CAPITOLO TRE:
IL
DISCORSO DI ZABLUDA
La prima
stupida domanda che mi venne in mente riguardava
come mai non avesse né coda né pinne e non fosse
nel mare, ma la repressi
all’istante. Non era possibile. Semplicemente non era
possibile. Così glielo
dissi. Ma ciò non la fermò. Aveva giurato.
“Mi
hai fatta giurare su Wyvern. Ora non posso mentirti.
Come facevi a saperlo?”
“E’
stata la prima cosa che mi è venuta in mente, non era
niente di premeditato.”
Ed era la
realtà.
“Da
dove comincio?”
“Beh
direi che un buon punto sarebbe dirmi come ti chiami.”
“Nella
tua lingua, o in una delle tue il mio nome è Zabluda,
radoznao. Sono una sirena, o meglio, lo ero. Aspetta. Vieni
qui.”
“Perché?”
“Io
ho giurato. Ora tocca a te. Quello che ti racconterò non
lo devi dire a nessuno, fino a che non lo decido io. Ti metto un
Vincolo di
Silenzio.”
“Spara.”
Dissi, e mi avvicinai. Non sapevo perché mi stavo
facendo trascinare in quello strano e assurdo gioco. Le sirene non
esistevano.
Quella ragazza era pazza. Stava delirando. Doveva essersi fatta di
qualcosa. E
allora il sogno? La mia testa era una grande confusione, e penso questo
sia
stato uno dei motivi che mi portarono a credere a quella storia.
L’altro era
molto semplice. Era una novità. La ragazza, Zabluda, mi
incuriosiva. Non poteva
essere vero. Ma se lo fosse stato? Avevo un disperato bisogno di
sognare, di
credere in qualcosa, per folle che fosse. Così mi avvicinai.
Puzzava.
“Accetti
di non dire niente della mia storia a nessun essere
senziente fino a quando lo vorrò io?”
Mi
poggiò un dito sulla fronte.
“Che
roba è?” non
potei trattenere una risatina, ma lei rimase terribilmente seria.
“Lo
giuri?”
“Va
bene, lo giuro.”
Apparentemente
non
successe niente. Zabluda tolse il dito dalla mia fronte e
fischiò, il cane
ricomparve. Camminò lentamente fino alla sua padrona e si
distese al suo
fianco, enorme, appoggiando la testa su una gamba della ragazza. Io mi
rimisi
seduto.
“Ora
dimmi come ti
chiami.”
“Liron.”
“Liron,
ho chiamato
Wyvern perché siamo una cosa sola. Le sirene hanno una parte
umana e una
animale. Qui non potevo venire come sirena, quindi mi hanno dovuta
cambiare.
Hanno separato la mia parte umana da quella animale. È stato
parecchio
doloroso. Dovevano togliermi la mia parte da pesce, perché
per quello che devo
fare sarebbe stato troppo scomodo. Potevano trasformarmi in una
centaura, ma
qui non ce ne sono, e neanche fauni e simili. Così hanno
optato per spezzarmi,
così do meno nell’occhio.”
Stavo per dirle
che
un centauro forse avrebbe dato meno nell’occhio di lei con il
suo cane, ma non
lo feci.
“Sono
stata
sorteggiata per fare da Specula, da finestra. Quello che hai visto nei
miei
occhi è reale. È quello che sta accadendo nel mio
mondo. O almeno in un
pezzetto. Ma solo mentre eri Tutto. Quello che hai visto quando eri te
stesso
non è mai successo. Hai proiettato quello che ti passava per
la testa in una
visione. Avevo bisogno che tu mi dicessi quello che hai visto
perché io non
posso vedere quello che accade nel mio mondo. Sono stata pensata come
oggetto. Ti
ho fatto vedere Moore per sapere se funzionavo. Devo fare la mia
funzione.” Il
tono della sua voce era molto duro. Non le piaceva fare la sua
funzione. “Sono
stata mandata in questo mondo per il vostro capo. Sono una specie di
messaggio
per lui. Attraverso di me può vedere che succede a Moore,
nel mio mondo, non so
come lo chiamate voi, e se gli piace. Quindi portami da lui.”
Cosa voleva?
Cos’era?
Era convinta che io conoscessi questo capo? Ero esterrefatto. Il nostro
capo?
Cosa blaterava quella? Il capo di chi? Moore? Cos’era quel
posto?
