11. Acqua che scorre
Eric soffriva d’insogna.
C’era ben poco da fare, negli anni aveva tentato diversi
sistemi per porre rimedio al problema, ma con scarsi risultati. E così,
armandosi unicamente di buona pazienza, aveva accettato la situazione.
Il che non era del tutto vero, poiché la pazienza non era
mai stata fra le sue virtù, la sua era stata più che altro rassegnazione e
così, quando il sonno veniva meno, non gli restava altro che alzarsi dal letto
e trovare il modo di ingannare il tempo.
Ma almeno quella sera non era da solo.
Nella sua camera c’era una poltroncina mono posto a pianta
girevole, che aveva scelto di posizionare davanti alla finestra, non troppo
distante dal letto. Le sere in cui si ritrovava a vagare per la stanza senza
riuscire a dormire guardava fuori ma, per quella sera, aveva scelto di girare
la poltrona verso il letto.
Aria dormiva ancora e, per non disturbarla, aveva acceso
solo la luce dell’abatjour che di solito teneva sul comodino, ma che in quel
momento aveva sistemato sul pavimento perché la luce non le andasse sugli
occhi, svegliandola. Era avvolta nella trapunta bianca, quasi fino alla testa.
Aveva sciolto i capelli che le circondavano il capo in ciuffi neri disordinati,
mentre la sua pelle aveva preso un po’ di colore per il calore del letto. Un
braccio nudo era piegato sul cuscino, ma non riusciva a vedere poi tanto altro,
dato il modo in cui si era avvolta fra le coperte, spostandosi verso la parte
centrale del letto, quasi si fosse accorta della sua assenza e lo stesse
cercando.
Eric la guardò ancora per attimo e poi osservò il cielo
fuori, piegando le labbra in un sorriso malinconico, mentre ricordava quello
che era successo solo un paio d’ore prima…
Era andato a fare un breve giro al Pozzo per lasciare alla
ragazza il tempo di godersi un bagno caldo e, quando era tornato, l’aveva
trovata affacciata al bancone della camera. Dopo essersi chiuso la porta alla
spalle si era avvicinato a lei che, accortasi della sua presenza, gli aveva
sorriso. Indossava una canottiera nera e un paio di pantaloni stretti, si era
tolta la fascia di tessuto nero dalla testa e aveva sciolto i capelli, che
avevano le punte ancora umide per il bagno.
Aria rientrò nella camera e socchiuse la porta di vetro, poi
si avvicinò al gatto disteso sul pavimento e si inginocchiò per accarezzarlo.
-Credo che tu mi abbia preso in giro,- disse
tranquillamente, mentre il gatto iniziava a fare le fusa. –Con quelle non ti
libererai certo di lui…-
Eric seguì il suo sguardo e vide le due ciotole di metallo
che aveva sistemato in un angolo per la gatta, per l’acqua e per qualcosa da
mangiare. Incrociò le braccia al petto e la sfidò con lo sguardo.
-Ha un nome?- gli chiese lei, continuando ad accarezzare
l’animale.
-Stai scherzando?- Esclamò, ad un passo dal perdere la
pazienza.
-E come fai a chiamarla?-
-Non ne ho certo bisogno, è sempre fra i piedi!-
La gatta si rotolò sulla schiena e leccò le dita della
ragazza, sicuramente contenta che almeno qualcuno le dedicasse un po’ di
attenzioni.
-Ma un nome le serve!-
Sbuffò e alzò gli occhi al cielo, con quella ragazza era
inutile discutere. –Dagliene uno tu, se ci tieni tanto!-
Aria osservò la gatta, aveva quasi tutto il pelo nero,
eccezione fatta per la punta della coda e delle zampe anteriori. Inoltre, sul
petto, aveva una macchia rotonda tutta bianca che ricordava una luna piena.
-Che ne dici di Luna?-
-Se ti piace…- Le rispose, senza che la faccenda del nome lo
coinvolgesse più di tanto.
La ragazza fece un cennò e si sedette sul pavimento per
continuare ad accarezzare la gatta.
-Se permetti, adesso è il mio turno!- affermò Eric,
sfilandosi la giacca che indossava e appendendola ad un gancio dietro la porta.
Vide Aria abbassare lo sguardo e fece un sorrisetto
divertito, senza tuttavia cambiare le sue intenzione per risparmiarla
all’imbarazzo.
