Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Segui la storia  |       
Autore: difficileignorarti    13/10/2014    3 recensioni
Lui non c’era più da quasi un anno; se n’era andato, così, dal nulla.
Questo le aveva lacerato l’anima e distrutto il cuore.
Ma le mancava, da morire; ma aveva comunque paura, perché ora che stava cominciando a vivere di nuovo, cercando, comunque, di lasciarlo da parte, lui sarebbe ricomparso, lei lo sapeva, se lo sentiva.
Quello che lei non sapeva, era che lui era tornato, e che la stava osservando da lontano.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
24 - Epilogo.






 
«Ti amo» le mormorò all’orecchio, facendola sorridere intenerita. «Non sai quanto» aggiunse, lasciandole un bacio dietro l’orecchio.

Si guardò la mano sinistra per l’ennesima volta, sorridendo nel modo più idiota possibile: non si era mai sentita così, era davvero al settimo cielo e ancora non poteva credere che Tom le avesse chiesto di sposarlo.

Si girò sulla schiena, portando lo sguardo in quello del ragazzo, e lo vide così innamorato, così perso: nemmeno lei l’aveva mai visto così e le veniva da ridere.

Lui si allungò e le rubò un bacio, prima di posare anche un bacio sul grembo della ragazza: sorrise dolcemente, accarezzando i capelli del ragazzo, sentendoli morbidi sotto le sue dita.

«Tutto bene, piccola?» mormorò Tom, tornando a guardarla negli occhi, sorridendole nel modo più dolce possibile, facendole alzare un sopracciglio, incuriosita e stranita.

«Non sono mai stata meglio» mormorò, stiracchiandosi leggermente, prima di rubargli un bacio, e poi un altro ancora, e un altro ancora. «È il giorno più bello della mia vita, Tom, non potrei chiedere di meglio» sorrise, e lui si rilassò visibilmente. «È stata una sorpresa bellissima, mi hai presa in contropiede e mi hai stupita allo stesso tempo» mormorò dolcemente, accarezzando lievemente il volto del ragazzo. «Non avrei mai immaginato che mi chiedessi di diventare tua moglie, non così presto almeno» continuò piano, senza permettere ai loro sguardi di sciogliersi: erano sguardi intensi, pieni di amore e di affetto.

«Più volte ti avevo detto che l’avrei fatto» rispose dolcemente, sorridendo nello stesso modo. «Ho anche avuto il permesso di tuo padre, cosa possiamo volere di più?» le chiese e Emmeline si sciolse in una risata dolce: quello non lo sapeva! «Io ti amo» sussurrò piano, avvicinandosi alle sue labbra socchiuse, come in adorazione verso il ragazzo. «Amo te, questo piccolino e la nostra vita insieme, con tutto quello che abbiamo passato, i momenti felici, quelli tristi, quelli difficili, abbiamo superato tantissimi ostacoli insieme e ne supereremo ancora, ne sono sicuro» Emmeline annuì, e baciò le sue labbra, con passione, con amore.

«Insieme possiamo tutto, Tom» confermò lei, sorridendo contenta. «Persino sposarci!» ridacchiò, contagiandolo.

Il moro si sistemò meglio contro lo schienale del letto, tirandosela dietro, coccolandola, donandole tutte le attenzioni possibili immaginabili e non solo a lei, ma anche al loro bambino.

Rimase contro il petto del ragazzo, in silenzio, ad ascoltare il suo respiro calmo e beandosi delle sue coccole, delle sue carezze e dei suoi baci.

«Tom» mormorò piano, attirando la sua attenzione, girando lievemente la testa verso di lui.

«Uhm?» mugugnò lui in risposta, baciandole teneramente una spalla nuda.

«Non vorrei interrompere questo momento magico e tranquillo e, soprattutto, nostro» sorrise al nulla prima di continuare. «Ma non abbiamo cenato e io ho fame e devo mangiare per due» piagnucolò subito dopo, voltandosi tra le braccia del ragazzo, per quanto poteva.

Tom la guardava, senza dire nulla, sbattendo piano le palpebre.

«Abbiamo bruciato le tappe, eh?» mormorò, grattandosi dietro la testa, imbarazzato. «Dovevamo prima mangiare, poi ti avrei chiesto di sposarmi e avremmo fatto l’amore, ma abbiamo fatto il contrario, perdonami» le baciò piano la fronte, prima di stringerla.

«Non preoccuparti, tesoro» mormorò lei, sorridendo, toccandogli piano il viso, osservandolo attentamente. «Ho preferito mille volte di più come l’abbiamo stravolta» sussurrò maliziosamente, baciandolo sulle labbra.