“Avevi
detto che mi
spiegavi tutto. Invece mi stai confondendo ancora di più!
Non so di che capo
parli, non ne ho la minima idea! E non ho mai sentito parlare del tuo
mondo.”
“Smrt!
Di che capo
vuoi che parlo? Di quello del vostro popolo! Di quello che ha mandato
un bel
pezzo di voi nel nostro mondo! Di quello che tuba con
Non riuscivo a
muovermi. Quella era una pazza scatenata. Anche Wyvern stava
ringhiando. E poi
in che lingua parlava? Io veramente quel capo non lo conoscevo. E non
lo
conoscevo perché non ne esistevano. Neanche uno. Non che io
sapessi. Dalla
Guerra non c’era più nessuna forma di governo. I
capi si erano fatti tutti
fuori tra loro. E poi
“Scusa
se non riesco
a rimanere fissa sulla tua lingua. Me le hanno insegnate tutte insieme.
Non
puoi non conoscere il capo del tuo popolo. Mi stai mentendo. Forse non
lo
conoscerai di persona, ma saprai dove si trova. Non occorre che cerchi
di
proteggerlo da me. Posso insultarlo. Ma non posso nuocergli. E una
volta che
sarò davanti a lui non potrò nemmeno parlare.
È molto facile l’incantesimo per
zittire, e uno come lui lo saprà fare di sicuro. Mi hanno
lasciato la voce solo
per poterlo trovare. E di certo non si arrabbierà con te,
perché sono un dono
che dovrebbe gradire molto. Anzi, sono sicura che ti
ricompenserà se mi porti
da lui. Non hai motivo di temere. Sono solo una Specula.”
E mi prese una
mano
tra le sue. La cosa mi faceva sentire molto stupido. Lei parlava e
parlava di
cose che non esistevano come fossero tra le più ovvie del
mondo e io fossi un
deficiente che non capiva. Così con lo stesso tono da
persona molto paziente le
risposi.
“Zabluda,
dico sul
serio, il mio popolo non ha un capo.”
Si
scostò.
“Smrt.
Posso provare
se dici la verità?”
“Che
mi devi fare?”
Non volevo
essere la
cavia di altri esperimenti balordi.
“Solo
guardarti negli
occhi. E tu resterai qui.”
“Va
bene, fallo se
non credi alla mia parola!”
Puntò
gli occhi nei
miei. Di nuovo. Ma questa volta non cominciarono a muoversi, rimasero
solo degli
occhi spettacolari. Ora potevo osservarli bene. Sembravano blu, ma
erano fatti
da un’infinità di pagliuzze di sfumature diverse.
“Liron,
il tuo popolo
ha un capo di cui tu sia a conoscenza?”
“No.”
Il blu mi
entrò
dentro. Era gelido, ma elettrizzante. Avere qualcosa di estraneo nel
corpo non
è una sensazione comune. Soprattutto non così in
profondità. A scavare dentro. Come
quando si beve dell’acqua troppo fredda e la si sente
scendere giù fino allo
stomaco. Poi Zabluda imprecò e tutto finì.
Scattò in piedi e il mastino con
lei. Parlottava e declamava in lingue che non conoscevo a Wyvern, che
uggiolava
camminando incerto e senza stare fermo. La ragazza era agitatissima e
andava su
e giù per lo spiazzo di terra arida dimenando le braccia.
Aveva scoperto
che le
dicevo la verità. Ben le stava. Ora era nei guai. Cercava un
capo che non
esisteva. Pensai a quando avrei raccontato quella storia incredibile a
mio
fratello. No, non avrei potuto. Il Vincolo. E poi credermi? Chi mi
avrebbe mai
creduto? Ero solo e intimidito con una ragazza esagitata e pazza che
poteva far
vedere altri mondi con gli occhi e un cane grande come un vitello che
guaiva
per calmarla. Incredibile. Paradossale. Surreale. Comico.
Bellissimo.
Zabluda si
calmò e si
sedette di nuovo.
“Tu
sei un umano.”
Annuii
divertito.
“Certo,
sei uguale a
quelli del mio mondo.”
“Ma
non erano
sirene?”
“Anche
umani. Sono
arrivati anche umani a Moore. Non sappiamo come. Non pensavamo che
qualcuno in
questo mondo avesse abbastanza magia da aprire un varco. Per tutte
quelle
persone poi.”
