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Autore: Entreri    19/08/2014    2 recensioni
Nonostante fosse stato lui a darle appuntamento in quel punto appartato del lungo Tamigi, Lucius non si era aspettato che Valeria venisse davvero; per questo, quando gli apparve dinnanzi, coperta di sangue e avvolta dalla nebbia, per un attimo la prese per un’apparizione evocata dalla luce opaca della luna, un fantasma del passato venuto a maledirlo o ad annunciargli la morte ultima.
Scarti temporali nella storia "Le cinque e una notte" che, per la comprensione, è indispensabile avere letto (forse).
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Premessa: A volte ho bisogno di scrivere una scena solo perché me la sono immaginata, di solito non sono i miei scritti migliori, perché devo tradurre in parole qualcosa che ho immaginato come in un film e io quando penso a qualcosa che devo scrivere di solito penso in termini di parole. Sempre di solito condivido poco queste piccole scene, ma ultimamente ho bisogno di comunità, di indulgere un po’, per cui ho deciso di pubblicare. Al contrario di tutte le mie storie, che cercano (non è detto che ci riescano) di parlare di qualcosa, questa non lo fa. Per cui prendetela un po’ come viene, ecco, e, se mi dovete giudicare come autrice, fatelo con qualcos’altro. ^^

 

York  25 luglio 2012

Alla fine era stato il modo in cui la poveretta aveva urlato il nome di Lucius a trascinare Valeria giù per scale; fino ad allora era riuscita a ignorare singhiozzi e lamenti, grida strazianti e ogni genere di suono sgradevole che proveniva notte e giorno dai sotterranei della grande villa vittoriana, lasciando che Messalla chiamasse “cantine” le proprie segrete e che i numerosi piani che la separavano dalle torture perpetuate in quelle celle intorpidissero la sua sensibilità come ottundevano i rumori che ancora riuscivano a raggiungerla.

Non sapeva che donna Messalla avesse incatenato nelle profondità della loro dimora, lui non l’aveva detto e lei non l’aveva chiesto, poiché non le importavano né il suo nome né le colpe per cui meritava quelle sevizie. Solo quando l’aveva sentita chiamare Lucius con un alto grido che aveva in sé l’angoscia dell’invocazione e il furore dell’anatema, per la prima volta si era domandata chi fosse, da dove venisse, cosa significasse per Lucius, cosa Messalla volesse da lei; interrogativi dapprima vaghi che si erano fatti sempre più insistenti e difficili da scacciare.

Sentiva quei dubbi accompagnarla, curva dopo curva di quelle ripide scale scavate nella pietra, sospingendola avanti, scalino dopo scalino, in quell’ambiente freddo e minaccioso, costringendola ad avanzare nonostante le tenebre si facessero più fitte e l’odore di putrefazione più difficile da ignorare.

Le grida erano cessate da qualche ora e tutto nel silenzio umido di quelle scale a chiocciola che discendeva di nascosto le pareva parlare di morte e di tristezza. Quando raggiunse l’ultimo gradino rimase immobile per un istante: in bilico fra mettere piede nel corridoio e tornare sui propri passi, fra il disubbidire a un ordine mai pronunciato ad alta voce e l’assecondare inquietudini che non avrebbe mai ammesso.

Un improvviso battito d’ali, il gracchiare inaspettato di un corvo, la fecero sobbalzare; attese ancora un momento, preda della propria incertezza, prima di avanzare cautamente, come se la lentezza con cui passava dinnanzi alle dieci celle spalancate e vuote potesse in qualche modo scusarla dall’approssimarsi all’undicesima porta, la gelida chiave stretta convulsamente in un pugno altrettanto freddo.

Non c’erano spioncini nell’enorme massa d’acciaio nero che sigillava la cella e Valeria se ne domandò il motivo aprendo i sette lucchetti che assicuravano la pesante spranga di ferro.

Dischiuse il portone leggermente, rabbrividendo al cigolare lamentoso dei cardini e quasi arretrando per il lezzo di morte e marciume che strisciò fuori da quel sottile spiraglio nelle tenebre. I corvi gracchiarono di nuovo, forse disturbati dalla luce delle torce alla base delle scale, forse dal movimento secco con cui Valeria spalancò la porta e fece un passo nella stanza.

