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Autore: Niallhappiness    28/08/2014    1 recensioni
Yvone, Amy, Brielle, Annie, May, Mandy, Alana, Nicole, Elizabeth e Miley sono dieci ragazze le quali storie e vite si incorceranno e intrecceranno fino a dar vita a quelle che sono cotte e paure, amori e odi profondi tra i vari personaggi.
Yvone, Nicole sono le ragazze timide ed impacciate che si assomigliano maggiormente per carattere.
Ognuna di loro ha una migliore amica o un migliore amico, tranne Brielle, che troverà in un secondo momento un ragazzo di cui fidarsi.
||Larry||
||in questa ff sono presenti anche i 5sos||
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter 5th
 
Relatives
 

Harry

“Dovremmo far decidere ad un giudice Des” sbuffò avvilita mia madre “Nemmeno io posso andare avanti così, non posso andare a destra e sinistra, una volta stare con Harreh e una volta con Niall, dividermi la vita così. E meno male che quel biondino non è nemmeno mio figlio” sentii quel commento amaro lasciare le sue sottili labbra così simili alle mie. Sapevo che quella era una cosa che non avrei dovuto sentire, ma nascosto dietro lo stipite della porta, quel basso tredicenne sfigato che in teoria stava passando il suo venerdì pomeriggio in camera a studiare, non fu notato da Anne Cox impegnata a parlare a telefono con il suo ex marito Des Styles.
“L’importante nella vita è non farsi fregare da gente come tuo padre Haz” ripeteva continuamente mia madre. Non sapevo il perché di tale affermazione  e non credevo che qualcuno me l’avrebbe mai potuto spiegare.

“Hai già preso appuntamento in tribunale?!” il tono di mia madre era improvvisamente teso. Come se avesse avuto paura di perdermi.

“Porto sia Harry che Niall?” sbuffò per la seconda volta nel giro di due minuti.
Scribacchiò qualcosa sulla sua agenda, senza dare nemmeno importanza a cosa stesse segnando, ma osservando attentamente come la penna danzava sul foglio, sembrando libera, ma abilmente controllata dalla  mano consumata  di mia madre.


“Ci vediamo” chiuse la chiamata la donna con tono provato. ‘Fuck you’ mimò con la bocca. Odiava sentire le parolacce, ma maggiormente detestava dirle perché le sembrava un controsenso.

Sentii dei singhiozzi, quando ormai ripercorrevo le scale verso la mia camera. E mi bloccai.

Un urlo soffocato, probabilmente con il cuscino della poltrona sulla quale era seduta all’inizio della conversazione con quell’uomo che pretendeva che io portassi il suo cognome.
Strinsi le mani in un pugno. Non poteva passare tutto quello per colpa mia, di Niall o di quel depravato di Des. “I-Io” balbettai, come se mi stessi giustificando del fatto che non fossi corso da mia madre a stringerla e tranquillizzarla.


Scesi di corsa le scale e la raggiunsi nel salone “Mamma, va tutto bene” mormorai, stringendola forte, mentre lei dava sfogo alle sue lacrime. E mi abbracciò con tutta se stessa, come se quella fosse stata la nostra ultima possibilità di guardarci, come un istante dopo a quello ci avrebbero divisi per sempre.

“Ḗ tutto okay ma’ ” ripetei.

“Domani mattina alle nove in tribunale. Amore” singhiozzò lei “Con Niall, se vuole venire anche Mandy, dille che va bene” cercò di accennare un sorriso, notando mia sorella, appena entrata nella stanza.

“Smettila, è patetico” osservò sfacciatamente la ragazza.

“Lasciala stare” sibilai.

“Zitto tu” mi apostrofò subito dopo.

“Deve aver preso da tuo padre” cercò di ironizzare Anne in un mormorio.

“Invece credo di aver preso da te, stronza” dando maggiormente accento all’ultima parola, uscì di casa sbattendo la porta.

“Non meriti tutto questo mamma” sussurrai, staccandomi dal suo corpo per osservare il suo viso.

“Evidentemente si” cercò di sorridermi.