La ragazza rimase ad osservarlo mentre si toglieva la maglia
come solo un uomo poteva fare, senza prenderla dalla parte sui fianchi, ma
togliendosela via dalla schiena, facendo passare le braccia dietro la testa. Si
ritrovò davanti il ragazzo a torso scoperto e non fu facile, per lei,
dissociarsi dalle emozioni che l’assalirono.
Gli avambracci di Eric erano entrambi tatuati, ma il resto
del suo petto era libero da ogni disegno e, anche le linee che aveva stampate
lungo il collo, si fermavano lì senza scendere oltre. La linea prepotente dei
suoi addominali scendeva sui suoi fianchi scolpiti e forti e, quando lo vide
voltarsi di schiena, sentì distintamente l’impulso di voler toccare quella
pelle solita, sicura che sarebbe stata calda.
-Vuoi venire anche tu con me?- le chiese malizioso, alzando
un sopracciglio. –Oppure non hai voglia di un altro bagno, e preferisci che mi
spogli qui per non farti perdere lo spettacolo?-
Aria lo guardò di traverso, ma non riuscì a nascondere del
tutto un piccolo sorriso divertito. –Va via!-
Eric sghignazzò e si chiuse in bagno. –Come vuoi!-
Ne uscì poco dopo con addosso solo i boxer neri che lasciavano
ben poco all’immaginazione, trovando Aria seduta sulla poltrona girevole. Non
incrociò il suo sguardo, ma sapeva perfettamente che aveva visto il modo in cui
era uscito dal bagno, altrimenti non avrebbe fatto ruotare la sedia verso il
letto con tanta velocità.
Con una certa nota di divertimento in corpo, si avviò verso
la porta del guardaroba e l’aprì. Prese una semplice t-shirt nera che si infilò
addosso mentre si dirigeva verso il letto, scostando le coperte e sedendosi dal
lato più vicino alla porta. –Dai vieni qui!- Le disse piano, battendo con una
mano sull’altra metà del letto.
Ebbe tuttavia il tempo di mettersi a posto le coperte, dato
che Aria non si era mossa. Lo stava guardando dritto negli occhi con una strana
espressione, tanto profonda da potercisi perdere dentro. Colse ogni suo
pensiero, tanto che gli parve di sentire la vocina nella sua testa e i mille
calcoli che stava facendo. Non si arrabbiò con lei perché capiva il suo
imbarazzo, immaginava che il pensiero di ritrovarsi sotto le coperte con lui,
in un’ intimità che fino a quel momento non avevano mai condiviso, le toglieva
il fiato.
Sogghignò e decise di toglierla, a modo suo, dall’imbarazzo.
–Non avrai mica pura di farmi vedere le gambe…-
Aria non pensava alle proprie gambe, ma a quelle di Eric
quando gli era sfilato davanti. Vedendolo uscire con solo le mutande addosso,
era arrossita e aveva fatto girare la sedia per voltarsi verso il letto ma,
mentre si metteva la maglia, Eric le era passato accanto per raggiungere il
letto. Aveva visto le sue gambe e studiato ogni suo muscolo, cercando poi di
non soffermarsi con lo sguardo sui glutei solidi e su tutto il resto per paura
che il suo cuore si fermasse del tutto.
In quel preciso momento, l’idea di raggiungerlo sotto le
lenzuola, rappresentava per lei la più grande delle paure e, al tempo stesso,
un’ enorme tentazione. Dovette imporsi mentalmente la calma, regolare il
respiro e farsi forza.
E poi ovvio, Eric aveva ragione, non poteva certo andare a
letto con addosso quei pantaloni da allenamento.
Ripensando all’imbarazzo alla quale l’aveva sottoposta, si
alzò in piedi e si sfilò di dosso i pantaloni scuri rimanendo con solo la
canottiera nera, corta ed aderente, e le mutandine. Se ci riusciva, sta volta
toccava ad Eric smettere di respirare.
Avanzò verso il letto, sperando di non fare un infarto, scostò
le coperte e si sedette nella metà libera, quella vicina alle finestre.
Eric la guardò in silenzio e respirò a fondo, ovviamente
quella ragazzina incosciente non sapeva quanto gli costasse trattenersi. Non
sapeva, o faceva finta di non sapere, che vederla in quel modo gli mandava il
sangue al cervello e lo faceva letteralmente impazzire. Non poteva neanche
immaginare che effetto gli facesse la sua pelle nuda, le forme del suo corpo, e
lo sforzo che doveva fare per controllarsi e rispettare la promessa che le
aveva fatto di non saltarle addosso. Il
suo sangue in realtà, al pensiero di avere l’oggetto del suo desiderio lì, con
lui nel suo letto, abbandonava totalmente la testa e scendeva da un’altra
parte.
