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Autore: naiveeve    13/09/2014    0 recensioni
Sono un corpo morto. L'anima non c'è, l'ho persa da qualche parte in un luogo lontano, in un posto dove la notte e il giorno si infrangono contro le onde dell'oceano: deve aver toccato il punto più profondo degli abissi e per sbaglio si è addormentata lì. Continuo un'esistenza inutile e aspetto solo la fine dei miei giorni come se non ci fosse niente di meglio. Aspetto.
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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17 Novembre
Ore 21:36 - Casa di Jeanine

 
“Jen, che fai? Allora sei pronta?”
“Calmati cazzo, mica dobbiamo stare lì alle dieci: abbiamo tutto il tempo del mondo sta sera e poi puoi   stare tranquilla che anche se arriviamo lì un po’ dopo mica ci cacciano”
Ero alquanto scossa: di certo questo non era il mio primo rave hardcore ma stavo con la testa da un’altra parte, completamente. Ci stavamo vestendo ascoltando Angerfist e anche se non mi ero ancora calata niente mi sembrava di stare su un altro pianeta: continuavo a pensare ad Alex. Mi chiedevo se ci sarebbe stata anche lei quella sera. Mi mancava tutto di lei, ogni singola cosa. L’ultima volta che l’avevo vista non mi aveva quasi riconosciuta da quanto era lesa.
“Cazzo Ska, ho perso le scarpe! Aiutami a cercarle, ti prego”
“Tu perdi sempre tutto” – esclamai ridacchiando.
 Adoravo Jeanine, era una persona stupenda: ne avevamo passate di tutti i colori insieme e non vedevo l’ora di finire in un bordello con lei quella sera. Eravamo migliori amiche da quando eravamo bambine e non ricordo un’avventura passata senza la sua presenza. Quando mia madre ascoltava ancora gli Ska-J ci soprannominò le “Ska-Jen”  e ricordo come se fosse ieri quando tutti avevano cominciato a chiamarci così. Ad ogni modo lei era una di quelle persone che sapevo che non mi avrebbero abbandonata facilmente, come in passato avevano fatto tanti altri.
Trovate le sue scarpe la aiutai a truccarsi e infine uscimmo in fretta di casa per non farci scoprire da sua madre.
“Vuoi una sigaretta?”
Senza pensarci lei accettò e ci dirigemmo verso la macchina parcheggiata in fondo al vialetto. Durante il viaggio pensai a quanto fosse incredibile che io mi affezionassi così semplicemente non solo alle persone ma anche alle cose: in quel momento della mia vita non avrei lasciato la mia città per nessun motivo al mondo. Vedevo un sacco di amiche prendere decisioni drastiche come comprare un biglietto di sola andata per un posto lontano e non tornare più. “Fanculo, è una follia” – pensai.
“A cosa pensi?” – mi chiese quasi scherzando mentre guardava la strada.
“Niente, le solite stronzate.”
“Ma dai, non vorrai farti rovinare la serata da tutte ste solite pare?”
“No infatti, hai ragione” – dissi scrollando la testa.
“Anzi, prendi lo zaino sul sedile posteriore e guarda cosa c’è dentro” – disse sorridendo.
Afferrai lo zaino pesantissimo e all’interno trovai due bottiglie di vodka al limone e una di Dom Pérignon.
“Porca puttana, che cazzo è? Il mio compleanno?” – dissi ridendo.
“Volevo farti una sorpresa mon amour!” – replicò maliziosa.
Stappai la bottiglia di champagne e dissi: “All’ennesimo festone in compagnia della mia futura moglie!”
“Eh insomma, non esageriamo” – commentò Jeanine ridendo fragorosamente.
Ero già talmente assuefatta e spensierata che dopo il terzo sorso scendendo dall’auto inciampai su me stessa e mi rotolai sull’asfalto bollente.
“Dai stupida, tirati su” – rispose lei porgendomi la mano.
Entrammo in questo parco gigantesco e già da lontano notai un gruppetto di persone ma una in particolare mi saltò subito all’occhio.
“Guarda lì, c’è Alex.”
Come volevasi dimostrare, pure lei era presente quella sera e il mio umore cambiò decisamente nel giro di pochi secondi.
“Ma guarda queste belle ragazze, si prospetta una bella serata eh? Non è vero Jeanine? Alyeska! Ti trovo in forma, sei cambiata sai?”
“Poche smancerie Alexandra, tanto domani non ti ricorderai nemmeno come ti chiami.”
“Grazie Jen, ma non serviva replicare così” – dissi con tono deciso.
Ci allontanammo dal gruppetto di Alex per andare a prendere un paio di birre offerte da un amico di Jeanine. Alexandra non sarebbe mai cambiata: se ne sbatteva della vita e tutto ciò che la circondava; diciamo che era più brava di me a “cogliere l’attimo” e vivere come anche io avrei dovuto fare.
“Hey, posso parlarti?”
Proprio in quell’istante stava per attaccare la musica e lei era venuta a chiedermi di parlare mentre Jeanine ancora discuteva con il tipo di qualche faccenda fra di loro.
“Magari più tardi” – dissi abbassando lo sguardo.
“Non vai da nessuna parte se scappi sempre, Alyeska”
“Ah e sarei io quella che scappa? Chi se ne è andata con fare altezzoso la scorsa volta? Mi hai lasciata sola e si insomma, lo sai che cosa penso di te Alex.”
“No, che cosa pensi?”
Mi voltai e feci finta di niente: la musica si stava facendo sempre più forte non me ne fregava niente perché quella sera avevo soltanto voglia di ballare, fare casino, bere e sballarmi. La cosa più esilarante di tutto ciò era che mia madre mi aveva sempre messa in guardia dicendomi cose come: “Se mai ti dovessi beccare con uno spinello, alcolici o roba simile ne passerai delle belle, cara la mia Alyeska” anche se poi lei era la prima capace di fumarsi tutto ciò le capitava sotto mano.
“Cosa fai Ska? Pensi ancora? Okay, ora basta . Vieni con me.”
Jeanine mi trascinò in un posto al coperto sempre all’interno del parco ma ero sicura che volesse far in modo di non essere vista.
“Il tipo di prima mi ha dato questa.”
Ancora prima che aprisse la bustina sigillata avevo capito di cosa si trattava dal forte odore che proveniva dalla sua borsa.
“Dio, altroché erba di stazione, guarda che roba.”
Avevamo già tutto pronto:  filtri, cartine e grinder. Cominciamo a girarci una mista a testa ma con tutta la roba che avevamo potevamo farne almeno una decina.
Ad un tratto arrivò Alex che ci scoprì e si sedette vicino a me.
“Che fai? Non offri?” – disse con quel suo maledetto sorriso stupendo.
