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Autore: Donixmadness    29/08/2014    1 recensioni
La vita ci mette, alle volta, dinnanzi a scelte tanto difficili quanto importanti.
Non è ammesso lasciare il foglio in bianco e questo ci mette in sotto pressione, perchè è ovvio che si voglia beccare la risposta giusta.
Quattro adolescenti di IE Go dovranno superare la prova in assoluto più difficile: vivere al meglio.
"Quando varcai per la prima volta la soglia del Sun Garden, mi imposi di non fidarmi mai di nessuno, per quanto gentile si mostrasse. E invece ora?
Sono stato adottato da due tizi che –ne sono certo– non hanno tutte le rotelle apposto, frequento la Raimon e ho perfino dei compagni di squadra, dei quali mi fido.
O almeno credo. Tenma dice che siamo “amici”.
Sì, forse. Ma credo che sarà il tempo a stabilire se sia davvero così. Alla fine io il vizio non l’ho perso, ma come si dice … sto smettendo, no?"
Coppie: Shin x Nuovo; Ran x Masa, (Mina x Kura accenni).
Buona lettura!
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Kariya Masaki, Kirino Ranmaru, Shindou Takuto, Sorpresa, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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*Capitolo 5*






I codini frustrano l’aria al ritmo della sua corsa. Kirino ormai ha il fiatone dopo lo scatto improvviso con cui si è allontanato dai suoi amici. Perché tutta questa fretta, poi, non lo sa, ma percepisce un senso di angoscia e disagio. Come un presentimento e, sin da bambino –Shindou ne è testimone–, sa che quando ha una “brutta sensazione” qualcosa deve succedere.
Il ragazzino spera vivamente che stavolta sia solo una stupida impressione, un mero scherzo della sua fantasia mista all’apprensione che l’ha sempre caratterizzato. Svoltando la stradina che ha preso, si apre ad un incrocio e lui distingue perfettamente le chiome degli alberi. Così rallenta la sua corsa fino a riprendere il passo da camminata: logicamente è un po’ fiacco dopo due ore di allenamento.
Percorre il muretto di cinta del parco giochi, guardandosi un po’ attorno: nemmeno l’ombra di Kariya.
“Forse è già tornato a casa …” pensa un po’ sconsolato e solo adesso si rende conto che si è lanciato all’inseguimento senza sapere cosa fare. Spiarlo da lontano oppure andare a parlargli? E di cosa poi?
Non gli direbbe nulla nemmeno se si presentasse a casa sua, la quale non sa neanche dov’è. Si maledice per non aver chiesto a Tenma o a qualche altro l’indirizzo preciso, ma, considerato il caratteraccio del kohai, non crede gli farebbe piacere una sua visita. Anzi, causerebbe solo fastidio e il sorriso forzato, di circostanza che sfoggia quando non ne vuole parlare o, comunque, quando vuole che ti togli dalle scatole. Ranmaru l’ha appreso, suo malgrado: Kariya continua a fidarsi poco del prossimo, non cede mai la sua completa fiducia come si fa tra amici. Sta sempre sull’attenti, in guardia –questo lo nasconde bene agli altri, ma lui l’ha notato lo stesso– come se avesse paura di scottarsi.
Gli occhi azzurro cielo guardano l’ombra proiettata dal sole alle sue spalle. Sta per gettare la spugna e tornare indietro con la coda fra le gambe, quando ode una voce fin troppo famigliare. Si blocca di colpo e si gira a guardare l’ingresso del parco.
È una voce che ha sentito milioni di volte, tuttavia essa giunge come modificata alle sue orecchie: è più gioiosa, spensierata … Però Masaki, da che lo conosce, è tutto tranne che spensierato. Eppure quel pensiero gli aggroviglia il cervello con la sottile e invasiva insinuazione del: “E se fosse lui?”.
Ranmaru ci conta poco, in realtà. Forse perché, riflettendoci attentamente, si è un po’ scoraggiato, ma nulla gli vieta di togliersi il dubbio. Così si avvicina all’ingresso, fermandosi proprio ai cardini del cancelletto aperto. Sgrana gli occhi. Bingo!
