Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer
Segui la storia  |       
Autore: cliffordsjuliet    18/09/2014    5 recensioni
Ci sono storie che iniziano lentamente e si evolvono man mano.
E poi ce ne sono altre che, invece, iniziano solo finendo.
***
“Non dirò addio a nessuno, prima di andare via. Non saluterò i miei genitori, e nemmeno Jamie, né tantomeno Rebecca, l’unica amica che abbia mai avuto. Dire addio a qualcosa è il primo passo per imprimertelo dentro, e questa è proprio la cosa che voglio evitare.
Dimenticherò tutto.
Dimenticherò tutti.
Dimenticherò questo posto, Lui, e pure me. Che se mi scordo lui inevitabilmente scordo anche me stessa, che tanto non c’è differenza.
Siamo uguali da far schifo, Ashton, ma qualcosa di diverso lo abbiamo: io ricomincerò.
Tu no.

***
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=B29uqGz-sL4&feature=youtu.be
Genere: Mistero, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Nuovo personaggio
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic



10 maggio 2005.



Ricordo che faceva caldo, quel giorno.
I “quattro palazzi” erano immersi nel calore di una primavera sbocciata da poco, ma che sembrava voler fare già l’imitazione all’estate. Era una giornata come tante, uno di quei giorni in cui mia madre lavorava e mio padre pure, ed io che ero la sorella maggiore – pur avendo solo otto anni – dovevo prendermi cura di mio fratello e della casa. Jamie non ricorda molto di quel periodo, aveva solo cinque anni. Io sì. Io ricordo tutto di quell’anno, di quel giorno in particolare. Ricordo bene come quella mattina mi procurai un livido cadendo dallo scaletto, mentre cercavo di riordinare i piani alti della credenza, e come avessi passato il resto della giornata raggomitolata sul vecchio divano sfoderato a guardare i cartoni in compagnia di Jamie. Appena sentimmo i passi di mia madre rimbombare per le scale sporche e pericolanti della palazzina, però, scattammo in piedi. Spegnemmo il televisore un attimo prima che lei facesse il suo ingresso, stanca più del solito, ma con al seguito una novità.
“Beth, Jamie, venite qui” ci aveva chiamato, con la sua voce autoritaria sempre marcata da quella dannata stanchezza, la stanchezza di chi vede scivolare via la propria vita e con essa tutti i propri sogni. Ed aveva appena trent’anni. Ricordo che da piccolo Jamie piangeva spesso nel vedere la mamma così abbattuta. Piangeva perché lei più volte, nei suoi momenti di rabbia, aveva dato la colpa a noi. E allora c’ero stata io a consolarlo, nonostante fossi piccola anch’io, c’ero stata io ad abbracciarlo e a dirgli che sarebbe passato, che la mamma ci voleva bene. Ma in cuor mio neanche io ne ero tanto sicura.
Ricordo che la raggiungemmo all’ingresso del piccolo appartamento, e la trovammo lì che ancora doveva togliersi le scarpe, e attaccato alla sua gamba c’era questo cosino, un mucchietto di pelle e ossa e capelli che tremava, tutto spaventato. Ebbi un moto di rabbia a vederlo lì, nascosto dietro la gonna sgualcita di mia madre: quella era la mia mamma, cosa voleva quello?
“Questo è Ashton, o solo Ash. I genitori erano i signori del piano di sotto, se ne sono andati lasciandolo qui, quindi quando vorrà potrà stare qui con voi. Vero?”
Sapevo che era una cosa normale, lì ai quattro palazzi, che i genitori se ne andassero lasciando da soli i figli: ormai ci eravamo abituati a cose di questo genere. A volte i bambini venivano presi in custodia da qualcuno del quartiere, a volte andavano via, a volte morivano di stenti. I servizi sociali nessuno li chiamava, e forse era meglio così: anche io, che avevo solo otto anni, ero sicura che piuttosto che finire in una casa famiglia avrei preferito trovarmi morta stecchita per il freddo o la fame. Ma in quel momento avrei voluto solo dire che no, non era vero, a me non stava bene che quel bambinetto così scarno e sporco si intrufolasse in casa mia. Ero una bambina cresciuta in un posto dove alle tue cose ti ci devi attaccare, le devi tenere strette a te con le unghie e con i denti, ché se non lo fai c’è il rischio che ti vengano tolte. E mia madre era una cosa mia, e la vedevo sorridere così a quel povero orfanello, un sorriso che a me o Jamie non aveva mai rivolto, e quella cosa mi faceva rabbia: mia madre non aveva abbastanza affetto neanche per noi che eravamo i suoi figli, figuriamoci se ci fossimo trovati a spartirlo con un terzo incomodo. Jamie non ci pensava, ed era normale, aveva solo cinque anni lui. Aveva annuito a mia madre e poi si era avvicinato al bambino, per guardarlo meglio, come fosse stata un’attrazione di un circo.
“Ashton, questo è Jamie. È più piccolo di te, ha cinque anni” lo presentò mia madre, accovacciandosi sui talloni per osservare lo scambio di occhiate tra i due e poi, infine, un sorriso. Fu quella la cosa che mi fece sentire tradita più che mai, quel sorriso di mio fratello, la persona che come me viveva quella situazione di continua mancanza e che quindi avrebbe dovuto capirmi: senza una parola rivolsi uno sguardo carico di odio a mia madre e a quel bambino, allontanandomi dall’ingresso dopo aver sputato fuori con rabbia un “Non me ne frega niente di questo qui, che se lo prendano i servizi sociali”.



