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Autore: ChiaraLilianWinter    20/08/2014    2 recensioni
Tutti siamo rimasti un po' delusi, anche solo un pochino, dagli anni del liceo. Chi è che non sognava avventure incredibili, un gruppo di amici inseparabili, le regole fatte solo per essere infrante... Ma è successo veramente? Ditemi, alla fine, i vostri sogni si sono realizzati?'
Roberta: una ragazza mediocre e disillusa. Gabriele: un bullo violento e indifferente. Anna: un'artista impaurita e silenziosa. Erika: la Regina dei bassifondi. Francesco: il severo vicepresidente. Matthew: un ragazzo americano dolce e gentile.
Quando dei ragazzi così differenti tra loro sono costretti ad entrare in uno strano club capitanato da una tizia bizzarra, cosa potrebbe mai succedere?
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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[2] - Gabriele

Le vacanze estive erano passate in un lampo, come sempre d'altronde. Avrei voluto non finissero mai, avrei voluto non dover tornare in quel dannato liceo; anche solo vedere la grande struttura da fuori mi faceva salire un brivido lungo la schiena. Non era colpa mia se lo detestavo. Eh sì, probabilmente andare a scuola era la cosa che odiavo di più. Era una gran rottura.
Quanto avrei preferito andare in giro per le strade con il mio skate, invece di stare rinchiuso in un'aula polverosa a dovermi sorbire una lezione più noiosa dell'altra.
L'anno passato - il terzo, ora ero arrivato miracolosamente in quarto - avevo saltato la scuola un po' troppe volte - non mi accorgevo mai di quando esageravo, e questo era un difetto enorme per quanto mi riguardava - perciò ero stato avvertito che nei nove mesi successivi sarei stato 'tenuto d'occhio'. Che letteralmente significava: 'prova a marinare la scuola e i tuoi genitori ne saranno avvisati immediatamente'. Mi aveva un po' fatto ridere: i miei genitori non erano un problema, non lo erano mai stati, per me. Mia madre ci aveva lasciati quando avevo tre anni, se n'era andata con un altro uomo; mio padre... Beh, era troppo preso con il suo lavoro. Si interessava a me solo quando ne combinavo qualcuna di troppo, e solo ed esclusivamente perché avrei potuto rovinare la sua immagine.
Non li consideravo nemmeno dei genitori, perché avrebbe dovuto impaurirmi sapere che sarebbero stati avvisati ogni volta che mancavo a scuola? Comunque, avrei cercato di controllarmi almeno un pochino. Non volevo perdere l'anno.
- Ohi, guarda chi si vede!
Sentii un paio di lunghe e sottili braccia circondarmi il collo, e un fortissimo profumo mi invase le narici, stordendomi per qualche secondo.
- Jennifer...
- Ciao, teppista! Come va? Andate bene le vacanze estive?
Jennifer era una ragazza del terzo anno, con un bel viso sempre un po' troppo truccato e con delle gonne sempre un po' troppo corte. Quasi tutti i ragazzi del liceo la conoscevano, e non era difficile immaginare il perché. Non avevo mai capito quale tipo di rapporto pensava avessimo io e lei, ma finché mi invitava alle feste nella sua villa da sballo e mi faceva fare bella figura con i miei amici, non mi dava fastidio.
- Tutto a posto, come al solito.
- Ah-ah. Io sono andata a Parigi, Parigi, capito? È stato bellissimo! Anche se era la terza volta che andavamo lì...
Me la tolsi di dosso, cercando di disintossicarmi da quel profumo. Lei mi lanciò un'occhiata.
- Sembri terribilmente depresso. Allegria!, nove mesi passano in fretta.
Scossi la testa e mi allontanai. Con la coda dell'occhio la vidi alzare le spalle e correre verso un gruppetto di ragazzi. Era bella e tutti la cercavano, ma io la trovavo troppo volgare. Mi ricordavo che una volta, ad una delle sue feste, mi aveva trascinato in una camera da letto e aveva provato a sedurmi; l'avevo trovata quasi disgustosa, quindi me ne ero andato. Probabilmente doveva essere stata parecchio ubriaca, perché la mattina dopo non ricordava nulla.
- Ehi.
Alzai lo sguardo e lo incrociai con quello di Melissa. Era la migliore amica di Jennifer; meno bella, ma anche meno volgare. Sapevo già perché mi aveva chiamato. Mi indicò con un cenno della testa la palestra, che il primo giorno rimaneva vuota, e io annuii. Lei si voltò e iniziò a camminare verso il piccolo edificio.
Beh, in un modo o nell'altro a scuola dovevo andarci, perciò avevo trovato un modo per rendere almeno il primo giorno meno... 'amaro'. Era dal secondo che io e Melissa ci rifugiavamo lì a 'divertirci' all'inizio dell'anno. Forse era solo quello il motivo per cui ero sempre stato presente il primo giorno.
Sospirai e mi guardai un po' in giro, decidendo di uscire dall'altra porta, in fondo al corridoio: non mi andava che la gente sapesse cosa facevo e con chi, quindi ogni volta aspettavo un po' prima di raggiungere Melissa in palestra e cercavo di non farmi vedere.
Il corridoio era deserto: tutti erano ammassati nell'entrata o nell'auditorium. Perfetto. Camminai lentamente, gettando un'occhiata qua e là. Le classi del primo anno, il laboratorio di chimica, le scale, la bacheca... Che non era vuota.
- Cosa?
Mi fermai, guardando stranito il foglio di carta. Che era? Un annuncio? Il primo giorno? Non era possibile. E tutta la storia del rituale, ecc.?
Mi avvicinai incuriosito per leggere cio' che c'era scritto... E scoppiai a ridere.
Bello scherzo, davvero! Anche se non sembrava per niente uno scherzo; mi divertiva pensare che qualcuno avesse scritto seriamente quelle parole, pensando davvero di fare una cosa simile.