Una zazzera di capelli azzurri fluttua ad ogni movimento. Con la pelle lievemente lucida di sudore ed un insolito quanto felice sorriso sulle labbra, Masaki muove la palla tra i piedi. La cosa che sorprende di più Kirino è il fatto che non sta giocando da solo. C’è un uomo –non l’ha mai visto prima–, il quale si sta contendendo il pallone con lui. Anche lo sconosciuto sembra contento come il kohai.
Il senpai non muove un passo, resta lì nascosto a guardare la scena.
-Ahahha!! Ti sei arrugginito, lo sai?- ride scherzoso, Masaki, sottraendogli il pallone.
-Non mi sottovalutare, ragazzino!- esclama l’altro con la stessa euforia e lo insegue per riprendersi il pallone. Riesce inaspettatamente a sottrargli la palla, ma gli occhi d’ambra del difensore lo intercettano ugualmente.
Si fermano un di fronte all’altro, un po’ stanchi ma ancora sorridenti.
-Bravo! Sei più coriaceo di quanto pensassi!- si complimenta ancora l’uomo dai capelli argentei.
-Mmhp! Avevi dubbi?- risponde orgoglioso gonfiando il petto e alzando il mento, tuttavia sempre con il sorriso stampato sulle labbra. Kirino riconosce di non aver mai visto un’espressione simile perdurare così a lungo sul suo volto. Il rosa può giurarlo: Masaki trasmette gioia e sembra divertirsi molto, più di quando giocano in campo.
Istintivamente si sofferma anche a guardare l’uomo: nota con meraviglia che hanno lo stesso taglio degli occhi e i loro profili per un certo verso si somigliano.
“Non è possibile che sia il padre! Non era in prigione?! ... Forse può essere qualche suo parente …” il senpai cerca di darsi qualche spiegazione plausibile.
-Allora, sei già stanco?- domanda l’azzurro divertito.
E l’adulto gli risponde sorridendo:
-Niente affatto! Pronto?- così riprendono subito a giocare, ancora più energici di prima se si può.
Ranmaru intanto si appiattisce di più contro la parete, perché è ovvio che se Kariya lo scopre sono guai. Non riesce ad immaginarsi la sua reazione ad una tale eventualità, ma preferisce evitarla. Sicuramente, se in quel momento lo vedesse, laverebbe subito via quel sorriso sincero dal volto e lui non desidera rovinare il suo angolo di paradiso.
Perché è davvero così che gli appare lo scorbutico e cinico difensore: in paradiso, in un luogo di pace e serenità.
I due, nel mentre, continuano a ricorrersi spensierati per parecchi minuti, tanto che si fanno quasi le sette di sera. Lo si nota dall’eminente crepuscolo all’orizzonte.
Esausti si stendono sul prato verde a riprendere fiato, sopra di loro le fronde della grande quercia concedono ancora un po’ d’ombra prima che il sole cali del tutto.
-Basta! Sono esausto … - si arrende l’uomo spossato e abbastanza sudato. L’azzurro accanto a lui ridacchia divertito e non manca di punzecchiarlo un po’:
-Ehehe … Te l’avevo detto che sei vecchio! Rassegnati, non hai più l’età!- commenta saccente e allora Kariya senior gli cinge le spalle con il braccio e lo avvicina a sé per scompigliargli la chioma azzurrina.
-Tu … piccolo diavoletto!- comincia a strofinargli amorevolmente il palmo su quella testolina calda: per certi versi suo figlio non è cambiato per niente, tuttavia quella è soltanto una delle tante sfaccettature del suo carattere e il quarantenne lo sa bene.
-No dai! Basta!- lo supplica lamentoso, però niente affatto infastidito. L’uomo smette e, ancora racchiusi in quel goffo abbraccio, lo scruta con occhi profondi.
Ma quel ragazzino non si accorge del cambio di atteggiamento, troppo impegnato forse a risistemarsi la frangia disordinata.
-Ti voglio bene … - sussurra come se temesse di pronunciare quelle parole così semplici, così forti che ha custodito nel suo cuore per troppo tempo. Le pronuncia con cautela, come se si vergognasse di mostrare il suo affetto, ma in verità l’unica cosa che teme l’uomo è che il figlio le trovi fuori luogo oppure ipocrite.