Il ragazzo si alzò controvoglia, non voleva staccarsi da lei, voleva sentirla al suo fianco, voleva sentire il calore della sua pelle, il suo amore, ma doveva scaldare la cena, doveva sfamare la sua famiglia.

Le scoccò uno sguardo prima di uscire dalla camera, e la vide arrotolarsi nel lenzuolo, scaldandosi, e non appena alzò lo sguardo sul ragazzo, sorrise dolcemente, piegando la testa di lato.

La amava da impazzire, su questo non aveva dubbi.


 
***


Era appena uscita dall’ambulatorio del suo medico: mancava davvero poco, quattro settimane all’incirca, e lei non ne poteva davvero più; si sentiva ingombrante, una balena, o peggio, una mongolfiera, non poteva fare niente, non riusciva più a dormire, si girava in continuazione e si lamentava, impedendo persino il sonno al suo uomo, che preferiva alzarsi e dormire sul divano.

Si sentiva in colpa: lui doveva lavorare, e aveva bisogno di dormire, e lei non lo lasciava in pace.

Tom era così paziente, non si lamentava un attimo, anche se Emmeline sapeva che non ne poteva più, proprio come lei: c’era sempre per lei, per ogni piccolo problema, in ogni singolo momento, per soddisfare ogni sua voglia improvvisa, le stava affianco nei suoi mille sbalzi d’umore giornalieri, le donava amore in ogni momento, e quando era al lavoro, le telefonava spesso, solo per sentirla, per tranquillizzarla e rassicurarla.

Arrivò alla sua macchina, domandosi, di nuovo, come avrebbe fatto a entrare.

Si mise a cercare le chiavi dentro la borsa, cercando di non rovesciare il frullato che aveva tra le mani, uno dei peggiori frullati che avesse mai preso in una tutta la sua vita e senza accorgersene ne rovesciò un po’ sulla maglietta che indossava.

«Accidenti!» imprecò. «Tom mi uccide» mormorò poi, ricordandosi che indossava una maglia del ragazzo: ormai portava solo i suoi vestiti, e lui rideva ogni volta che la vedeva con qualcosa di suo addosso.

Appoggiò, così, il frullato e la borsa sul cofano della sua auto, svuotandone il contenuto, ma delle chiavi della macchina non c’era traccia: voleva piangere, ma poi s’illuminò e provò ad aprire la portiera, trovandola aperta e vide le chiavi inserite.

«Sono furba» si rimproverò ironicamente, salendo e sistemandosi: sospirò, pronta a partire, ma si accorse di aver lasciato la borsa e il frullato fuori. «Oggi non è decisamente giornata» borbottò, scuotendo la testa.

Rientrò a casa una mezz’ora più tardi, con tanta voglia di dormire, di piangere e di mangiare.

Fu accolta da Simone, che aveva deciso di passare del tempo da loro, visto che sua madre non poteva, per aiutarla con la gravidanza, e con Tom.

«Dov’è il mio futuro marito?» sorrise, abbracciando di slancio la madre del ragazzo, che stava cucinando qualcosa e faceva un buonissimo profumo.

«Sta dormendo» le rispose con un sorriso bonario.

Emmeline fece una smorfia, e raggiunse la loro camera da letto, trovandolo addormentato sulla sponda del suo lato, con un braccio a penzoloni.

Decise di tirargli un cuscino, che lo svegliò praticamente subito, preoccupato e con ansia.

«Che succede, piccola?» mormorò allarmato, tirandosi su a sedere, mentre la ragazza si sedette vicino a lui, sospirando appena.

«Mi dispiace» mormorò, sentendo le mani del ragazzo sulle sue spalle, intente a farle un massaggio rigenerante.

«Per cosa?» le chiese piano, baciandole la nuca.

«Per tutto» mormorò. «Non dormi per colpa mia, so di essere un peso, sono ingestibile e intrattabile, insopportabile aggiungerei» sospirò, lasciandosi andare contro il petto del ragazzo, che rise divertito, e la strinse in un abbraccio, posando entrambe le mani sulla pancia della ragazza.

«Non m’importa» le sussurrò dolcemente all’orecchio. «È una bella esperienza, e non vedo l’ora di riviverla» mormorò poi, baciandola dietro l’orecchio. «Come sta questo piccolino?» le chiese poi.