Per distrarsi le risistemò il cuscino dietro la schiena e le
rimboccò le coperte, invitandola a stendersi con un gesto della mano.
-Eric?..-
-Lasciami fare, okay?-
Si concentrò sulle lenzuola per non guardare quel copro che
tanto desiderava. Guardò invece gli occhi pieni di domande con i quali lei lo
stava fissando, senza saperle dare alcuna risposta. Era consapevole che i gesti
su cui si stava concentrando non erano adatti alla sua persona, ma non aveva
altro modo per distrarsi e per ritrovare la calma. Inoltre, non era mai
successo che si dedicasse a qualcun altro in quel modo, e trovò quella nuova
esperienza piuttosto interessante.
Aria si stese al suo fianco e rimase a guardarlo in
silenzio, e per lui fu difficile capire se era imbarazzata o se, come lui,
lottava contro i suoi istinti.
-Cerca di dormire,- Le disse. –Il primo modulo dell’addestramento
è finito, domani mattina io e Quattro sommeremo i punteggi dell’ultima
esercitazione. Prima di sera, potrete vedere la classifica.-
-E quelli negli ultimi posti finiranno fra gli Esclusi?-
chiese lei, appoggiando meglio la testa sul cuscino.
-Sì, ma tu non hai di che preoccuparti!-
Aria pensò a quanto fosse orribile che alcuni dei suoi
compagni, giovani iniziati come lei, soltanto la sera dopo avrebbero potuto
ritrovarsi a dormire fuori dalla fazione.
-Domani voi iniziati avete la mattina libera, e invece a me
tocca lavorare, con Quattro per giunta.- Si diede un colpetto sulla fronte.
–Dovremo alzarci presto, devo farti uscire quando gli altri sono in mensa per
la colazione. È meglio che nessuno sappia che sei stata qui.-
-Va bene.- Concordò, stringendosi nelle coperte.
Eric la guardò, e per un istante quella situazione gli
sembrò irreale. Sapeva che avevano a diposizione poche ore di sonno e che, ogni
secondo passato con lei su quel letto, era una vera e propria tentazione. Decise
di spegnere la luce da un interruttore sul muro, vicino al suo comodino.
-Aria?-
-Mmh?-
Era stesa su un fianco, gli occhi già chiusi, girata verso
di lui e con le mani nascoste sotto al cuscino.
Fece un sospiro e sorrise, sicuro di non essere visto. -Buon
compleanno!-
Nel buio della camera, stretta fra le lenzuola, Aria
sorrise…
E così, quando mancava poco più di un’ ora al suono della
sveglia, Eric si ritrovava seduto sulla poltrona a contemplare il proprio letto
occupato. Era rincuorante averla lì, ed avere un respiro da ascoltare nel
silenzio della notte, mentre a lui non restava altro da fare che attendere che
la stanchezza lo facesse crollare nell’abbraccio del sonno.
Purtroppo era riuscito a dormire solo due o tre ora al
massimo, e già prevedeva il mal di tasta che lo avrebbe assillato per tutta la
mattina, perciò si decise ad alzarsi e a raggiungere il letto.
Forse sarebbe riuscito a riaddormentarsi, spense la luce
ancora a terra e si infilò piano fra le coperte, attento a non svegliare la
ragazza. Quando mise la testa sul cuscino si sentì subito meglio, poi si voltò
verso Aria e rimase ad osservarla dormire per qualche istante, illuminata dal
chiarore della luna che attraversava le finestre. Le prese la mano che teneva
sul cuscino e l’accarezzò di sfuggita, prima di concentrarsi sul ritmo
confortante del suo respiro, e abbandonarsi, finalmente, al sonno.
Si risvegliò a causa dalla luce del sole che entrava
prepotentemente dalle vetrate, e per il rumore di acqua che sorre.
Aprì timidamente gli occhi e, ancora assonnata, memorizzò i
dettagli della stanza e ricordò dove si trovava. Il letto le offriva ancora un
riparo caldo e confortante, perciò si strinse alla trapunta e chiuse ancora gli
occhi, abbandonandosi sul cuscino. Allungò poi il braccio verso l’altra metà
del letto, sentendo le lenzuola tiepide e, per istinto, si spostò verso quella
parte e mise la testa sull’altro cuscino, respirandone a pieno il profumo.
Era l’odore di Eric.