“Ti dico di no. Anzi, stasera io torno a casa con un uomo affascinante da presentarti. Promesso”le mostrai le mie fossette, da lei ereditate.

“Va bene. Ti voglio bene piccolo mio”
 

“Urlo” fu il commento di May, totalmente inappropriato, all’osservazione di Niall.
Mi aveva generosamente proposto di uscire con il ragazzo, senza sapere che io e lui eravamo praticamente fratelli.

“Quindi, l’anno prossimo che farai?” gli domandai.

“Non saprei” diventò rosso.

“Hai fratelli Horan?”

“I-Io?” lo avevo messo in seria difficoltà.

“Scherzavo, non devi dirmelo per forza” risi

[…]

“Ci si rivede, spero” sorrise imbarazzato il ragazzo alla fine dell’appuntamento, sotto casa sua.

“Accompagno io May” lo rassicurai, chiudendo la porta e stringendo la ragazza.

“Come ti è sembrato allora?” fremette la ragazza ansiosa della mia opinione.

“Sa il fatto suo” fu il mio unico commento di tutta la serata, mentre la riaccompagnavo al suo alloggio.
E furono anche le mie ultime parole della giornata. Perché quando rientrai in casa la prima cosa che notai era che mia madre era assente per l’ennesima volta. Avevo voglia di scoprire cosa combinasse tutte le sere, voglia di sapere perché mia sorella aveva sempre maltrattato quella donna che a me risultava un angelo.
Da ragazzino avevo etichettato mia sorella come una stupida incosciente, nonostante lei fosse diversi anni più grande di me. L’avevo soprannominata ‘idiota’ senza motivo, o almeno, senza un valido motivo. Mandy non si era mai presa gioco di me, dei miei amici, della mia alta condotta a scuola. Ma aveva utilizzato qualsiasi riferimento che riportasse a mia madre come oggetto di scherno nei confronti della donna. Ogni volta che cenavamo, o pranzavamo, mia sorella era capace di contestare il cibo, i piatti non lavati bene, e altre cose che a me sembravano fantasie.

Poi mi ero reso conto. Avevo iniziato a capire che le volte in cui Anne, Mandy ed io ci trovavamo insieme erano rare. Iniziai a comprendere come mai mia sorella trattasse la donna di casa come una sgualdrina: perché, effettivamente, lo era. Ero riuscito a comprenderlo solo quando, un pomeriggio, parlando con Niall, ci eravamo resi conto che nostra madre, non aveva un lavoro. O almeno, non l’avevamo mai sentita parlare di un collega, di un amico di lavoro. Capii perché mia madre diceva di essere così sola. Capii perché non avesse un marito, e capii perché Des l’avesse scaricata.

E quella sera, tornato a casa dall’appuntamento con mio fratello e May, capii che anche io ero terribilmente solo: neanche io sarei riuscito a trovare il mio uomo.

Annie Cox aveva reso solo Harry Styles.

Così mi ritrovai con una bottiglia di wisky a maledire mia madre urlando, steso sul divano tra le lacrime e i singhiozzi. La odiavo, la detestavo. Avrei dovuto parlare con  Mandy, e scusarmi per tutte quelle centinaia di volte in cui non avevo fatto altro che gridarle dietro quanto fosse incapace e idiota.

O forse, l’unica cosa da fare, era uscire e andare dall’unica persona che mi avrebbe aspettato per sempre anche contro la propria volontà.

E così feci; in meno di venti minuti, ad aprirmi la porta di casa Tomlinson, ci fu un Louis in lacrime, consumato da quelle fottutissime gocce salate che sembravano fatte di fuoco, di lava. Inarrestabili, sembravano capaci di aprire solchi al loro passaggio. Sembravano così dolorose e distruttive. Ed ebbi paura che il creatore sadico di quelle lacrime micidiali, all’apparenza semplici, fossi io.

Cercai di nascondere la mia espressione tristemente sconvolta, anche se non si sarebbe potuto notare molto del mio viso, visto che l’unica fonte di luce era un lampione alle mie spalle, poco distante dall’abitazione.

