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Autore: indiceindaco    13/10/2014    5 recensioni
Quando cala il sipario, ed il pubblico abbandona le poltroncine in velluto rosso, ed il brusio della gente si fa fioco, sempre più fioco, cosa succede dietro le quinte? Ad ormai quattro anni dall'uscita dell'ultimo libro, dall'ultima pagina voltata con emozione, aspettativa, malinconia, da quell'ultima frase che ha commosso tutti, nel bene e nel male. Il sipario è calato, il teatro è già stato ripulito, eppure no, non è finita qui.
Harry, Ron ed Hermione, ancora insieme si trovano ad affrontare la vita, quella vera, quella oltre le quinte di scena. E tanti cambiamenti si prospettano all'orizzonte. Scelte da prendere, scelte da rimandare, scelte in cui perdersi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Un po' tutti | Coppie: Draco/Harry, Remus/Sirius, Ron/Hermione
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo, Più contesti
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XXIII Spezzato
 
 
 
“Se qualcuno un giorno bussa alla tua porta,
Dicendo che è un mio emissario,
Non credergli, anche se sono io;
 
Ché il mio orgoglio vanitoso non ammette
Neanche che si bussi
Alla porta irreale del cielo.
 
Ma se, ovviamente, senza che tu senta
Bussare, vai ad aprire la porta
E trovi qualcuno come in attesa
Di bussare, medita un poco.
Quello è
Il mio emissario e me e ciò che
Di disperato il mio orgoglio ammette.
 

Apri a chi non bussa alla tua porta.”
 
Se Qualcuno,
Fernando Pessoa.  
 
 
 
-Perché, Blaise? Non hai ancora capito, vero?
-Non ho idea di cosa tu stia parlando e, onestamente, non ho la minima intenzione di passare un minuto di più qui dentro.
Sembrava come inciampato in quella cella, per errore, un orribile errore. Ed adesso era incapace di rialzarsi. Sapeva di dover allontanarsi il più in fretta possibile. Ma ancora la vista di Lucius, e quell’odore putrido, gli impregnava la mente, impedendogli di respirare, di pensare lucidamente. Ed il tormento della voce di Theodore, non cessava:
-Qualcuno potrebbe pensare che tu sia qui per farmi visita, un vecchio e caro amico venuto a trovarmi…
-Qualcuno, in tal caso, si sbaglierebbe di grosso.
-Oh certo, io e te lo sappiamo.
Blaise fece un passo indietro, ma troppo lentamente, una mano riuscì ad agguantare il suo mantello ed attirarlo fatalmente verso le sbarre.
-Sei qui a risolvere un altro dei suoi casini, non è così? Non dirmelo, fammi indovinare. Sai quanto mi piaccia indovinare…Ah, Blaise, Blaise. Non imparerai mai, vero? Quando ti stancherai di far l’angelo custode?
La mano di Blaise si chiuse ferrea sul polso scarno che lo tratteneva, troppo vicino alla cella mal illuminata. Poteva percepire il luccichio folle in quello sguardo, sebbene il volto fosse schermato dal buio.
-Credo tu abbia di meglio di cui preoccuparti. Ne sono quasi sicuro.- rispose tagliente.
-Certamente. Ma è come più forte di me, sai? Preoccuparsi dei propri amici, persino se questi si trovano in condizioni migliori delle tue…D’altronde è una tua specialità, no? Una brutta malattia, devo ammetterlo. Devi avermi contagiato…
Il sussurro prepotente di quella voce, malsana, lo faceva rabbrividire, ma sebbene fosse terrorizzato, Blaise riusciva perfettamente a celare qualsiasi cenno espressivo, consapevole di aver il volto illuminato dalla lanterna posta sul muro sudicio di fianco alle grate.
-Soffri di qualcosa di ben più grave, Theodore, te lo assicuro.
La risata che seguì quell’affermazione gli fece tremare le mani, era priva di calore, spoglia di emozioni. Uno scherzo della memoria lo portò a paragonarla a quella del bambino che una volta aveva conosciuto, chiamato fratello, e che ormai era scomparso da anni.
-E così il nostro Draco è di nuovo sull’orlo dell’abisso, non è così? Chissà che non decida di saltar giù…come l’ultima volta.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Mosso da una rabbia sconosciuta, lontana da ogni fibra del suo essere, Blaise fece scattare il braccio all’interno della cella e strinse alla cieca, facendo pressione sulla giugulare, con una precisione degna di uno degli ospiti della prigione.
-Non osare.- ringhiò, -Non osare pronunciare il suo nome. Sei stato tu. Tu, Theodore. Tu lo hai spinto giù dal tuo fottuto abisso. Ed è stata colpa tua, non dipingerla diversamente.
-Oh, certo, io posso avergli dato una mano. Ma quel che certo, è che tu non eri lì. Quando ha avuto veramente bisogno di te, tu non c’eri. E questo, anche se continuerai a ripulirti la coscienza, non potrai mai cambiarlo, Zabini. Rimarrà il tuo più grande rimpianto.- la voce strozzata di Theodore, vibrava sul palmo della sua mano, tagliente e velenosa. A Blaise mancò un battito.
Ritrasse di scatto la mano, allontanandosi il più possibile dalla cella con il fiato corto, accompagnato dalla risata cupa del prigioniero.
-La verità fa male, non è così, Blaise? Oh certo, io e te lo sappiamo.
 
