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Autore: Marti Lestrange    02/09/2014    1 recensioni
[STORIA SOSPESA]
POST TERZA STAGIONE; NO SPOILER.
Dal capitolo uno:
{Immerso nei suoi pensieri, l'urlo lo colpì con così tanta intensità che il bicchiere gli cadde di mano, andando a frantumarsi ai suoi piedi, schizzando tè ovunque. Derek gridò a sua volta, la testa tra le mani, chino su se stesso, accartocciato sul pavimento freddo.
"Lydia", pensò.
Lydia aveva urlato di nuovo.}
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chris Argent, Derek Hale, Nuovo personaggio, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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HEARTS WITHOUT CHAINS
CAPITOLO UNO
BLOOD BROTHERS
 
 
"And if you're talking a walk through the garden of life 
What do you think you'd expect you would see? 
Just like a mirror reflecting the moves of your life 
And in the river reflections of me."
Blood Brothers - Iron Maiden
 
 
 
- BEACON HILLS. CALIFORNIA.
Arrivarono a Beacon Hills che pioveva. Sembrava che piovesse da giorni, su tutti gli Stati Uniti d'America, ininterrottamente. Come se la pioggia volesse - e potesse - lavare via tutto lo sporco. 
A volte, a Seattle, Grace si ritrovava a vagare sotto l'acqua, durante quei temporali disperati che affliggono la costa settentrionale e che costituiscono un elemento caratteristico dello stato di Washington. Camminava, fradicia, i capelli incollati al volto, al collo, dappertutto, e gocce fredde - gelide - le colavano lungo la schiena, e si fermavano lì, all'altezza del cuore, penetrandole nella carne e scavando dei buchi. Tornava sempre a casa che era buio da un po'. Trovava sua madre Meredith alzata ad aspettarla, seduta in quella vecchia poltrona sdrucita del salotto, una coperta a coprirle le spalle. Lasciava sempre una pozza d'acqua in ingresso e poi correva in bagno, davanti allo specchio. Minuscole stille rimanevano impigliate tra le ciglia e il riflesso dorato della sua anima spariva dai suoi occhi scuri. Ricacciava il lupo nell'abisso. Dopo quelle camminate si sentiva come svuotata, ancora più incerta, ancora più scossa, ma viva. Era stufa di tenere a freno la sua natura e il controllo - quel dono che invece sembrava affliggere tutti loro come una maledizione - il controllo la divorava. La tratteneva. La portava allo stremo. E solo la pioggia, solo l'intensità delle gocce sul suo corpo, sembrava calmarla. E un'altra notte di luna piena passava.
Grace e Luke scesero dalla vecchia Ford che era stata di loro padre, mentre Ben parcheggiò la sua Harley-Davidson lì accanto. Si tolse il casco e si avvicinò ai fratelli. Si fermarono tutti e tre di fronte al vecchio cancello arrugginito. Casa Blackwood si ergeva davanti a loro come un antico residuo di un glorioso passato. Quella casa incarnava tutto ciò che i loro antenati avevano voluto dimostrare della famiglia: solidità, grandiosità, sprezzo per ogni pericolo. Ogni singolo mattone era il simbolo di ciò che i Blackwood erano stati, e che da anni non erano più. Ormai erano reietti. Lupi in fuga da un destino amaro. Licantropi senza più un futuro, ma con un passato così scomodo che era come un macigno sulle spalle di coloro che erano rimasti, ultimo baluardo di se stessi. 
- Non è cambiato niente - mormorò Ben.
- Ti sbagli - disse Grace ad alta voce facendo un passo avanti e infilando la chiave nella toppa. Il cancello si aprì con un cigolio. - Noi siamo cambiati.
 
