La mensa
Aveva
ancora sulla lingua il sapore della colazione speciale preparata da
Agnes in occasione del loro primo giorno di scuola. Chissà come,
si era procurata dello zucchero e aveva preparato una torta, un
po’ secca e friabile ma dolce. Le era piaciuta tantissimo,
distraendola per qualche attimo dall’ansia che provava da giorni.
Le sembrava impossibile imparare a dare un senso a tutti quei simboli
che vedeva incisi sui cartelli o scarabocchiati su manifesti
dall’aria ufficiale. Era sicura che sarebbe stata una frana.
«Fate
quello che vi viene detto senza discutere e state quieti. Tu
soprattutto, disgraziato!» Consigliò loro Agnes, lanciando
uno sguardo severo al figlio mentre dava manate energiche alla divisa
di Emma.
«Porca
la miseria fradicia! Questa roba è così stinta che sembra
che ti sia rotolata nella polvere.» Onestamente Emma pensava che
i colori stinti fossero il minore dei problemi di quella divisa. Le
maniche della giacchetta di lana blu erano rimboccate parecchie volte
ed erano state strappate e ricucite tanto da farla sembrare grinzosa
come una grattugia, mentre la parte inferiore dell’abito di tela
sottile, nonostante i trenta centimetri di orlo, le arrivava ben oltre
al ginocchio ed era più lungo da un lato che dall’altro.
Per non parlare delle scarpe. Preferiva proprio evitare di pensarci,
alle scarpe.
Anton,
per dimostrarle solidarietà, aveva provveduto a rotolarsi un
paio di volte sul pavimento, ma non aveva ottenuto altro effetto che
quello di ricevere una sberla sulla nuca ed essere paragonato a un
triglia di fango.
Adesso era impegnato a guardare in cagnesco tutti quelli che avevano intorno e a lamentarsi tirando il braccio di sua madre, imbronciato. «Lo odio già questo posto. Portami a casa!» Agnes non si sprecò nemmeno a dirgli di no, impegnata ad abbracciare il cortile con uno sguardo carico di nostalgia.
Nemmeno se avesse voluto (ed Emma era certa che non voleva) Agnes avrebbe potuto far saltare la scuola ad Anton. La scuola era obbligatoria per tutti, dai sei fino ai tredici anni. Aveva sentito parlare di un uomo che qualche anno prima aveva ceduto alle suppliche del figlio e, invece di portarlo a scuola, l'aveva portato a pesca di rane. "L'ultimo giorno, prima che il suo bambino diventasse una qualsiasi formichina all'interno del formicaio." Si era giustificato. Aveva dovuto pagare una multa salata e ancora adesso i funzionari lo controllavano da vicino, nell'attessa che facesse un passo falso per poterlo cogliere in fallo. Ed era solo questione di tempo.
Ad Emma invece non dispiaceva iniziare la scuola, se non si soffermava troppo a pensare alla sua divisa.
Era
un vecchio edificio in pietra leggermente trasandato, che sorgeva su
un’isoletta nel mezzo del braccio principale del fiume, e si
sentiva quasi privilegiata a poter scendere finalmente le scale che dal
soppalco del terzo livello portavano direttamente lì. Il cortile
poi, un largo spiazzo di terra polverosa che con le piogge primaverili
sarebbe diventato un pantano, vantava ben sei dei dieci alberi che si
potevano vedere a Sianel. Le piacevano gli alberi, e una delle prime
cose che avrebbe fatto, appena Agnes l’avesse lasciata libera,
sarebbe stato correre ad esaminarli da vicino.
Un
uomo che non aveva mai visto uscì per fare l’appello. Era
abbastanza evidente che non era nato lì, dal momento che aveva
la pelle ancora più chiara della sua e capelli molto lisci,
precocemente ingrigiti. Si schiarì la voce e tutti si zittirono
istantaneamente.
«Buon
giorno a tutti, e buon inizio di anno scolastico. Per chi non mi
conoscesse sono Zlatan Jenen, direttore di questa scuola rionale da ben
quindici anni…»
Anton
scoppiò subito a ridere, una delle sue risate sonore e
contagiose. «Non solo questo tizio parla strano, ma ha pure un
nome assurdo!» Bisbigliò nell’orecchio di Emma prima
che Agnes lo prendesse per un orecchio torcendolo lievemente e
riducendolo subito al silenzio. “Quando sarà grande avrà le orecchie lunghissime” Pensò
Emma oziosamente, mentre il direttore Jenen proseguiva il suo
interminabile discorso di presentazione, in sostanza una sviolinata
sull’importanza di studiare a fondo le leggi e la storia della
città per diventare cittadini responsabili.
