Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: Itsakira    28/09/2014    0 recensioni
Per la prima volta nella storia dell'umanità, Dio decide di dare una seconda possibilità a un ragazzo morto in un incidente di nome Edwyn. Questo, ormai angelo, potrà tornare umano solo se, nella mezzanotte esatta della notte del suo compleanno, quindi prima di invecchiare ancora, riuscirà a baciare la donna che, se non fosse stato investito, avrebbe fatto parte della sua vita. Il problema è, quindi, trovarla. Liz entra apparentemente per caso nella sua vita, e da quel momento iniziano a capitarle cose molte strane, avvenimenti paranormali. Qualcuno cerca di ucciderla. Gli inferi si sono ribellati, i dannati e i demoni sono pronti a combattere per impedire che Edwyn sfrutti una possibilità che a loro non è stata data. La guerra tra i mondi inizia quando capiscono che ucciderli non è semplice. Dove porterà tutto questo?
Il cielo si fece scuro, il vento mi scompigliava i capelli. Guardavo, dal punto più alto della collina, il mio campo di battaglia. Lo aspettavo, con lo stomaco aggrovigliato, pronta a combattere. Non sapevo se il mio cuore avrebbe retto all’impatto. Poteva una ragazza, fragile e umana, uccidere un demone, per salvare un angelo, di cui era innamorata?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2 - Preda e Predatore
« Non capisco perché ti sia spostata di corso. » diceva Marie, masticando una fetta della crostata al cioccolato.
« Non ne potevo più di Kate » risposi. « Ho bisogno di una “pausa” dalle sue battute idiote. Non credo di essere paziente abbastanza per sopportarla. Potrei lanciargli addosso qualcosa di più letale la prossima volta, e ucciderla. Sarei nei guai. Contenta, ma nei guai. » feci spallucce.
« Non posso darti torto. » mormorò, cercando un bicchiere per versarci il succo di frutta alla pesca.
« Mi ha dato della satanista! » alzai la voce, mentre il mio stomaco s’annodava per la furia. Mi imposi di prendere il controllo su me stessa e riuscii a schiacciare quella sensazione allo stomaco, divorando un’altra fetta della crostata.
« Non farci troppo caso, così le stai solo dando importanza. »
Mentre Marie sorseggiava il succo di frutta, pensai che aveva ragione. Le avevo dato troppo importanza, anche cambiando il corso. Sospirai, convincendomi che, però, mi sarei sentita molto meglio senza il suo sguardo addosso e la sua risata prepotente quasi ogni mattina.

Raggiunsi l’aula di disegno artistico, sedendomi come il giorno precedente accanto a Edwyn.
« Buon giorno! » mi disse sorridendo, e per attimo persi la percezione della realtà.
« Giorno. » risposi scossa dalla mia precedente sensazione.
Qualcosa, in lui, era diverso da tutto il resto delle persone. Oppure aveva un sorriso troppo bello per i miei gusti. Feci una smorfia, disgustata: non avevo bisogno di un ragazzo nella mia vita. Non mi piacevano le rose, i cioccolatini, le lettere romantiche. Stare alla larga da Edwyn doveva diventare una priorità. L’amore non è tutto rose e fiori, si sa. Con la fortuna che avevo io quando si trattava di sentimenti, non ci avrebbe messo molto a spezzarmi il cuore.
E poi, mi ricordai, Edwyn fino a 24 ore fa mi stava piuttosto antipatico.
Probabilmente era la lontananza da Kate che mi rendeva così poco scontrosa e nervosa del normale.
Scacciai quegli strani pensieri dalla testa, concentrandomi sulla lezione. O meglio, cercando di concentrarmi sulla lezione, perché il mio compagno di banco scarabocchiava su un foglio a quadretti, e io ero quasi ansiosa di indovinare quale fosse il soggetto del suo prossimo disegno.
L’irritazione nei suoi confronti era scomparsa in modo repentino, così com’era apparsa.
Edwyn aveva l’aria concentrata sul foglio e io ero tanto assorta nell’osservarlo che mi accorsi appena di quando mi rivolse la parola.
« Tutto apposto? » chiese, senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro.
« Si. » risposi, e invece di rivolgere la domanda a chi l’aveva posto come le persone normali, chiesi « Perché? »
Edwyn mi guardò, arrestandosi di disegnare. « Perché non sembri molto a tuo agio. »
« Cosa te lo fa pensare? »
Senza Marie, ero persa. Senza la sua presenza, non sapevo come muovermi senza sembrare un’idiota asociale, o una ribelle/cattiva ragazza che non sa mantenere il controllo. Ma sapevo anche che ci avrei fatto l’abitudine e che prima o poi sarebbe stato inevitabile, perciò avevo imparato a mascherare il tutto con una dose abbondante di sicurezza e scontrosità. Persino quando Marie mi era vicina, pareva che fosse lei a seguirmi e non il contrario. Anche se fino ad allora qualsiasi azione la facevamo assieme, la prima a eseguirla ero sempre stata io, mostrando un’espressione rilassata, di chi è superiore.
