Capitolo
uno
“Davanti
al
dolore non ci sono eroi.”
—George
Orwell
Il
ragazzo mi sta ancora stringendo quando domanda «Come ti
chiami?».
Alzo
la testa dal suo petto muscoloso e lo guardo negli occhi.
«Harmonie,
Harmonie Stevenson.» rispondo quasi balbettando.
I
suoi occhi mettono soggezione, ma non riesco a distogliere lo sguardo.
È la
prima volta dopo tanto tempo che riesco a mantenere un contatto visivo
prolungato con qualcuno, senza abbassare gli occhi.
«Io
mi chiamo Harry.» mi rivolge un altro magnifico sorriso ed io
sono costretta ad
abbassare di nuovo il capo. Arrossisco.
Mantengo la testa bassa finché non sento il calore alle
guance dissolversi.
«Ora
sei più calda?» domanda.
Annuisco
contro il tessuto della sua maglietta.
Il
rumore di un’auto si aggiunge allo scrosciare della pioggia.
Alzo la testa e
vedo una mini rossa procedere lenta sull’asfalto.
All’interno riconosco una
figura familiare.
Louis.
Sta
scrutando la strada, in cerca di qualcosa. O
qualcuno.
Sposta
lo sguardo verso la mia direzione e sul suo volto compare
un’espressione di
puro stupore.
Resta
a fissarmi per qualche minuto, ancora sotto shock.
Mi
libero dalla stretta di Harry e mi alzo in piedi.
Sono
felice di vederlo. È venuto a prendermi, è venuto
per me. Mia madre deve averlo
avvisato.
Al
pensiero di mia madre, il mio sorriso si spegne improvvisamente.
Louis,
intanto, si è finalmente deciso a scendere
dall’auto e a camminare a grandi
falcate nella mia direzione.
È
molto preoccupato e appena è a pochi centimetri da me, mi
stringe in un grande
abbraccio.
Dopo
un po’ di esitazione, decido di non stare più
ferma impalata e lo abbraccio a
mia volta.
Appoggio
il capo nell’incavo del suo collo e inspiro a pieni polmoni
il suo profumo,
reso più intenso dalla pioggia.
Sa di
vaniglia e zucchero filato: il profumo di Louis è il mio
preferito. Mi sento a
casa, quando lo inspiro e mi fa ricordare i giorni in cui eravamo
ancora
bambini e suo padre ci portava alle giostre.
Louis
mi lascia un bacio sulla tempia sinistra, per poi sussurrare
«Mi hai fatto
preoccupare, piccola.».
Strofino
il naso, gelido, sulla pelle umida del suo collo e mormoro un flebile
«Scusami,
Lou.»
Mi
ricordo di non essere sola e sciolgo l’abbraccio, girandomi
verso la fermata
dell’autobus.
Il
ragazzo di prima, Harry, sta osservando il tettuccio della fermata: ha
le gote arrosate,
molto probabilmente imbarazzato da quella scena.
Mi
schiarisco la voce.
«Vuoi
un passaggio?» domando imbarazzata.
La
pioggia è diminuita nel giro di pochi minuti, come capita
spesso in estate, ma
non mi va di lasciare quel ragazzo lì, da solo, tutto
bagnato.
Scuote
la testa e la abbassa, rivolgendomi un altro sorriso.
«No,
no, non serve ma grazie.»
Ricambio
il sorriso e insisto «Sicuro? Per noi non è un
problema.»
Scuote
la testa convinto.
«Bene,
allora, vi vediamo in giro.»
Sorrido
ancora una volta e prendo la mano Louis, dirigendomi verso
l’auto, ancora in
moto.
Salita
in macchina, continuo a osservare quel ragazzo, fin quando giriamo
l’angolo e
lui scompare dalla visuale.
Decido,
allora di appoggiare la testa contro il finestrino e incomincio a
osservare la
striscia bianca che scorre velocemente accanto a noi.
Da
quando siamo saliti in macchina, Louis non ha proferito parola.
Continua a
osservare la strada davanti a sé. Ogni tanto boccheggia,
come se volesse dire
qualcosa, ma dopo riassume un’espressione concentrata.
Dopo
un paio di minuti passati ad ascoltare lo sfrecciare delle auto accanto
a noi e
il rumore degli schizzi delle pozzanghere, attraversate dalle gomme
della mini,
Louis mi rivolge un’occhiata.
«Momi,
se senti freddo, dietro ho una felpa.» al suono del mio
soprannome, sorrido.
Dopo
aver slacciato la cintura, mi giro sul sedile e allungo il braccio
verso i
sedili posteriori.
Afferrata
la felpa, ritorno alla mia posizione iniziale.
Il
tessuto è caldo rispetto alla mia pelle fredda e umida e
m’inonda subito con
quel profumo familiare.
«Grazie,
Lou.» mi volto verso di lui.
Lui
non si volta e riprende a parlare, dopo essersi passato una mano fra i
capelli «Da
quando ti fai abbracciare dagli sconosciuti?»
«Sentivo
freddo e lui si è offerto di riscaldarmi.» mi
giustifico, alzando lievemente le
spalle.
Ghigna
ed io gli lancio un’occhiata interrogativa.
L’auto
si ferma al semaforo rosso e Louis ne approfitta per voltarsi verso di
me.
«A
volte non abbracci neanche me e oggi ti fai abbracciare da uno
sconosciuto.»
cerca i miei occhi mentre parla, gesticolando. Ci guardiamo negli occhi
per
qualche secondo, poi abbasso la testa.
Il
rumore di un clacson ci interrompe e ci accorgiamo che la lucetta del
semaforo
è diventata verde.
Louis
mi sorride lievemente e riprende a guidare.
«Come
mai sei scappata?» cambia discorso, e gli sono grata
perché non saprei come
rispondere all’affermazione di prima.
