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Autore: The Knight    29/09/2014    9 recensioni
[Storia a OC - ISCRIZIONI CHIUSE]
Dal prologo:
"«Di giorno troppa gente bazzica da queste parti e a me non piace quando mi si fanno troppe domande», rispose il ragazzo «quindi, se non ti dispiace, io adesso me ne torno nel mio dormitorio».
Tom accennò un sorrisetto e le voltò le spalle, poi, quando fu sulla soglia della porta, si voltò nuovamente nella direzione della ragazza.
«Dovresti rientrare anche tu, Lucyۛ», aggiunse «se il custode ti vedesse, ti troveresti in guai molto seri»."
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Armando Dippet, Nuovo personaggio, Tom O. Riddle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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London King's Cross Station
 
 
 
01 Settembre 1942,
Stazione di King's Cross, Londra


Quel primo di settembre, il caos regnava sovrano alla stazione di King's Cross.
Babbani, maghi e streghe di ogni età e classe sociale si accalcavano intorno ai loro bagagli, alla ricerca del loro treno o nel disperato tentativo di oltrepassare la barriera magica per il binario 9 ¾ senza creare il panico tra la folla.
Due ragazzi vestiti in modo strano, quasi come se avessero cercato di camuffarsi da normali londinesi e non vi fossero riusciti a pieno, finsero di parlottare distrattamente mentre sparivano inspiegabilmente contro il muro tra il binario 9 e il 10.
Un babbano, seduto lì vicino sul suo baule di pelle, sbatté le palpebre un paio di volte, perplesso dalla scena. Guardò la bottiglia di vino che teneva tra le mani, forse pensando di aver bevuto troppo, poi ne rovesciò qualche calice per terra in un gesto scaramantico.
Lucy McLean sorrise appena, mentre suo fratello s'infilava le mani nelle tasche e sospirava.
Macey, loro madre, camminava rapidamente davanti a loro, brontolando tra sé e sé cose che nessuno dei suoi due figli stava ascoltando.
Jess continuava a scrutare tra la gente, con la spilla da Caposcuola appuntata al petto e l'aria nervosa di chi sta per fare la cosa più difficile della sua intera vita e non ha idea di da che parte cominciare.
Lucy gli mollò una gomitata leggera contro le costole.
«Non stai andando in guerra, Jess» lo rassicurò poi, abbozzando un sorrisetto divertito.
«No» rispose il ragazzo, dopo aver preso una profonda boccata d'aria.
Rimase in silenzio per un istante, per poi corrucciare le sopracciglia ed aggiungere «ho solo una strana sensazione».
«“Strana” in che senso?» domandò Lucy, incuriosita.
Jess si strinse nelle spalle e lasciò andare il respiro trattenuto.
«Non lo so, è solo una sensazione» rispose, meno rigido «mi passerà quando arriveremo a Hogwarts e riuscirò a mettere le mani su una di quelle nuove piante del signor Beery».
Lucy rabbrividì al solo pensiero.
Non solo lei era un completo disastro in Erbologia, ma il signor Beery, l'insegnate, continuava instancabilmente a metterle di fronte strani esemplari di erbe che tentavano di demolirle i timpani o di staccarle le dita mentre provava a trapiantarle da un vaso ad un altro. Per non parlare di quando tentava di cogliere loro una foglia, una bacca o una radice: un dramma degno di Shakespeare.
«Beh, puoi sempre dirlo alla signorina Vablatsky» suggerì, alludendo alla professoressa di Divinazione «forse, se tu glielo chiedessi, leggerebbe volentieri il tuo fondo di caffè».
Questa volta fu il turno di Jess per rabbrividire.
«Non voglio che quella pazza legga di nuovo il mio fondo del caffè», disse «due... tre anni fa, durante gli esami, mi ha detto che quest'anno accadrà qualcosa di agghiacciante e che io sarò una delle vittime».
Lucy trattenne il fiato per alcuni istanti.
«Ecco perché sei tanto nevrotico, oggi. Non stava parlando della guerra, vero?» buttò fuori, adesso un po' preoccupata «perché, se parlava della guerra, significa che colpiranno la scuola e..».
Jess scosse il capo ed agitò una mano all'aria.
«Non credo che la signorina Vablatsky si riferisse ad una bomba, Lucy» disse, ostentando un sorrisetto dei suoi ed arruffando i capelli alla sorella «scusa, non avrei dovuto dirtelo».
«Avresti dovuto dirmelo prima» sbuffò lei, offesa e allarmata allo stesso tempo «che cosa dirò a mamma e papà quando ti troveranno morto stecchino nello sgabuzzino delle scope?».
Jess sbuffò di rimando, alzando gli occhi al cielo.
«Possiamo smettere di parlare della mia morte imminente, per favore?», chiese «magari intendeva che Dippet organizzerà un ballo ed io sarò costretto ad andarci, no? Sarebbe agghiacciante ed io sarei decisamente una vittima. Non pensare sempre al peggio... e adesso andiamo, okay? Devo trovare Victoria Diggory».
Lucy rimase in silenzio per qualche istante, soppesando le parole del fratello.
In genere, Cassandra Vablatsky non sbagliava mai con le sue previsioni. Se aveva detto che qualcosa di terribile sarebbe accaduto, sarebbe accaduto.
E se Jess fosse davvero morto?
Sospirò.
«Va bene. Guardati intorno e vedi se riesci a scorgere Riddle o Hammer da qualche parte», disse poi «devo uccidere uno dei due entro l'arrivo a Hogwarts o con Dippet tra i piedi non potrò più farlo».