Possibile che lui lo abbia notato lo stesso?
Edwyn non rispose, anzi si concentrò di nuovo sul disegno.
« Non è difficile leggere cosa provi » disse d’un tratto.
Questa affermazione fu come uno schiaffo. Ero vulnerabile, e tutti lo vedevano. Volevo scappare. Mostrare di essere forte, per me, era più importante di esserlo. I miei occhi color ghiaccio non avevano mai “fulminato” nessuno, come speravo accadesse per ogni persona che incontravo. Come i predatori, avevo colori sgargianti sul mio corpo, strani e attraenti; ma non ero un predatore, ero una comune preda che cerca di intimorire le altre prede, fingendo di essere pericolosa. No, non lo ero e non lo sembravo.
Che stupida! Avevo fatto un mucchio di errori, l’ultimo dei quali cambiare corso. Aveva ragione Marie. Kate e le altre ragazze avrebbero riso di me a vita. Ero all’ultimo posto nella scala sociale dell’istituto. Una piccola parte di me teneva a queste cose futili.
La mia attenzione, circa mezz’ora dopo, fu catturata da un ragazzo anche lui molto alto, un po’ più magro di Edwyn, ma non per questo meno muscoloso. Mi dava le spalle, ma girando la testa mi fissava, attraverso dei ciuffi di capelli color caramello e occhi verde bottiglia. Prima che me ne rendessi conto, iniziai a fissarlo intensamente anch’io, ad atteggiarmi, a misurare ogni mia movenza.
La campanella suonò, e mi affrettai a ordinare tutto e raccogliere ciò che dovevo portare al mio armadietto. Mentre richiudevo l’anta di quest’ultimo e giravo la chiave del lucchetto, notai una sagoma ferma, dall’altro lato del corridoio, rivolta verso me. Con la coda dell’occhio lo guardai meglio e lo riconobbi: era lo stesso ragazzo che mi fissava l’ora precedente. Il suo sguardo era duro, spavaldo, come se fossi la sua preda. Io, che ero stata smascherata da Edwyn – può una innocua frase scatenarmi un uragano dentro?! -, faticavo a continuare a fingere di essere una predatrice, ma ci provai. Con un gesto disinvolto e semplice accarezzai i miei capelli scuri, spostandoli dalla schiena alla mia spalla destra. Mentre mi allontanavo con mento alto e posizione eretta e –apparentemente- sicura di sé, cercando Marie, gli rivolgevo sguardi intermittenti, sperando che lo facessero impazzire, come le mie precedenti prede.
Camminai cinque minuti, poi mi arresi. Dov’era Marie? Raggiunsi l’aula di botanica, sapendo di trovarla lì. Appena scorsi i suoi capelli biondo cenere tra i miei compagni, la raggiunsi con passo veloce.
« Liz! » mi salutò.
« Ehi, Marie, sai per caso chi è quel tipo … » mi bloccai, dopo aver assunto la consapevolezza che non sapevo niente di lui. Provai a spiegarmi, gesticolando animatamente. « Alto, con i capelli quasi biondi, dall’aria piuttosto inquietante? »
Marie mi guardò perplessa. « Non ho capito chi intendi. Da quando in qua trovi qualcosa inquietante? »
Come sempre, aveva intuito che era successo qualcosa nella mia testa. O forse era solo una mia impressione. Ma ero certa che detti ad alta voce i miei pensieri non sarebbero stati altro che idiozie e paranoie, quindi optai per l’evitare a rispondere apertamente e fingere che non sia cambiato nulla. Sul primo foglio del mio block notes per gli appunti, scrissi con la mia grafia disordinata e rotonda Inquietante = attraente e glie lo mostrai, sapendo che fino a quel mattino, non sarebbe stata una bugia. Adoravo, oltre al proibito e al paranormale, anche l’horror.
La campanella suonò, ma io ero ancora assorta nei miei pensieri. Qualcosa mi diceva che avrei dovuto cercare Edwyn, per sperimentare le sensazioni che mi imprimeva nella testa. Con un sorriso e una parola era riuscito a scatenarmi un terremoto dentro.
Qualcosa si era smosso.
Sì, ma cosa?
Il mio stomaco brontolò e risi dei miei pensieri. E’ la mia fame che s’è smossa, pensai.
