[
part 4: shadows ]
playlist:
back – infinite; come back home (unplugged vrs.) –
2ne1; haru haru – big bang
La notizia di
tanto denaro
rubato finì, naturalmente, su tutti i quotidiani e
telegiornali. Di un colpo
tanto grosso non si era sentito parlare da anni, tant’era che
in città sembrava
non ci fosse un posto che non fosse stato monopolizzato da discussioni
sul
fatto appena accaduto. La Banca Centrale era in subbuglio, la polizia
non
riusciva a trovare tracce che li portassero ai colpevoli, e i cittadini
non
facevano altro che criticare l’incompetenza delle
autorità.
Tutto
ciò non toccava
minimamente quello che era all’interno
dell’officina Kim, che in quei giorni
era rimasta chiusa “a causa di circostanze
straordinarie”. Nel seminterrato, il
frusciare delle banconote chiudeva quella piccola stanza al mondo di
fuori, il
quale sembrava non riguardasse per niente i B.A.P. Due ventiquattrore
di pelle
nera vennero riempite abbondantemente con dieci milioni, poi lasciate
sul
tavolino spoglio. La luce del sole mattutino filtrava in
quell’abitacolo
isolato, illuminando con un bagliore la polvere che volteggiava
nell’aria
secca.
I cinque
membri erano
sparpagliati nella stanza, per quanto il piccolo spazio libero poteva
permetterlo. «Con questi,» disse Daehyun,
richiudendo le valigette, «potremo
salvare Youngjae. Il resto lo useremo per finire di pagare tutto quello
che
dovevamo agli altri.» Dopodiché si
appoggiò sul muro dietro di lui, scivolando
per terra come se non avesse più forza rimasta in corpo.
Rimasero tutti
con lo sguardo
fisso sulle valigette, in silenzio.
L’espressione
sul viso di
Yongguk era dura, più dura di quanto Himchan avesse mai
visto. Gli appoggiò una
mano sulla spalla e, guardandolo negli occhi, gli disse:
«Vedrai che andrà
tutto bene. Non abbiamo mai fallito, e Youngjae ritornerà
sano e salvo, okay?»
L’altro
gli rispose con un
cenno del capo, ma non disse una parola.
La
verità era che Yongguk non
riusciva davvero a rassicurarsi abbastanza. Avendo trascinato tutti i
membri in
quell’operazione, non aveva la minima idea di come
l’avrebbero presa se si
fosse saputo che, in verità, Youngjae era stato fatto fuori
da tempo. Gli
sembrava come se fosse ritornato a tanti anni prima, a quando il
fratello era
caduto in coma–
Il pensiero
gli faceva venire
il voltastomaco, e dovette deglutire numerose volte per mandare
giù i conati di
vomito che stavano salendo nella sua gola.
Pensò
che, molto
probabilmente, nella sua vita precedente aveva fatto cose davvero
crudeli. Ora
le stava ripetendo perché, con una personalità
come la sua, per essere sicuri
di aver toccato veramente il fondo doveva per forza andarci a sbattere
contro.
Adesso aveva
imparato la
lezione, ma c’era un dettaglio che se ne restava
nell’angolo più remoto della
sua psiche, e certe volte non lo faceva dormire la notte. Quel
dettaglio lo
aveva scaraventato sul fondo con forza, e gli faceva desiderare di non
aver mai
saputo quanto potesse far male.
L’aveva
capito tempo
addietro, quando Himchan gli disse che si sentiva inutile nel gruppo,
quando
insegnò al giovane Junhong – Junhong,
così dannatamente innocente e impaurito prima di incontrarlo
– come vincere
effettivamente una lotta a mani nude, quando vide Jongup far pratica
con la
pistola e centrare tutti i bersagli, quando Daehyun gli
confidò il suo sogno, e
quando Youngjae venne rapito, quando
Youngjae venne rapito…
«Sapete,»
disse, richiamando
l’attenzione dei suoi membri, «stavo pensando che,
dopo che avremmo liberato
Youngjae… penso che dovremmo prenderci una pausa.»
I B.A.P
sbatterono le
palpebre, confusi dalle parole del leader, non riuscendo a capire la
ragione
per cui avesse detto ciò. Yongguk si affrettò a
continuare il discorso.
«Andiamo via da qui, cambiamo città, giriamo il
mondo, facciamo qualcosa che–
qualcosa di diverso. Tutto questo è stancante, vero? Quindi
non facciamolo.
Facciamo finta di essere delle persone come tante che hanno una vita
normale.»