Verys Ellen era stata alla stazione di King's Cross ormai una buona decina di volte, ma la situazione non era migliorata affatto. Che fosse a causa della folla di persone che frequentavano assiduamente il luogo, per il chiasso esagerato oppure, semplicemente, perché il suo senso dell'orientamento era peggiore di quello di una bussola smagnetizzata, lei si perdeva.
Questa volta la colpa era stata del suo colibrì, che aveva deciso di andarsene a spasso per la stazione senza di lei e le aveva fatto perdere la reale concezione dello spazio.
«Ray!» lo chiamò, portandosi entrambe le mani ai lati della bocca «per Merlino, dove ti sei cacciato?!».
Ovviamente Ray non rispose, facendola preoccupare ancora di più.
In compenso, si voltarono a fissarla diversi babbani infastiditi dal suo gridare. Appena i loro sguardi si posarono su di lei, però, sui loro volti comparve l'espressione sorpresa e curiosa che Verys era ormai abituata a vedere in chi la incrociava per la prima volta.
A volte era terribilmente fastidioso, ma non poteva di certo dare loro torto.
Verys, e lei lo sapeva, era una figura davvero appariscente. Il fatto che si portasse appresso un carrello colmo di strani oggetti come calderoni e manici di scopa e che indossasse la divisa nera di Hogwarts (con tanto di cravatta rossa e oro della sua Casa) c'entrava ben poco. Il problema, se tale poteva essere definito, era il suo aspetto.
Verys, infatti, possedeva lunghi capelli del candido colore della neve, lisci e perfettamente immacolati, di cui lei, nonostante tutto, era piuttosto fiera. I suoi occhi, invece, erano gialli e luminosi, da felino, ed erano la parte che più metteva in agitazione i babbani.
Questa volta, però, Verys non si fermò ad osservare la reazioni di chi l'aveva vista. Si tuffò invece tra la folla, alla ricerca del suo animaletto.
Lo trovò appena in tempo. Stava svolazzando intorno ad una ragazza dai lunghi capelli scuri ed apparentemente molto irritata.
«Ray!» lo chiamò di nuovo Verys, sollevata.
Accelerò il passo e sgomitò tra la folla che la separava dal suo colibrì, decisa a recuperarlo prima che l'altra decidesse di pestalo, ma non ebbe molta fortuna. In qualche modo, e Verys passò i successivi due anni a domandarsi come fosse accaduto, scivolò.
Si aggrappò goffamente con entrambe le mani alla giacca di un passante e lo trascinò a terra insieme a lei.
«Hey!», si lamentò quello «...vuoi uccidermi?».
«Scusami, Samuel!» esclamò Verys, ritirandosi in piedi di scatto ed urtando un babbano che camminava dietro di lei. Verys domandò scusa anche a lui.
Il ragazzo a terra si rialzò spolverandosi i calzoni. Si raddrizzò ed inclinò le labbra in un sorrisetto divertito.
«Guarda che mi chiamo Sebastian, Verys, non Samuel» le disse, per poi scuotere lievemente il capo, sorridere di nuovo e regalarle un cenno di saluto «vedi di non abbattere nessun altro, eh?».
E se ne andò.
Verys si strinse nelle spalle, consapevole di aver appena realizzato la sua prima figuraccia dell'anno scolastico, poi tornò a cercare Ray con lo sguardo.
«Stupidi animali!» stava ringhiando la ragazza mora, arrabbiata, sistemandosi furiosamente una ciocca di capelli spettinati dietro un orecchio «prima o poi vi faccio tutti arrosto!».
Verys si avvicinò in fretta, sempre più preoccupata.
«Avanti, Jade. Ricorda: respira» ridacchiò qualcuno vicino a lei, prima di sfrecciare con il proprio carrello in direzione della barriera.
Jade non respirò affatto, forse per ripicca nei confronti dell'amico.
«Vedi di prendere un buon posto, Kol, questa volta!» gridò dietro al ragazzo, per poi fissare i suoi inquietanti occhi azzurri su Verys, che nel frattempo aveva afferrato il colibrì e se lo teneva stretto al petto «e tu, nessuno ti ha insegnato a tenere sotto controllo le tue bestie infernali?».
Verys lanciò un'occhiata di rimprovero a Ray, che pigolò qualcosa contro le sue dita.
«Mi dispiace» disse, mettendo su una piccola smorfia «Ray non lo farà mai più».
«Come no» replicò l'altra, sarcastica, aggiustandosi al collo la sua sciarpa dai colori blu e bronzo «come se non lo sapessi come sono, gli animali».