Il ragazzo di fronte a me trattenne il fiato, impedendosi di singhiozzare.
Era uno spettacolo terribilmente ed orrendamente triste.

“Non ti forzare, piangi quanto vuoi” mormorai, cosciente che in quel momento il resto della casa fosse nel sonno più profondo. Aprii le mie braccia, aspettando che lui ci si fiondasse dentro e ci liberasse il suo pianto. Eppure fu un’attesa vana, quanto la speranza che Louis mi facesse varcare la soglia di casa sua.

“Hey Lou?”

Lui era lì fermo, immobile, cercando di opprimere le innumerevoli lacrime e i silenziosi singhiozzi.
“Louis,  ti prego”

Lui continuava a fissarmi, come se io fossi stato una statua. Eppure lui sembrava parte dell’opera. La sua era la scultura studiata nei minimi dettagli e definita nei particolari. L’architetto ci avrebbe impiegato anni a costruire una forma così studiata e così esile, contenente un cuore imparagonabile a qualsiasi cosa.
 Il cuore di Louis Tomlinson era la cosa più bella che esistesse. E quella volta, sull’uscio della sua abitazione, ebbi un brivido che mi attraversò la schiena, che attraversò dritto il torace prima che entrasse nel mio organo vitale, e questo si fermò. Al mio interno si bloccò tutto. Quella scintilla aveva fatto scattare il blackout al mio interno.

Quella sera ebbi paura che il cuore di Louis Tomlinson, avesse smesso di provare emozioni.
Quella sera ebbi paura che Louis Tomlinson avesse smesso di amarmi.









Zayn
“E così il nostro Payne si è diplomato con il massimo” commentai.
Eravamo rimasti nella sua cucina, mentre Nicole sfinita dalla giornata passata a contatto con il genere umano, aveva preferito andare a dormire.

“Eh già, mentre il signor Malik?” ;
Il nostro chiaro stato di ebbrezza ci avrebbe messi in seria difficoltà se in quel momento la ragazza avesse varcato la soglia.

“Il sottoscritto andrà a lavorare da qualche parte, visto che per me non c’è stata nessuna promozione” risposi. Probabilmente il ragazzo accanto a me aveva ripreso a parlare, ma non prestai attenzione alla sua voce, quanto a lui stesso. Ripensai a tutte le volte che a scuola era stato soggetto di prese in giro, di pestaggi. Perfino l’ultimo anno, quando la gente dice che i ragazzi sono ‘ormai maturi’. Invece sembrava che Liam Payne non meritasse una dignità e che andasse trattato da schifo. Non avevo mai osato difenderlo, anche perché altrimenti mi sarebbe toccata la sua stessa sorte e nessuno, all’interno di quell’edificio, aveva mai saputo della mia omosessualità. Avevo preferito tenerlo nascosto a tutto e a tutti; persino a mia madre e mio padre, che per me c’erano sempre stati. Ricordo quando il governo accettò il matrimonio gay e Liam evitò di presentarsi a scuola per due settimane di fila. Avevo saputo da Niall che aveva pianto ogni singolo giorno, maledicendosi. E faceva male, avrebbe sempre fatto male; la sola idea che quel ragazzo potesse soffrire, mi provocava sensi di colpa, perché io avrei potuto stargli accanto e invece non facevo altro che evitarlo.
Mi versai un altro bicchiere di scotch, stavolta maggiormente pieno.

“Hey amico, vacci piano” mi richiamò Liam.

“I-Io ci sto andando pianissimo, non è molto. Ne vuoi anche tu? Certo che ne vuoi anche tu” sbiascicai sogghignando e riempendo il suo bicchiere.

“Zayn, ti riaccompagno a casa, dai” propose quello.

“Ma io non voglio andare a casa” mi alzai e mi avvicinai al suo corpo. Il mio stato di ebbrezza mi permetteva tali azioni, che in un momento di sobrietà non mi sarei nemmeno sognato di fare.

“Io voglio stare con te Payne” mi piegai fino a raggiungere il suo viso.