***
 
Draco teneva la testa fra le mani. Tutto vorticava vertiginosamente, senza un filo logico, senza scopo, come una pozione satura. Era così che si sentiva: saturo. Aveva sopportato troppo, non riusciva ad assorbire più nulla. Tutto era inconsistente, diluito, slargato. Non era arrabbiato, non deluso. Non sentiva nulla. Pochi minuti prima aveva mormorato, con un filo di voce, una semplice parola: Vattene.
E suo malgrado, Blaise lo aveva lasciato lì. Da solo.
Dopo avergli spiegato il perché delle sue azioni, delle sue decisioni, di quel suo agire senza metterlo a parte di quello che accadeva. Sì, lo aveva fatto per il suo bene, e Draco gli era infinitamente grato ma era solo….Troppo. Si sentiva spezzato, infranto in mille pezzi. E sapeva che niente lo avrebbe aiutato a raccogliersi, quella volta. I problemi con il Ministero, sua madre, Blaise che cercava di proteggerlo dal mondo esterno e da se stesso, e gli incubi, il fondo per le emergenze, il trasloco e il corso per diventare Auror e…Potter.
Draco si alzò di scatto, le iridi che bruciavano, si aggrappò alla bottiglia di Incendiario, portandola alle labbra. Sciolse il groppo che aveva in gola, bevendo, mentre calde lacrime gli ferivano le guance, lasciando le ennesime cicatrici salate e invisibili.
Poi, quando un conato di vomito cercò di soffocarlo, seppe che doveva smaterializzarsi immediatamente, prima di essere troppo ubriaco per arrivare senza spezzarsi davvero.
 
***
 
C’era silenzio, finalmente. I risolini civettuoli e i sussurri eccitati avevano ormai lasciato il posto a placidi respiri ed al regolare ronfare notturno. Scostò lentamente le spesse tende rosse e prese la bacchetta dal comodino, poi a piedi nudi raggiunse il piccolo scrittoio, e grazie alla flebile luce recuperò pergamena, piuma e calamaio. A piccoli passi si avvicinò alla porta, e sgattaiolò fuori dalla sua stanza, avendo cura di non emettere il minimo rumore, per non svegliare le sue compagne. Scese nella sala comune deserta e accomodatasi su una delle panche di legno, disponendo ordinatamente gli oggetti sul tavolo. Si concesse un profondo respiro, per riorganizzare le idee e annuì a se stessa.
Separò due rotoli di pergamena, e intingendo la piuma, fece appello a tutto il suo coraggio Grifondoro. Non sarebbero state due lettere facili, così decise di cominciare dalla più difficile.
 