I capelli biondi e scompigliati continuavano a ricadergli fastidiosamente sugli occhi, ma lui era troppo allegro per curarsene troppo.
Si limitò ad aggiustarsi un ciuffo ribelle dietro un orecchio, scrutando insistentemente tra la calca di babbani e maghi che affollavano la stazione, come alla speranzosa ricerca di qualcuno che doveva trovarsi lì ma di cui non vi era traccia.
Remus David Baston, quel giorno, era decisamente di ottimo umore.
Sorrideva lievemente, giocherellando con la sua cravatta di Corvonero, la sua Casa, per alleviare la leggera tensione che da alcuni giorni lo opprimeva.
Non solo stava per iniziare il suo quinto anno alla Scuola di Magia e Stregoneria più famosa ed importante di tutti i tempi, ma stava anche per rivedere lei.
Remus aveva passato un'estate intera con la sola compagnia dei suoi genitori e di alcune lettere recapitategli da Wisdom, il suo gufo, da parte dei suoi amici.
Era riuscito a vedere Zoey solamente un paio di volte e gli mancava terribilmente.
Zoey Black era la sua migliore amica in assoluto.
La persona con cui aveva più confidenza, che più ammirava sia all'interno che all'esterno della scuola.
Ed era bella. Probabilmente era la ragazza più bella che Remus avesse mai avuto la fortuna di incrociare, e non intendeva solamente in fatto di estetica.
Non era quella la parte di lei che più gli interessava.
Zoey era... beh, era Zoey. E a lui questo bastava per volerle bene.
«Remus, hai preso il calderone?».
La voce di sua madre lo richiamò alla realtà, e Remus si voltò distrattamente nella direzione della donna, cercandola con lo sguardo.
«Che cosa?», domandò.
Melody corrucciò le sopracciglia, bionde come quelle del figlio, e si puntellò le mani ai fianchi.
«Ho chiesto» ripeté lentamente, come se si stesse rivolgendo a qualcuno di particolarmente duro d'orecchi «se hai portato il calderone».
Remus cadde dalle nuvole.
«Sì» assicurò velocemente, indicando qualcosa nel suo carrello «certo».
Sua madre incrociò le braccia, certa che il figlio avesse comunque dimenticato qualcosa, ed una lunga ciocca di boccoli ambrati le scivolò fuori dalla morbida crocchia in cui si era acconciata i capelli quella mattina.
«E la bacchetta?», domandò.
Remus sorrise sotto i baffi, sperando che la madre non se ne rendesse conto e non la prendesse come un'offesa personale.
«Sì, mamma», rispose.
«E i libri? Ci sono tutti?».
Remus alzò gli occhi al cielo.
Sua madre era sempre stata così: ansiosa e logorroica ai limiti del sopportabile.
Ogni anno, puntualmente, se la ritrovava tra i piedi alla stazione di King's Cross, pronta a stilare un elenco dettagliato di tutti gli oggetti che lui avrebbe dovuto portarsi ad Hogwarts, nella speranza che ne dimenticasse qualcuno a casa, avendo così un pretesto in più per scrivergli durante l'anno scolastico.
«Mamma, dai...»mormorò, accennando un sorrisetto scaltro nella sua direzione «non devi preoccuparti, ti vengono le rughe».
«Remus!» sbottò subito la donna, offesa.
Remus alzò le mani in segno di resa, mostrando il palmo a sua madre e ridacchiò.
«Scherzavo!», esclamò.
Sua madre s'imbronciò e Remus rise più forte. Afferrò il suo carrello e corse via, costretto a muoversi a zig zag tra i babbani per raggiungere il suo binario.
«Ci vediamo per Natale, Remus!», gli gridò dietro Melody.
«Certo! Ciao!» rispose lui, poi sorrise lievemente.
Avrebbe incontrato Zoey sul treno ed avrebbero passato insieme nove meravigliosi mesi. Non c'era fretta.