“Z-Zayn?” il suo viso si arrossì in parte.

“Hey Liam, va tutto bene” sussurrai al suo orecchio.

“S-Si” balbettò lui.

Gli lasciai un bacio umido sulla guancia “Voglio solo te caro Liam Payne”

Tremò a quell’affermazione, non so bene il perché. Probabilmente sapeva che una volta risvegliatomi, l’indomani mattina, avrei dimenticato tutto.

“Zayn, d-davvero, è meglio se andiamo” insistette.

“Convinto tu” affondai un incisivo nel mio labbro inferiore “Sei convinto?” chiesi poi.

“S-Si, Elizabeth sarà preoccupata” biascicò lui.

“NON TIRARE IN MEZZO MIA SORELLA” urlai improvvisamente.
Lui spalancò gli occhi, avendo paura che avessi svegliato Nicole “Sei impazzito? Esci, dai”

Ci incamminammo silenziosamente verso casa mia, interrotti ogni tanto da qualche macchina che passava indisturbata tra le strade di Skegness.

“Quindi, Payne, quando vogliamo vederci di nuovo, magari davanti a un bel the?” sogghignai.

“Q-Quando preferisci” mormorò lui. Non credeva al fatto che gli avessi chiesto un altro appuntamento.

“Rimettiti, sembri distrutto” ridacchiai, rientrando nel mio appartamento.

Il giorno dopo, come la sera prima, provai a chiamare Louis, invano. Ormai erano giorni che quel ragazzo non si faceva sentire. Niall mi aveva comunicato che il ragazzo non parlava con nessuno, mi disse che stava chiuso in camera  a giornate, ed era riuscito a farsi dire da Yvone, che non mangiava da tempo. Non avevo idea di cosa gli stesse succedendo. Okay, sapevo perfettamente che Styles c’entrava qualcosa, ma non capivo cosa avesse Louis, cosa lo stesse obbligando a chiudersi in se stesso. Tutte le volte che provavo a parlargli, avevo in risposta mugolii stanchi, forzati. Era distrutto. E io volevo sapere perché mio cugino si stesse uccidendo.

“Quindi Niall, che ti è successo?”

“Ah beh, May Smith basta come risposta?” si fece rosso, ma cercò di nasconderlo. Era  tenero. Sembrava un tredicenne alle prese con la sua prima cotta.

“Non saprei” echeggiai dubbioso. Volevo sapere molto di più, se non tutto.

“Oh, andiamo Zayn” si lamentò il biondino “Hai capito perfettamente”

“Sarà” gli feci la linguaccia. Sembravamo davvero adolescenti, noi due. Quando parlavamo, pareva tornare ai nostri primi anni, quelli in cui passavamo talmente tanto tempo insieme che sembrava fossimo un’unica persona, due fratelli gemelli. Gemelli per modo di dire: lasciando stare l’aspetto fisico, che ci contrappone completamente, il carattere ci aveva sempre resi gli opposti di due calamite che non si sarebbero mai potute attrarre. Niall è sempre stato il tipico ragazzo che sa il fatto suo; non era il tipo che avrebbe mostrato interesse per te se non ti ci fossi avvicinato tu per primo. Niall Horan odiava tutto ciò che qualsiasi essere umano adora. Sembrava una statua di cera tra un’intera esposizione di sculture di marmo. La gente adorava incidere su quel materiale fragile i solchi della propria prepotenza e della propria malizia.

“Invece no” lo stuzzicai ancora.

“Ti odio” rise a quel punto. Quindi mi fermai, improvvisamente, lasciando che il biondino ripetesse la mia azione. “Quanto mi odi?” mormorai, attaccandomi dolcemente ai suoi fianchi.

“M-Molto” balbettò lui, messo in difficoltà dalla distanza che divideva il mio viso dal suo. Eppure, quando iniziai lentamente a consumare quei piccoli centimetri che mi allontanavano dal suo viso, dalle sue labbra, non si mosse. Il motivo era che eravamo abituati a questo genere di dimostrazione d’affetto; potrebbe sembrare strano, ma è stato proprio così che abbiamo iniziato a conoscerci davvero.;
May aveva scelto la persona sbagliata.
E a Zayn Malik non è mai piaciuto il posto da spettatore, soprattutto se il film in questione è Niall Horan.










