a raggiungerlo che lui si alzò, salutando quel moretto seduto affianco a lui e avviandosi verso la porta.
-Aspetta Yuuto!-
Il ragazzo si fermò, senza girarsi. -Ci vediamo dopo, Roxie.- disse, scostandosi quando la giovane provò a mettergli una mano sulla spalla e allontanandosi.
La rossa rimase immobile, seccata ed esterefatta.
Sentì qualcosa di fastidioso pungergli il petto, mentre gonfiava le guance e incrociava le braccia; perché l'aveva trattata con tale freddezza?
Lei non aveva fatto niente dopotutto!
Si lasciò cadere offesa sulla prima sedia che le capitò davanti, attirando l'attenzione dei presenti.
Roxie li ignorò; Yuuto non voleva parlarle? Allora neanche lei lo avrebbe pensato.
Però era molto più difficile di quanto immaginasse; tentava di concentrarsi su altro, di pensare a cosa avrebbe fatto durante la sua sessione o a cosa avrebbe detto ad Hakai nell'Arena, ma Kidou era presente in ogni singolo pensiero e non riusciva a scacciarlo.
Il suo viso dai tratti aristocratici le tornava in mente ogni volta, facendola arrossire stupidamente.
Un quarto d'ora passò talmente lento che le sembrarono anni; appena il suo nome fu chiamato, saltò giù dalla sedia, impaziente di concentrarsi su altro e sfuggire al pensiero dolcissimo di Yuuto.
Entrò nella palestra e fece vagare i suoi occhi smeraldini per la stanza; lanciò uno sguardo scettico al lampadario rotto con una freccia spaccata ancora conficcata dentro, ma la sua attenzione fu presto attratta da altro.
Come c'era da aspettarsi, gli Strateghi erano concentrati su tutto meno che su di lei.
Roxie sbuffò seccata e si avvicinò con passo deciso al sacco da boxe; uno giaceva a terra spaccato e circondato da batuffoli di imbottitura, ma il secondo era ancora intero.
Si sfregò le mani, sorridendo furbamente.
Non era una ragazzina indifesa qualunque, lei. A scuola, le capitava molto spesso di fare a botte con i maschi che la infastidivano ed era inutile dire che era lei a vincere ogni volta.
Essendo rimasta orfana all'età di nove anni, con una sorellina in fasce, aveva imparato da subito a badare a se stessa. E se c'era una cosa che aveva appreso, era che saper picchiare chi provava a provocarla era indispensabile.
Sferrò un pugno al sacco, senza nemmeno mettersi i guantoni; l'oggetto ondeggiò traballante e la ragazza iniziò a tempestarlo di pugni e calci.
Con uno scatto afferrò un coltello e tagliò la corda che lo sosteneva; ci tirò un pugno potente, facendolo rotolare sconfitto a terra.
Quello che seguì fu solo un feroce confondersi di pugnalate e calci, che il sacco incassava sfracellandosi per terra, fin quando non rimase che una poltiglia di imbottitura e stoffa.
Scagliò il coltello, colpendo un manichino distante in testa.
Gli Strateghi, colpiti da tale forza, la congedarono e Roxie rivolse loro un'occhiata fredda, per poi esibirsi in un inchino strafottente e uscire con passo spedito.
Quando fu dentro l'ascensore, scoppiò a ridere. Si era sfogata colpendo quel sacco da boxe e non era più arrabbiata con Yuuto; adesso voleva solo abbracciarlo.
Sorrise, in balia di una felicità frizzante.