Lo feci per scherno.

Volevo conoscere quel genio con la testa piena di sogni infantili. Probabilmente sarebbe diventato il bersaglio preferito delle mie frecciatine.

Ero un bullo, in fondo. Che pretendete?

C'erano ancora tutte le strisce; ne staccai velocemente una. Non capivo bene come sarebbe riuscito a contattarmi, ma se lo aveva scritto in un modo o nell'altro ci sarebbe riuscito. Forse mi stava spiando, proprio adesso... Il pensiero mi fece ridere ancora di più.
Mi infilai la strisciolina nei jeans e mi diressi finalmente verso la palestra, consapevole che Melissa si sarebbe irritata perché l'avevo fatta aspettare.


[3] - Anna

Il caos provocato dalla massa di ragazzi al piano terra era udibile perfettamente anche nel laboratorio di arte. Sospirai, posando delicatamente la matita vicino al foglio immacolato: era impossibile concentrarsi, così.
Il laboratorio era vuoto - abbastanza ovvio - e ne avevo approfittato per rifugiarmi lì e aspettare che la giornata finisse. Era una fortuna che almeno il primo giorno i professori ci lasciassero fare ciò che preferivamo; almeno per una volta potevo utilizzare quell'aula a mio piacimento. Ahh... Quanto detestavo andare a scuola.. Non erano le lezioni, no, mi piaceva imparare. Erano... Le persone. Avevo paura delle persone.
Non importava quanto potessero sembrare gentili e simpatici, tutti nascondevano un lato crudele; aspettavano solo l'occasione giusta per mostrarlo e pugnalarti alle spalle. Le persone ti ferivano, ti ferivano così tanto quando ci si mettevano d'impegno... Era normale averne paura. O almeno così pensavo io.
- Anna?
Quasi caddi dalla sedia per lo spavento: la voce profonda e insicura del professore di arte mi aveva colto di sorpresa.
- S-sì?
Alzai lo sguardo, cercando di ricompormi.
Il professore era un uomo alto e robusto, di mezza età; ti inspirava fiducia, in un certo senso. Era una delle poche persone da cui non ero impaurita. -- Beh, non completamente, almeno.
- Che ci fai qui?
- Niente, io... Io stavo solo...
Lo vidi sospirare profondamente.
- Anna, perché... Perché non vai un po' giù, insieme agli altri? Non ti farai mai degli amici se continui solo a disegnare. Per carità, é un'attività molto bella, però...
Mi morsi le labbra, abbassando lo sguardo per non incrociare quello del professore: mi stava guardando con una luce negli occhi che non mi piaceva. Odiavo quando la gente mi guardava così. Con pietà.
- Insomma Anna, voglio solo aiutarti...
- Ho capito, ho capito. Ora scendo.
Non volevo sentire un'altra parola uscire dalle sue labbra; mi dava fastidio.
Ecco, diciamo che per me c'erano due tipologie di persone: quelle di cui avevo paura e quelle che non riuscivo a sopportare troppo a lungo.