Yvone


“Lou?” lo richiamai dalla soglia della cucina.

“Hey piccola, che c’è?” mi salutò sorridendomi, per modo di dire. Quegli ultimi tre giorni mio fratello non aveva fatto altro che piangere, piangere e singhiozzare. Aveva maledetto tutti gli esseri viventi, partendo da se stesso e arrivando a quella rosa che inanimata, riposava nel vaso colorato a mano sul tavolo. Avevo visto Harry porgergli un fiore qualche giorno prima e credevo che finalmente avessero messo un punto alle loro discussioni, che finalmente si fossero riappacificati. Invece dopo un’oretta Louis era entrato in camera in lacrime, sfinito. ‘Ḗ colpa mia Yve, scusa. Per tutto. Non ti merito, nessuno non merito nessuno’. Io avevo provato a tranquillizzarlo, ma lui mi aveva cacciata, affermando che un giorno o l’altro mi sarei pentita di tale  dedizione: diceva che avrebbe fatto soffrire anche me, nonostante il fatto che, secondo lui,  meritavo tutto l’amore di questo mondo. Così mi ritrovai a chiedere timidamente ad Harry di lasciare la casa, mentre lui mi prometteva che avrebbe fatto rifiorire e sorridere Louis come tempo prima. Io ci speravo tanto, perché stavo malissimo a vedere mio fratello girare per la camera senza mai toccare cibo, con la barba che andava sempre meno curata e le ossa sempre più sporgenti.

“Volevo sapere se volevi uscire. Noi due, da soli” proposi.
Il suo sorriso andò scomparendo, lasciando un’espressione smarrita sul volto “Yve, io pensavo di rimanere a casa” vidi nei suoi occhi un’ondata di sensi di colpa. Ma non avrei dovuto dirgli che andava tutto bene, che se preferiva potevamo vedere un bel film sul divano, uno accanto all’altra come quando eravamo piccoli; non avrei dovuto assecondarlo, altrimenti quel ragazzo non avrebbe mai più rivisto la luce del sole. Altrimenti non avrebbe mai più sorriso, e al mondo non c’è cosa più bella del sorriso.

“Perfavore” lo pregai.

“I-Io” rimase interdetto: non mi avrebbe mai resa infelice, eppure stava per dirmi di no. Ci pensò un po’ su, guardandomi e di tanto in tanto abbassando lo sguardo, non riuscendo a reggere il mio.

“V-Va bene, però devo prepararmi” cercò di sorridere.

“Tutto il tempo che vuoi” corsi ad abbracciarlo
A volte, da piccola, pensavo che l’amore fosse la cosa più bella. Ma infondo non è così? Ti crescono in un mondo di favole, il mondo delle principesse, dove la ragazza figlia del re trova l’uomo più bello, più gentile ed onesto, e si innamora. Eppure nessuno si è mai chiesto cosa succede dopo. Cosa succede tra il principe e la principessa, dopo il matrimonio? Hanno mai litigato? L’uno ha mai tradito l’altra?
Provare per credere.
 
“Cosa hai fatto tutto questo tempo?” domandò stringendomi, mentre gustavamo il nostro gelato preferito.

“Ti ho cercato” risposi, facendo formare un’espressione confusa sul suo volto.

“Ho cercato Louis Tomlinson, quello sempre sorridente” abbassai lo sguardo: sapevo che si sarebbe riempito di sensi di colpa, perché lui per me avrebbe sempre fatto qualsiasi cosa pur di  rendermi felice.

“S-Scusa Yvone” balbettò “Sono un disastro. Oddio, scusa”

“Va tutto bene Lou” lo rassicurai.
Lui negò “Scusami” mi abbracciò sospirando.