«Oh, sta benone, e il medico dice che è il bambino più bello che abbia mai visto» sorrise dolcemente e Tom rise. «Ed io non vedo l’ora che nasca, non ce la faccio più» si lamentò poi. «Non riesco più a dormire, mi fa sempre male la schiena, sono una balena ingombrante, piango di continuo e senza contare che nostro figlio mi ha scambiata per un pallone da calcio» piagnucolò, aumentando l’ilarità nel ragazzo, che non smetteva di ridere. «E ti ho macchiato la maglietta con uno schifosissimo frullato» aggiunse, asciugandosi le lacrime.

«Non importa» mormorò di nuovo Tom. «Non m’importa di niente, e sei bellissima» aggiunse, voltandola leggermente per poterle rubare un bacio.


 
***


«Ti ricordi che ti avevo detto che avrei voluto portarti al mare, fare l’amore sulla spiaggia, accendere un falò, mangiare marshmallows?» chiese Tom, ingozzandosi con le lasagne.

Emmeline ridacchiò, con un sopracciglio alzato: lei era quella incinta e mangiava normalmente, mentre lui aveva lo stomaco sfondo.

«Mi ricordo tante cose, amore» mormorò lei, allungandosi per pulirlo con un tovagliolo: era peggio di un bambino. «Puoi mangiare anche più lentamente, non ti corre dietro nessuno, io non ho nessuna intenzione di rubarti la tua porzione e poi finisci che stai male» lo rimproverò dolcemente e lui annuì, abbandonando il piatto da una parte, vuoto.

«Hai ragione, piccola, ma avevo fame» sorrise imbarazzato lui, contagiandola. «Comunque, ti ricordi, no?» chiese di nuovo, impaziente, e lei annuì assecondandolo.  «Volevo utilizzare quell’idea per farti la mia proposta, sarebbe stato bello, ma non so nemmeno perché te lo sto dicendo» Emmeline scoppiò a ridere, senza contegno: Tom non sarebbe mai cambiato. «Scusami, piccola, ma davvero, volevo dire qualcosa e non sapevo cosa» si scusò, ridacchiando piano.

La ragazza si avvicinò a lui, prendendolo per il mento, costringendolo a guardarla.

«Non c’è bisogno di parlare, Tom» mormorò lei, osservandolo attentamente. «I gesti, le carezze, i nostri sguardi, l’amore che proviamo, quello che facciamo l’uno per l’altro, parlano per noi» sorrise dolcemente, accarezzandogli una guancia con amore. «Le parole non servono certe volte, ti conosco talmente bene che, solo con uno sguardo, capisco cosa provi, cosa pensi» aggiunse in un sussurro. «Il nostro legame è talmente forte che ci permette anche questo» sorrise, prima di aggiungere altro. «Non c’è bisogno di gesti eclatanti, rose, candele profumate, una cena romantica, una villa sperduta sulle spiagge di Malibu, per ricordarmi che mi ami» Tom abbassò lo sguardo, deglutendo. «Potevi benissimo farmi la proposta in macchina, fuori dal lavoro, nel giardino dietro casa nostra o in bagno, non mi sarebbe importato, perché la mia risposta sarebbe stata sempre e comunque “sì”, perché ti amo e voglio passare la mia vita con te e basta» gli sorrise con amore, stampandogli un bacio sulla guancia.

«Voglio viverti per sempre» mormorò lui in risposta. «Perché sei fantastica così come sei, sei tutto ciò di cui ho bisogno, te lo ripeterò mille volte al giorno, lo so» Emmeline sorrise intenerita, vedendolo così imbarazzato. «Voglio te e basta» aggiunse e concluse, rubandole un bacio e poi un altro ancora e un altro ancora.


 
***


Beveva birra, osservando un punto indefinito davanti a se, nella luce soffusa del salotto.

Aveva lasciato Emmeline, addormentata profondamente, nella loro stanza da letto, al piano superiore, mentre lui non era riuscito a chiudere un occhio, non lo faceva da mesi, a dir la verità.

Ogni momento poteva essere buono per la nascita del loro primogenito, e lui aveva una paura immensa, anche se cercava di non darlo a vedere, ma Emmeline sapeva bene come si sentisse, lei lo conosceva fin troppo bene.

Lui aveva paura di diventare come suo padre, di essere non adatto, di non saper gestire nessun tipo di situazione, di non essere capace neppure a cambiare un pannolino. Aveva paura di non volergli bene come pensava e aveva, persino, paura di perdere Emmeline.