Eric.
Aprì gli occhi di scatto e, dal rumore di acqua che
continuava a sentire, capì che lui era in bagno sotto la doccia. Decise perciò
di restare lì ancora per qualche secondo, avvolgendosi sempre più sotto la
trapunta. Prese un profondo respiro e assaporò gli odori del cuscino di Eric,
percependo un misto di odori puramente maschili, da uomo, odore di sudore e il
profumo degli alberi. La palle di Eric, forse per i prodotti da bagno che
usava, aveva l’aroma di corteccia d’albero e foglie bagnate. Lo sentiva ogni
volta che la baciava o, semplicemente, quando gli stava vicino.
Si mise a sedere sul letto e si guardò intorno, passandosi
una mano sulla fronte.
Eric.
Aveva smesso di negare e di lottare, lui la prendeva con la
sua forza e lei lasciava che accadesse. Ma non era debolezza la sua, al
contrario, per la prima volta si sentiva in grado di lottare ad armi pari. Non
doveva nascondersi, non doveva sopprimere ciò che provava per paura di affidare
il suo cuore nelle mani di qualcuno che glielo avrebbe restituito distrutto.
Era lei la padrona del suo cuore e, se per tutto quel tempo gli aveva impedito
di battere, con Eric lasciava che i suoi battiti esplodessero. Non le importava
come sarebbe finita, era brava a rialzarsi dopo una caduta, l’unica cosa che le
importava era quella sensazione di estremo benessere che le davano le sua
braccia forti. Mai nessuno l’aveva fatta sentire in quel modo, si era sempre
sentita debole e priva di protezione, e così era sempre pronta a combattere. Ma
con Eric, non solo si sentiva lei stessa più forte e sicura di sé, ma si
sentiva anche al sicuro e sotto la sua protezione, con lui sapeva solo deporre
le armi perché non c’erano ragioni per combattere.
E lei era stanca di combattere.
Non era più fra gli Eruditi, perennemente fuori posto,
quello era il passato. Nel presente lei era perfettamente a suo agio. Nessuno
l’avrebbe più criticata e, soprattutto, non era più sola.
Poiché aveva sempre criticato il modo di agire della sua
vecchia fazione, capì che quello non era il momento per fare la scelta più
logica, ma per seguire l’istinto.
Se avesse sbagliato sarebbe stata pronta a pagarne le
conseguenze, ma almeno avrebbe seguito il suo cuore e si sarebbe goduta a pieno
quelle emozioni, senza perdersi più niente.
E avrebbe creduto, per la prima volta, in qualcun altro.
Sentì il rumore dell’acqua che scorreva in bagno e,
consapevole, si lasciò scivolare giù dal letto. Percorse la strada che la
divideva dalla porta del bagno a piedi nudi, sentendo il freddo del pavimento
che le saliva lungo la schiena. Quando arrivò, mise la mano sulla maniglia e,
nonostante tremasse da capo a piedi per la paura di fare la mossa che il
cervello etichettava come quella sbagliata, aprì la porta.
Il getto dell’acqua era potente e serviva a lavare via tutti
i cattivi pensieri e alleggerirlo, se possibile, dalle ore di sonno passate in
bianco. Era riuscito a rimettersi a letto e a riaddormentarsi, per poco tempo,
ma sentiva il bisogno di una doccia rigenerante, prima di iniziare una lunga
giornata, e prepararsi all’incontro con Quattro dopo la sua vittoria a ruba bandiera.
Il rumore dell’acqua era forte e gli copriva le orecchie, ma
mentre si lavava il viso, sentì qualcosa e decise di voltarsi verso la porta.
Ciò che vide, non solo lo stupì, ma impedì al suo cuore di continuare a battere
regolarmente.
Fu assalito da un calore soffocante quando, dalla piccola
fessura della porta semiaperta, vide fare capolino la figura esile di Aria.
Vide due grandi occhi blu fissarlo, spalancati e pieni di paura.
Ma non era solo paura la sua.
Vide la mano che teneva saldamente la maniglia della porta,
e quegli occhi con cui continuava a guardarlo, senza osare abbassarli su
qualcos’altro, apparivano come quelli di una bambina.
Eppure dentro vi erano intrappolate mille emozioni, troppo
forti per essere quelle di una piccola innocente.
Lei non era innocente.
Eric era consapevole di avere un’ espressione ancora
assonnata e anche un po’ brusca, ma le fece segno con la testa di raggiungerlo,
per spezzare l’incanto che la immobilizzava. La vide sussultare, eppure entrò
nella stanza e chiuse la porta.