Ira Crick osservava con spiccato disinteresse le famiglie di maghi che, fallito l'ennesimo tentativo di mimetizzazione con i babbani, attraversavano la barriera magica e ricomparivano lì, al binario 9¾, dove si trovava lei.
L'Hogwarts Express, per qualche ragione che lei ignorava, non si era ancora fatto vedere. Così, la giovane Serpeverde si era accomodata su una delle lunghe panchine arrugginite che addobbavano la stazione.
Ira pensò distrattamente che, visto che quella parte di King's Cross apparteneva esclusivamente alle famiglie di maghi, qualcuno avrebbe anche potuto prendersi la briga di lanciare un incantesimo per migliorarne un pochino l'aspetto, invece che lasciare il tutto allo sbaraglio.
Non che non le piacesse stare a King's Cross, figuriamoci, era letteralmente il suo biglietto d'uscita dalla sua stramba famiglia, eppure... oh, ma chi se ne importava se sembrava che vi fosse stata appena sganciata una bomba?
«Mamma! Mamma! Cos'è quello? È un topo?».
Una bambina dagli occhi blu ed i morbidi ricci biondissimi le si avvicinò di corsa, indicando la gabbietta posta sulla cima dei bagagli nel carrello di Ira.
La ragazza spostò lentamente le sguardo su di lei, poi sull'animaletto rinchiuso nella gabbia.
Probabilmente avrebbe dovuto accigliarsi almeno un po', spiegare a quella bambina che quello non era proprio un topo, ma un animaletto molto più carino ed educato di nome Roda, ma non si scomodò affatto.
La madre della bambina si avvicinò goffamente, stringendosi in un logoro cappotto marrone.
Rivolse ad Ira un sorriso frettoloso ed afferrò la figlia per la mano.
«È un lemming, tesoro», spiegò «adesso andiamo, avanti, o tuo fratello perderà l'espresso».
Ira si poggiò con la schiena contro la panchina ed incrociò le braccia al petto, impassibile.
Le era bastata una semplice occhiata per capire che quella donna era stata una della Casa di Tassorosso e che non aveva la benché minima intenzione di lasciare che la propria figlia, probabilmente una futura Grifondoro, si rivolgesse a qualcuno che apparteneva palesemente alla Casa dai tratti più oscuri tra le quattro esistenti.
Roda squittì in direzione della bambina, decisamente più socievole della sua padrona, e la bambina emise uno strilletto acuto che penetrò nel cervello di Ira meglio di un Legilimens.
La bambina, questa volta, si rivolse direttamente a lei.
I suoi occhi, notò Ira, luccicavano di emozione e di felicità.
Ira non aveva mai quell'espressione sul viso.
«È tuo?», domandò.
Ira annuì con un cenno del capo, per poi voltarsi a guardare dalla parte opposta.
«Come si chiama?» insistette lei, in un gran sorriso.
«Roda» rispose Ira, asciutta.
Il sorriso della bambina, incredibilmente, riuscì ad allargarsi ancora di più.
«Mi piace!», esclamò.
Si voltò di nuovo verso la madre, incurante delle occhiatine risentite di quest'ultima.
«Mamma, quando andrò ad Hogwarts potrò avere anche io un lemming?», domandò in tono di supplica «ti prego!».
La donna si ritirò dentro il suo cappotto.
«Certo, tesoro», mormorò «adesso andiamo, ti va?».
«No» rispose la bambina, imbronciata «però vengo lo stesso».
«Oh, sia lodato Merlino...» sospirò la donna, per poi sorridere di nuovo ad Ira «mi dispiace molto, signorina, mia figlia ha un debole per gli animali e...».
«Non si preoccupi», tagliò corto Ira «a Roda piace ricevere attenzioni».
La donna rimase interdetta per alcuni istanti, poi tirò un po' la mano della figlia, incitandola a sbrigarsi.
«Ciao, Roda!», salutò la bambina, mentre si allontanava «ciao, padrona di Roda!».
Roda squittì un saluto dalla sua gabbietta.
«Sei davvero un esibizionista, sai?» commentò Ira, quando la bambina non fu più in vista.