Appoggio
di nuovo la testa al finestrino e sbuffo.
«Ti
ha chiamato lei?» chiedo.
Ricordo
quando, qualche mese fa, chiamava Louis o Niall per farmi venire a
cercare.
Finiscono
sempre così le nostre litigate: lei mi urla contro ed io
scappo da casa, per
sbollire la rabbia.
Niall
è il mio fratellastro –quando avevo cinque anni,
mia madre si è sposata con Bobby,
il padre di Niall. Così siamo andati tutti a vivere da lui-.
Voglio bene a
Niall: siamo stati cresciuti insieme, come dei veri fratelli.
«Mi
ha detto che eri scappata. Di nuovo. Perché non mi hai
chiamato?»
Tiro
fuori il telefono dalla tasca della camicia, appallottolata sulle mie
gambe «Telefono
scarico.»
«Mi
fai morire.» sbotta nervoso. «Ma ti voglio comunque
un bene dell’anima.»
Sorrido
«Anch’io Lou, anch’io.»
**
Sento
Louis gridare, ma non capisco cosa dice.
Do
un’occhiata schifata alla televisione, dove sto
‘guardando’ un film
strappalacrime orribile, e abbasso il volume.
«Cos’hai
detto?» urlo di rimando.
Louis
compare dal corridoio che conduce alla sua camera, con una pila di
vestiti in
mano.
«Ho
detto che, se vuoi, puoi fare un bagno caldo. Sarai ancora
congelata.» mi
sorride «E questi sono dei vestiti asciutti.» dice
appoggiando gli indumenti
accanto a me.
Ho
sempre amato mettermi le sue cose: sono grandi e tengono caldo.
Gli
sorrido e mi alzo dal divano di pelle nera, per dirigermi verso il
bagno, non
prima di aver afferrato quello che mi aveva portato e avergli stampato
un bacio
sulla guancia.
Mentre
faccio scorrere l’acqua della doccia, per farla diventare
abbastanza calda, mi
spoglio dei miei vestiti umidi.
Rivolgo
uno sguardo allo specchio: i capelli, chiari e scoloriti, sono
appiccicati ai
lati del mio viso e resi crespi dalla pioggia. Non sono molto
presentabile ma
non m’importa.
Mi
volto ed entro nella doccia, lasciandomi colpire dal getto bollente
dell’acqua.
Sussulto
a quell’improvviso contatto, ma subito mi abituo al cambio
della temperatura.
M’insapono
la testa con lo shampoo di Louis e inizio a cantare, mentre mi
massaggio i
capelli.
POV.
LOUIS
Appena
Harmonie entra in bagno, afferro il telefono e compongo il solito
numero.
«L’hai
trovata?» chiede subito una voce dall’altro capo
del telefono.
Mi
sdraio dove prima c’era la ragazza, prima di rispondere.
«Sì,
certo, l’ho trovata. L’ho trovata abbracciata a uno
sconosciuto.» inizio
nervosamente a giocare con l’orlo della felpa che avevo
indossato poco prima.
Mi
c’è
voluto molto per entrare nel cuore di Harmonie, mesi e mesi di rifiuti
e
freddezza. E ho faticato ancora di più per avere il rapporto
che abbiamo
adesso. Lo ammetto sono geloso di quel tipo. Sono geloso
perché a lui ci sono voluti
solo un paio di minuti per abbracciarla, quando a me ce ne sono voluti
mesi.
Lei
è
la mia Harmonie, la ragazza che
vuole
bene solo a poche persone, e per fortuna io sono fra quelle.
«Abbracciata
a un tipo?» anche lui sembra sorpreso da fatto,
«Ora l’importante non è
questo.»
Produco
un mugolio di assenso e annuisco, capendo cosa voglia dire.
«È
tutta colpa di sua madre, se è scappata.» continuo
a giocherellare nervosamente
con la mia felpa e inizio a battere un piede sul tessuto del divano.
«Lo
so, Lou, lo so.» la voce del ragazzo s’incupisce,
«Lo sai che voglio portarla
lontano da quella casa, e soprattutto da sua madre.»
Annuisco
ancora, «Stasera resta da me.»
Le
farà bene un po’ di pace, e qui, con me, ne
troverà tanta.
«Ora
devo andare, grazie Lou.»
La
telefonata s’interrompe.
Appoggio
il telefono sopra lo stomaco e chiudo gli occhi, portando un braccio
sopra di
essi.
Sospiro.
L’acqua
della doccia smettere di scorrere, facendo sentire di più la
voce di Harmonie.
Ha
sempre avuto una bella voce. Una voce bellissima, che ti ammalia,
rapisce ogni
singola cellula del tuo corpo.
«Lou?»
mi chiama una voce femminile.
Alzo
leggermente la testa e la osservo.
Ha i
capelli chiari –che non ha asciugato- raccolti in uno chignon
disordinato, in
modo tale da
rendere visibili i due
piccoli dilatatori neri.
Le
sorrido.
Mi
sorride. E il suo è il più bel sorriso che abbia
mai visto.
Le
faccio segno di stendersi accanto a me, e lei lo fa.
«Come
mai sei scappata da casa?» domando accarezzandole i
lineamenti.
Lei
scrolla leggermente le spalle e risponde «Il
solito.»
Giro
leggermente la testa e faccio un mezzo sorriso
«Più precisamente?»
Sospira
«Non volevo crollare davanti a loro, anzi, non voglio proprio
crollare. Devo
essere forte.»
«Harmonie,
più cerchi di non farti spezzare, più
farà male al momento della rottura
definitiva.»
Lei
si rannicchia contro il mio corpo e annuisce.
Quando
capirà che, quando si romperà, ci sarò
io a mettere insieme i pezzi?