Così, mentre Jen scuoteva la testa, le passai il cannone appena girato. La situazione era alquanto imbarazzante dato che tra Jeanine ed Alex c’era questo stato di ostilità reciproca e io mi sentivo già abbastanza alticcia. Perciò mi alzai in piedi, presi la mia roba e la nascosi insieme a quella della mia amica sotto un cumulo di foglie dietro ad un albero. Per essere novembre non faceva per niente freddo e io indossavo solo una magliettina leggera, dei pantaloni larghissimi e le mie globe. Posai per terra la birra ormai vuota e mi accesi la canna. Jeanine ed Alexandra fecero lo stesso e ci avviammo in mezzo alla folla. Più ci avvicinavamo alle casse più sentivo il mio cuore battere allo stesso ritmo della musica. Un tempo stare sotto cassa mi sembrava un’esperienza folle: non che in quel momento avessi perso l’abitudine di starci a vita ma semplicemente dopo un po’ non me ne curavo più. La musica mi rimbombava nella testa e guardavo Alexandra ridere e appoggiare le mani sulle casse continuando a ballare. Era totalmente fuori di sé e bellissima: i capelli castani racchiusi in una coda e stretti in una bandana blu scura annodata in fronte le scendevano fino alla fine della schiena. La guardavo come se non avessi visto niente di più bello fino a quando lei non ricambiò lo sguardo. Aspirai lentamente e lasciai uscire il fumo fuori: stavo bene e non pensavo a niente. Di colpo la persi di vista e controllai se vicino a me ci fosse ancora Jeanine che più che ballare urlava e saltava come una pazza ma si sa che mi sceglievo sempre le amiche più fuori di testa. Chiusi gli occhi quando sentii che qualcuno posava le mani su di essi  e all’orecchio mi sussurrava: “Indovina chi pensa che sta notte tu non abbia via di scampo da una fuga nel parco, lontano da qui?”
Mi girai e vidi Alex sorridere a pochi millimetri da me. Mi prese per mano e mi trascinò fuori dal casino proprio mentre Jeanine non stava guardando.
Cominciammo a correre lontano: lei rideva mentre mi teneva per mano e con l’atra continuava a bere da una bottiglia di vetro. Ad un tratto inciampò su una radice ed entrambe cademmo a terra e scoppiammo in una risata fragorosa. Senza nemmeno avere il tempo di girarmi lei si girò a baciarmi e quello fu uno di quei momenti che difficilmente si scordano: le sue labbra appoggiate sulle mie, i nostri occhi chiusi, le sue mani che toccavano i miei fianchi. Era uno di quegli istanti fottutamente perfetti destinati a rimanere per sempre impressi nella memoria. Improvvisamente lei si fermo e cercò qualcosa nella tasca dei jeans scuri completamente bucherellati. Tirò fuori una bustina con qualcosa che poteva somigliare lontanamente a dei funghetti.
“E questi dove li avresti presi?” – domandai incredula.
“Non fare quella faccia, lo so che li vuoi” – ridacchiò.
Lei molto probabilmente se ne era già calati almeno due o tre e in fretta e furia aprì la bustina e ne posò una sulla lingua, mi fece una smorfia, sorrise, chiuse la bocca e mandò giù. Non ne avevo mai provato uno e la cosa  non mi attirava minimamente in realtà.
“Eh dai! Cosa stai aspettando? Tieni.”
Me ne passò uno e con un gesto mi incitò a prenderlo.
“Sei sicura che non sia pericoloso?”
“Dio mio sembri mia madre, avanti prendilo e non fare storie! Vedrai che favola stai dopo.”
Sorrisi ingenuamente e ne presi uno, due, tre  o che ne so, magari anche di più. Ricordo solo che mi salirono subito. Inizialmente stavo proprio una meraviglia come aveva detto Alex e mi sentivo leggera, libera, con la mente vuota. Continuavamo a baciarci al chiaro di luna e sembra tutto così magico. Era già da un po’ che vedevo tutto sdoppiato e sicuramente se qualcuno mi avesse tirato un pugno in quel momento non avrei sentito niente. Mi alzai e cominciai a correre ridendo e urlando dietro ad Alex.
“Dai sbrigati, andiamo a prendere Jen.”
Mi voltai ma la persi di vista se ricordo bene o almeno lei non c’era più nel boschetto. La sensazione di benessere totale che provavo cinque minuti prima mi stava prendendo malissimo: ero da sola, lei non c’era e mi aveva abbandonata un’altra volta. Ripresi a correre ma dopo pochi metri non mi sentivo più le gambe. Mi lasciai cadere a terra e presi fiato ma gli alberi di fronte a me si sdoppiavano e ricordo che mi sembrava di guardare dentro ad un caleidoscopio, come se fossi tornata bambina. Mi rialzai a fatica e ricominciai a correre: correvo e correvo, quasi mi sembrava di volare, ma il boschetto non finiva mai. Avevo voglia di cominciare a piangere e urlai fortissimo purché qualcuno mi sentisse. Mi stava decisamente prendendo malissimo. Mi accasciai a terra nella speranza che qualcuno mi vedesse e mi portasse via. Chiusi gli occhi pur di non vedere niente che continuasse a cambiare forma o colore. Sentivo la musica uscire dalle casse in lontananza e il respiro farsi sempre più affannoso. Mi rannicchiai vicino alle radici di un albero altissimo e aspettai ma nessuno passava, nessuno mi  vedeva ed ero completamente sola e poi ricordo solo il vuoto totale.
Non so quanto tempo rimasi incosciente ma quando mi ripresi ero sulle spalle di un tipo molto alto, dai capelli rossi e con due plug enormi alle orecchie. Non feci domande e distrutta mi lasciai trasportare. Piansi amaramente fino a quando non sentii una voce, proprio quella di Jeanine che cacciò un urlo dopo avermi vista in quello stato orribile.
“Alyeska! Ma che cazzo fai!?”
Non ricordo cosa risposi ma il ragazzo che mi aveva portata fino a lì cominciò a spegnermi delle sigarette sul braccio pur di risvegliarmi e urlai: “Fanculo, che cazzo stai facendo? Lasciami stare.”
“Ska, la vera domanda è che cazzo fai TU? Mi hai fatto prendere un colpo, sei sparita con quella stronza di Alex e ti ho cercata ovunque. Se la ribecco in giro le spacco la faccia, ti giuro.”
Il ragazzo mi riprese sulle spalle e mi porto di peso fino all’auto di Jeanine, mi fece stendere sul sedile posteriore e dissi qualcosa come: “Sai che sei proprio un bel tipo? Mi chiamo Ale-Aless-Alyeska! Passa a trovarmi qualche volta” e farfugliai qualcosa di stupido ed insensato.
“Stai zitta per favore.” – replicò dal sedile anteriore Jeanine alquanto turbata.
In poco tempo mi addormentai guardando le luci dei lampioni che correvano veloci come fulmini e lasciai cadere la testa all’indietro sul sedile.
 
