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Autore: _Nephilym_    23/08/2014    1 recensioni
Jessica è una diciassettenne americana un po particolare, lei non è ,come tutte le sue coetanee, alla ricerca dell'amore, anzi ha sempre pensato che più ci stai alla larga meglio è.
Ma cosa succede quando nella sua vita piombano una sciarpa verde e due occhioni azzurri, che stravolgeranno tutto ciò in cui aveva creduto in quel momento, costringendola ad aprire il suo cuore?
Se siete interessati date un'occhiata.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Fu quasi una liberazione quando sentii il trillo della campana che mi scuoteva dallo stato di dormiveglia in cui ero finita, seguito dalla voce rauca della prof che annunciava che eravamo liberi di tornarcene a casa, era il primo giorno quindi orario dimezzato.

Afferrai lo zaino e mi alzai di scatto scivolando fra i banchi, e comandandomi mentalmente di non alzare mai lo sguardo dal consunto pavimento di linoleum. Sentii una voce chiamare il mio nome, ma non ci badai, e oltrepassai in fretta la porta porta, cercando di mettere il più distanza possibile fra me e lei, quando sentii un braccio stringermi il collo e le spalle e mi voltai di scatto sospirando,

“Mi chiedevo quando ti saresti dato la briga di far vedere le tue chiappe in giro” e Desmond rise.

Desmond Gemelli era un giovane italo americano di mia conoscenza alto muscoloso e stupido dalla testa ai piedi, che io definivo, di tanto in tanto, il mio migliore amico.

“Ma falla finita, come se tu fossi stata tutte le lezioni sveglia” brontolò tirandomi lungo il corridoio

“Io ho fatto prima e sono rimasto fuori”

“Ragionamento tanto inutile quanto stupido Des” mi fermai al mio armadietto e vi lasciai cadere dentro tutti i libri che occupavano il mio zaino,

“Peccato che se mia nonna venisse a sapere che un certo signor gemelli marina, di sicuro per lui finirebbero i pasti gratis al locale” mi volsi verso di lui, lo vidi impallidire e scoppiai a ridere,

“Non lo farebbe mai, tua nonna mi ama” ribatté convinto mentre uscivamo nel parcheggio

“Oh ma ama anche me, questo non le impedisce di mettermi in punizione nove volte al mese”.

Il sole aveva perso la sua battaglia e il cielo era sempre lo stesso, se non addirittura più cupo e minaccioso.

Lui iniziò a blaterare di ragazze del primo che non gli dispiacevano affatto, di nuovi arrivati con auto da migliaia di dollari e partite degli athletics.

Arrivammo di fronte alla mia moto che aveva iniziato a parlare della sua colazione, e io ormai ero tanto irritata da mangiarmi mezzo labbro pur di non urlargli di chiudere il becco, quando il suo sguardo si posò su qualcosa dietro di me, e voltandomi scoprii con sgomento he l'oggetto del suo interesse era Luce.

-Ti prego non dirlo-

“Cristo quella non è male, non mi spiacerebbe una passata”

Ecco appunto.


 

Sentivo Desmond fare questi discorsi da una vita, all'asilo diceva che non gli sarebbe dispiaciuto abbracciare qualcuno, alle medie si era evoluto

nella sua idiozia passando al limonare, poi, da quando al secondo anno era entrato nella squadra di football era passato dalle parole agli atti e si era portato a letto tre quarti della scuola, di cui io ovviamente non facevo parte, grazie al cielo, ma quando sentii dire quella frase, che era ormai di routine, riguardo a luce, mi scattò qualcosa dentro.


 

Strinsi il casco fra le mani, sforzandomi di ignorare quel ruggito che andava aumentando alla base dello stomaco e me lo infilai senza una parola, feci partire l'ignizione e voltai la moto, concedendomi un'ultima occhiata alla ragazza, che, insieme ad altre tre di cui ignoravo l'identità si affrettava verso il cumulo d'auto e potrei giurare che mi sorrise.


 

Quando arrivai di fronte al midday\night, il locale di mia nonna notai che il parcheggio laterale era già ricolmo d'auto, tra cui il fuori strada dello sceriffo, ed una nuova curiosità mi attanagliò lo stomaco.


 

La nonna aveva passato un intera estate parlando dell'improvviso crollo del vecchio sceriffo, lou, un simpatico vecchietto con la pancia prominente e dei soffici baffoni, che a luglio era stato ricoverato in una clinica per anziani a Savannah perchè dopo l'ennesima urlata ai vandali che riempivano le mura del cinema con i loro “affreschi moderni” era stramazzato a terra privo di sensi, ed ora il suo rimpiazzo era finalmente arrivato.


 

Entrai sentendo il familiare campanellino sulla mia testa e sorrisi all'odore di crostata di mele e patatine fritte, mi avviai al bancone, salutando di tanto in tanto chiunque alzasse lo sguardo e mi guardasse e mi sedetti al mio solito posto vicino la finestra che dava sul parchetto.