Tante
persone…
“
Ragionava ad
alta
voce, facendo dei gesti con le mani, tendeva ed intrecciava i fili
immaginari
del problema. E uno di questi fili la collegava con
“Queste
persone che
tu dici quanto tempo fa sono arrivate da voi?”
“Non
so se calcoliamo
il tempo alla stessa maniera… aspetta… il tempo
che ci si mette a costruire
navi come quella che hai visto. Il tempo che ci si mette a scoprire che
si è in
un altro mondo. Il tempo che ci si mette a trovare le sirene. Il tempo
che ci
si mette a trovare il modo di cacciarle, catturarle e ucciderle. Il
tempo che
ci si mette a scoprire che una sirena morta vale molto di meno di una
viva. Il
tempo ce ci si mette a costruire delle vasche piene di acqua sulle
isole per
tenere dentro chi si cattura. Il tempo perché chi tenta di
fuggire da quelle
vasche, luoghi di stupri, di torture, di spettacolo, di umiliazione, di
morte,
capisca che è inutile, che si morirebbe disidratati uscendo.
Il tempo di capire
che anche costituendo un esercito non si riuscirebbe a vincere gli
uomini. Il
tempo di scoprire che il loro tocco provoca terribili piaghe alle
nostre
squame. Il tempo che ci vuole per capire che ribaltare le navi fa
morire quelli
che ci provano. Il tempo che ci è voluto alla Regina per
cercare un accordo. Il
tempo che ci è voluto per trovare un accordo con questo capo
che non esiste. Un
accordo che prevede che non si catturino più selvaggiamente
le sirene, ma ogni
anno verranno fornite due coppie direttamente dalla Regina alle loro
vasche. In
cambio le sirene si impegnano a proteggere i marinai che vanno per mare
a costo
della loro vita! Il tempo che ci vuole perché una Regina
delle sirene si umili
a tal punto da mandare una sua stessa suddita trasformata come dono per
suggellare il patto che tenta di fermare la carneficina del suo popolo
a un
capo che non esiste!”
Si
bloccò. Piangeva.
Mi guardava con quelle pozze di oceano che aveva nel viso e piangeva.
Se avevo
ancora qualche dubbio, questo svanì all’istante.
In quel momento capii che era
tutto vero.
Mi sollevai
sulle
ginocchia e lentamente, con un dito, le accarezzai una guancia pallida,
tirandole su una lacrima. Abbassò gli occhi sul mio indice e
si scostò. Si
toccò gli occhi e mi guardò con aria
interrogativa.
“Cos’è?”
“Cosa?”
“Quest’acqua.”
Non sapevo cosa
risponderle. Avevo un groppo in gola.
“Sono
lacrime. Stai
piangendo.”
Sfiorò
una ciglia,
raccolse una lacrima e si guardò il dito. Poi lo
leccò.
“Gli
umani perdono
mare dagli occhi? In voi c’è del mare?”
“Non
è mare è solo…
una cosa che c’è negli occhi.”
“Ma
è salato come il
mare. Come hai detto che si chiama?”
“P-piangere.”
Guardò
di nuovo il
suo dito. Poi il mio. Li intrecciò.
“Non
avevo mai pianto
prima.”
Ci guardammo
ancora
qualche attimo, mentre il sasso che sentivo nello stomaco cresceva a
dismisura.
Fu lei ad abbracciarmi. Si buttò su di me di getto,
affondando la testa
nell’incavo del mio collo. Sentivo le sue ultime lacrime
sulla mia pelle. Il mare
dei suoi occhi. Poi la abbracciai anche io. Forte. Molto forte. E il
peso si
sciolse.
Aveva un odore
cattivo. Quasi fetido. Lo riconobbi. Era l’odore che aveva il
pesce morto sulle
spiagge che avevo visto da bambino. Lo respirai a fondo, nonostante mi
facesse
schifo. Finché non lo sentii più. Rimanemmo
abbracciati molto a lungo, senza
che mi eccitassi. Ad un certo punto Wyvern si distese vicino alle
nostre ginocchia.
Un alito di vento passò tra i nostri capelli. Un pezzo della
stoffa di Zabluda
si mosse lievemente. Forse era il sacco della spazzatura. Le sussurrai
nell’orecchio.
“Io
non ti mollo
più.”
E rise.