Un ansito di spaesato orrore echeggiò nella camera e solo dopo qualche istante Valeria si rese conto che era suo: sconfiggendo a fatica la densa penombra della stanza, la luce fioca del corridoio scolpiva nella tenebra un corpo martoriato, divelto, inchiodato con paletti di frassino a una croce pendente dal soffitto, incatenato con i sui stessi intestini agli anelli di ferro sul pavimento, circondato da cadaveri putrefatti di bambini. Tre corvi banchettavano del sangue e della carni molli degli organi di quella donna, impedendo il richiudersi delle ferite che pure il suo sangue mistico cercava di curare. Contemplò per un istante quell’immobile sagoma spaventosa, finché non la vide sollevare il capo guardandola di rimando attraverso grandi orbite vuote.

Gridò.

Una mano sicura si posò delicatamente sulla sua vita e un corpo solido si strinse al suo, abbracciandola sotto lenzuola di seta.

«È solo un incubo, torna a dormire.»

La voce di Lucius era una carezza calda, un sussurro di velluto e se Valeria non avesse passato duemila anni a fuggire dalle sue insidie se ne sarebbe lasciata avvolgere e cullare, si voltò, invece, fronteggiando il suo volto avvenente e assonnato.

«Hai avuto molte donne in questi duemila anni?»

La smorfia costipata che distorse i suoi lineamenti scultorei l’avrebbe fatta ridere se solo non avesse avuto ancora impressa nella mente l’immagine di una giovane crocifissa e dilaniata.

«Potremmo rimandare questa conversazione a un momento in cui sarò abbastanza sveglio da rispondere senza provocare danni irreparabili?»

«Così tante?»

Il suo volto era tanto vicino da permetterle di contare le ciglia scure che incorniciavano i suoi grandi occhi neri e, osservando la luce ferina che brillava al fondo di quello sguardo intenso e appassionato, non si domandò più il numero delle sue conquiste, ma quello delle sue vittime; non quante avesse sedotto con dolci parole, ma quale avesse abbandonato esangui dopo essersene nutrito.

«E ce ne sono state con la pelle scura?»

«Devo chiamare un Leporello perché canti l’intera aria del mio Catalogo?»

Non disse nulla, attendendo la sua risposta con la calma cupa che quell’incubo da lungo tempo dimenticato aveva evocato in lei.

«Abbastanza: etiopi dalle gambe slanciate, schiave alessandrine e splendide odalische turche, tuttavia i loro volti sono sbiaditi nella mia memoria e i loro nomi smarriti del tutto. Non c’è mai stata che una donna per me.»

L’accarezzò nel dirlo e c’era una tale possessiva fermezza nel suo tocco e nella sua voce che Valeria tremò, sentendo risvegliarsi il desiderio smarrito di scappare lontano, di non ammettere a se stessa di amare l’uomo sregolato, crudele e folle che aveva ucciso una dopo l’altra tutte le persone cui lei avesse avuto la temerarietà di concedere un posto nel proprio cuore. Scacciò quel turbamento nascondendosi dietro un’altra inquietudine, evocando la disperazione piena di rancore con cui quella sconosciuta seviziata aveva chiamato Lucius come se lui l’avesse tradita, come se lui le dovesse qualcosa, come se ci fosse stata, a un certo punto del tempo e dello spazio, un’altra donna per lui.

«Nessuna a cui tu abbia concesso il dono di sangue?»

«Solo tu.»

Non era mai stato un dono per lei, quanto un’imposizione, un gesto egoista con cui Lucius l’aveva strappata a tutte le cose che non avrebbe mai lasciato volontariamente.

«Nessuna che lo possedesse già?»

Lucius sollevò il capo dal cuscino, poggiandosi sul gomito in una posa plastica degna di un dipinto neoclassico.

«Cosa stai cercando di chiedere esattamente?»

Non ne era sicura: non c’era mai stata una domanda precisa, solo un nebuloso affanno, così si limitò a dire quello che sapeva per certo, sperando di ottenere da Lucius la risposta tranquillizzante che fino a quel momento le era stata negata.