 
*
 
 
Ancora prima che il campanello suonasse, Chris Argent seppe che suo fratello Alec era in arrivo. Avrebbe riconosciuto il rumore del motore della sua Jeep tra mille. Attese tranquillo in salotto, un bicchiere di scotch ancora stretto in mano, e poi, lentamente, lo poggiò sul tavolino al centro della stanza, proprio di fronte al divano, e si diresse alla porta. L'aprì e il volto sorpreso di Alexander Argent gli apparve davanti agli occhi. Capelli biondi spettinati, sorriso sghembo, sguardo deciso, un livido perenne sullo zigomo destro: eccolo lì, il suo fratellino. Scapestrato come sempre. 
- Mi dispiace, Chris - esordì. - Per tutto. 
- Dai, entra - disse solo lui spostandosi per permettere all'altro di entrare. Era ancora più largo di spalle dall'ultima volta in cui si erano visti e i bicipiti erano tesi sotto la t-shirt leggera. Chris si chiese quanta palestra facesse. O, più semplicemente, quanti sacchi da boxe avesse già distrutto. 
Richiuse la porta e precedette suo fratello in salotto. Notò che portava con sé due borsoni. Uno doveva contenere sicuramente qualche effetto personale e, conoscendo suo fratello, dovevano essere molto pochi ed essenziali. L'altro, altrettanto sicuramente, conteneva le sue armi personali. Alexander Argent aveva portato avanti l'eredità di famiglia, nonostante all'inizio avesse dichiarato di non volerci avere niente a che fare. A quanto pare, le persone hanno il potere di cambiare. 
- Mi piace casa tua - osservò Alexander guardandosi intorno incuriosito.
- Ti ringrazio. Puoi posare quelle borse, comunque - aggiunse poi Chris alzando un sopracciglio, ironico.
Alexander lanciò un'occhiata ai borsoni che teneva in mano, come se si fosse ricordato solo in quel momento di averli con sé, e rialzò lo sguardo sul fratello. Si mise a ridere.
- Hai ragione - disse posandoli a terra, accanto alla porta del salotto. Lanciò loro un ultimo sguardo e poi tornò a guardarsi intorno.
- Vuoi qualcosa da bere? - gli chiese Chris. - Un drink? Del tè o del caffè? 
- Quello che stavi bevendo tu va bene - rispose l'altro indicando il bicchiere mezzo vuoto sul tavolino di cristallo. 
Chris gli sorrise e si recò a riempirgli il bicchiere. Glielo porse e Alexander si sedette sul divano. Per un momento, nessuno dei due parlò. Poi Alec abbassò il bicchiere e puntò lo sguardo sul fratello maggiore.
- Ti starai chiedendo come mai io sia piombato a Beacon Hills...
-Be', effettivamente... - rispose Chris ridendo. - Non capita tutti i giorni che tuo fratello, cacciatore in attività, arrivi nella tua città. Armato.
Lanciò un'occhiata al borsone, ma lo sguardo di Alec non si mosse dal suo volto. Annuì. Poi si alzò in piedi e raggiunse la finestra. Scostò le tende e guardò fuori, guardingo e solo vagamente interessato al panorama notturno di Beacon Hills. 
- Non sono arrivato per caso - spiegò Alec. - Se io sono qui, vuol dire che qualcosa è arrivato prima di me. Vi siete accorti di niente di strano, ultimamente?
- Se per strano intendi un Nogitsune particolarmente indigesto di mia conoscenza, sei arrivato tardi. Lo abbiamo cacciato via. 
- Nah - esclamò Alec voltandosi. Nei suoi occhi, un lampo di qualcosa che Chris non vedeva da molto tempo. La stessa luce che abitava lo guardo di Kate. - Non mi interessa qualche stupido spirito giapponese o cose simili. Sai di cosa sto parlando.
- La risposta è no, Alec. Niente di strano. Da almeno due mesi.
- Allora vuol dire che chi stanno aspettando non è ancora arrivato - rispose l'altro misteriosamente.
- Alexander, si può sapere di cosa stai parlando? Chi deve arrivare? Chi stanno aspettando? E chi sono loro? - esclamò Chris spazientendosi.
Alec lo guardò attentamente. - Licantropi, Chris - rispose. - Licantropi che ne aspettano altri. 
 