Era difficile mentirle, lei conosceva ogni sua smorfia, ogni suo pensiero, ogni sua mossa, movimento: non le sfuggiva nulla, anche se, alcune volte, preferiva starsene zitta e lasciarlo in pace, a sbollire da solo.

Lui aveva paura di tutto, soprattutto di diventare padre, ma in cuor suo sapeva bene che non vedeva l’ora di stringere quel piccolino o piccolina tra le sue braccia, di vederlo sorridergli, di vederlo crescere, vederlo muovere i primi passi, di sentirsi chiamare papà. Se fosse stato un maschietto, non vedeva l’ora di insegnarli tante cose, di portarlo al parco a giocare, e se fosse stata una femminuccia, non vedeva l’ora di metterla in guardia da tutti i ragazzacci che c’erano in giro.

Bevve un’altra generosa sorsata di birra e si stravaccò meglio sul divano, prima di chiudere gli occhi e abbandonarsi ai ricordi e ai suoi mille e mille pensieri.


 
***


Quella mattina aveva avuto una fitta assurda alla pancia, e così aveva deciso di rimanere a letto, viziata dalle mille attenzioni che Tom le stava dando.

Mangiava tranquillamente una pasta e beveva del latte caldo, mentre continuava a fissare il suo portatile, dove stava appuntando, da diversi mesi, qualcosa per il matrimonio: avevano deciso di sposarsi dopo la nascita del bambino e quella era l’unica cosa sicura, a parte che volevano farlo a Los Angeles, e che sarebbe stato per pochi intimi, amici e genitori, e basta.

«Come ti senti?» mormorò Tom, sedendosi al fianco della sua fidanzata, che lo accolse  con un sorriso stanco, ma comunque felice.

Le posò un bacio sulla tempia e Em si appoggiò totalmente a lui, stanca morta.

«Distrutta» sussurrò, chiudendo gli occhi, nascondendosi nell’incavo del collo del ragazzo. «Non ho chiuso occhio, Tom, anche se ti ho fatto credere il contrario» anche Tom chiuse gli occhi, donandole un altro bacio sulla nuca. «Nostro figlio mi sta distruggendo» ridacchiò piano e Tom sorrise, senza dire niente.

«Manco poco, piccola, resisti, uhm?» mormorò sulla sua pelle, prima di baciarle nuovamente la tempia. «Hai qualche altra idea per il matrimonio?» chiese, dopo aver buttato l’occhio sul portatile della ragazza.

Emmeline sospirò, cercando la mano di Tom, che non tardò a trovare.

«A dir la verità, non tante» ammise. «Voglio il lilla, il rosa e il bianco» disse, mentre il ragazzo roteò gli occhi al cielo. «Magari nostro figlio potrà partecipare al matrimonio come paggetto, potrebbe portare le fedi e spargere i fiori all’entrata» Tom ridacchiò, divertito, immaginando la scena.

«Non ho intenzione di aspettare due anni e oltre» le disse, cercando il suo sguardo. «Voglio sposarti al più presto, piccola» spiegò e la ragazza sorrise emozionata e felice. «Matrimonio e battesimo assieme, mia madre pensa che sia una grande idea» propose, ed Emmeline si fece più attenta.

«Parli con tua madre del nostro matrimonio?» chiese curiosa.

«Sì, non c’è niente di male» rispose lui con un’alzata di spalle. «Perché?»

«Non ne parli con me» spiegò, sorridendo imbarazzata. «Non l’hai mai fatto da quando mi hai chiesto di diventare tua moglie» Tom arrossì appena sulle goti: era vero. «Lo so che voi uomini tendete sempre a lasciar fare a noi donne, ma io mi sposo con te, non con me stessa, voglio sentire le tue opinioni, quello che vuoi e quello che non vuoi» stavolta fu lei ad alzare le spalle, come se fosse normale, almeno per lei. «Voglio il nostro matrimonio, non il mio» sorrise dolcemente e Tom non poté fare a meno di intenerirsi e sorridere.

Si baciarono piano, un bacio intimo, loro, come non facevano da un po’.

«Avremo il nostro matrimonio, piccola, il più presto possibile spero» ridacchiò il moro, mordendole piano il labbro inferiore. «Mi manchi tanto» sussurrò sulle sue labbra, e lei lesse, nei suoi occhi, tutta la voglia che aveva. «Dopo il parto dovrò aspettare altre sei settimane, almeno così ho letto in uno dei mille libri che hai comprato» Emmeline rise, piano.

«Sei un ingordo» mormorò, accarezzandogli piano il viso.

Lui le sorrise maliziosamente e poggiò la fronte su quella della ragazza, con amore, come solo lui sapeva fare.