«C’era una donna nei sotterranei di Messalla. L’ha torturata per anni ma lei non ha mai detto altro che il tuo nome.»

Lo stupore infranse le linee del volto di Lucius, lasciandosi alle spalle un’incredulità talmente confusa da far sospettare a Valeria che davvero non sapesse di cosa lei stesse parlando.

«E chi era?»

«Speravo che me lo dicessi tu.»

La fessura fra le imposte della finestra lasciava passare un sospiro di luce sufficiente ad evocare fra le tenebre della stanza la sagoma indistinta dei loro vestiti appesi all’attaccapanni: due figure lugubri e tristi, eternamente immobili seppure sempre sul punto di abbracciarsi. 

«Non hai pensato di chiederlo a lei?»

Si levò a sedere e la mano di Lucius le scivolò lungo il fianco più delicata e morbida dei grandi palmi callosi di Hildebrand e delle dita d’acciaio di Messalla.

«L’ho fatto, in realtà.»

La prima volta non aveva ricevuto risposta se non un sorriso stanco e gentile, materno al punto da sembrare surreale; la seconda la donna aveva emesso un gemito soffocato, simile a un sospiro; la terza le si era rivolta con voce roca e rotta, una benevola ironia a far tremare le sue parole di rimprovero: “Avete davvero una voce di pesca, ma temo non servirà. Se voleva farmi parlare mandandomi una bella donna, Messalla non avrebbe dovuto bruciarmi gli occhi”.  Un corvo aveva scelto quel momento per affondare il becco più in profondità nel suo fegato e la donna aveva spalancato la bocca in un grido muto, mettendo in mostra gengive vuote e sformate; anche solo il ricordo di quella bocca violentata, abitata da due canini solitari e scheggiati provocò a Valeria un conato di vomito.

«È stato così terribile?»

Probabilmente non lo sarebbe stato per Lucius, che aveva affrontato ogni orrore della sua lunghissima vita con un sorriso seducente e una scrollata di spalle aggraziata, ma Valeria, che pure era stata capace di ordinare terribili atrocità nei confronti di coloro che l’avevano offesa, non era mai stata brava a guardare in faccia la sofferenza degli sconosciuti.

«La cosa peggiore è che era così gentile.»

Percepì un tremito nella mano di Lucius, una tensione appena accennata eppure impossibile da ignorare e, guardandolo in volto, scorse un pensiero angosciato sul fondo dei suoi occhi, simile a un sospetto al quale non avesse coraggio di dare un nome.

«” Gentile” hai detto?»

Forse gentile non era la parola adatta, ma Valeria non avrebbe saputo spiegare altrimenti l’attitudine indulgente con cui la prigioniera le si era rivolta, sebbene la credesse venuta su ordine del proprio torturatore per estorcere con dolci moine quello che non le avevano strappato con le tenaglie.  Il sorriso bonario con cui le aveva chiesto di avvicinarsi sarebbe quasi riuscito a metterla a suo agio se non avesse aperto tagli sanguinanti sulle sue labbra tumefatte.

«Gentile. Quando sono inciampata su uno dei cadaveri sul pavimento, mi ha chiesto se stessi bene.»

La sua voce aveva avuto la stessa avvolgente premura della schiava che l’aveva cresciuta, ma Valeria cercò di non pensarci; Lucius aveva squartato Meda la notte in cui le aveva fatto il Dono di Sangue e fare il suo nome non avrebbe fatto altro che rinnovare quel dolore.

«Che cadaveri?»

Valeria non trovò la forza di rispondere: ogni bambino morto che avesse mai incontrato nella storia le ricordava la sua, il piccolo cadavere sanguinolento che aveva stretto fra le braccia piangendo la notte della morte di Cesare, e quelle creature esangui e marcescenti che giacevano abbandonate in mucchi disordinati attorno alla croce sospesa sarebbero stati una ferita aperta nel cuore di qualsiasi madre.

Osservando nel ricordo il volto contratto dal terrore di un ragazzino di dieci anni, Valeria percepì Lucius levarsi a sedere, il suo corpo farsi ancora più vicino e la sua mente scivolare delicatamente nella sua, scrutando attraverso i suoi occhi il marchio di un morso sdentato sul collo del cadavere. Udirono insieme la voce spezzata con cui la donna rispose per la prima volta ad una domanda che Valeria non aveva neppure posto ad alta voce.