Yongguk era
una persona che
non sapeva parlare bene dei suoi pensieri. Ogni cosa che aveva detto
fino ad
adesso non esprimeva nemmeno la metà di quello che avrebbe
voluto veramente
dire; gli risultava difficile e stancante, ma lui avrebbe davvero
voluto che
gli altri sapessero.
Avrebbe voluto
dir loro che
probabilmente era stato un cattivo leader, uno pessimo, probabilmente
il
peggiore che fosse mai esistito. Avrebbe voluto scusarsi per aver
tentato di
raccogliere ciò che era rimasto delle loro vite prima di
essere B.A.P, per
averli trascinati con lui sul fondo, perché loro, a
differenza sua, non
dovevano redimersi da una vita passata.
I B.A.P non
era la loro unica
possibilità, Yongguk ne era sicuro: ci aveva riflettuto un
sacco di volte,
nonostante non ne aveva mai fatto parola. Pensava di averli tolti da un
futuro
incerto, ma non aveva fatto niente per proteggere gli altri dalla cruda
verità
che veniva sbattuta loro in faccia ogni singolo giorno –
nessuno aveva detto
che starebbe stato tanto difficile. I suoi membri lo odiavano? Certo
che lo
odiavano; anche lui si sarebbe odiato, se fosse stato al loro posto.
Invece, i
quattro al suo
fianco lo guardavano con un’espressione apologetica, come se
volessero dire “Ci
dispiace, avremmo dovuto fare di più, avremmo davvero voluto
renderti le cose
più facili”, e lui avrebbe voluto gridar loro di
smetterla perché era lui
quello nel torto ed era lui che li aveva costretti ad una vita del
genere e
diamine come potevano non capire che aveva
solo rovinato la loro vita.
Ma non disse
niente di tutto
ciò. «Non vi sentite stanchi?»
sospirò solamente, sprofondando nella sedia e
guardandoli onestamente negli occhi.
Fu Junhong
– Yongguk ne
temeva l’opinione più di quello di chiunque altro
nella stanza, perché probabilmente
era la sua, la vita che aveva rovinato soprattutto – il primo
ad avere il coraggio
di parlare. «Una volta,» disse, «ricordo
che mia madre mi aveva detto che avrei
dovuto riconoscere quando una persona è brava o meno. E
conoscendoci da così
tanto tempo, posso dire che tu, hyung, lo sei.» Gli
lanciò un mezzo sorriso. «È
vero che le cose che facciamo sono lontane dall’essere buone,
ma tu sei davvero
una brava persona. E io non mi sento stanco, sul serio.»
«Sono
d’accordo con Junhong,»
si aggiunse Jongup. «Lasciatelo dire, hyung, sei tu quello
più stanco di tutti.
Ti preoccupi di troppe cose. Se vuoi che smettiamo di avere questa
vita, noi ti
seguiremo fino alla fine del mondo perché siamo noi quelli
che hanno deciso di
fare tutto questo.»
Lo sguardo
duro di Yongguk si
sciolse impercettibilmente. Era sopraffatto da come ciecamente i suoi
membri
riponevano la loro fiducia in lui. Sentì il cuore
restringersi di più nel
petto, quella sensazione fu tanto realistica che gli sembrò
che fosse successo
fisicamente per davvero.
La sua voce
era un grave
sussurro, mentre li guardava con scetticismo. «Come potete
dire così dopo tutto
quello che abbiamo passato come B.A.P? Non posso non esservi sembrato
una
persona orribile.»
Junhong
scrollò le spalle
lievemente, come se quella fosse la cosa più semplice del
mondo. «Istinto,» rispose
con semplicità.
«Più
precisamente,»
intervenne Daehyun, «proprio perché ne abbiamo
passate tante, ora possiamo dire
tutto questo.» Gli altri furono d’accordo con lui.
«E,
hyung, ricordati che
siamo stati noi a decidere di affidarci a te. Se tu sei orribile, lo
siamo
anche noi, non pensi?» disse Junhong.
Il leader li
stava guardando
ancora con incredulità quando Himchan parlò.
«Eh, hai sentito i bambini,»
disse, alzando una spalla. «Ti seguiremo anche se non vorrai,
fine della
storia. Quindi, dopo questa, i B.A.P saranno solamente un
ricordo.»
I B.A.P
saranno solamente un
ricordo.
Yongguk
guardò le valigette
nere posate sul tavolo. Non era del tutto sicuro che avrebbe
funzionato, ma
valeva la pena provarci. Sperò che Youngjae avrebbe
accettato di andare con
loro, sperò che non avrebbero sprecato
quell’occasione e che non avrebbe fatto
passi falsi. Per ora, la loro priorità era fare altre cose
cattive. Per ora,
non era bene guardare più in là, nei piani
futuri. Era troppo pericoloso.