“Ora sei qui, e va tutto bene. Con Harreh invece? Che è successo?”
Stava piangendo.
“Ehi Tommo” provai a tranquillizzarlo, ma fu completamente inutile “Che hai Louis?”

“N-Niente, andiamo a casa, perfavore” era crollato di nuovo. Stava cadendo di nuovo in quel pozzo senza fondo, che gli impediva di esprimere le sue emozioni e le sue paure. Ne era uscito un mese prima, quando Annie e Nash gli avevano proposto di organizzarmi quella festa. Era sempre, o quasi, sorridente. Poi era tornato Harry. E quel Louis felice era scomparso in poco tempo, assieme ai suoi sorrisi; al posto di tutto quello, erano tornate le ansie e i sensi di colpa. Lo sentivo piangere continuamente, mangiava sempre meno. Anche Annie era visibilmente preoccupata, ma da una settimana a quella parte aveva iniziato a frequentare Ashton, un ragazzo che non avevo mai visto prima, e quindi si era dimenticata di Louis.
Mio fratello era rimasto solo. Persino il suo corpo se n’era andato.
Non l’avrei certo obbligato a frequentare uno psicologo, né tantomeno avrei cercato di fargli fare nuove amicizie, non l’avrei forzato a fare conoscenze. Ma non potevo lasciarlo là, da solo, ad uccidersi.  
Per cui, una volta tornata a casa e digitato il numero di Annie, capii come risolvere il problema. O almeno credevo di averlo capito.
Infatti, dopo venti minuti di attesa, aprii la porta di casa e mi trovai davanti la persona che odiavo più al mondo. Nicolas Grimshaw varcò la soglia di casa, senza nemmeno chiedere il permesso.
 
“Perché ci hai fatti venire?” chiese la ragazza.

“Voglio che Louis stia meglio” mi limitai a rispondere, abbassando il capo.

“Sicura?”
La tranquillizzai con un’occhiata, precedendo di qualche secondo l’affermazione di Nick “Ti mancava il culo di Harreh, eh Tomlinson?”

“Che ci fai qui?” chiese piatto mio fratello.

“Non ti mancavo?” alluse Nick.

“Per niente” rispose mio fratello apatico.
Avevo paura di averlo perso definitivamente, quel ragazzo castano. Quello che sapeva sempre come strapparti un sorriso, quello dalla battuta costantemente pronta. Ti avrebbe aiutata nei compiti, nonostante non fossero il suo forte, e ti avrebbe appoggiata, qualsiasi decisione avessi dovuto prendere.
Louis Tomlinson era colui di cui avresti sempre avuto bisogno, anche se non ti eri mai resa conto del perché ne volessi la presenza, accanto a te, ogni secondo.
Ed ero arrivata ad un punto in cui sentire il bisogno di quel ragazzo, era paragonabile a voler scoprire cosa te ne fa sentire così tanto la mancanza da trovare difficile persino respirare senza lui ad accompagnarti; nonostante fosse mio fratello, lui era il mio uomo e nessuno avrebbe mai potuto sostituirlo.
E a quel punto scattò qualcosa. Forse non fu il pensiero in sè, ma quel messaggio che arrivò nel momento giusto, nel preciso istante in cui avevo capito di aver perso tutto, il mio tutto, lui, fu la conferma che avevo ancora una possibilità.
Capii il perché di tutte quelle volte che Louis mi aveva negato di uscire.
Capii perché Louis era ossessivamente fissato dal non lasciarmi sola con qualcuno.
Capii perché così tante volte Louis mi aveva obbligata a seguire lui invece che frequentare i miei amici.
Capii perché Louis mi tratteneva a casa mentre i miei coetanei si scatenavano nelle discoteche, con la musica a palla e alcol a non finire.
 