 
*
 
 
Casa Blackwood era immersa nel silenzio più profondo e nel buio più spettrale. Niente si muoveva, nemmeno i granelli di polvere depositati sulle scale che portavano al piano di sopra, nemmeno le vecchie lenzuola sporche che coprivano gli antichi mobili, nemmeno un mazzo di fiori secchi ancora poggiati sulla console in ingresso. Nell’aria aleggiava un odore di morte e ricordi e immobilità. Grace poggiò a terra la sua vecchia valigia e attese al buio mentre Benjamin trafficava con l’interruttore generale accanto alla porta. Sentiva la calda presenza di suo fratello Luke accanto a lei. Antichi fantasmi le volavano intorno, come presagi. 
- Mi sento uno stupido – disse Luke rompendo la magia. Grace chiuse gli occhi. I fantasmi scomparvero. 
- È perché lo sei – borbottò Ben ad alta voce. La luce si accese e Grace riaprì gli occhi. Tutto l’incanto di poco prima si era spezzato. La casa le sembrò all’improvviso diversa. Più banale, forse. Quasi normale. 
- Quanto sei simpatico, fratellone – aggiunse Luke raccogliendo da terra il suo borsone e caricandoselo sulla spalla. – Salgo in camera mia.
Era come se nulla fosse cambiato, per Luke. Come se in realtà non fossero mai andati via. Grace lo osservò salire tranquillamente le scale e sparire al piano di sopra. Ben raccolse anche lui la sua borsa e le rivolse un’occhiata. 
- Grace? – la richiamò. Lei distolse lo sguardo dalla grande foto dei suoi genitori appesa accanto alle scale, e guardò il fratello. – Tutto bene, Grace?
Ben era sempre stato protettivo nei suoi confronti. 
Grace annuì, scrollando la testa, come a voler ricacciare via le lacrime che le premevano agli angoli degli occhi. Dentro di sé, sapeva che non avrebbe pianto. Sapeva che non ne sarebbe stata capace. Non piangeva più da tanto di quel tempo che nemmeno si ricordava cosa si provasse, quando la faccia ti si increspa, il petto ti si chiude e la vista ti si appanna. Quando tutto il tuo mondo ti crolla intorno e rimani soltanto tu. Sola.
Annuì ancora una volta e Ben le sorrise. – Prima di salire controllo che qui sia tutto apposto, okay?
Osservò suo fratello dirigersi verso il salotto e chiuse di nuovo gli occhi. Respirò profondamente. 
"Va tutto bene, Grace", si ripeté. "Sei tornata nella tua vecchia casa e va tutto bene".
Si fece coraggio e riaprì gli occhi, puntandoli sulla foto dei genitori. Douglas e Meredith Blackwood sorridevano, sereni, lei seduta in giardino e lui in piedi dietro la sua sedia. Il fotografo li aveva colti così, in quell'attimo di semplicità e bellezza. Ed era proprio come Grace li avrebbe ricordati. Cacciò via le brutali immagini del corpo spezzato di suo padre e, parecchi anni dopo, delle fragili membra di sua madre scomposte sull'asfalto. Non era il momento per indugiare su tanto terribili pensieri. Altri più importanti problemi andavano risolti. E non sarebbe stato facile.
Lasciò la valigia nell'ingresso e raggiunse suo fratello Ben. Lo trovò nella spaziosa cucina in stile coloniale, orgoglio di sua madre. Stava controllando che il frigorifero fosse attaccato e funzionante. Le sorrise.
- Qui è tutto okay. È incredibile come tutto funzioni ancora alla perfezione, dopo tutti questi anni.
- Incredibile, sì - concordò Grace, vagamente distratta, impegnata ad osservare ogni angolo e a registrare ogni ricordo. 
- Che ne dici se ce ne andiamo a dormire? Credo che per stasera non ci sia niente da fare, non credi? - le chiese Ben avvicinandosi.
- Sì, d'accordo. Andiamo.
Insieme uscirono dalla cucina e salirono lentamente le scale. Ben aveva afferrato la valigia di Grace e lei gli aveva rivolto un silenzioso sorriso di ringraziamento. Ben le diceva sempre che aveva il più bel sorriso del mondo. 
Si fermarono di fronte alla sua vecchia camera e Ben le lasciò la valigia sulla porta. 
- Stai bene? - le chiese.
Lei annuì. - Starò bene. E tu?
- Starò bene.
Si sorrisero. 
- Per qualsiasi cosa, mi trovi nella stanza accanto. Come sempre.
- Lo so. Grazie, fratellone.
Grace allungò le braccia e cinse la schiena di Benjamin in un caldo abbraccio. Lui la strinse a sé e le carezzò dolcemente i capelli. Ben aveva sempre ispirato timore nelle persone, fin da piccolo, con quel broncio serio, gli occhi verdi espressivi e vagamente minacciosi, i modi diretti e velatamente bruschi, ma Grace sapeva guardare oltre. Grace conosceva la sua anima.
- Ti voglio bene, Grace.
- Anche io, scimmione.
I due scoppiarono a ridere, mentre Luke spuntava da camera sua, già pronto per dormire, mezzo nudo come sempre.
- Hey, voi due! - esclamò. - La finite di fare i sentimentali e chiudete quella bocca? Qui c'è gente che vuole dormire. 
- Oh, come sei fastidioso - replicò Grace sbuffando. - Adesso andiamo a dormire anche noi, non temere.
- Vuoi un abbraccio anche tu, fratellino? - lo minacciò Ben ridendo.
Luke strabuzzò gli occhi e si affrettò a richiudere la porta, borbottando minacciose parole indistinte. 
 