Marie mi seguiva in silenzio mentre camminavo verso la mensa. Con aria menefreghista afferrai il vassoio e lo riempii di cibo, poi mi sedetti a tavola con la mia amica e alcuni compagni del corso di matematica. Tutti parlavano tra di loro, raccontandosi le ultime novità e ridendo parecchio. Io mi sentivo vulnerabile, a disagio. Sensazioni del tutto nuove e molto, molto fastidiose per i miei gusti. Mangiai lenta alcune cose, poi, d’istinto, mi girai verso sinistra e una nuova sensazione cancellò la fame rimasta.
Il predatore mi fissava, sfacciato, nonostante fosse notevolmente lontano. Ricambiai gli sguardi, apparentemente sicura di me, mentre cercavo di reprimere la nausea improvvisa, senza riuscirci. Con un gesto, appoggiai la mela che prima stringevo in mano sul vassoio e, a passi grandi, camminai diretta verso i bagni, seguita da Marie, che aveva notato che qualcosa mi aveva turbata.
Mi appoggiai al muro ricoperto di piastrelle blu.
« Che cosa ti prende? » mi chiedeva Marie, ma io non le davo ascolto.
Nervosa e impaurita, tenevo le braccia conserte cercando di convincermi che quegli sguardi erano solo un caso. Pensavo di piacergli, e di piacergli troppo. Non l’avevo mai detto, ma avevo paura dei tipi così. Avevo l’impressione che potessero stuprarmi in qualsiasi momento lo volessero. In un qualsiasi altro giorno, avrei usato il mio atteggiamento per fargli credere che punto molto più in alto, nei ragazzi, rispetto al soggetto in questione. Ma il mio improvviso essere impacciata non mi aiutava. Scossa da un brutto presentimento, non riuscivo ad aprire bocca e spiegare tutto alla mia amica.
« Niente. » dissi infine. « Ho la nausea. »
« Si, come no! Si vede lontano un miglio che non è così. »
Le sue ultime parole mi colpirono come un pugno. Avevo la nausea sul serio, ma aveva intuito che non era casuale. Mi conosceva meglio di chiunque altro. Mi girai e sporsi il mio viso verso il lavandino, cercando di controllare un conato di vomito.
« Per favore, Marie. » cercavo di dire. « Non fare così. Aiutami. »
La mia amica allora chiuse la porta con un calcio e dolcemente mi fece sedere sul pavimento, consigliandomi di avvicinare i ginocchi al petto piegando le gambe, e nascondere il viso tra di esse. Obbedii, e la nausea, sconfitta, dopo qualche finta si ritirò a poco a poco.
Il predatore aveva intimorito la sua presa.
Sapeva di essere spacciata.

Il libro chiuso mi fissava soddisfatto dalla mia scrivania in legno bianco. Avevo studiato tutto ed ero riuscita a non pensare a quella mattina. Finché non mi ero resa conto che non ci avevo pensato. Così ci pensai.
Dopo averlo chiuso ed essermi tolta un peso, lo riposi nello stipo dove stavano ammassati tutti gli altri libri scolastici. Poi afferrai gli auricolari del cellulare, le collegai a quest’ultimo e mi tuffai nel mio morbido letto ricoperto da una trapunta blu mentre, tramite il touch screen, facevo partire My medicine dei The Pretty Reckless. La vociona di Taylor Momsen inebriò la mia mente che quasi dimenticai il resto, e mi concentrai solo sulle schitarrate della band. Forse cantai assieme a Taylor quale volta, ma non me accorsi. Ero nel mio mondo.
La fine della canzone arrivò troppo presto. Desiderosa ti ritrovare quella sensazione di perdersi totalmente nella musica cercai velocemente un’altra canzone dei The Pretty Reckless, mentre, a contatto con il silenzio, le parole di Edwyn e gli sguardi del biondino mi ritornavano alla mente e minacciavano di compromettere la mia tranquillità. Just Tonight partì, ma i miei pensieri scorrevano come un fiume in piena nella mia mente, quasi nulla fosse.
Chi è lui? Era la domanda che avevo in testa.
Una parte di me, quella razionale, mi suggeriva che la domanda fosse rivolta al ragazzo biondo che mi fissava quel mattino, e che dovevo avere paura.
L’altra, non so bene quale parte di me, ma era forte ed era ovunque e soffocava la razionalità, mi diceva che la domanda non era rivolta allo sconosciuto.
Ma ad Edwyn.
Con gesti, sguardi e poche parole mi aveva sconvolto.
Non ero più la stessa.
In un lampo, capii la vera domanda che dovevo pormi.
Chi sono io?
Non lo sapevo più.
Quella volta sì, ebbi paura.
  
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