Caro Harry…
 
***
 
Un pugno chiuso si abbatté sull’anta di metallo indifesa, deformandola seppur impercettibilmente. Come se il suo rancore e la sua impotenza fossero rimasti intrappolati per sempre nell’ombra dell’increspatura della lega metallica, che beffardamente lucida riportava l’etichetta con il suo nome. Una fitta alle nocche gli fece sfuggire un debole lamento dalle labbra piene. Poi si abbandonò sulla panca, stropicciando il camice, e prendendosi la testa fra le mani. Non sapeva perché ma sembrava che ultimamente fosse diventata sua abitudine quella di perdere il controllo alla minima difficoltà. Lui che entrava in contatto col mondo senza deturparlo, senza lasciar segno del suo passaggio, sembrava adesso essersi specializzato nel marchiare a fuoco il paesaggio, contaminandolo inevitabilmente.
Ripensò allo sguardo ferito di Draco, alla sua delusione, e alla voce tremante che lo aveva supplicato di andarsene. Stentava a riconoscere il suo migliore amico, come stentava a riconoscere se stesso. Sapeva che Draco non lo avrebbe colpevolizzato, perché era più che consapevole che Blaise aveva agito nel suo interesse. Ma nonostante questo, il crampo al cuore non era meno doloroso.
Aver raccontato di Theodore, aver perso il controllo, solo una volta, aveva fatto crollare tutto: castello di sabbia smarrito nel culmine della tempesta.
E ancora le parole velenose di Theodore gli giungevano ovattate.
-Tu non c’eri.
Non se la sarebbe mai perdonata, quella mancanza. Lui non c’era, era al sicuro con Pansy, ai margini di una guerra alla quale nessuno di loro avrebbe dovuto partecipare. E fu quando Theodore, glaciale, entrò nel Manor della sua famiglia, trascinando un Draco tremante, che Blaise capì che non ci sarebbe più stato modo di tornare indietro.
I ricordi furiosi premevano sul suo palato, mentre sentiva ancora tra le braccia il peso inconsistente del suo migliore amico, quella notte, che biascicava parole confuse e terribili.
 
-L’ho ucciso. L’ho ucciso. Sono un assassino.  
E poi Pansy, pallida e smunta, con le labbra secche e sussultanti, gli occhi che si ribellavano cercando di non lacrimare:
-Di che sta parlando, Theo? Cosa è successo?
-Niente. Abbiamo portato a termine una missione. Dovevamo pulire una casa Babbana. Ma c’era un bambino.- la voce incolore, nel corpo freddo, abbandonato contro lo schienale di una poltrona. Che ne era stato del loro amico Theo? Mentre Blaise stringeva ancora Draco, incapace di smettere di tremare e sussurrare maledizioni contro se stesso, Theodore li osservava placidamente assorto. Un’ombra di divertimento negli occhi.
-Avete lasciato morire tra le fiamme un bambino innocente.- Pansy si portò una mano alla bocca, dette quelle parole, come a voler ricacciare sul fondo dello stomaco quell’orrore.
-Draco l’ha lasciato morire tra le fiamme.- disse Theodore, riempiendosi un bicchiere di Incendiario, con una calma ed una vacuità che stentavano a riconoscere. Draco sussultò a sentire quelle parole, sbarrando gli occhi, per un attimo fissi in quelli di Blaise. –Io, almeno, avrei avuto la decenza di usare l’Avada Kedavra.
E fu semplicemente troppo: Blaise si alzò, fronteggiò Nott e lo agguantò per il colletto. Per un attimo gli sembrò di scorgere l’ombra del bambino che era, negli occhi profondi dell’amico, ma fu prima di rendersi conto che quello era solo l’ennesimo sprazzo di follia. La follia di un omicida.
Lo schiaffeggiò talmente forte che la mano continuava a bruciargli, mentre urlava:
-Vattene.
 