Con lo sguardo
ancora cupo,
Yongguk si alzò dalla sedia ed uscì dalla stanza,
sotto lo sguardo irrequieto
dei suoi altri membri. Non era ancora del tutto sicuro di tutto quello.
La prima volta
che Yongguk vide Youngjae fu ad un torneo di street
fight che i B.A.P avevano organizzato, in collaborazione con le Secret.
Tra il
pubblico in trepidazione, eccitata per gli incontri, nella
speranza di vincere le scommesse fatte, Yongguk aveva visto Youngjae,
con la
schiena appoggiata alla parete ed il volto pallido illuminato
debolmente dalle
luci dell’arena di fronte a loro. «Sapete cosa
penso?» aveva chiesto a lui e a
Jongup, indossando un sorriso sbieco sulle labbra. «Uno di
loro sta prendendo
qualcosa.»
Volse il mento
verso uno dei due sfidanti che si stava preparando
per entrare nella gabbia. Yongguk guardò prima questi, poi
Youngjae, che gli
rivolse un’occhiata illeggibile. «Chiedere per
crederci,» aggiunse in tono
casuale.
Più
tardi, quando chiese a Himchan, che arbitrava gli scontri, di
fare qualche controllo, si scoprì che il ragazzo che lo
aveva messo in guardia
aveva ragione. Quando tuttavia lo cercò per ringraziarlo e,
magari, per
offrirgli da bere, lui non si trovava più da nessuna parte.
Jongup, che Yongguk
aveva incaricato di tenerlo d’occhio, disse che non sapeva
nemmeno quando se ne
fosse andato. Yongguk si dimenticò presto di lui.
La seconda
volta che Yongguk incontrò Youngjae fu
all’officina Kim
il mese successivo, un ventoso pomeriggio di ottobre.
Daehyun e
Yongguk, che si stavano occupando di alcune armi che si
erano procurati qualche giorno prima, stavano uscendo dal seminterrato
quando
lo videro nell’atrio dell’officina ad osservare i
suoi dintorni. Yongguk lo
guardò strizzando gli occhi, interrogativo, ma il ragazzo
gli rivolse di nuovo
quello sguardo misterioso e portò un dito alle labbra
incurvate in un sorriso,
indicandogli di non dire niente. Daehyun scoccò ai due
un’occhiata confusa
quando Himchan alzò gli occhi dalla moto che stava
controllando.
«È
solo qualcosina fuori posto, niente che non si possa
risolvere,»
disse al ragazzo con un sorriso. «La tua piccola
ritornerà come nuova in
mezz’ora. Puoi farti un giro qui attorno mentre aspetti, o
rimanere qua. Fai
come ti è più comodo.»
«Allora,
penso che rimarrò qua a guardare, se non ti
dispiace.»
Il meccanico
scrollò le spalle. «Come vuoi.» Poi, si
rivolse a
Yongguk. «Bbang, portagli qualcosa da bere.»
Presto Himchan
finì la manutenzione della moto di Youngjae, che se
ne andò dopo aver pagato, ringraziandolo per la
disponibilità. Daehyun chiese a
Yongguk se si conoscessero, e lui rispose di averlo incontrato al
torneo
organizzato con le Secret. Sia Himchan che Daehyun annuirono in
silenzio,
decidendo di tenerlo d’occhio nel caso si ripresentasse in
qualsiasi altra
occasione.
La terza volta
che Yongguk conobbe Youngjae fu un paio di settimane
dopo, in una sera di inizio novembre.
Un acquazzone
era sceso dal cielo, infradiciando l’asfalto e
rendendo l’aria più fredda di quanto lo fosse
già. I B.A.P stavano aspettando
Junhong, quando questi arrivò in officina zuppo
d’acqua nonostante avesse
aperto l’ombrello, trascinando con sé un Youngjae
incosciente.
«L’ho
trovato qui vicino, a terra,» si giustificò
Junhong, quando lo
fece stendere sul pavimento e tutti gli altri membri si raggrupparono
attorno a
loro. «Non sapevo cosa ci facesse lì, ma non mi
andava nemmeno di lasciarlo
sotto la pioggia.» Gli passarono un asciugamano e si
affrettarono a portare
Youngjae più all’interno, al riparo dal freddo.