Anton
adesso era inginocchiato a disegnare nella polvere, come a voler
mettere in chiaro da subito che lui era lì contro la sua
volontà e che non aveva la minima intenzione di diventare un
cittadino responsabile. Forse Agnes l’avrebbe richiamato, ma
anche lei, come chiunque fosse nel cortile in quel momento, guardava il
vuoto con aria distratta, senza ascoltare una parola.
Emma
aveva imparato presto che la soglia dell’attenzione bassissima
era prerogativa della gente di quel rione, ma nemmeno lei riusciva a
seguire il discorso noiosissimo del direttore. In realtà
sembrava che nemmeno il direttore seguisse con attenzione il suo stesso
discorso.
Un paio di ragazze dell’ultimo anno stavano bisbigliando qualcosa poco lontano.
«È per questo che è così una merda con gli studenti allora?»
«Sì ti dico! È stato mandato qui per punizione dopo l’accademia…»
«Ohi,
Em, guarda qui!» La chiamò Anton tutto fiero, mostrandole
una caricatura del direttore con il sedere al vento e una specie di
refolo d’aria che gli usciva dal di dietro. Emma ridacchiò
sommessamente mentre Agnes, tornando a posare lo sguardo sul figlio,
gli tirò un sonoro coppino, che Anton incassò
dignitosamente.
Poi
il direttore iniziò l’appello, catturando finalmente
l’attenzione degli studenti che, uno per uno, andarono a mettersi
in fila davanti allo stendardo con il simbolo del patrono per
pronunciare il giuramento mattutino.
Era
stata la conversazione più seria che aveva mai avuto con Yuri,
dopodiché tutto sembrò tornare normale e lei
ricominciò a comportarsi come al solito, anche se tutte le volte
che sorprendeva Emma osservarla con tutta la sua perplessità
stampata in faccia sorrideva e faceva l’occhiolino con aria
complice, come se loro due stessero condividendo un segreto ignoto a
tutti gli altri. Cosa che in effetti era, ma Emma non poteva fare a
meno di essere perplessa per le stranezze della sua compagna di stanza.
Comunque questo era già un miglioramento da quando temeva di svegliarsi una mattina e scoprirsi morta.
Quello
che era ben lontano da essere normale era il fatto che Emma, ora ancora
più consapevole della pericolosità di quello che stava
facendo, sgattaiolava ogni giorno in biblioteca, recuperava il libro
sotto al divano e lo leggeva.
La
prima volta, il pomeriggio successivo a quello in cui aveva parlato con
Yuri, era rimasta un po’ interdetta nel trovare una parola che
non conosceva come titolo della prima sezione del libro: “Guida
etnografica di Arhal”. Sperando di capire comunque il senso di
quanto avrebbe letto, scoprì che il misterioso autore non faceva
altro che confrontare le strane popolazioni che aveva trovato
sull’isola (non aveva mai considerato Arhal un’isola, e
questo fatto da solo era stato un trauma culturale non indifferente)
con le proprie usanze, abbastanza simili a quelle che anche Emma
conosceva. Il dizionario più vecchio che era riuscita a trovare
aveva trovato posto sotto al divano, accanto al libro, ma spesso non
trovava il significato di tutte le parole oscure e arcaiche che
l’atlante conteneva.
Però
c’erano molte immagini, dipinte a colori vivi, di persone strane
intente in attività quasi incomprensibili. Il primo popolo di
cui trovò la descrizione era un popolo nomade, gli Yubo.
Non
coltivavano la terra, si spostavano una volta ogni stagione con grosse
mandrie di armenti e di pecore e si limitavano a raccogliere quello che
trovavano in natura e a produrre latte e formaggio.
Una
natura molto più generosa di quella che Emma aveva sempre
immaginato, a cui gli uomini dovevano strappare nutrimento attraverso
sangue e sudore.
Gli
Yubo erano disegnati con occhi allungati, ancora più di quelli
di Emma che comunque erano notevolmente lunghi, e si diceva che
avessero la pelle chiara e occhi e capelli neri. I loro vestiti, quasi
tutti di lana, erano tinti a colori sgargianti e avevano forme
insolite, con bottoni molto lunghi e cappucci squadrati.
Ma più di qualsiasi altra cosa, l’aveva colpita una nota che occupava più o meno metà pagina.
Gli
stregoni degli Yubo sono più potenti di quelli di ogni altro
popolo di questa terra. Anche un semplice apprendista può
comunicare con estrema facilità con i numi della prateria.
«Stregoni!»