Se c'era una cosa che a Ezekiel Christenson dava fastidio, quella era l'essere fissato come se lui fosse un fenomeno da baraccone che aveva appena perso la carrozza per il circo.
Ed era per questo che detestava in particolare quel momento dell'anno, quando non vi era alcuna stanzetta isolata in cui nascondersi e troppe persone potevano incrociarlo ed infastidirlo.
Si era piazzato dietro ad una delle tante colonne che sorreggevano il tetto della stazione, con il manubrio del carrello stretto tra le dita tozze e la sola compagnia di Rubeus Hagrid, il suo più grande, o forse unico, vero amico.
Erano una coppia davvero bizzarra, quei due, se guardati dal punto di vista degli altri ragazzi.
Da una parte c'era Hagrid, un mezzo-gigante che a tredici anni era già ben più alto di una piccola capanna. Fiero Grifondoro e pieno di risorse, sebbene orribilmente sgrammaticato e spesso troppo ingenuo.
Dall'altra invece vi era lui, Ezekiel, un Nato Babbano del sesto anno e smistato a Tassorosso.
In altezza non arrivava neanche alla cintura di Hagrid, tanto era basso.
La sua altezza, insieme alla sua sproporzione tra corpo e arti, era esattamente il motivo per il quale lui tentava di non farsi notare il più possibile dagli altri, in particolar modo dai ragazzi di Serpeverde come i cugini Black, che parevano trovare la sua situazione davvero molto divertente.
Hagrid, invece, era sempre stato molto gentile con lui, forse perché anche lui veniva costantemente preso di mira dagli altri ragazzi.
Non si arrabbiava neanche quando Ezekiel si comportava in maniera scontrosa dopo una pessima giornata o quando, al mattino, veniva svegliato troppo presto.
«Sento che questo è un anno speciale, Zek» esordì Hagrid, guardandosi intorno con aria ottimista «dico che anche Lexie ci tratta bene, forse».
Ezekiel lo squadrò attentamente, sospettoso.
Per esperienza personale, sapeva che quando Hagrid era tanto di buon umore c'era sotto qualcosa. Probabilmente qualcosa di legato agli animali. Solitamente a quelli particolarmente pericolosi.
«Dimmi un po', non è che hai ricevuto qualche altro...», cominciò, ma l'amico lo interruppe subito.
«Shh» gli sibilò Hagrid, adesso un po' agitato «te lo faccio vedere quando siamo soli, va bene? Non voglio che tutti lo sanno, o forse Dippet non me lo fa tenere».
Ezekiel si batté una mano contro la fronte sporgente.
«Per Merlino, Rub, non sarà mica un altro cucciolo di Graphorn, spero» disse, minacciando Hagrid con lo sguardo.
«No, no, non ti preoccupare», assicurò Hagrid, abbassando il tono della voce «è ancora un uovo e non ho so bene cosa è, ma me lo ha dato un commerciante mentre compravo i libri per Hogwarts. Credo che è qualcosa di molto bello».
Ezekiel non riuscì a rimanere impassibile davanti alla rivelazione: amava gli animali e tutte le Creature Fantastiche che popolavano il Mondo Magico e questo, nonostante il timore, lo rendeva incredibilmente curioso di scoprire che cosa potesse contenere quel famigerato uovo.
«Allora posso vederlo, in dormitorio?» domandò, d'un tratto più allegro.
Hagrid gli diede un paio di pacche sulla schiena che per lui erano chiaramente leggere, ma Ezekiel le avvertì come avrebbe potuto avvertirle se gliele avesse date uno Yeti.
Fu costretto persino a tossicchiare un po', ed Hagrid rise.
«Certo che puoi vederlo», dichiarò il Grifondoro «se ti va, mi aiuti anche a scoprire che cosa è?».
Il volto scuro e corrucciato di Ezekiel si illuminò di entusiasmo.
«Ma certo!» esclamò, allegro, ed i suoi piccoli occhietti azzurri brillarono «non vedo l'ora!».
Hagrid annuì, altrettanto contento.
«Allora dopo ti faccio vedere il nuovo libro che ho preso io», disse «forse ci troviamo qualcosa di utile».


In quanto ad esagitazione, Ethan Montgomery ed il suo coetaneo e grande amico Nathan Wells avrebbero benissimo potuto competere e mai si sarebbe conosciuto il vincitore della sfida.
Ethan, la sciarpa di Grifondoro attorcigliata intorno al collo e l'aria impaziente, continuava a saltellare da un piede all'altro come se avesse urgente bisogno di correre in un bagno.
Aveva salutato le sue sorelle, Anouk e Lexie, pochi secondi prima e già non aveva più alcuna voglia di starsene lì fermo ad aspettare che Nathan e Juliet Morris lo raggiungessero.
Probabilmente Juliet si era fermata a sbaciucchiarsi di nascosto con Evan Jay, il suo segretissimo ragazzo di Serpeverde, e quello era il morivo per il quale ancora non si era fatta viva. Ma Nathan, quel benedetto ragazzo completamente single e libero come l'aria, che scusa aveva per farlo aspettare tanto?
Sbuffò.
Inizialmente, Ethan aveva tentato di mettersi seduto su una panchina, come avrebbe fatto ogni altro normale essere umano in attesa di qualcuno, ma aveva dovuto rinunciare ben presto.
La staticità non era il suo forte. Era troppo iperattivo per rimanersene buono e in silenzio senza fare niente, senza disturbare qualcuno o senza parlare. Cosa che gli aveva causato non pochi guai in quei sei anni che aveva trascorso ad Hogwarts.
A quanto pareva, aveva quel tipo di sguardo da monello che faceva subito strillare agli insegnanti “non pensarci neanche!”, e che lo faceva piombare automaticamente in prima fila, dove avrebbero potuto tenerlo sotto controllo con più facilità ed evitare che combinasse qualcosa di pericoloso sia per lui che per gli altri.
D'altronde, e ormai lo sapevano tutti ad Hogwarts, Ethan non era mai stato un grande amante delle regole.
Appena accadeva qualcosa di strano o di bizzarro nella scuola, nelle menti degli alunni e dei professori sfilavano subito solo due nomi. Il primo era quello di Pix, il Poltergeist combina guai che infestava Hogwarts ormai da secoli e nessuno era più riuscito a mandare via, seguito immediatamente da quello di Ethan.
“Chi ha fatto sparire il naso alla Signora Grassa?”.
Ethan.
“Perché gli gnomi da giardino stanno mordendo i ragazzi di Serpeverde?”.
Ethan.
“C'è un motivo per il quale il mio cactus crede che le sue spine siano spade e vuole infilzarmi con qualcuna di esse?”.
Ethan.
Era sempre la stessa storia.
Ormai era abituato agli sguardi divertiti degli amici, a quelli maligni di alcuni Serpeverde e a quelli estremamente sospettosi dei suoi insegnanti.
Soprattutto a quelli di Rüf, il professore di Storia della Magia, che si ostinava a confondere fastidiosamente il suo nome con quello di Edward Dalton, un Corvonero suo coetaneo che con lui aveva ben poco da spartire, sin da quando erano entrati ad Hogwarts per la prima volta.
Ethan non riusciva davvero a capire come fosse possibile. Insomma, non solo lui ed Edward erano completamente diversi, ma Rüf insegnava a loro da anni e ancora non aveva afferrato le differenze tra loro.
Il Corvonero era persino solito frequentare la cerchia di Tom Riddle e lui, al contrario, non aveva niente a che fare con quello strano e inquietante individuo ed i suoi folli ideali incentrati sulla purezza del sangue e tante altre cose che ad Ethan erano entrate da un orecchio ed immediatamente uscite dall'altro.
Il ragazzo scosse il capo e batté ritmicamente un piede a terra, come a seguire il ritmo di un motivetto immaginario.
Il lontananza, gli parve di scorgere la chioma scura di Grantaire Marie-Hugo, il ragazzo di uno dei suoi amici, ma non fu abbastanza rapido per salutarlo.
Sbadigliò.
Aspettare le persone poteva essere davvero noioso, quando non sapevi cosa fare nel frattempo.