Youngjae aveva
parecchi lividi su tutto il corpo, e il sangue
incrostato sul suo viso non era stato ancora lavato via dalla pioggia;
la sua
espressione era contratta in una lieve smorfia di dolore. Lo
trascinarono di
peso al secondo piano, e lo lasciarono, ancora zuppo d’acqua,
sul divano rosso
(«Se la pelle di rovina, ve ne faccio comprare uno
nuovo,» li minacciò
Himchan).
«Cosa
ne facciamo di lui?» chiese Daehyun in tono serio, dopo che
si
furono riuniti dall’altro lato del piano. Sperarono che
Youngjae non si fosse
svegliato e stesse origliando la loro conversazione, nonostante
stessero quasi
bisbigliando.
«Hyung,
non parlare di lui come se fosse un oggetto da buttare,» gli
rispose Jongup, aggrottando le sopracciglia.
L’altro
fece una smorfia poco convinta, assottigliando gli occhi.
«Ci conosce. Sa cosa facciamo. L’ultima cosa che
voglio è che spifferi tutto in
giro, se non l’ha già fatto.»
Himchan
annuì. «Sono d’accordo. Non avevamo
detto di doverlo tenere
bene sott’occhio?»
I membri
rimasero in silenzio per un po’, decidendo sul da farsi.
Poi Jongup suggerì: «Quando si sveglia,
interroghiamolo. Non vedo altra
soluzione, francamente.»
Daehyun
guardò Zelo, scoccandogli un’occhiataccia.
«Avresti
semplicemente dovuto lasciarlo per strada, Junhong,» gli
sibilò, «avremmo
potuto evitare tutto questo.»
Prima che
l’altro potesse ribattere, Yongguk lo precedette, evitando
un’eventuale discussione tra i due. «No, va bene
così. Sono anche curioso di
sapere come è finito così e come ha fatto
l’altra volta a sapere che uno dei
lottatori era dopato.»
Himchan gli
rivolse un’occhiata d’avvertimento.
«Potrebbe mentire.
Dobbiamo stare attenti a cosa gli chiediamo.»
«In
quel caso,» rispose Yongguk, «non avremmo altra
scelta che
credergli.»
«O
fargli pensare che gli crediamo,» corresse Jongup.
«Se ce lo
facciamo amico per un po’, potrebbe pensare che abbiamo
abbassato la guardia. E
se in quel caso avesse altre intenzioni in mente, lo faremo fuori. Cosa
ne
pensate?»
Daehyun
alzò la mano quasi immediatamente. «Io propongo di
farlo
fuori già adesso.»
«No,
non essere tanto drastico,» disse Yongguk.
«È una questione che
dobbiamo maneggiare con attenzione. Ucciderlo è troppo, ed
essere avventati non
è nel nostro stile.»
Lo sguardo di
Daehyun si rabbuiò ancora di più, ma non disse
nient’altro, sapendo che non avrebbe potuto discuterne ancora
con Yongguk. Gli
altri decisero che quello sarebbe stato il loro piano, nonostante
Himchan la
pensasse più o meno come Daehyun.
Passò
un po’ di tempo prima che Youngjae si svegliasse. I membri si
affrettarono a raggiungerlo appena quello si mise a sedere sul divano.
Li
scrutò uno ad uno in silenzio, senza la minima traccia
amichevole nel suo
sguardo. Poi un lato delle sue labbra si alzò con sarcasmo.
«Grazie per
l’accoglienza. Mi date ancora da bere?» chiese.
Quando vide che gli altri
cinque lo guardavano ancora dall’alto al basso, impassibili,
scrollò le spalle.
Una lieve smorfia di dolore passò sul suo viso quando fece
ciò.
«Il
tuo nome?» domandò Yongguk, continuando ad
osservarlo con
freddezza. Youngjae gli mostrò invece un sorriso enigmatico.
«Non
ho alcun motivo per rispondere,» rispose casualmente.
«Sei
da solo, mentre noi siamo in cinque. Credo che questo sia
davvero un buon motivo per dirci il tuo nome,» disse Daehyun.
Il ghigno di
Youngjae si fece ancora più largo, sebbene i suoi
muscoli facciali gli facessero un male atroce. Ignorò il
dolore. «In effetti,
mi chiedevo perché non l’abbiate ancora fatto. E
non facciamo finta, ora. Sapete
bene tanto quanto me che potrei bellamente andare a raccontare in giro
le
vostre meravigliose gesta.»
Ancora una
volta, non ricevette alcuna reazione da parte degli altri
cinque. Nonostante ciò, Youngjae continuò il suo
discorso in tono rilassato.