Sì, beh, okay, non ero proprio un bel tipetto.

Afferrai la cartellina blu appoggiata al piccolo banco e mi precipitai fuori con una velocità che sorprese me stessa. Sentii il professore chiamare il mio nome, ma io stavo già correndo giù per le scale, ero lontana.
Saltai gli ultimi tre scalini tutti insieme, rischiando quasi di ammazzarmi; per fortuna me la cavai con una storta.
- Accidenti...! Ouch...
Appoggiai delicatamente la cartellina al mio fianco, mentre mi sedevo ai piedi delle scale, massaggiandomi la caviglia dolorante. Mi veniva da ridere. Pensavo che almeno il professore di arte mi conoscesse, mi capisse, almeno un minimo, ma alla fine si era rivelato come i miei genitori, come tutti quanti. Farsi degli amici.. Non erano per me, gli amici.
- Io sto bene da sola.
Esatto. Da sola stavo più che bene, non avevo bisogno di nessuno e nessuno aveva bisogno di me.
Nessun legame = Nessun impiccio.
Raccolsi la cartellina mentre finalmente riuscivo ad alzarmi; la caviglia faceva ancora un po' male però, forse sarebbe stato meglio passare in infermeria.
- Allora, l'infermeria è.. Da questa parte...
Non era bastata la storta, no; dovetti anche sbattere il fianco all'angolo appuntito della bacheca.
- Porca....! Cavolo, che male!!!! Da dove spunta questa cavolo di bacheca?!

Sicuramente quel giorno pensai che il mondo doveva avercela con me.

Dopo cinque minuti buoni passati chinata su me stessa a imprecare dolorante, mi raddrizzai e mi incamminai verso l'infermeria - aggirando a distanza di sicurezza quell'infernale bacheca...
Aspetta, c'era appiccicato qualcosa sopra. Un avviso? Il primo giorno?
C'erano già scartoffie da leggere il primo giorno? Da quando?
Mi avvicinai lentamente - quasi con paura che la bacheca potesse prendere vita e attaccarmi da un secondo all'altro - e ci lanciai un'occhiata.
Ah, non era una scartoffia. Era... Pubblicità per un club...? Qualcosa di simile.
Sembrava... Divertente.

Doveva essere una delle prime volte nella mia vita che trovavo qualcosa divertente.

Lo lessi seriamente, più volte. Quindi cosa doveva essere? Un club creativo? Mah, sì, alla fine sarebbe stato qualcosa del genere... Interessante.
Ecco, era quello il mio punto debole.
Era vero che avevo paura delle persone e tutto, che preferivo stare da sola... Ma quando trovavo qualcosa di inusuale, di interessante... Ci cascavo in pieno. Anni e anni passati a leggere, disegnare e fantasticare avevano le loro conseguenze.
Trepidante, allungai una mano e staccai una strisciolina di carta. Notai che già ne mancava una; una persona l'aveva presa, prima di me. Venni attraversata da un brivido ma cercai di non farci caso: se i tipi di quel club si fossero rivelati troppo paurosi me ne sarei semplicemente andata. Facile, no?

Ah, non era facile per niente.

Mi allontanai, cercando un posticino tranquillo dove rimettermi a disegnare: il dolore alla caviglia era già passato, quasi non ci fosse mai stato.
  
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