 
*
 
 
Derek Hale poggiò il telefono cellulare sul piano ormai rovinato del suo tavolo al loft. Aveva riletto quel messaggio non sapeva nemmeno più quante volte, nonostante non ci fosse nulla da capire e da comprendere più di quello che già aveva potuto evincere da una prima lettura. 
Due giorni prima, un rumore strano aveva interrotto la sua doccia mattutina. Lo aveva sentito distintamente: proveniva dall'altra stanza. Il suono che annunciava l'arrivo di un messaggio di testo era quasi nuovo per lui, che non era abituato a ricevere e inviare milioni di messaggi, cosa che invece sembrava ormai l'abitudine per tutti, soprattutto alla sua età. Il fatto è che non sopportava la tecnologia, ecco.
Gocciolando acqua ovunque, un asciugamano legato in vita, aveva afferrato il cellulare e aperto il messaggio. Per poco non gli era caduto dalle mani. Era rimasto impietrito, bloccato in quell'istante, incerto se crederci o meno. A volte, persone che credevi di aver dimenticato, relegate semplicemente in un angolo della tua memoria, quasi come non avessero mai davvero condiviso la tua stessa aria, ecco, queste persone ritornano. Ricompaiono nella tua vita con facilità, con la stessa intensità con la quale se n'erano andate, anche se gli addii fanno sempre più male, soprattutto quando ti rimangono attaccati addosso come un parassita, nutrendosi delle tue emozioni, e non se ne vanno finché non sei tu ad arrenderti, decidendo di conviverci. Forse per sempre. 
Derek non vedeva Grace Blackwood da tredici anni. L'aveva salutata di fronte al cancello di casa Blackwood: lei aveva undici anni e lui dodici. Grace indossava un paio di pantaloncini che avevano visto tempi migliori, sporchi di erba e di pomeriggi passati nei boschi, e una t-shirt sdrucita che era stata di suo fratello Ben, con sopra disegnata una stampa rockeggiante, ormai scolorita dal sole. Derek ricordava che lei gli aveva sorriso, lo aveva abbracciato e gli aveva detto che, prima o poi, sarebbe tornata. E avrebbero di nuovo giocato insieme e trotterellato in giro per Beacon Hills e mangiato i marshmallows cotti sul fuoco durante le serate estive. Derek aveva annuito e l'aveva guardata andare via, sparire oltre il cancello di quella grande casa, perduta per sempre nelle pieghe del destino e della storia. Si erano scritti delle sporadiche lettere, ma ad un certo punto la corrispondenza si era misteriosamente interrotta e Derek Hale non aveva più saputo nulla di Grace Blackwood e della sua famiglia. Fino a quel giorno.
 