Delilah Lakewood, nonostante le lezioni non fossero ancora cominciate, stava già cominciando a prendere molto sul serio il suo nuovo ruolo.
Con i capelli corvini raccolti in una lunga treccia ordinata, la spilla da Prefetto Corvonero fieramente appuntata sul petto e la divisa nera svolazzante già indosso, la giovane strega continuava a fulminare i passanti con quel suo paio di elettrizzanti occhi di ghiaccio, facendo correre lunghi e gelidi brividi lungo le schiene dei malcapitati.
Un ragazzino dai capelli rossi, certamente uno dei piccoli Weasley a giudicare dalle lentiggini e dagli abiti di almeno decima mano che portava addosso, andò persino a sbattere con la fronte contro ad una ringhiera mentre cercava di evitare il suo sguardo.
A Delilah venne da sorridere, forse in maniera un po' più arrogante del necessario.
Era un compito che le piaceva un sacco, quello che Dippet le aveva assegnato per quell'anno.
In questo modo avrebbe potuto tenere sotto controllo tutto ciò che accadeva sia dentro che fuori da Hogwarts, ed avere le cose sotto controllo era una delle cose che a Delilah piacevano di più.
Insomma, avrebbe saputo chi e quando entrava o usciva dai dormitori, avrebbe potuto andarsene a spasso per la scuola a notte fonda senza rischiare l'espulsione e forse, se fosse stata fortunata, sarebbe anche stata in grado di convincere il batacchio della porta della Sala Comune di Corvonero ad inventare un indovinello più difficile dei soliti, giusto per mettere un po' in difficoltà i nuovi arrivati ed i meno creativi.
E poi avrebbe potuto parlare di nuovo con Rahiennon, una delle sue migliori amiche all'interno della sua Casa, alla quale aveva talmente tante cose da raccontare che forse i nove mesi scolastici non sarebbero bastati affatto.
Senza contare che avrebbe rivisto quell'idiota del suo ragazzo, Christian Fray, cosa che, anche se probabilmente non lo avrebbe mai ammesso di fronte a nessun altro, la mandava letteralmente al settimo cielo.
Non lo vedeva da un po'.
I suoi occhi di quell'indefinito colore brillante tra il verde ed il blu, i suoi capelli biondo cenere, quella sua assurda risata estremamente contagiosa... beh, tutto di lui cominciava a mancarle terribilmente.
Se lo immaginava già a stringerla in uno di quei suoi abbracci calorosi che lei a volte fingeva di detestare, ma di cui aveva bisogno più di ogni altra cosa al mondo.
La sola idea la fece sorridere d'impulso, senza che potesse trattenersi, e lei fu seriamente tentata di darsi della stupida.
Non era da lei fantasticare su cose del genere, per cui scosse il capo e s'impose di finirla con le sdolcinatezza e di riprendersi il suo solito cinismo.
Persino Salem, il suo gatto, si strusciò contro le sue gambe miagolando, come a volerle ricordare che proprio non era il momento di perdersi in strani pensieri romantici.
Gli occhi azzurri di Delilah corsero rapidamente all'orologio incastrato in alto su una delle colonne grige della stazione.
Erano quasi le undici.
L'Espresso per Hogwarts era appena arrivato.
Una lunga ed imponente locomotiva scarlatta era ferma sul binario 9¾ e richiamava i suoi passeggeri con brevi e ripetitivi squilli di una campana stregata che aveva l'aria di aver bisogno di essere urgentemente sostituita.
Delilah prese una profonda boccata d'aria e si avviò verso l'espresso.
Se tutto fosse andato come se lo era immaginato, quello sarebbe stato un anno magnifico.
Beh, almeno per gli standard di Hogwarts.