Quando mi risvegliai eravamo ancora in auto: ero totalmente frastornata e sentivo in sottofondo una canzone familiare. Mi spostai infastidita da qualcosa sotto la mia schiena e trovai un pacchetto di sigrarette. Ne accesi una ed aspirai forte.
“La principessina si è svegliata?” – disse con un tono infastidito Jeanine.
Risposi con un mugolio ed un cenno con la mano. Rimasi ad occhi sbarrati a guardare fuori dal finestrino le luci del lampioni della tangenziale sfrecciare veloci nella notte. Mi ero incantata a guardare quello spettacolo quando la mia amica si girò e disse:
“Mi hai spaventata a morte prima, sei proprio una testa di cazzo.”
Sbuffai e feci finta di niente, lei continuò a parlare ma io non riuscivo a seguire il filo del discorso così la interruppi e domandai esaltata: “Cazzo Jen, hai messo It Never Ends? È quella giusto?”
“Si Alyeska, sono proprio loro: i tuoi amati Bring Me The Horizon” – rispose.
“Lo sapevo che saresti passata anche tu al fottutissimo ‘lato oscuro’ delle bands” – dissi ridendo e poi cominciai a cantare la canzone:
“I’ve said it once, I’ve said it twice, I’ve said it a thousand fucking times, that I’m okay, that I’m fine, that it’s all just in my mind!”
E Jeanine rispose: “But this has got the best of me and I can’t seem to sleep, it’s not cause you’re not with me, it’s cause you never leave!”
Scoppiammo a ridere come due bambine che completavano l’una la frase dell’altra e lei mi guardò sorridendo e scuotendo la testa.
“Si, sei proprio una testa di cazzo ma come si fa a non volerti bene?”
Mi rigirai su me stessa e chiusi gli occhi di nuovo. Pochi minuti dopo arrivammo a casa sua. Mi aiutò a scendere dall’auto ed entrammo in casa. Lasciai cadere la borsa per terra e mi buttai di peso sul letto. Le lenzuola fresche sembravano come un velo di brina gelata sulla mia pelle. Jeanine si distese accanto a me, mi prese per mano e poi mi abbracciò.
“Basta cazzate adesso, mettiamo le cose a posto da domani. Te lo prometto: basta ripensamenti, basta casini, basta con tutta sta merda che combiniamo ogni giorno.”
Annuì sorridendo anche se non essendo per niente lucida capii poco del significato delle sue parole.
Mi addormentai nuovamente tra le sue braccia pensando ad una cosa:

La gente crede di inseguire le stelle e finisce come un pesce rosso in una boccia
 
Io e Jeanine inseguivamo il destino ma in realtà non ci eravamo ancora rese conto di essere finite in un mondo che non ci apparteneva, la nostra boccia per pesci rossi. Avevamo diciannove anni e come tutti i diciannovenni del ventunesimo secolo ci stavamo rimanendo sotto.









Salve a tutti cari lettori, spero che come primo capitolo vi sia piaciuto. Vorrei mettere in chiaro un paio di cose sulla mia storia:
-Ho pubblicato un prologo che ho preso da una mia precedente storia che poi ho cancellato quindi molti di voi si saranno chiesti come mai ho deciso di mantenere un prologo che sembra così totalmente differente dal capitolo appena letto ma vi prego fidatevi di me, appena pubblicherò i capitoli successivi (che in totale dovrebbero essere sei), capirete il senso della mia scelta.
-Se avete critiche, opinioni o semplicemente il capitolo vi è piaciuto vi esorto a lasciare una recensione che leggerò con piacere.
-"Dead Bodies" tratta degli avvenimenti che cambieranno la vita di questa ragazza di nome Alyeska (personaggio totalmente inventato). 
-La riflessione finale che Alyeska fa prima di addormentarsi è in corsivo perchè ho deciso di riportare una delle frasi del mio libro preferito; vi lascio il link.

Per ora mi sembra che sia tutto. Grazie per aver letto la mia storia!

Margherita

 
  
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