"Ciao, Derek. Chissà se ti ricordi di me... Sto tornando a Beacon Hills. Te lo avevo promesso, no? Grace Blackwood."
 
Derek scosse la testa ancora una volta. Sedette sul divano mezzo sfondato e si premette la fronte contro i palmi delle mani. Le tempie gli pulsavano e non riusciva a capire come fosse possibile. 
Primo, come aveva fatto Grace Blackwood, che era sparita dalla sua vita più di dieci anni fa, ad avere il suo numero di cellulare?
Secondo, come faceva a sapere che lui si trovava ancora a Beacon Hills?
Terzo, come mai stava tornando a casa?
Un quarto, ipotetico punto nella sua lista mentale di interrogativi avrebbe potuto includere: che cosa è successo? E, molto ravvicinato: che cosa ha spinto la famiglia Blackwood a tornare?
La lista minacciava seriamente di allungarsi, per cui Derek liberò la mente e si alzò. Si versò un bicchiere di tè freddo al limone e si accostò alle ampie finestre che davano all'esterno. Da lì poteva vedere la collina della città e i boschi intorno. Dense e spesse nuvole si addensavano all'orizzonte. Un temporale era in arrivo.
Immerso nei suoi pensieri, l'urlo lo colpì con così tanta intensità che il bicchiere gli cadde di mano, andando a frantumarsi ai suoi piedi, schizzando tè ovunque. Derek gridò a sua volta, la testa tra le mani, chino su se stesso, accartocciato sul pavimento freddo. 
"Lydia", pensò. 
Lydia aveva urlato di nuovo.
 
 
*
 
 
- WASHINGTON D.C.
- È ora di partire, Liam
- Avviso gli altri, signore.
Il lupo chiamato Liam si ritirò, chiudendosi la porta alle spalle. 
Tutto era pronto. Il viaggio sarebbe stato lungo, ma niente avrebbe potuto rovinare la soddisfazione di raggiungere finalmente la meta, il tanto agognato obiettivo. Il destino stava per compiersi. 
Lui sarebbe riuscito a portare a termine la missione dei suoi padri. Lui avrebbe onorato la profezia. Lui sarebbe diventato il più grande Pastore di Lupi che fosse mai esistito. Lo avrebbero ricordato come colui che aveva finalmente sterminato la famiglia Blackwood. Lui e soltanto lui. 
Lucien Mercier si sfregò le mani, soddisfatto, e lasciò la stanza. La California lo stava aspettando.




NOTE
Buongiorno a tutti e buon martedi!
In attesa della nuova puntata di Teen Wolf ho deciso di pubblicare il primo capitolo, puntualmente come vi avevo detto due settimane fa. Comincio con il dire che spero vi sia piaciuto - ma questa è una banale ovvietà, si sa che ci spero XD 
Abbiamo conosciuto un pochino meglio i fratelli Blackwood, soprattutto Grace, la mia protagonista. Che ne pensate di lei? E dei Blackwood in generale, ovvio. Conosciamo un po' meglio anche Alexander, nonostante sia un personaggio piuttosto complesso e dalla personalità difficile. Ho visto che vi sta piacendo, e ne sono veramente felice. A proposito, Luke è tutto gasato perché lo adorate. Vi ringrazia tanto <3
Cosa ne pensate di Derek? Poverino, è seriamente costipato, il ragazzo. Spero di non essere andata OOC, con lui ^^ ho una fifa tremenda XD
Il finale è piuttosto misterioso... chi sarà il fantomatico lui che cerca di sterminare i Blackwood? Lo scopriremo in corso d'opera, ovviamente :3 

Ringrazio infinitamente chi ha letto e recensito il prologo, nonostante fosse davvero piccino e misterioso. Come vedete, i capitoli non sono lunghissimi, ma preferisco così: i capitoli troppo lunghi sono difficili da leggere, annoiano XD
Detto ciò, vi do appuntamento fra due settimane, miei lupetti <3

Marti

Vi ricordo il gruppo FB dedicato ai miei aggiornamenti, con spoiler, immagini e altro. Ecco il link: 

 
   
 
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