Invece Masaki, non appena ha udito, si è voltato di scatto a guardarlo con occhi spalancati dalla sorpresa. Kariya senior si imbarazza un po’ per questo suo azzardo e non dice nulla. Al silenzio si accoda anche il ragazzino che, spiazzato, non sa come reagire. E pensare che una volta era così semplice rispondergli, al contrario adesso sembra quasi impossibile.
Le labbra del tredicenne tremano appena in un tentativo di risposta e l’uomo comprende la sua difficoltà: devono essere stati davvero duri questi due anni per lui.
Con lo sguardo d’oro adombrato dal senso di colpa, si alza e spazzola i pantaloni.
-Beh, direi che si è fatto tardi … - esordisce e solo adesso Masaki si rende conto dell’ora. Si alza anche lui.
-Già è vero.- si limita a dire, raccogliendo la sacca della scuola un po’ mogio. Si sente un vile per non avergli detto più nulla. Va bene non fidarsi, ma addirittura del proprio padre!
“Ma non è per questo che ho cominciato a diventare così? Scontroso ed egoista?” pensa mordendosi automaticamente il labbro inferiore. Rimettono a posto la palla lì dove l’hanno trovata e si dirigono verso l’uscita.
Non appena vede i due avvicinarsi, Kirino corre a nascondersi dietro un grosso lampione accanto a cui –per fortuna del cielo– vi sono dei sacchi della spazzatura.
L’uomo misterioso e il kohai si fermano proprio all’ingresso del parco.
-E’ stato davvero divertente! Mi hai fatto sudare, sai?- esclama il quarantenne cercando di smorzare la tensione. Il piccolo fa un sorriso tirato, sforzandosi di essere pienamente contento.
-Già.- risponde senza alcun accenno all’ironia, stavolta.
Kariya senior si inginocchia davanti a lui e gli porge una mano su una guancia, la quale trova incredibilmente morbida. Quanto gli è mancato quel contatto così ravvicinato con suo figlio. Il piccolo rimane immobile sotto al suo tocco.
-Ascolta Masaki. Non devi sentirti in colpa di niente!… Capisco come ti senti e non ti costringo a dirmi nulla, ma sappi che io parlo con sincerità. Ti voglio bene, davvero.- dichiara infine, più sicuro e riesce perfino a sorridere con naturalezza.
L’azzurro incurva appena le labbra all’in su, forse un po’ più sollevato.
-Anche io … - confessa senza più timori. Al padre questo è più che sufficiente, anzi, è più del dovuto vista la grave situazione … Ma forse c’è speranza, una piccola quanto tremula stella ha deciso di illuminare, anche se con la poca luce a disposizione, il suo oscuro cammino. E magari, in fondo a quel sentiero c’è proprio suo figlio con un pallone da calcio ad aspettarlo.
-Allora ci vediamo … - fa poi l’uomo, rialzatosi.
-Che ne dici qui alla stessa ora di oggi?- propone coraggiosamente il tredicenne, mal celando il rossore sulle gote -Sempre se ti va … - continua incerto, prendendo a fissare la punta delle scarpe; quindi non scorge del sorriso a trentadue denti che si stampa sulla faccia di suo padre.
-Certo che mi va! Allora ci vediamo domani.
-Sì, sì … a domani.- per il ragazzino è incredibile tutto ciò: non l’avrebbe neanche lontanamente immaginato!
-Ciao Masaki.- saluta un ultima volta prima di voltarsi.
-Ciao … - ricambia anche con un cenno della mano.
E rimane lì a fissare la schiena di suo padre svoltare il primo angolo a destra del parco.
Sospira. Se non altro l’angoscia e la rabbia di poco fa sembrano svanite, tanto che per la prima volta può dire di tornare a casa a cuor più leggero.
Così, fa retro-front e si allontana dal parco giochi passando proprio davanti al senpai, il quale rimane accovacciato dietro i grandi sacchi neri –per fortuna non sembrano contenere l’umido–. Il kohai non lo nota e svolta al primo incrocio a destra.
Quando è andato via, Ranmaru esce dal suo nascondiglio con mille pensieri che gli vorticano la testa.