Salire sull'Espresso di Hogwarts era stato una vera e propria seccatura per Evan Jay, uno dei ragazzi Serpeverde del settimo anno.
Il problema principale, per lui, era stato raggiungere la locomotiva.
Una folla di ragazzini, genitori e animali vari era immediatamente corsa nella sua direzione appena era giunta a destinazione, creando una confusione che avrebbe dovuta essere etichettata come “illegale”.
Evan era stato superato, spintonato e persino calpestato da qualcuno che sapeva essere della sua Casa, senza che nessuno si degnasse neanche di chiedere scusa.
Un ragazzino si lamentò persino perché il ragazzo gli stava“intralciando la strada per raggiungere le porte”.
Era una cosa talmente assurda che Evan stesso faceva fatica a concepirla.
Insomma, lui era un ragazzo dell'ultimo anno, per giunta della Casa di Serpeverde,
Avrebbero dovuto essere tutti piuttosto terrorizzati dall'idea di farlo arrabbiare o, per lo meno, avrebbero dovuto sentirsi un pochino in soggezione al camminare vicino a lui.
Ma ovviamente lui era Evan Jay, e non era poi questa grande minaccia. Senza contare che il primo di settembre lui era sempre parecchio di buon umore.
Evan era quel tipo di persona che sorrideva di fronte ad ogni persona e situazione, in totale contrasto con l'animo dei suoi compagni di Casa. Amava divertirsi e far divertire i suoi amici.
Amici che avrebbe finalmente ritrovato proprio sul treno su cui stava tentando di salire proprio in quel momento.
La cosa lo fece sorridere: non vedeva l'ora di rivederli tutti.
Per quanto il ragazzo appartenesse ad una famiglia di Purosangue di notevole rilevanza, Evan pareva aver ben poco in comune con la tradizionale arroganza dei Jay.
Per dirla tutta, Evan non aveva affatto un buon rapporto con il resto della sua famiglia, fatta eccezione per Chris, uno dei suoi tre fratelli maggiori.
Sua madre e suo padre avevano sempre avuto quell'insana fissazione per la purezza di sangue, i galeoni ed il potere che Evan, al contrario, non aveva mai condiviso neanche per un istante. Soprattutto non da quando gli era stato riferito che lui, finiti gli studi, avrebbe dovuto prendere in moglie una sconosciuta dal sangue puro già accuratamente scelta dai suoi genitori.
Come se l'amore fosse qualcosa di cui poter contrattare a tavolino a quella maniera, come se fosse un subdolo trattato di pace tra Stati rivali.
Questo era il problema principale che affollava la mente di Evan sin da un paio di anni, quando aveva conosciuto Juliet Morris.
Come sarebbe riuscito a sposare una donna che fino a quel momento non aveva ancora visto in faccia, quando amava un'altra ragazza così tanto che il cuore avrebbe potuto scoppiargli?
Per il momento era persino disposto a frequentare Juliet di nascosto, tanto che erano in ben pochi a conoscere come stavano realmente le cose tra loro due.
Non riusciva neanche ad immaginare come l'avrebbero presa i suoi, se un giorno fosse tornato a casa ed avesse detto qualcosa tipo: “madre, padre. Non ho intenzione di sposarmi secondo i vostri desideri, ma solo secondo i miei. Questa è Juliet, la mia ragazza”.
Per Merlino, l'avrebbero diseredato.
No, peggio.
Gli avrebbero impedito di vedere Juliet per il resto della sua intera vita.
Evan scosse il capo, ed i suoi capelli scuri si arruffarono più del necessario.
Non era il momento di pensare ai suoi problemi: era il primo di settembre, sarebbe tornato a Hogwarts molto presto e là, forse, avrebbe potuto baciare Juliet senza che persone indiscrete corressero a spifferare tutto ai loro genitori.
I battiti del suo cuore accelerarono ed Evan si sentì arrossire lievemente, cosa assolutamente insolita per lui.
Prese un respiro profondo e si passò una mano tra la sua zazzera di capelli scompigliati, per poi sforzarsi di dimenticare tutto ciò che lo stava agitando.
Stava per tornare ad Hogwarts.
Non aveva niente di cui preoccuparsi.