**

Skylin sospirò, socchiudendo gli occhi.
Dopo che anche Misaka era entrata nella palestra, lei era rimasta sola.
Era stanca di stare lì ad attendere e il pensiero di cosa avrebbe fatto per dimostrare il suo valore la logorava.
Per di più, Atsuya continuava a fissarla e questo non la tranquillizzava per niente.
Si sentiva arrossire ogni volta che incrociava quegli occhi, avvertiva i palmi delle mani sudare ed era tesa come una corda di violino.
Non capiva perché Fubuki le facesse questo effetto e non era veramente sicura di volerlo scoprire.
Alzò timidamente lo sguardo e i suoi occhi si incatenarono a quelli del ragazzo.
Atsuya era seduto dall'altra parte del tavolo, le gambe accavallate e le braccia incrociate dietro la testa, con uno splendido sorriso spavaldo sul volto.
Arricciò il naso alla vista di quell'espressione; non poteva prendersi gioco di lei in quel modo.
Incrociando le braccia al petto, si lasciò sprofondare nello schienale, senza distogliere più gli occhi dai suoi.
Era una sfida? Non sarebbe stata lei a perdere.
Così rimase a guardare le infinite sfumature di quegli occhi presuntuosi, dal taglio arrogante, di quello splendido color argento scuro, che sembrava il colore della polvere e delle nuvole che portavano pioggia; le loro iridi erano legate, lei, un raggio di sole nella tempesta degli occhi di lui.
Quel magico incanto fu però spezzato dal nome di Atsuya che fu chiamato.
Fubuki si alzò tranquillamente e le passò accanto per dirigersi verso la palestra.
-A dopo uccellino.- sussurrò, facendola arrossire appena.
Skylin rimase a fissare come una sciocca la porta dove lui era sparito, quelle parole appena mormorate che le rimbombavano in testa, in un dolcissimo eco infinito.
Un brivido l'attraversò e distolse offesa lo sguardo.
Atsuya non faceva altro che farla arrabbiare; era lui, con quel modo di fare insofferente, con quella fastidiosissima strafottenza, con quegli occhi che avevano il potere di stregarla.
Passò il tempo a ripetere nella sua mente le note di una canzone popolare che Sue le aveva insegnato, facendo intanto correre le dita sul tavolo.
Il suo nome fu chiamato quasi all'improvviso, senza che lei se lo aspettasse.
Accompagnata da un polveroso senso di stanchezza, entrò nella palestra.
Non c'era nulla di particolare e quindi niente che attirasse la sua attenzione nella stanza.
Rassegnata, Skylin si attenne al programma, camminando verso il punto dove erano appesi i pugnali.
Fissò qualche secondo le lame e le note della canzone le danzarono nella mente con insistenza.
"Complimenti, davvero un'ottima performace" le parole di Naigel le tornarono in mente e subito le fu chiaro cosa avrebbe dovuto fare. Dopotutto, doveva solo dimostrare il suo talento.
E quasi non se ne rese conto, quella melodia uscì dalle sue labbra con una naturalezza innata.
Fece qualche passo aggraziato per la palestra, cantando con un tono di voce sempre più alto, raggiungendo note talmente acute da fare male alle orecchie.
Ma non si fermò, continuando a tracciare semplici passi di danza, una voce così alta che molti Strateghi si dovettero premere le mani sulle orecchie.
Arrivò al culmine dell'altezza che avrebbe potuto raggiungere, prolungando una nota acutissima e alzandosi sulle punte dei piedi, come a voler andare ancora più in alto.
Qualcosa fendette l'aria e ci fu uno scoppio. Il campo di forza che circondava gli Strateghi si spaccò e Skylin fu sbalzata indietro, finendo a terra.
Confusa, la ragazza fu congedata e uscì, ancora frastornata.
Dentro l'ascensore, si disse con un sorriso che aveva fatto davvero combinato un pasticcio. Però la cosa la faceva solo ridere e quindi rise, libera come un usignolo che si libra nel cielo.