Ma di due cose, in particolare, è certo: la prima è che non si tratta del solito capriccio; la seconda è che, chiunque fosse quell’uomo, conosce l’azzurro e sembra avere un legame speciale con lui.
-Che ti sta capitando … Kariya?- sussurra questa domanda al vento, il quale purtroppo non può dargli le risposte che cerca.
 
 
Una volta nei pressi di casa, rallenta la corsa fino a fermarsi del tutto. È davvero incredibile quello che è successo! Non si sarebbe mai immaginato di rincontrarlo di nuovo lì, in quel parco. Masaki non può nascondere a se stesso che ne è intimamente felice –solo un po’ eh!–, anche perché ha potuto di nuovo giocare con lui ed è stato bello. Non si era mai sentito così libero prima d’ora, come se si fosse finalmente tolto un peso dal cuore! Come se nulla di ciò che è accaduto alla sua famiglia fosse mai successo.
“Già …” sospira mentalmente mentre infila le chiavi nella toppa del cancelletto. Quando lo richiude alle sue spalle si sofferma a guardare la nuova casa in cui vive adesso: completamente diversa rispetto al piccolo appartamento in viveva.
Attraversa il cortile con ampie falcate e arriva al portone dell’abitazione. Traffica con il mazzo di chiavi finché non trova quella giusta, sta per infilarla nella serratura ma si blocca un momento. Adesso che ha rincontrato suo padre, gli pare di vivere con dei perfetti estranei i quali credono di conoscerlo, ma in verità non sanno nulla di lui.
Abbassa il capo azzurro esalando un lungo sospiro: non ci deve pensare!
L’unica cosa che deve fare adesso è mettere su la solita maschera di sempre e nessuno dei suoi tutori se ne accorgerà. Per cui, prende coraggio ed apre l’ingresso.
-Sono tornato!- annuncia e si siede subito per togliersi le scarpe. Stranamente Ryuuji non si è affacciato al corridoio come fa di solito quando arriva. Kariya rimane un po’ perplesso: dubita fortemente di essere solo, dato che sente il rumore della TV accesa e anche il cozzare delle stoviglie.
Non dovrebbe importagli più di tanto, comunque fa capolino in cucina. Naturalmente trova Midorikawa già ai fornelli, il quale si accorge solo in un secondo momento della sua presenza.
-Oh, ciao Masaki! Scusa, non ti ho sentito arrivare!- si giustifica accendendo il gas. L’azzurro fa spallucce per dire che non è nulla.
-Dov’è Hiroto-san?- domanda, in un certo senso per precauzione, odia vederlo sbucare all’improvviso.
-Nello studio. Sta sistemando alcune cose. -  risponde mentre affetta le carote -Sono le sette, anche oggi avete fatto tardi?- riprende, poi, senza staccagli gli occhi da quello che sta facendo.
Masaki trasale un momento, ma si riprende subito accennando ad un vago:
-Già … - Midorikawa non lo sta guardando, però ha la netta sensazione che può scrutarlo senza che lui se ne accorga -Vado in camera a cambiarmi … - aggiunge,
trovando un’ottima scusa per cavarsi d’impiccio.
-Ok. La cena comunque fra un po’ sarà pronta.- informa il verde e il ragazzino esce dalla cucina.
-Ah! Masaki!- il richiamo del tutore lo blocca proprio ad un passo dal corridoio. Stavolta Ryuuji si affaccia, come d’abitudine, allo stipite con in volto l’espressione più serafica possibile.
-Va tutto bene?- domanda inaspettatamente e Kariya deglutisce a vuoto.
-Per–Perché me lo chiedi?- ricaccia indietro la questione. Il verde inarca un sopracciglio, come solo lui sa fare, ed incrocia le braccia al petto.
-No niente. Il fatto è che ieri sei salito in camera senza nemmeno aver cenato … Ci siamo preoccupati, tutto qui.- afferma l’ultima parte con una certa cautela. Masaki si rilassa intimamente, ma non può fare a meno di provare un lieve senso di colpa. 
-Ah quello? Non era niente! Ero solo molto stanco.- mente dinnanzi pozzi bui di Midorikawa.