Carlotta e Alex Willson furono tra gli ultimi a riuscire a salire sull'Espresso.
C'era stata una calca insolitamente faticosa da superare, come se tutti gli studenti e i loro genitori non avessero più visto l'ora di sbarazzarsi finalmente gli uni degli altri.
O forse il motivo di tanta agitazione era il desiderio di fuggire dalla guerra che ormai incombeva sia sul mondo dei babbani che su quello dei maghi per rintanarsi in uno dei luoghi più sicuri presenti sulla faccia della Terra.
Per quanto riguardava Carlotta, lei non riusciva a pensare ad altro oltre al fatto che ben presto si sarebbe di nuovo trovata tra le solide e sicure mura di Hogwarts e le responsabilità che gravavano sulle sue spalle si sarebbero finalmente alleggerite.
Fino a quel momento, aveva dovuto fare lei ogni cosa a casa loro, con ben pochi aiuti.
D'altronde, la madre era stata richiamata come infermiera in una zona di guerra, per cui era parecchio tempo che di lei i due non ricevevano altre notizie se non rapide lettere in cui erano scritte solo poche righe indispensabile.
Per quanto riguardava il padre, beh, era quel tipo di padre di cui nessuno aveva mai voglia di parlare.
In quel momento, era rinchiuso in una sottospecie di clinica per alcolisti e così ormai da tre anni.
Se Carlotta e il fratello vedevano raramente la madre, il padre non ricordavano neanche che faccia avesse.
Alla fine, l'unico che si occupava di loro era il loro nonno materno.
Carlotta lo adorava.
Era una persona splendida, gentile, talmente umana che a volte credere che davvero esistessero uomini simili era difficile persino per Carlotta.
Carlotta lanciò una rapida occhiata a suo fratello, Alex, che adesso sedeva di fronte a lei nel vagone dell'espresso, apparentemente molto impegnato a fissare con insistenza al di là del finestrino.
La stava totalmente ignorando, e Carlotta, per quanto Alex potesse essere suo fratello, non lo trovò affatto strano.
Alex era un Serpeverde, e come tale si era messo in testa che la sua Casa fosse in assoluto la migliore e che lui non dovesse cercare di mescolarsi a nessuno degli altri, specialmente se non erano di sangue puro.
E pensare che neanche lui era un mago Purosangue.
Carlotta, però, aveva una vaga idea di chi potesse avergli infiltrato nella mente certi pensieri.
C'era quel ragazzo, Tom Riddle, nella Casa di Serpeverde.
Era uno strano tipo e Carlotta non lo trovava molto convincente. Forse perché, da una parte, Riddle era troppo affascinante.
Possedeva quel tipo di fascino che, unito ad una certa dose di bellezza ed astuzia, era in grado di farti credere di volere esattamente ciò che lui desiderava.
E lui, a sentire le voci che circolavano all'interno della Casa di Tassorosso, desiderava un mondo di soli maghi, dove l'unica cosa che avrebbe contato sarebbe stata la purezza del proprio sangue.
Babbani e Nati Babbani? Beh, non avrebbero avuto una gran bella vita, sotto il suo dominio. In alcuni casi, forse, non avrebbero proprio potuto continuare a vivere.
Certo, questo non era sicuro al cento per cento.
La maggior parte degli studenti che si affollavano intorno a quel ragazzo sembravano essere lì solo per pura curiosità. Carlotta aveva però l'impressione che non fosse poi così difficile cadere nella rete di Tom Riddle, neanche se si era persone particolarmente riflessive.
Se poi si prendeva un ragazzino come Alex, il cui padre era un babbano che non aveva mai portato niente di buono alla famiglia e che lui probabilmente odiava con tutta la sua forza, le possibilità che questo rimanesse soggiogato dalle idee razziste di Riddle aumentavano vertiginosamente.






NOTE
Okay, esiste l'ansia da pubblicazione?
Perché se esiste io ce l'ho, e se non esiste l'ho inventata D:
Davvero, spero che vi piaccia.
Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate, perché, visto che ho aggiunto piccoli dettagli di qui e di là ad ognuno, non sono sicuro di aver reso per il meglio i vostri personaggi. Spero solo che non vi arrabbierete con me. È la prima volta che faccio una cosa simile, abbiate pietà ^-^”


In questo capitolo sono stati presentati i seguenti personaggi:
♣Ethan Montgomery; settimo anno, Grifondoro.
♣ Verys Ellen; quinto anno, Grifondoro.
♣Ira Crick; quinto anno, Serpeverde.
♣Evan Jay; settimo anno, Serpeverde.
♣Ezekiel Christenson; sesto anno, Tassorosso.
♣Carlotta Willson; quinto anno, Tassorosso.
♣Delilah Lakewood; quinto anno, Corvonero.
♣Remus Baston; quinto anno, Corvonero.
Gli altri sono stati solamente nominati o sono state delle semplici comparse, per cui verranno presentati veramente nel corso dei prossimi due capitoli.
Siete stati davvero in tanti a partecipare (ho ventisette personaggi in tutto O.o), non me l'aspettavo D:
Ma siete splendidi anche per questo.


Spero di non aver esagerato con la lunghezza del capitolo (?). Ve lo avevo detto che avrei fatto qualcosa di “serio”, se così si può chiamare.
Chiedo scusa per essermela presa tanto comoda e per i probabili errori di battitura e\o grammaticali che avrete certamente trovato leggendo, ma il correttore automatico del mio OpenOffice non ha mai funzionato ed io possiedo la vista acutissima di Elfo cieco.
Non riesco mai a trovare gli errori mentre rileggo un mio testo, non so né perché né se è normale, aiuto ç.ç

 
Ricordo che le iscrizioni sono definitamente chiuse, quindi purtroppo non accetto altri personaggi.
 
   
 
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