«Sappiate che, per ora, non ho alcuna intenzione di dirvi il
mio nome, né di
raccontarvi cosa faccio o perché adesso sono in questo
stato. Ma rilassatevi,
non ho niente contro di voi. Anzi, vi ringrazio per non avermi lasciato
a morire
sul ciglio della strada.»
Li
guardò negli occhi una seconda volta, mentre un silenzio li
avvolgeva. Youngjae si permise, allora, di essere più
confidente e sfacciato.
«Scommetto che non sapete che farvene di me, vero?»
chiese, con un leggero
divertimento nel tono. «Bene, perché ho una gran
bella proposta per voi che
risolverà questo problema.
«Lasciate
che lavori con voi per un po’ di tempo, fino a quando non
finirò di occuparmi di una piccola questione personale. In
cambio, vi dirò il
mio nome e la ragione per cui sono qui.»
I membri lo
guardarono con sospetto. Era vero che dovevano ancora
decidere sul da farsi, ma arrendersi a lui? Oh, quello era fuori
questione. Non
poteva semplicemente rigirare il piano che avevano deciso di mettere in
atto
tanto semplicemente.
«Cosa
ci guadagneremmo noi?» chiese Zelo, incrociando le braccia ed
alzando un sopracciglio.
Youngjae gli
sorrise, affabile. «Oh, non immaginate quanto. Vi
aiuterò in tutto quello che vorrete, sia qui in officina che
nei vostri
affari.» Alzò una mano e con l’indice si
picchiettò un paio di volte la tempia.
«Non sottovalutate questo cervello. Ho delle succulente
informazioni
immagazzinate dentro, e conosco i giusti modi per far affari. Vi
sarò d’aiuto
più di quanto pensiate. E credetemi, quando vi dico che non
ho alcuna ragione
per mentirvi: sono un codardo, e vorrei solo salvarmi la pelle, tutto
qui.»
Yongguk lo
guardò negli occhi. Sapeva che il resto dei suoi compagni
avrebbe semplicemente seguito quello che avrebbe deciso, anche nel caso
fossero
stati in disaccordo. Youngjae era tranquillo, ed aspettava
pazientemente la
loro risposta, ancora seduto sul divano. Yongguk rifletté
sulle sue parole,
dicendosi che il loro obiettivo era, comunque, farselo amico. E
pensò che
sarebbe stato interessante osservare i suoi movimenti da vicino.
«Bene,
ci sto,» gli rispose infine. Sentiva lo sguardo perplesso di
Daehyun su di sé, ma lo ignorò. Ne avrebbe
discusso con lui più tardi.
Youngjae
sembrò più che felice di sentirglielo dire, dal
gran
sorriso che gli lanciò. «Fantastico,»
disse con entusiasmo.
Himchan
assottigliò gli occhi alla sua reazione. «Frena un
attimo.
Sappi che se tenti di fare qualcosa, puoi dire addio al mondo.
Intesi?»
Youngjae gli
fece un cenno di assenso, alzando le mani. «Afferrato.
E, comunque, non ho davvero niente contro di voi, promesso.»
Successivamente,
allungò la mano verso Yongguk. «Allora, affare
fatto?»
Il leader
gliela afferrò. «Affare fatto. Ora, rispetta la
tua parte
del patto.»
L’altro,
divertito, emise una bassa risata. «Yoo Youngjae, al vostro
servizio.»
Himchan
accostò la macchina
al marciapiede e sostò, spegnendo poi il suo motore. La
notte era silenziosa
attorno a loro, e se avessero ascoltato attentamente, avrebbero sentito
i primi
grilli estivi cantare. A pochi metri dal veicolo, il mare era calmo.
Pochi
flutti ne increspavano la superficie, con le onde scroscianti che
battevano
contro il molo, mentre il cielo era costellato da invisibili stelle.
Tutto era
tranquillo.
I B.A.P
scesero dall’auto senza
dire una parola. Un’aria fresca inusuale li avvolse,
impregnato dell’odore
salato del mare a pochi passi da loro, tuttavia non erano lì
dove erano
diretti.
L’entrata
al passaggio
sotterraneo era sbarrata da un paio di nastri. I B.A.P sapevano che la
stazione
era dimenticata, ma non inutilizzata. I cinque membri scesero le scale,
entrando facilmente nella struttura buia in cui avevano messo piede
già
precedentemente. Tuttavia, mai si erano sentiti tanto coscienti di
ciò che
avrebbero fatto quanto questa unica volta.