**

Amelia sospirò, arricciandosi una ciocca di capelli fra le dita.
Lanciò uno sguardo a Fideo e si alzò, avvicinandosi a lui.
Il ragazzo non si voltò, gli occhi fissi su alcuni fogli che stringeva attento fra le mani.
La castana stette in silenzio qualche secondo, aspettando che lui si girasse.
Se voleva parlargli, doveva farlo ora, prima che la ragazza dell'11 finisse e lui veisse chiamato.
Tossì un poco, per richiamare l'attenzione del ragazzo. Odiava essere ignorata.
-Amelia, ciao.- disse lui tranquillamente, senza nemmeno girarsi a guardarla.
La giovane sospirò, tentando di rimanere calma.
Per qualche strano motivo, il comportamento di Ardena la irritava terribilmente.
Si lasciò cadere sulla sedia affianco a lui e si decise a parlare.
-Ho proposto un'altra alleanza.- esclamò tentando di rimanere disinteressata, battendo distrattamente le dita sul tavolo e nascondendo gli occhi sotto la frangia.
Fideo alzò stupito lo sguardo e Amelia si sentì investita dal blu intenso dei suoi occhi.
-Oh.- disse solo lui, poi tornò a sorridere compiaciuto. -Anch'io.- rispose, altrettanto noncurante.
La castana rimase interdetta e sbattè un paio di volte gli occhi. Come? Fideo aveva proposto un'altra alleanza? E senza chiedere il suo parere?!
Arricciò infastidita le labbra, assottigliando gli occhi, nonostante il suo pensiero fosse molto incoerente.
-Ah. Hai fatto tutto da solo, senza dirmi niente.- sibilò, senza pensare che anche lei aveva fatto tutto da sola.
-Yuuto è un buon alleato. E' furbo, prova a guard-- - ma fu interrotto da Amelia, che strabuzzò incredula gli occhi.
-Kidou Yuuto?! Quel ragazzetto insignificante?!- sbottò, battendo furiosa una mano sul tavolo. Un'alleanza con quello svitato! Fideo doveva proprio essere uscito di testa. Aveva osservato quel ragazzino durante l'allenamento e poteva dire con certezza che non valeva nulla.
Purtroppo però non poterono continuare la conversazione e il nome del castano fu chiamato.
Ardena si alzò, un'espressione accigliata sul viso, nascondendo i fogli che prima stava leggendo in tasca.
-Ti ricrederai.- disse solo, uscendo.
Amelia rimase immobile. Non si sarebbe alleata con Kidou Yuuto.
Era pronta a scommettere che non sapesse nemmeno tenere in mano un coltello.
Ridacchiò. Se Fideo voleva fare comunella con lui, lei non lo avrebbe seguito.
Convita di questa decisione, passò i seguenti quindici minuti a dondolarsi sulla sedia, pensando ad altro.
La chiamarono prima di quanto avesse immaginato.
Si alzò ed entrò sicura nella palestra. Non aveva paura di quei palloni gonfiati che erano gli Strateghi.
Quello che vide la lasciò perplessa. Sembrava che fosse esploso qualcosa, dato che tutte le attrezzature erano buttate negli angoli e il capanello di uomini e donne attorno al banchetto sembrava molto agitato.
Amelia si trattenne dal ridacchiare, chiedendosi chi fosse riuscito a far arrabbiare tanto gli Strateghi.
Prese la mazza chiodata, che ora riusciva a usare perfettamente. Annalisa le aveva insegnato come utilizzare armi pesanti e adesso non aveva più alcun problema.
Strinse sicura le dita intorno al manico e fece roteare la palla di ferro tempestata di aculei sopra la sua testa, per poi piantarla con forza dentro il corpo di un manichino.
Continuava a colpire bersagli e improvvisamente il pensiero di Leila tornò a galla.
Si chiese cosa avrebbe detto la sua sorellona, vedendola destreggiarsi in quel modo con un'arma. Leila, la ragazza che l'aveva sempre sgridata per i suoi modi scostanti e che spesso ricadevano nelle maniere forti.
La maggiore aveva sempre disprezzato la violenza e messo in primo piano il dialogo; chissà cosa avrebbe fatto lei, se fosse stata al suo posto.
Per la prima volta da quando era arrivata, pensò che era un bene che fosse stata estratta lei e non Leila.
Strinse leggermente gli occhi, sottraendosi a quei pensieri dolorosi.
Con un grido, scagliò la mazza chiodata, che roteò pericolosamente in aria e andò a conficcarsi nel muro.
Amelia rimase stupita; il suo tiro doveva essere stato davvero potente per far rimanere la mazza inchiodata al muro.
Prima che potesse riprenderla però, gli Strateghi la congedarono.
La castana fu tentata di tirargli addosso l'arma, ma poi declinò quell'idea e uscì, stizzita per essere stata interrotta dopo così poco.
Ora, pensò con un sospiro mentre l'ascensore saliva, doveva affrontare Fideo.













... *spunta da dietro un muro*
Ehm... Ciao ^^"
Ci ho messo mesi per scrivere questo capitolo, lo so.
Scusatemi tanto! >.<
Però fra compiti, vacanze, pigrizia e caldo non ho potuto scrivere!
Cercherò di essere più puntuale in futuro, lo prometto ç.ç
Ora, questo capitolo.
Inizialmente avevo idea di farlo più lungo e aggiungerci ancora dodici parti, ma poi mi sono detta che vi avevo fatto aspettare anche troppo.
Ringrazio chiunque continua a seguirmi nonostante abbia tempi indecenti, arigatou **
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, ora vi lascio ;)
E sappiate che anche se non recensisco o aggiorno più, io ci sono e vi osservo... *colonna sonora da film horror (?)*
Ehm già, ora è meglio che la finisco di dire cavolate xD
Ciao ciao <3
Lucchan
  
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