Avanzò verso la doccia, sfilandogli davanti, e si fermò
proprio davanti a lui mettendo i piedi sul tappeto. Non osò guardarlo, mentre
si liberava della canottiera che indossava, rimanendo in biancheria. Il cuore
gli andò in gola e il sangue abbandonò il suo cervello quando la vide sfilarsi
il reggiseno nero, e lanciarlo poco distante.
Avrebbe tanto voluto essere più discreto e non metterla in
imbarazzo guardandola in quel modo, ma non poteva farne a meno, ogni suo
pensiero si concentrò su di lei mentre si faceva scivolare le mutandine lungo le
gambe pallide. Voleva tanto farla sentire a suo agio, essere dolce con lei, ma
la bestia imprigionata nel suo petto non era più in grado di controllarsi. Per
troppo tempo aveva soffocato ogni suo istinto, ma vederla nuda annebbiò ogni
sua capacità di ragionamento logico.
La vide tremare leggermente mentre guardava l’apertura della
doccia, così fu lui a fare scorrere la porta di vetro leggermente appannato, e
ad allungare una mano verso di lei per aiutarla ad entrare.
Quando lei prese la sua mano, fu sua.
La trascinò dentro con fin troppo impeto, richiuse il vetro
e la imprigionò fra le braccia, stringendola e baciandola con tanta forza che
temette di farle male sul serio. Ma non era sua la colpa, la colpa era di Aria
che lo provocava e lo sfidava in quel modo senza la benché minima paura. Era
stata lei a presentarsi a lui, a spogliarsi e a farsi intrappolare.
La mise contro una parete piastrellata, e seguì l’acqua che
scorreva sui loro corpi, toccandola e accarezzandola senza alcun riguardo.
Era davvero intenzionato a fare piano con lei, ma resistere
era impossibile. La baciò sul collo, strinse i suoi seni e poi scese con le
mani sulle curve dei suoi fianchi e sulle cosce. Baciò le sue labbra e assaporò
la sua lingua mentre lei, con le sue mani non più tremanti, gli faceva scorrere
le dita sul petto e sugli addominali. Sentì quelle mani scendere sotto la sua
pancia, e lasciò che lo toccasse a suo modo e con i suoi tempi, senza dirle
nulla e senza fretta.
La fratte gli era passata, voleva fare tutto con calma.
Stavano prendendo confidenza con i loro corpi, assaggiandosi
e scoprendosi, Eric non si preoccupava nemmeno di soddisfare il suo piacere,
troppo impegnato com’era sulla pelle di Aria. La guardò negli occhi e la perse
dalle spalle, non aveva più paura, adesso anche lei era pervasa dal desiderio.
La morse sul collo e si accorse del piccolo ghirigoro che aveva disegnato,
ricordandosi di una parte di tatuaggio sulla schiena che non aveva ancora
visto.
La fece voltare, e lei appoggiò le mani sulle piastrelle,
mentre sentiva la mano di Eric accarezzarle la schiena e inseguire le onde del
suo tatuaggio.
Perché era quello che si era tatuata, una serie di onde
marine.
Oltre al piccolo disegno sulla base del collo, Aria aveva
una linea stilizzata e sottile di ghirigori e onde che si intrecciavano e si
sovrapponevano. Il tragitto delle onde stilizzate seguiva la spalla e la
scapola, si avvicinava alla nuca e poi scendeva in diagonale verso le costole,
per riaprirsi ancora in una curva che ritornava sul fianco sinistro. In
complesso formava un numero tre, che le decorava la parte sinistra della
schiena, creando un forte contrasto tra la sua pelle candida e il nero
dell’inchiostro.
-Perché?- chiese Eric con voce rauca, inseguendo ancora con
lo sguardo gli arabeschi d’acqua.
-Perché mi rappresenta,- Gli rispose voltandosi, per
accarezzargli poi il viso. –Vogli essere libera senza che nessuno possa mai
incatenarmi, come acqua che scorre.-
Eric le prese la mano tra le sue e se la portò alla labbra,
per posarvi un piccolo bacio. Sollevo il suo sguardo spietato su di lei e la
fissò intensamente.
-Poi essere libera quanto vuoi, ma ricordati che mi
appartieni.- Disse.
E, sotto il getto insistente e caldo della doccia, Eric la
baciò, sentendo i loro cuori che battevano all’ unisono.
Liberi, e finalmente sereni.