Le poche luci
mal funzionanti
illuminavano debolmente la loro via. Sparse sul pavimento vi erano
casse di
legno, contenitori di vernice inutilizzata e spazzatura di ogni tipo,
da carte
logore a lattine di alluminio e bottiglie di vetro. L’odore
di cemento e stucco
circondava il tutto, facendo sembrare l’aria soffocante
nonostante facesse più
freddo che in superficie.
Dopo aver
percorso un paio di
metri, il gruppo si trovò di fronte ad una seconda rampa di
scale. Fu lì che un
po’ di esitazione si presentò. Yongguk, che
guidava il resto dei membri, si
voltò verso loro e li guardò uno ad uno. Le
lampade che penzolavano dal soffitto
proiettavano su di loro una brutta, pallida luce biancastra.
Notò con la coda
dell’occhio il tremore delle mani di Zelo, e si
sentì in colpa per pensare di
non essere l’unico nervoso (e forse terrorizzato) in quel
momento.
Si
trovò, per la prima volta
in tutti quegli anni che aveva guidato i B.A.P, senza sapere cosa dire
ai suoi
compagni prima di entrare in azione. «Pronti?»
chiese semplicemente, al quale
loro risposero con un cenno del capo, lo sguardo truce. Yongguk decise
di
lasciar stare, e si voltò nuovamente verso le scale.
Le scesero in
silenzio,
ignorando cosa li aspettava. Quando misero piede sulla piattaforma
della
fermata inutilizzata, i COB.ra erano già lì ad
aspettarli. Fermandosi di fronte
a loro, i B.A.P videro Youngjae in fondo al gruppo con il corpo piegato
in
avanti, ma il viso sofferente era alzato verso la loro direzione. La
luce
sporca della lampada faceva sembrare le sue ferite persino peggiori di
quanto
ricordassero dai filmati a loro mandati. I suoi occhi erano stanchi,
provati.
Yongguk soppresse a stento la voglia di strapparlo dalle mani dei loro
nemici.
Haejong era
davanti a Youngjae,
con un ghigno beffardo sulle sue labbra. I B.A.P non commentarono,
sebbene
tremassero impazienti all’idea di staccargli la testa e di
strappargli le
viscere dal corpo.
L’altro
leader era all’oscuro
dei loro pensieri, ma decise di non perdere altro tempo in inutili
scambi
visivi. «I soldi?» chiese, senza altri convenevoli.
Jongup, che teneva le due
valigette stipate di denaro, le passò a Yongguk senza dire
alcuna parola. Il
leader alzò le alzò per farle vedere bene
all’altro gruppo, lasciandole poi
cadere per terra. Le due ventiquattrore batterono sul cemento,
risuonando in un
sordo tonfo che echeggiò per le gallerie della stazione.
Haejong
istruì uno dei suoi tirapiedi
a recuperare il denaro. L’uomo si avvicinò
velocemente alle due valigie,
prendendone una e scoprendone il contenuto. Le banconote erano
riordinate in
delle perfette fila. Dopo aver ricevuto un altro cenno dal suo capo,
ritornò da
lui con il loro bottino stretto nelle mani.
«Hai
quello che vuoi ora,
lascia andare Youngjae,» ordinò in tono duro
Yongguk, sperando di finire al più
presto quello scambio. Si aspettava che Haejong gli lanciasse un altro
dei suoi
sorrisi maligni, domandando qualcos’altro da loro, come aveva
sempre pensato sarebbe
andata. Ma non successe.
«Certo,»
rispose invece,
prendendo Youngjae per la collottola della sua camicia sporca e
tirandolo verso
i suoi compagni, «tutto vostro.»
Yongguk sapeva
che avrebbe
dovuto continuare a stare all’erta, ma non riuscì
a sentire la tensione
lasciare il suo corpo. Sentì Daehyun tirare un sospiro
mozzato dietro di lui e
Zelo fare un minuscolo passo in avanti. Tutti i membri dei B.A.P
sentirono come
se fosse stato levato un gran peso dalle loro spalle.
Youngjae si
trascinava
barcollando verso i suoi compagni, con un sorriso sulle labbra spaccate
e
sanguinanti, e gli occhi tenuti a stento aperti. Yongguk e gli altri
membri
iniziarono ad avvicinarsi a lui, desiderando ardentemente di ritornare
finalmente
insieme, di proteggerlo dal male del mondo.
Poi un botto.
La maglietta di
Youngjae iniziò a colorarsi di rosso all’altezza
del suo torace.
I B.A.P
rimasero storditi per
qualche istante dal suono assordante. Guardarono prima Youngjae, poi
l’uomo
vicino a Haejong che aveva la pistola puntata verso di loro, poi di
nuovo
Youngjae, e di colpo misero i pezzi insieme.