Sibilò a Yuri quando tornò in camera quella sera.
«Parla di stregoni come se fossero comuni come cavoli negli
orti!» Yuri sorrise, assente.
«Sarebbe
strano non credi? Nascere pian piano spuntando dalla terra ed essere
costretti a restare immobili sapendo che qualcuno da un momento
all’altro può raccoglierti e mangiarti. Se fossi un cavolo
non credo che sarei contenta di nascere in un orto…» Emma
sbuffò e le lanciò il cuscino.
«Non fare la finta tonta, tu. Ormai non attacca più!» Yuri fece un’espressione confusa.
«Non
so proprio di cosa stai parlando.» Emma sbuffò e si
lasciò cadere sul letto, a braccia aperte e con la faccia
premuta contro al materasso. «Andiamo a cena, dai.» Le
disse Yuri con il tono dolce di quando parlava sul serio, sporgendosi
per darle un paio di colpetti affettuosi sulla nuca. Emma si
tirò su stancamente e la seguì strascicando i piedi,
mentre Yuri sproloquiava su una teoria secondo cui quello che lei
vedeva lilla, forse agli occhi di qualcun altro era verde pallido, ma
che tutti e due avrebbero continuato a chiamare lilla quel colore
perché così avevano imparato da bambini. E se il cielo
fosse stato rosso e lei avesse sempre conosciuto il “rosso”
col nome di “azzurro”?
Per
qualche motivo quella possibilità turbò Emma
profondamente, distraendola per qualche strano momento da quello che
aveva letto durante la giornata. Per una volta ascoltò le
dissertazioni strambe di Yuri con autentica curiosità, tanto che
non si accorse di un ragazzo della gilda dei bottegai, Danilo Torres,
che aveva allungato la gamba per farla inciampare. Emma non
riuscì a recuperare l’equilibrio ma, con una mossa agile,
riuscì a girarsi a mezz’aria e a tenere alta la ciotola di
minestrone, rovesciandosene addosso solo poche gocce.
Dovette
pagare il salvataggio della cena con una craniata considerevole sul
pavimento, ma pazienza. Il bernoccolo sulla nuca sarebbe sparito, la
minestra versata non si poteva raccogliere.
Yuri
le prese la ciotola di mano e aspettò pazientemente che Emma si
rialzasse, mentre Danilo, noto per essere una delle persone più
moleste dell’intera accademia, rideva divertito assieme ai suoi
vicini di tavolo.
Un
ragazzo del rione degli allevatori, Alì, si era fermato a
guardare la scena accanto a Yuri. «Certo che la tua amica
sacrificherebbe la vita pur di non perdere la cena.»
Commentò perplesso guardandola massaggiarsi la nuca con lo
stesso interesse con cui dei bambini esaminerebbero un insetto strano
mai visto prima. Yuri annuì pensosa. «Meno male che non
può mangiarsi da sola, o l’avrebbe già fatto.»
Emma
era piuttosto seccata e decise che lo spettacolo era finito. Si
tirò in piedi di scatto, stizzita, prese la ciotola dalle mani
di Yuri e si diresse a passo marziale verso la scala di servizio che
portava alle cantine. Era lì seduta che mangiava da un paio di
minuti quando Yuri la raggiunse.
«Di
solito non mi faccio i fatti tuoi, so che ti dà fastidio.»
Annunciò scavalcandola per sedersi sul gradino sotto al suo.
«E
io lo apprezzo molto.» Commentò Emma laconica, con
l’implicita speranza che le cose restassero così il
più possibile. Yuri invece calpestò quella speranza e
procedette a farsi i fatti suoi, come se la compagna non avesse mai
aperto bocca.
«Però ammetto di essere curiosa di sapere che hai fatto a Rebecca Stieber per meritarti tutto questo.»
Emma
sbuffò. «Non ho fatto nulla. L’ho vista per sbaglio,
mentre era con uno… sai il bel biondino dell’ultimo anno?
Quello dei tipografi?»
«Etienne. Etienne Rolan.» Emma la guardò con una smorfia, un po’ stupita un po’ irritata.
«Ecchiccavolo ti
ha detto come si chiama?» Yuri la guardò sospirando e le
diede due colpetti amichevoli sulla cima della testa. «Ahh Emma,
Emma. Lo sanno tutti qui come si chiama il ragazzo più
promettente e simpatico della scuola. Vivi proprio fra le nuvole.»
La
cosa detta da lei le fece rizzare i capelli sulla nuca, lasciandola
sempre più irritata e con una gran voglia di insultare qualcuno.