Nash ∞ :
Piccola, sai di essere bellissima? Non negarlo, sei perfetta. Sei il mio raggio di sole, tutto mio, il mio posto sulla spiaggia, ti amo. Oddio, sei una persona fantastica. Potessi ti terrei qui a ripetertelo per ore, poi faremmo l’amore e continuerei a ripetertelo. Ti porterei dove preferiresti andare. Vuoi andare in Alaska? Ti ci porto. Solo io e te, una casa in mezzo ad una distesa bianca come la tua pelle, la pelle che adoro e che vorrei esplorare e baciare millimetro per millimetro. Non voglio farti imbarazzare, e forse starai anche ridendo. Dio, amore la tua risata è il suono più bello che esista. Ti prego non dire di no, perché è così. Sei la migliore. Amo quando i tuoi occhi brillano. Quella luce, sembra trasmettermi quelle tue sensazioni di cui non fai parola a nessuno. Ti amo. So che è ridicolo dichiararsi per messaggio. Ma sappi che quando risponderai, ti verrò a prendere ovunque tu sarai e ti dirò tutto ciò che mi sembra patetico scrivere in un testo da cellulare. Sei perfetta piccola mia.”
 
Subito dopo quella riflessione, nell’istante esatto in cui lo schermo si illuminò per avvisarmi della notifica, capii cosa avesse caratterizzato mio fratello per tutti quegli anni, cosa lo facesse comportare in quel modo così apprensivo.
Capii che Louis Tomlinson aveva paura di rimanere solo.









Abigal
 
Non credo che ci sia bisogno di giustificazioni per il modo in cui ho trattato Cameron quando è venuto a cercarmi. Mi ha chiamata e ha iniziato a raccontarmi di come sarebbe carina e intima una storia tra me e lui. Io ascoltavo inorridita ogni parola che usciva dalla bocca del ragazzo dall’altra parte del telefono, e con altrettanto disgusto avevo rifiutato le sue proposte di vederci, facendo conseguire un secco ‘No’ alle sue varie richieste. Lui aveva scelto Nicole, o sbaglio? Nemmeno due giorni prima mi aveva rassicurata, dicendomi che “Nicole ed io stiamo insieme, non capisco perché non te l’abbia ancora detto”. Perché le faceva questo? Nessuno gli aveva chiesto di inventarsi una pagliacciata simile, né tantomeno qualcuno gli aveva chiesto di dirlo personalmente e solamente a me, lasciando che io raccontassi tutto a Nicole, facendola così rimanere di stucco. Per quale motivo si apprestava ad un gioco così subdolo quando di mezzo c’erano i sentimenti della ragazza più sensibile del mondo? Di mezzo c’erano i sentimenti di Nicole, e avrei giurato che nessuno avrebbe mai potuto toccarmi quella ragazza, o l’avrebbe pagata cara.
Il secondo problema che mi si poneva, da quel caldo pomeriggio di luglio, era un qualcosa che aveva iniziato pian piano a farmi salire il senso di colpa: avrei dovuto riferire quanto accaduto a Liam? O magari a Zayn? O a Nicole stessa? Mi uccideva il solo pensiero di sapere che nella mia stessa città ci fosse qualcuno che ci stesse provando con me, quando aveva già dato la sua parola con la mia amica. Non l’avrebbe passata liscia, ma dovevo trovare qualcuno che mi avrebbe aiutata ad infilare il bastone nelle ruote di quel carro maleficamente sadico e fin troppo grosso da affrontare da sola, per i miei gusti.
 
Bere un cappuccino con Nash non mi avrebbe di certo migliorato la giornata, ma mi avrebbe aperto un nuovo mondo per quanto riguardava Cameron Dallas. Nash sapeva molte cose su quel ragazzo. Girava voce che i due americani fossero cugini, ma io non ci credevo. Erano completamente diversi e, o mio Dio, no, non potevano essere cugini.
 
“Non ti passerà il senso di colpa se continui a fare finta di niente” commentò di punto in bianco.
Cercai di mantenere la calma. L’ultima cosa che volevo era che mi facesse la morale.
‘Se continui a fare finta di niente’. O cazzo. Ma perché commentava senza nemmeno sapere. Dio. Lo odiavo. Non poteva venirsene fuori con certe coglionate. Gli avrei versato il cappuccino bollente in testa. Oh si. Ma preferirei berlo, per rilassarmi. Lui aveva idea di cosa mi stesse succedendo dentro?
“So che ti manca parlare con qualcuno diverso dalla tua coscienza Abbie”

“Ma che stai dicendo?”