Il boato
risuonava
crudelmente nelle loro orecchie – possibilmente, si fece
persino più forte –
mentre Youngjae li guardò uno ad uno negli occhi,
realizzando lentamente la
situazione, strozzandosi nel suo stesso sangue che ora stava risalendo
dai suoi
polmoni nella sua trachea, sgorgando fuori dalle sue labbra. Vide i
suoi
compagni immobili, con gli occhi sgranati, increduli; quella vista era
raccapricciante. Poi le sue gambe non riuscirono più a
sostenere il suo peso, e
crollò sul duro e freddo cemento. Non si mosse
più.
I B.A.P
rimasero impietriti
per alcuni secondi, presi dallo shock. I loro occhi erano incollati a
Youngjae
che era steso per terra, con una pozzanghera di sangue che cominciava a
fiorire
sul cemento. Successivamente, spostarono lo sguardo su i COB.ra di
fronte a
loro.
Poi
l’inferno scoppiò.
Yongguk fu il
primo a
muoversi. Allungò la mano nel suo cappotto, e dalla cintura
sfilò la sua
pistola. Con un grido strozzato, cominciò a premere il
grilletto verso il
gruppo nemico, riuscendo a colpire alcuni uomini, e Haejong sulla gamba.
Tuttavia, la
sua performance
non durò molto, dal momento che anche i suoi avversari
avevano preso le armi e
ora stavano sparando esclusivamente a lui. Con poche pallottole
affondate nel
corpo, si accasciò per terra con un grave grugnito,
lasciando andare la presa
sulla sua arma.
Mentre gli
altri membri erano
andati a ripararsi dietro le travi e le casse che si trovavano
fortunatamente
vicini a loro, Zelo si era bloccato alla vista del suo hyung crollare.
Disorientato ed improvvisamente impaurito, si affrettò al
fianco del leader
tentando di rialzarlo, tra i colpi frastornanti delle pistole e le urla
dei
suoi altri compagni – «Junhong, stupido, spostati
da lì!», «Via da lì,
Junhong!», «Ti farai uccidere, cazzo!»
– alle cui lui rispondeva con grida
tremanti – «No! Yongguk hyung– lui
è– non posso–».
Il secondo a
cadere fu
Daehyun. Ripresosi dalla situazione scioccante, sentiva la rabbia
ribollire nel
suo corpo, e si disse che a quel punto non avrebbe potuto
più perdere niente,
uscendo dal suo riparo. Impugnava due pistole mentre avanzava tra i
suoi
compagni senza esitazione, ululando per il male sentito al suo cuore
(era come
se glielo avessero squarciato in due parti). La sua mira in quel
momento non
era delle migliori; non riusciva a vedere al di là della sua
sete di vendetta,
ma riuscì ad uccidere qualche paio di uomini prima di essere
colpito da
innumerevoli pallottole nel petto. Il suo corpo scosse violentemente
prima di
afflosciarsi per terra, formando una piccola pozza di sangue.
Fu la volta di
Jongup. Zelo
ancora non intendeva muoversi dalla sua posizione, sebbene avesse
cominciato ad
imitare i suoi hyung con esitazione. Venne strappato via dal corpo
insanguinato
di Yongguk da Jongup, che mirava ancora con la sua solita
meticolosità ed
uccideva con colpi mortali, nonostante i suoi pensieri fossero gli
stessi di
quelli di Daehyun poco prima. Questo non lo seppe mai,era troppo
impegnato a
digrignare i denti e ad odiare con tutto sé stesso quei
bastardi che avevano
osato spezzare la sua famiglia. Poi uno sparo alla sua tempia ed uno al
suo
cuore, e tutto finì.
Con quattro
dei suoi compagni
più anziani ormai morti, Zelo non ebbe più tempo
di esitare. Non aveva idea di
cosa pensare, solo il ricordo lontano di Yongguk e Jongup
nell’angolo della sua
mente ripetergli “Puntare e sparare; facile,
giusto?” come un disco rotto. Era
un’azione automatica e meccanica, ripetuta già
infinite volte, eppure la
pistola si era fatta mille volte più pesante del solito.
Quando si sentì
l’addome ed un polmone bruciare, pensò che avrebbe
davvero voluto che i B.A.P
non finissero in quel modo.