-Ok. Se è tutto a posto, allora va bene.- afferma infine accennando ad un sorriso -Non voglio di certo starti addosso … Però, Masaki … - e quel “però” gli suona tanto male -Qualsiasi siano i tuoi problemi oppure le tue angosce, beh! Sappi che puoi parlare tranquillamente o a me o a Hiroto, se ne hai voglia. D’accordo?
Praticamente è un modo elegante di dirgli che nessuno dei due è disposto a bersi la scusa della stanchezza. Ad ogni modo annuisce a quella raccomandazione o informazione –assolutamente non richiesta– che ha già udito milioni di volte nei film con le famiglie dei genitori single o divorziati. Gli viene la nausea a pensarci, eppure in quel momento lo sguardo del suo tutore appare così risoluto che non se la sente proprio di paragonarlo ad uno di quei polpettoni che danno in TV.
-Bene! Solo questo. Adesso vai a cambiarti e lavati bene le mani, fra poco è pronto.- riprende sorridendo, come se nulla fosse accaduto.
Così ognuno prosegue per la sua strada e quando si chiude alle spalle la porta di camera sua, il tredicenne tira un sospiro di sollievo.
Si cambia velocemente ed indossa i pantaloni di una tuta ed una felpa bianca con le spalle nere, la cui stoffa forma una fascia fino ai polsi.
Manca abbastanza prima di cenare e, contro ogni logica, decide di mettersi a fare i compiti.
“Devo stare proprio male per decidere di fare i compiti adesso!” pensa preoccupato e, in un certo senso, timoroso da se stesso. Lui è il tipo che si riduce all’ultimo momento, cioè studia dopo cena anche se non con grandissimi risultati. Ma l’ultimo discorso di Midorikawa gli ha fatto passare la voglia di fare il lavativo!
Se ha qualche problema? Si può confidare? E che cosa mai dovrebbe confidare?!
Scuote energicamente il capo: l’incontro con suo padre non centra nulla, non è una cosa grave … è successo e basta. E poi non vede il motivo per cui dovrebbe dirlo proprio a loro!
Così, scacciando via questi pensieri apre il libro di matematica.
 
Alla fine la cena si è svolta come al solito, senza intoppi di alcun tipo. Hanno appena finito di mangiare il secondo e nessuno dei suoi tutori vuole approfondire la questione –che questione poi?– e Maski pensa sia meglio per lui.
Ad un certo punto squilla il telefono di casa, il quale si sovrappone alle voci di un programma televisivo.
-Vado io.- dice il rosso con alla bocca un tovagliolo che lascia sul tavolo per alzarsi.
Quando raggiunge l’apparecchio, Midorikawa abbassa il volume della TV per non disturbare la telefonata. Di là si sente solo:
-Sì, sono io. Chi parla?- il verde cerca di seguire da lontano la conversazione, visto che gli sembra strano che dei colleghi di lavoro chiamino a quest’ora e soprattutto al telefono di casa, non al cellulare.
Vi è una lunga pausa in cui il presidente della Kira Company rimane in ascolto. Persino Masaki, che ha appena terminato la sua ciotola di riso, smette di mangiare incuriosito da quella strana telefonata.
-Sì. Ho capito. Attenda un attimo in linea, prego.- si sente dire di là e pochi istanti dopo compare Hiroto.
-Masaki ti vogliono al telefono.- annuncia con insolita pacatezza. L’azzurro rimane alquanto sorpreso: chi mai sarà? E che cosa vuole da lui?
Se si trattasse di Tenma o un altro dei suoi compagni glielo avrebbe detto subito. Il rosso lo guarda con espressione indecifrabile, tanto che ha persino paua di chiedergli chi è al telefono.
Si alza di scatto dalla sedia diretto al mobile su cui è appoggiato l’apparecchio telefonico. Con una tensione di cui non sa il motivo, alza cauto la cornetta appoggiandola all’orecchio destro.
-Pronto?
- …P-Pronto? Masaki? - dall’altro capo una voce gli risponde titubante e il ragazzino rimane per parecchi minuti ad occhi sgranati e bocca aperta, incapace di emettere suono. E nella sua mente quella voce, che non ode da tanto tempo, gli rimbomba in testa scoperchiando così una valanga di ricordi.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Rieccomi in ritardo, ma ci sono. Non ho molto tempo, ma mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto! :* Kisses.
  
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