“Ehi J.J, mi sei mancata oggi” sentii dire a qualcuno alle mie spalle e senza girarmi sorrisi e salutai mia nonna, che dalla finestrella della cucina mi sventolava la mano,

“Non è colpa mia se la legge mi costringe ad andare a scuola” mi voltai verso samantha che mi guardò stupita,

“Ma hai 17 anni, non sei costretta a frequentare dalla legge...”

“Infatti io parlavo di mia nonna” risi meritandomi uno scappellotto sul braccio.


 

Altra presentazione obbligatoria è quella di Samantha, detta anche Sam, una giovane e bionda cameriera di ventidue anni che lavorava nel locale di mia nonna da quando frequentava le superiori, ed era una delle mie peggiori rompipalle.


 

“Ti porto il solito?” chiese passando dall'altro lato del bancone e iniziando a riempire una caraffa di coca-cola.

“Doppio bacon, mi raccomando” mi limitai a dire, per poi far voltare lo sgabello e iniziare a scrutare i clienti che mangiavano silenziosamente i propri cheese burger con insalata, tanto per tenersi in forma e mangiare sano, e andai alla ricerca del tipico marrone spento della divisa dello sceriffo, ma quando la mia ricerca si concluse mi fermai orripilata.

-No ti prego, non anche qui-


 

Il nuovo sceriffo, un alto uomo con dei corti capelli biondi, sedeva comodamente ad uno dei tavoli più lontani dal bancone, accanto alla finestra, e conversava allegramente andando di tanto in tanto sgranocchiando una patatina intrinseca di maionese.

Ma non fu quello a storcermi lo stomaco, bensì chi gli sedeva accanto a lui.


 

Giacca nera, lunghi capelli ondulati che le ricadevano sulle spalle, sciarpa verde e un maledetto sorriso da togliere il fiato.

Tentai di voltarmi nuovamente, di scostare lo sguardo da quegli occhi che per una volta in quella giornata non erano attanagliati ai miei, ma non ci riuscii, rimasi impalata con i gomiti fissi al bancone e lo sguardo perso verso di lei.


 

“Hey Jesse, ci vuoi anche la salsa barbecue sull'hamburger?” sentii quasi urlare, ma quando provai a voltarmi fu sempre troppo tardi, lei si voltò non appena ebbe sentito il mio nome, e i suoi occhi si spalancarono di sorpresa quando mi vide, ma c'era altro... felicità?

Perchè mai avrebbe dovuto essere felice di vedermi?

Di certo io non lo ero, quella ragazza mi mandava nel pallone, e non mi piaceva.

Abbassai lo sguardo imbarazzata e mi volsi accennando a Sam, tirai il piatto in porcellana verso di me e diedi un feroce morso al panino, mentre sentivo quegli occhi cristallini bruciarmi sulla schiena.


 

Fu quasi una liberazione quando velocemente mi alzai dallo sgabello salutando in fretta mia nonna per poi schizzare verso l'uscita come se fossi inseguita dal demonio.

Peccato che quello non mi stesse inseguendo, ma fosse proprio davanti a me,

“Quindi non mi sbagliavo, la moto che ho visto a scuola è tua”.

Avevo avuto così tanta fretta nel trovare una via d'uscita a quella situazione che ero finita dritta di fronte a lei,

-Non guardarla negli occhi- mi imposi

“Già” bofonchiai torturandomi le mani nel tentativo di trovare qualcos'altro da guardare che non fossero i suoi meravigliosi occhi

“Puoi guardarmi negli occhi, non mordo” disse ridendo sommessamente, alzai lo sguardo intenzionata a risponderle a tono ma non appena incrociai il suo sguardo la mia strafottenza parve venire meno, ma non la sua,

“Sai non mi hai ancora detto cosa hai combinato due anni fa, non avrai mica fatto arrabbiare mammina” rise.


 

Strinsi il mazzetto di chiavi in mano e mi avvicinai a lei, al che parve ammutolire, e la idi fissare il suo sguardo al mio.

Ero così vicina da poter sentire il suo fresco alito sul viso, e, giuro, fu come sentire una scarica entrarmi in corpo a quel solo accenno di contatto.

“Stammi lontana” sbottai oltrepassandola e aprendo di scatto la porta.


 


 

Inutile menzionare il fatto che per la settimana che seguì questo evento, feci del mio meglio per evitare luce Marshall, ma nonostante ciò, lei tentava in continuazione di avvicinarsi a me: mentre di mattina entravo nell'edificio scolastico scivolando fra la folla, a mensa, quando restavo impigliata nell'interminabile fila di fronte al bancone, o persino durante gli allenamenti della squadra di baseball.

Per quanto io potessi impegnarmi, per quanto tentassi di evitare con tutta la mia forza quegli occhi magnetici, per quanto potessi accelerare il passo al solo sentirla pronunciare il mio nome provocandomi una fastidiosa quanto inspiegabile scossa elettrica che attraversava ogni minuscola fibra del mio corpo, non sembrava essere il mio destino quello di riuscire nel mio intento di stare alla larga da quella che ormai sembrava essere la mia ombra.