Guardò il proprio cucchiaio e lo ficcò nella ciotola come
se il povero utensile avesse appena paragonato un suo amico intimo a un
mucchio di letame. Yuri non colse la minaccia implicita nella foga del
gesto e continuò a parlare. «Però hai strane
priorità, tu. Scommetto che il nome del ragazzo ritenuto
più insopportabile lo sai.»
«Pensavo
di essere io quella più impopolare!» Esclamò Emma
quasi offesa, ritenutasi ingiustamente spogliata dal suo titolo.
«No,
tu non conti, ovviamente. Nessuno ti considera. Intendevo quello coi
baffi spelacchiati che ti ha fatto lo sgambetto prima.»
Yuri
aveva ragione, ma Emma era abbastanza determinata a non dargliela
vinta, soprattutto perché l'indelicatezza di Yuri stava passando
il limite. Decise che preferiva parlare dei fatti propri piuttosto che
continuare quella discussione, con la piega che stava prendendo.
«Insomma lei era lì in mezzo alla biblioteca a pomiciare
col suo ragazzo-giocattolo e se la prende con me solo perché li
ho visti per sbaglio. Ti sembra giusto?»
«Certo
che no!» Esclamò Yuri indignata. «È una cosa
stupida! Pensavo che fosse scivolata sul pavimento perché avevi
usato troppo sapone, o cose così, non che l’avessi vista
con Etienne. Pensa di intimidirti con degli sgambetti?» Scosse la
testa, bevve con calma un sorso di minestrone e poi corrugò la
fronte. «Per ridurre qualcuno al silenzio io userei metodi
più eleganti, tipo lasciare delle lettere minacciose in camera,
oppure un messaggio sulla porta della tua stanza scritto col sangue di
pollo o una ciocca di capelli di tua madre sul tuo cuscino, o cose
così. Gli sgambetti sono una cosa infantile.»
Emma lasciò cadere il cucchiaio nella minestra con un sonoro tonfo e guardò la compagna orripilata.
«Facevo
per dire.» Si affretto a rassicurarla dandole un altro paio di
colpetti sulla testa, con aria divertita. «Comunque ti
sbagli.» Annunciò Yuri con voce leggera, ricominciando a
sorbire il minestrone.
Emma
aprì e chiuse la bocca un paio di volte prima di riuscire a
parlare, distratta dalla vocina che in qualche angolo della sua testa
le suggeriva di arretrare lentamente e senza sbattere le palpebre.
«Mi sbaglio su cosa?»
«Non è il suo giocattolo. Sono seri.»
Sbuffò
scettica e ricominciò a mangiare. Non ci avrebbe creduto per
nulla al mondo che Rebecca fosse seriamente innamorata di Bello.
Cioè, di Etienne.
In ogni caso la paura di essere uccisa nel sonno era tornata come nuova.
Sempre accogliente fu l’isola di Arhal con profughi e migranti, tanto che numerose genti abitano questa terra.
Profughi e migranti. Altre due parole sconosciute.
Chiuse
il dizionario con un tonfo mandando alla malora quell’antico
scrittore figlio di un capperaio mezzo deficiente, che aveva scritto
quella cosa assurda usando parole cretine solo per dimostrare che era
più intelligente di lei, povera disgraziata nata come minimo
quattrocento anni dopo.
Poi
si rese conto che stava perdendo un po’ di lucidità, dopo
più di due ore che leggeva l’atlante sobbalzando ad ogni
minimo rumore e dovendo cercare tre parole ogni due righe. Aveva
bisogno di respirare un po’ d’aria pulita e di rilassarsi.
Quel
giorno il pannello superiore della finestra era chiuso, forse era per
questo che si sentiva così irritata e con la mente intorpidita.
Sospirando si alzò in piedi sul divanetto e armeggiò con
i ganci che la tenevano chiusa.
Subito entrò odore di glicine e di pioggia, che Emma respirò a pieni polmoni.
«Non
dovresti stare in piedi sul divano, se il bibliotecario ti vedesse ti
spingerebbe di sotto.» Emma riuscì a stento a trattenere
un urlo e si girò di scatto, come una lucertola che si è
appena resa conto di avere un gatto alle spalle.
Era
lui, Bello, il biondino… come aveva detto che si chiamava Yuri?
«Etienne Rolan.» Bisbigliò sollevata, con il cuore
che le batteva ancora molto più forte del normale. Nel suo
cervello era una delle poche persone classificate come innocue.
«Emma
Creuza.» Rispose lui con un cenno del capo, a mo' di saluto. Le
fece una strana impressione sentire il suo nome pronunciato da lui. Se c’è lui non starà mica arrivando anche la strega? Venne assalita dal sospetto e si guardò intorno freneticamente, aspettandosi di vederla sbucare da dietro una libreria.