Annaspò riemergendo dai ricordi di quella notte, le mani sulle tempie, ancora tremavano. Ancora quel bruciore sul palmo destro. Il dolore della delusione, del tradimento, dell’abbandono, della verità che aveva troppo a lungo ignorato. Mille volte Blaise era tornato a quella notte, passata troppo velocemente, senza un’alba a farle compagnia. Mille ipotesi, congetture, percorsi. Poteva andare diversamente. Poteva salvarsi, salvare Draco e Pansy e Theodore…No. Non avrebbe potuto, razionalmente, lo sapeva. Il pensiero delle possibilità lo dilaniava, lacerandolo lentamente, e sebbene i ricordi potessero nascondersi di tanto in tanto, alla fine tornavano comunque a sfondare la porta della sua mente. E non riusciva a perdonarsi. Forse Nott su una cosa aveva ragione: sarebbe rimasto il suo più grande rimpianto.
-Vattene.
Quella parola gli uncinava l’animo, strappandogli piccoli stracci di pelle, torturandolo. La stessa parola che aveva usato Draco. La parola del rifiuto, di una porta chiusa in faccia. Aveva abbandonato Draco quella notte, e continuava a maledirsi. Avrebbe potuto essere al suo fianco. Aveva abbandonato Theodore, con quella stessa parola, lasciandolo con le mani sporche di sangue rappreso, non barattando la sua innocenza per un’amicizia, per proteggere quel che rimaneva dei suoi migliori amici. E adesso, cosa gli era rimasto?
Un’anta di metallo deformata.
Tutte le scelte sbagliate, davanti a lui.
 
***
 
Erano le otto di sera quando Harry, esasperato, aveva lasciato scivolare per terra l’ennesimo libro inviatogli da Hermione in quella ricerca assurda. Persino il titolo, canzonatorio, sembrava prendersi gioco di lui: “Crittomagia”.
Con la consapevolezza di essere lontano dalla soluzione quanto dalla cena, aveva miseramente costatato di aver il frigo vuoto, così avvilito s’era vestito in fretta e aveva optato per raggiungere il primo take away a portata di mano. Infilato il cappotto e aperta la porta, però, s’era bloccato.
Malfoy, con gli occhi bassi e senza il coraggio di bussare, stava sul pianerottolo, con l’aria di chi non avesse la minima idea di come fosse arrivato lì.
-Malfoy? Che ci…Un’altra visita a sorpresa, eh?
-Stai uscendo.
La voce del ragazzo era roca, Harry quasi fece fatica a riconoscerla. Era stranamente flebile nel porre quella che doveva essere una domanda, ma suonava più come un’affermazione rassegnata. Strabuzzò gli occhi, inclinando la testa di lato, come per concedersi una diversa prospettiva per riuscire a scrutare il volto dell’altro, ben sepolto nel bavero del cappotto scuro. In un gesto assolutamente spontaneo, la mano di Harry si adagiò sul braccio di Malfoy, ponendo una leggerissima pressione, come ad intimargli di alzare lo sguardo.
-Posso entrare?
Sembrava più una supplica, e dal tono Harry fu sicuro che qualcosa non andasse, allarmato si fece da parte, per lasciarlo passare. Quando si voltò, una volta richiusa la porta, si trovò schiacciato contro il legno massiccio.
Accadde tutto così velocemente che per un attimo Harry si sentì scaraventato in un’altra dimensione, come dopo aver preso una passaporta, sentì uno strappo all’ombelico.
Le labbra di Malfoy, con un’urgenza sfregavano sulle sue, in un contatto feroce, ingordo, come mosse da una sete millenaria. Harry si sentì avvampare, quando la lingua di Malfoy esercitò la pressione necessaria affinché, arrendevole, non schiudesse la bocca.
Fu un’intrusione, istintiva, illogica e trascinante. Harry ne era impregnato, incapace di reagire, completamente inebriato e rapito dal sapore leggermente aspro ed alcolico della lingua di Malfoy che prepotente accarezzava la propria. Sentì le mani del ragazzo sul suo petto, che lo tenevano inchiodato alla porta, inamovibili.
Fissava le palpebre pallide dell’altro, troppo sorpreso per essere in grado di fare qualsiasi cosa. Percepiva il respiro spezzato sulla sua pelle e poi, quando la punta della lingua di Malfoy sfiorò imperiosa il suo palato, Harry chiuse gli occhi, abbandonandosi senza riserve a quel contatto che, fino a quel momento, non sapeva di aver bramato. 
  
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