“Altrimenti non saremmo qui a bere una cioccolata calda in pieno luglio, non ti pare?” quel ragazzo era un tipo deduttivo.
 
“Si, hai ragione, avevo bisogno di stare con qualcuno.”
 
Sospirò, sorseggiò un po’ della sua bollente bevanda, senza staccarmi gli occhi di dosso. Era massacrante sapere  che qualcuno consumava i suoi secondi corrodendoti con lo sguardo.
Balbettai improvvisamente, cercando di interrompere quel silenzio indescrivibilmente rumoroso, quando lui, con estrema calma, riprese a parlare “Sicura Abigail?”
La mia espressione si trasformò in una richiesta di spiegazioni, mentre corrucciavo la fronte.
“Pensaci” continuò.
Rimasi interdetta.
“Non è che tu abbia bisogno di me?”
La mia reazione a quell’affermazione fu alquanto sarcastico. Risi negando con la testa, con un sorriso compassionevole in testa. Non c’era niente di più stupido di quello che aveva detto.
“Caro, tu e il tuo amichetto non riuscirete a combinare proprio un bel niente con me” afferrai la borsa e mi allontanai a passo lento dal tavolo.
 
“Non dovresti scaricare il tuo passato sugli altri e dire di stare bene, Abigail” odiavo quando mi chiamava per nome. Ma ancora di più, quell’afoso pomeriggio, a pochi passi dall’ombra del bar, odiai direttamente Nash Grier.
Mi fermai ardente dalla rabbia e mi voltai ripercorrendo i passi che avevo segnato pochi secondi prima.
 
“Come ti permetti di giudicarmi se nemmeno mi conosci?” balbettai con le lacrime pronte a scivolarmi sulla pelle che mostrava i primi segni dell’abbronzatura.
 
“E allora perché mi hai invitato qui, se non ti conosco?” alzò lo sguardo, incontrando i miei occhi.
 
“I-Io” mormorai confusa “Non ti devo nessun genere di spiegazione” continuai, cercando di dimostrare quel minimo di determinazione che, in parte, mi aveva sempre caratterizzata.

“Quindi nemmeno io te ne devo” si alzò, lasciando una banconota da dieci sterline sul tavolo.
 
I singhiozzi aumentavano e fui capace di concludere una sola frase “Nash tu non hai.. non hai il permesso di parlare di me”

“Come tu non hai il permesso di infangare la reputazione di Cameron davanti a Nicole. Lui la ama, prova a fargli qualcosa, prova a distruggere quello che c’è tra loro, e giuro che non ti dimenticherai mai più del mio nome. Chiaro?”. Le sue nocche avevano assunto ormai il colore bianco, che si contrapponeva completamente a quello nero della sedia su cui stava scaricando la sua tensione.
Nevrotico, sarebbe l’aggettivo giusto per descrivere come appariva il mio amico in quel momento.
Avrei voluto dirgli di quello cosa mi stava facendo passare il conosciuto Dallas, avrei voluto fargli sapere tutto, avrei voluto raccontargli tutto di quello che mi stava capitando da quando i due stranieri si erano trasferiti nella mia cittadina. Eppure le parole, che freneticamente arrivarono al confine che divide ciò che si pensa da ciò che effettivamente si dice, si accasciarono, fermando la loro corsa, e mi morirono in gola. So perfettamente quanto si possa stare male quando una persona esala il suo ultimo respiro davanti ai tuoi occhi. Ma la cosa più dura che possa succedere, è quando si sente qualcosa dentro di te che sta consumando i suoi ultimi istanti. Gli ultimi spasmi involontari di quelle parole, vennero fuori in fonemi irriconoscibili, in balbetti indecifrabili e lettere inesistenti.
Lui mi guardò, aspettandosi una risposta che, per quanto inaspettato potesse risultargli, non arrivò.
Sbuffò “Stammi bene”.







   
 
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