Quindi quel piovoso pomeriggio di un'esatta settimana dopo, decisi di arrendermi, di smettere di provare, e di scivolare in quei due oceani limpidi che erano i suoi occhi.


 


 

Stavo seduta ad un tavolo del locale di mia nonna, quello all'estremo angolo della sala, da cui si poteva scorgere tutto il parchetto attraverso la grande finestra a vetrata.

Il locale era semi deserto, essendo già le quattro del pomeriggio, infatti, tutti coloro che erano arrivati per pranzare, anche i ritardatari, si erano oramai dileguati, e gli unici rumori scaturivano dalla mia penna che strusciava contro la carta del mio quaderno, e una musichetta somessa che fuoriusciva dalle cuffiette di Sam, che se ne stava in piedi dietro il bancone strofinandolo distrattamente.


 

Ero così concentrata su quell'insolvibile equazione d'algebra che quasi non sentii il campanello della porta, che tintinnava tristemente.

Ho detto quasi.

Strinsi i denti esasperata ed accartocciai l'ennesima pagina strappandola dai lucidi anelli del carpettone e la lanciai verso il cestino, che puntualmente mancai.

Fu allora che la vidi.

Si era fermata vicino al bancone, e la palina di carta le era finita sui piedi, alzai lo sguardo consapevole di incontrare quel tanto conosciuto azzurro, e la vidi sorridermi,

“Hai intenzione di buttarti fuori dalla finestra, o stavolta lascerai che ti saluti?” chiese mentre si chinava a raccogliere il mio compito e lo gettava nel cestino accanto a se.

“Il solito?” chiese Sam sorridendole,

“Si grazie”.

-Oddio dimmi che non sta per sedersi qui-

Come se mi leggesse nella mente sorrise e si lasciò scivolare sul divanetto di pelle di fronte a me,

-Ma vaffanculo!-

“Sai iniziavo a sospettare di non piacerti” sorrise prendendomi la matita dalla mano e tirando via un foglio dagli anelli ancora aperti, iniziando a scribacchiarci sopra.


 

Feci del mio meglio per mettere insieme una frase di senso completo, ma riuscii solo a balbettare che non era così, era troppo vicina, riuscivo a sentire l suo leggero profumo di zucchero, il che mi provocava una strana sensazione.

“Sei una frana a mentire” rise lasciando cadere la matita e porgendomi il foglio.

Aveva completato l'equazione, non riuscii a trattenermi dal sorriderle,

“Grazie”

“Di niente, e poi frequentiamo gli stessi corsi, li avevo già fatti a casa” disse alzando le spalle ma senza abbandonare quel suo leggero sorriso.

“Quindi ora sei in debito con me” riprese mentre Sam si avvicinava porgendole una cioccolata calda con panna, per poi darne una identica anche a me.

“Non esaltarti troppo Marshall, non mi metterò ad uccidere per te adesso” scherzai prendendo un assaggio di panna.

Perché mi sentivo così... rilassata?

“Tranquilla, non devi accoppare nessuno, ancora” mi guardò ammiccando

“Ma mi pare di capire che mi devi una spiegazione, perché non ti piaccio?” chiese prendendo una punta di panna con l'indice e leccandola.

Quel semplice gesto mi mandò nel pallone.

“Io... non è che tu non mi piaccia, anzi è l'esatto contrario” borbottai continuando a fissare le sue sottili labbra, per poi rendermi conto di quello che avevo detto e darmi mentalmente della cazzona.

“L'esatto contrario mh...” disse lei fissandomi per qualche secondo, poi si alzò e dopo un altro sorso alla sua cioccolata appoggiò la tazza al tavolo e si diresse senza dire niente alla vecchia cassa in ottone, dietro alla quale stava seduta Sam, e fece per prendere qualcosa della sua tracolla, ma io l'anticipai,

“Offre la casa, almeno mi farò perdonare per essere stata un'idiota” le sorrisi colpevole,

lei mi guardò per poi sorridermi ed avvicinarsi,

“Ti servirà di più per farti perdonare Jess” si chinò dandomi un leggero bacio sulla guancia per poi scostarsi e restare a pochi centimetri da me,

“Stasera, al cinema, sette e mezza, non tardare” disse sorridente, prima di allontanarsi e scomparire fuori dalla porta.

Fissai Sam, che mi guardava a sua volta con un'espressione che assomigliava terribilmente alla fierezza, e abbassai lo sguardo verso il foglio di fronte a me, sul lato destro in alto c'era una serie di numeri con sotto scritto

Chiamami.

A quanto pare avevo un appuntamento con Luce Marshall.

**Angolo di Neph**
Ed eccoci qui, spero come sempre che vi sia piaciuto, e in caso sia così non mi spiacerebbe se lasciaste un commento, anche solo per dirmi cosa ne pensate sulla storia, o per farmi sapere se avete dei suggerimenti.
Un saluto,
N.

  
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