Mi guardo intorno nella stanza, che dopo tanti anni non è cambiata neanche un po’: ha le pareti grigie, come allora, con l’intonaco scrostato che nessuno si è mai preso la briga di ritoccare; il pavimento dalle mattonelle giallognole e sconnesse non è cambiato, così come il letto a castello, quella sottospecie di unione di due brandine poco resistenti messe insieme a dare l’idea di un letto vero. E lì c’è quel cassettone in legno scheggiato, ma quello non lo apro, so già cosa ci troverei: i vestiti di Jamie e poi i miei, ed alcuni anche di Ashton, dei quali mi sono appropriata nel corso degli anni. Non ci facevo nemmeno caso, quando prendevo qualcosa di suo; dopotutto Ashton era entrato nella mia vita senza chiedermi il permesso, si era preso l’affetto dei miei genitori, di mio fratello e, nonostante mi fossi opposta con tutta me stessa perché ciò accadesse, anche il mio: quindi perché io avrei dovuto avere qualche riguardo nei suoi confronti? Ora che ci penso mi rendo conto di quanto fossi cattiva, e non dico solo egocentrica, cinica, stronza e possessiva fino al midollo: dico proprio cattiva, perché così ero cresciuta. Ero venuta su pensando solo a me stessa, a cercare di non morire. Quella era la nostra priorità, ai quattro palazzi. Ero cresciuta anno dopo anno nascondendomi sempre più a fondo dietro la mia corazza, senza accettare mai l’aiuto di nessuno, orgogliosa com’ero; non avevo calcolato che presto quella corazza mi avrebbe inglobata del tutto, inghiottita, rendendomi la persona fredda e senza ombra di dubbio cattiva che ero.


Mi alzo dal letto di sotto, quello di Jamie dove ormai lui non dorme più, perché finalmente può stare al posto di sopra, al posto mio. Prendo un respiro profondo poi mi avvicino al cassettone, con la sacca rossa ancora vuota ben stretta tra le mani, pronta per essere riempita. Apro il primo cassetto, osservo i miei panni piegati, li infilo con cura nella sacca. Non lascio niente, neanche i vestiti che so che non indosserò mai più: non voglio lasciare tracce di me, in questo posto. Ho quasi finito di svuotare il cassetto quando noto una maglia nera, con uno stemma ed una scritta: ‘Slayer’, un gruppo che da ragazzi amavamo. Questa maglia non è mia, è di Ashton, ma mi chiedo effettivamente che differenza ci sia: che differenza c’è, tra lui e me? La prendo tra le mani tremanti e ne rimango quasi ustionata, la porto vicino al viso. C’è il suo odore su questa maglietta. Lui a differenza mia non potrà mai fare così, fuggire, scappare da sé stesso: Ashton non è mai stato forte abbastanza. Lui si è lasciato dietro pezzi di sé, sono ovunque, e questa maglia ne è solo l’ennesima prova. Io andrò via, lontano da qui, avrò una vita nuova. Lui non potrà mai fare finta di niente. Lui qui ha lasciato troppo di sé stesso, perché non è mai stato bravo a tenersi insieme, io ero quella brava a non cadere a pezzi, a mantenersi integra nonostante i continui colpi; ero io quella che gli impediva di crollare, la sua ancora alla terra. E so che il mio è un comportamento da vigliacca ma davvero non ce la faccio a restare, ho diritto anche io a ricominciare e questo posto è troppo pieno di tutto quello che voglio dimenticare. Gli anni della mia infanzia, la mia adolescenza, le giornate passate tra la scuola, la casa, e poi il cortile dei quattro palazzi dove giocavamo da piccoli, e che crescendo è rimasto il nostro ritrovo.
Non dirò addio a nessuno, prima di andare via. Non saluterò i miei genitori, e nemmeno Jamie, né tantomeno Rebecca, l’unica amica che abbia mai avuto. Dire addio a qualcosa è il primo passo per imprimertelo dentro, e questa è proprio la cosa che voglio evitare.
Dimenticherò tutto.
Dimenticherò tutti.
Dimenticherò questo posto, Lui, e pure me. Che se mi scordo lui inevitabilmente scordo anche me stessa, che tanto non c’è differenza.
Siamo uguali da far schifo, Ashton, ma qualcosa di diverso lo abbiamo: io ricomincerò.
Tu no.






#Chiara's corner
Hey people!
Avevo cominciato a postare un'altra mia fic, intitolata 'Valerie', ma poi l'ho eliminata. Quella arriverà in un futuro prossimo. Molto prossimo mi sa. Avevo intenzione di lasciare questa per un po' nel dimenticatoio e di passare a quella, che era decisamente meno triste e meno nel mio stile ma, si sa, le cose tristi saltano all'occhio e questa fanfiction faceva di tutto per farsi notare. Quindi Valerie resterà nel box per un po', e "Remember Me" prenderà il suo posto.
Vi avviso già che questa non è una storia drammatica. E' una storia di vita, di amore, ma non l'amore come lo vediamo noi. Spero che questo prologo vi sia piaciuto, perché presto andremo avanti con la storia, e spero di vedere qualche commento.
Se qualcuno lo ha notato, ci sono delle somiglianze con il libro "Il Rumore dei Tuoi Passi": onde evitare problemi, ci tengo a precisare che la storia non intende copiare quel romanzo, e nei prossimi capitoli lo noterete ancora di più, perché si svilupperanno in maniera assolutamente personale.
Detto ciò, spero che questo inizio vi sia piaciuto e non so, mi farebbe piacere vedere qualche commento.
Va bene, vado e smetto di dilungarmi ahahah
Un saluto generale,
Chiara.xx


Wattpad: clairewriter
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer / Vai alla pagina dell'autore: cliffordsjuliet