Etienne
interpretò correttamente la sua ansia e la rassicurò.
«No, stai tranquilla, lei non c'è per ora. Ma
arriverà più tardi, ho pensato di venirti ad
avvisare…» Emma si sorprese mentre osservava incanta i
suoi occhi brillanti e il ciuffo di capelli sbarazzino che gli ricamava
la tempia sinistra. Si promise di prendersi a schiaffi più tardi
e guardò fuori dalla finestra con ostentato interesse. Come se
non fossero settimane che la pioggia continuava… ormai era quasi
ora che arrivasse la stagione secca, e poi ci sarebbero stati gli
esami...
«Cosa leggi?» Chiese il ragazzo guardando l’atlante buttato con noncuranza sul divanetto. Emma emise un gemito di orrore, poi uno di dolore quando uno spigolo del libro le penetrò nello stomaco, a causa del suo melodrammatico tuffo per cercare di nasconderlo.
Bravissima,
a questo punto penserà sicuramente che stai nascondendo
qualcosa! Fai una faccia normale! Fai una faccia normale, subito!
Annaspò
cercando di riprendere fiato e si sforzò di sorridere, cosa che
le venne malissimo. Ridacchiò isterica, mettendosi seduta e
sistemandosi nervosamente i capelli. «Niente. Geografia. Cose
stupide e noiose. Ora vado eh? Prima che arrivi…» …la strega. Abbracciò
il libro cercando di coprirne una porzione più ampia possibile e
si incamminò a passo svelto, ma Etienne la fermò.
«Aspetta!»
Ok,
ora, prima che possa parlarne con qualcuno, ti giri e gli tiri il libro
su una tempia. Di spigolo, così fa più male. Poi scappi.
Al mio tre. Uno, due…
Emma
scrollò la testa, cercando di non farsi prendere dal panico. Non
avrebbe tirato il libro in testa ad Etienne… e poi dove avrebbe
potuto scappare?
«Volevo
ringraziarti per non aver parlato con nessuno di me e…»
Nemmeno lui pronunciò il nome di Rebecca. Sembrava essere
diventato una specie di tabù.
«Non fa niente B… Etienne. Non è che avessi qualcuno con cui parlarne, no?»
Bugiarda! Ne hai parlato con quella spostata della tua compagna di stanza. Emma serrò le labbra e pregò che quella voce insistente se ne stesse zitta. Yuri non contava.
Etienne
scrollò le spalle. «Grazie lo stesso. Mi dispiace che lei
sia così meschina con te… le ho chiesto di smettere,
ma…»
Emma
gemette. «Non insistere. Si accanirà ancora di più,
solo per ripicca.» Etienne annuì con aria rassegnata.
«Beh,
allora vado!» Prima che potesse fermarla ancora Emma
trotterellò via, ancora abbracciata al libro e facendo muovere
la stessa lastra di pietra che l’aveva tradita la volta prima.
Aveva bisogno di un altro posto dove leggere ora. Salì al terzo
piano della biblioteca, dove erano conservate le vecchie tesi degli
studenti dell’accademia. Uno dei pochi posti ad essere tranquillo
come l’area di geografia. Di sicuro lì avrebbe trovato un
mucchio di cartacce dietro cui nascondere il libro, e nel frattempo
poteva sfruttare l’ultima luce del pomeriggio per leggere.
Sempre accogliente fu l’isola di Arhal con profughi e migranti, tanto che numerose genti abitano questa terra. Certo anche le nostre genti, provate dalle guerre e dalle carestie di quest’ultimo secolo, vi troveranno un luogo dove vivere in pace.
Ohey!!!
Ho finalmente concluso il mio girovagare estivo (purtroppo) e sono pronta a caricare un nuovo capitolo! Yeeeeeeey! Forse questa volta ho sforato un po' nella demenzialità? Non so, una parte del capitolo l'ho scritta da ubriaca XD Fatemi sapere se devo trattenermi o se avete apprezzato e devo fare scorta di limoncello.
Yuri fa la finta tonta ma rivela anche lati abbastanza inquietanti e vendicativi del suo carattere, ed Emma rivela attitudini da giocoliere con il suo numero con la scodella di minestra. Forse in un altra vita si guadagnerà da vivere lavorando in un circo!
Prossimamente può darsi che rallenterò il ritmo, visto che sarò molto impegnata, ma pian piano continuerò ad andare avanti, per cui abbiate fede!
A presto! <3 羽毛