La stazione
era diventata
incredibilmente più silenziosa. L’ultimo rimasto
fu Himchan, che uscì da dietro
le travi appoggiate al muro e puntò diligentemente la sua
pistola sui suoi
avversari, sparando i suoi ultimi colpi. Non era del tutto sicuro di
cosa
sarebbe rimasto di lui, se fosse davvero sopravvissuto senza i suoi
membri. Ma
non gli fu necessario pensarci. Un paio di spari dopo, sentì
la sua trachea
esplodere e subito dopo il suo cuore si contrasse, squarciati entrambi
da due
pallottole. Vomitò sangue quando il suo corpo
colpì terra, poi fu il buio.
Tutto rimase
immobile per
qualche secondo. L’odore della polvere da sparo
nell’aria si stava mischiando
lentamente con quello del sangue, che ora tingeva il cemento con
sinistre
figure color carminio. I corpi raggruppati in due diverse masse
giacevano a
terra, inermi.
Quando tutto
sembrò sicuro,
Haejong si alzò lentamente dal suolo. Si guardò
intorno per assicurarsi che
nessuno fosse ancora vivo, e allungò le mani verso le due
ventiquattrore piene
di denaro, da lungo abbandonate. Strisciando la gamba ferita, si
diresse con
fatica verso l’uscita.
Tuttavia,
Yongguk ancora non
voleva dargliela per vinta. Guardò il viso di Youngjae a
poche decine di
centimetri dal suo; i suoi occhi ancora aperti erano adesso vitrei, e
il suo
corpo era caduto in una posizione grottesca e scomoda, ma come potrebbe
un
morto saperlo? Come potrebbe un morto sapere di essere tale?
Yongguk non
aveva tempo per
pensarci. Con l’ultimo briciolo di forza che gli era rimasto,
prese la pistola
cadutagli pochi minuti prima. Il suo corpo indolenzito
protestò con forza per
il dolore allucinante quando si mise in ginocchio. Aveva il respiro
corto e gli
girava la testa; era esausto, avrebbe voluto semplicemente lasciar
stare, ma
aveva altre intenzioni. Mirò la canna della sua pistola come
meglio poté alla
testa di Haejong, che stava tentando di andarsene da lì, e
premette il
grilletto.
Il rinculo gli
sembrò
talmente forte che credette di essersi slogato una spalla, ma non
importava.
Ciò che importava era che Haejong, colpito al torace, era
crollato sul
pavimento. Yongguk ascoltò per qualche minuto i suoi gemiti
strozzati di
dolore, fino a quando il silenzio regnò nuovamente
– questa volta, niente si
mosse più. Preso dalle vertigini per aver perso troppo
sangue, il leader dei
B.A.P poté finalmente rilassarsi. Chiuse gli occhi.
Prima che le
forze
dell’ordine arrivassero sul luogo, passò
più di un giorno. Allora, non
trovarono più nessuno che potesse raccontare loro le
dinamiche della
sparatoria, neanche se lo volessero. Una massa di cadaveri era
l’unica cosa che
rimaneva.
Yongguk
aprì gli occhi, e si trovò avvolto da un mare di
bianco.
N/A:
SBAM. Non vi
aspettavate che finissi così, eh? Cosa sta succedendo?
Leggete l’ultimo
capitolo per scoprirlo! (Sembro la presentatrice di un prodotto
casalingo lmao)
Alla
fine ho deciso di dividere la quarta parte in due, perché
era
venuta davvero troppo lunga. Questo non vuol dire che siano due
capitoli a se
stanti! È davvero un capitolo unico. Dovrebbe essere letto
insieme (ma io vi
faccio aspettare perché sono la persona peggiore del mondo).
Avrei voluto aggiornare ieri, ma avevo perso la mia chiavetta USB aka la mia intera vita. Dentro ho tutti i miei progetti scolastici, fanfictions, foto e quant’altro, e ho praticamente messo sottosopra la mia casa. Ero disperata come mai ero stata. Solo tipo due ore fa ho scoperto che era nella tasca di un paio di jeans che avevo messo a lavare in lavatrice. È un miracolo che funzioni ancora. Cara chiavetta, prometto di non perderti più per il resto della vita, di amarti ed onorarti, finché morte non ci separi.
Due parole sulla playlist: appena ho sentito la nuova canzone degli Infinite, mi sono subito detta: Questo è un brano perfetto per il capitolo. E poi ho riscoperto il mio amore per Haru Haru e ho pensato la stessa cosa. La versione unplugged di Come back home era un must, dai. Penso sia qualcosa di stupendo.
Vorrei
ringraziarvi per seguire e recensire questa inutile storia lmao.
Credevo
avrebbe avuto un successo mediocre con tipo zero recensioni ahahha
grazie mille
sul serio sob
Rainie