“È la stata la cosa peggiore che mi abbia fatto. Amavo gli allievi della mia scuola coranica: desideravo proteggerli dalla guerra, ma non ho potuto proteggerli neppure dalla mia sete. Saranno vendicati. In šāʾ Allāh.”

Lucius sussultò dentro di lei, Ahmad, lo sentì pensare, il nome carico di un sentimento tiepido, avvolgente come una coperta di piume o la voce di sua madre, un affetto misto a fiducia, rispetto e senso di colpa. La memoria di Lucius evocò il volto sorridente di un uomo allegro nell’esatto momento in cui, nel proprio ricordo, Valeria alzò gli occhi verso il viso deformato della donna e il suo sorriso mutilato e indecifrabile. La mente di Lucius lasciò la sua con un silenzioso grido d’orrore.

«L’hai riconosciuta?»

Aveva gli occhi chiusi e quando li riaprì per risponderle Valeria contemplò per un attimo la totale, smarrita umanità della sua espressione, domandosi quando fosse stata l’ultima volta in cui a Lucius era importato abbastanza di qualcuno da preoccuparsi in quel modo delle sue sorti.

«Non era una donna, era il mio migliore amico.»

«Era una donna: nemmeno il più forte dono delle forme avrebbe potuto cambiare aspetto in quelle condizioni.»

Lucius sospirò e guardò lontano nella penombra che avvolgeva i mobili mediocri di quel rifugio momentaneo, senza che l’estrema fragilità della sua espressione svelasse alcunché circa i suoi pensieri.

«Ahmad ha infranto la prima legge.»

Valeria sobbalzò; aveva conosciuto un solo vampiro che avesse bevuto il sangue degli stregoni: un uomo disperato e folle, imprigionato per sempre nel corpo del ragazzino che aveva ucciso, detentore di un potere enorme di cui era schiavo. Messalla diceva che poter dare ordini agli spiriti rendesse le persone pazze e lei stessa ricordava con spavento come l’insana disperazione di Raus generasse colonne di fuoco e i suoi lamenti portassero la tempesta.

«E gli spiriti obbediscono ai suoi comandi?»

«Non saprei, non l’ho mai visto comandare nulla in vita mia. È più il tipo che chiede cortesemente.»

Il sorriso mesto con cui le rispose non gli apparteneva e il gesto svogliatamente deciso con cui scostò le lenzuola alzandosi le parve carico di una lunga storia di cui lei non faceva parte e si trovò a sorridere, guardando sua flessuosa schiena bianca allontanarsi verso l’appendiabiti.

«Dove vai?»

«A tirarlo fuori di lì.»

Lo disse con tanta sicurezza, mettendosi la camicia con un movimento fluido, da sembrale il protagonista di un film d’azione, il che le provocò un brivido freddo: perché Messalla non era un cattivo da fumetto, perché lei non era una bond-girl qualsiasi e, soprattutto, perché non c’era più nulla di eroico che lui potesse fare.

«Lucius…»

Si voltò verso di lei con il ghigno arrogante che lo contraddistingueva e Valeria si trovò ancora una volta in bilico fra due i sentimenti opposti con cui aveva danzato negli ultimi duemila anni, desiderando allo stesso tempo abbracciarlo per prepararlo a quello che stava per dire, e ridere, godendo del piacere rancoroso di vedergli provare quel dolore che tante volte le aveva inflitto.

«…è morto.»

Le labbra sottili di Lucius si piegarono in una smorfia sofferta e Valeria si domandò cosa dicesse di lei il fatto di non aver mai trovato quell’uomo incredibilmente attraente tanto bello quanto in quel momento, mentre cercava inutilmente di non spezzarsi.

 


 Nota: Alcuni erano curiosi di sapere cosa fosse successo ad Ahmad e perchè fosse tanto arrabbiato con Lucius. Ne ho approfittato per dipingere un po' il "mio" folklore vampirico.
Non voletemene male, sto anche cercando di lavorare su qualcosa di più consistente, ma sono un po' giù di tono ultimamente.

   
 
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