 
***


«Cos’è per te l’amore?» le chiese Tom, osservandola con la coda dell’occhio.

Emmeline sorrise a quella domanda inaspettata, ma non si voltò a guardarlo, anche se sentiva lo sguardo del ragazzo bruciarle addosso.

«L’amore è quando vai contro tutto e tutti per stare insieme alla persona che ami, anche quando ti delude e tu sei ancora li ad aspettarla» rispose semplicemente la ragazza. «Perché?» domandò poi, lanciandogli uno sguardo indagatore.

«Chiamala curiosità» mormorò Tom, guardandosi le scarpe. «È un po’ quello che hai deciso di fare tu per stare con me» continuò piano ed Emmeline annuì. «Ti ho delusa?» domandò lui, con ansia e paura.

La ragazza si bloccò e capì il perché della sua domanda: lei lo aveva detto prima e si maledette.

«No, non l’hai mai fatto» ammise. «Quella frase che ho detto prima non è riferita a te, me l’ha detta mia mamma qualche anno fa» scrollò le spalle. «Posso farti una domanda?» si morse le labbra la ragazza, e lui annuì semplicemente. «Perché indossi questa maschera da duro, quando invece sei una delle persone più buone al mondo?» era dannatamente curiosa, lo sapeva e forse lui non voleva nemmeno rispondere: si era sforzata così tanto di capirlo da sola, ma alla fine non era riuscita a capirci niente.

Tom era ancora complicato per lei: erano solo all’inizio, d’altronde.

«La realtà, certe situazioni e certe persone ti costringono a diventare qualcuno che non sei, a mostrarti per qualcuno che non avresti mai immaginato di diventare» rispose con durezza, ma poi scosse la testa. «Non voglio essere così criptico e complicato, scusami piccola, ma non mi sento ancora pronto a raccontarti tutto della mia vita, è difficile» le sorrise tiratamente, scusandosi.

«No, scusami tu, devo farmi gli affari miei» si affrettò a rispondere la mora, imbarazzata. «Nel senso che non devo curiosare nella tua vita senza il tuo permesso e quando ti sentirai pronto potrai parlarmi di tutto quello che vuoi» gli sorrise dolcemente, accarezzandogli una guancia: era un’abitudine oramai, le piaceva da morire toccarlo.

«Piccola, è giusto che tu voglia sapere, ci stiamo ancora conoscendo» si sporse verso di lei, rubandole un bacio. «Mi piace vederti curiosare, piccola, è la prima volta che lo permetto» Emmeline si sentì soddisfatta e gli lanciò uno sguardo malizioso.

«Sentiamo, quante donne hai avuto?» domandò, osservandolo attentamente.

«Ohoh, curiosona!» la riprese lui, puntandole un dito contro. «Se ti rispondo, cosa ottengo?» domandò e la ragazza si ammutolì. «Sto scherzando» ridacchiò, ricevendo uno schiaffo sul braccio da parte di Emmeline. «Troppe, piccola, nonostante la giovane età e non ne vado fiero» sussurrò. «Sono andato a letto, praticamente, con tutte le ragazze della scuola, ma nessuna relazione seria» aggiunse e la ragazza annuì. «Sei tu la mia prima ragazza seria» le toccò una guancia, facendola sorridere.

«E come ti sembra avere una relazione seria?» gli chiese, mordendosi il labbro inferiore: aveva paura di sentirsi dire che in realtà era solo una scopata e l’avrebbe gettata nella spazzatura, fregandosene.

«Per ora mi piace» le sorrise dolcemente. «Non preoccuparti piccola, tu mi interessi veramente, non sei come le altre, mi attrai in tutti i sensi possibili, non solo fisicamente, adoro il tuo carattere, il tuo essere dolce e premurosa come non mai, adoro quando mi tocchi le guance, adoro quando mi baci, adoro sentire le tue labbra sulle mie e non solo, adoro quando mi coccoli, adoro il tuo essere timida, il modo in cui arrossisci» e la ragazza si imbarazzò come non mai, coprendosi il volto con le mani, nascondendosi da lui.

Tom ridacchiò divertito, allungandosi verso di lei, per poterla vedere in volto.

«Ecco, è questo che dicevo» sorrise, prendendole le mani, liberandole il volto. «Sei così bella» mormorò, baciandole le guance, il naso, la fronte e le labbra.

«Smettila, ti prego» mormorò, aggrappandosi al suo collo, nascondendosi tra l’incavo del suo collo e la sua spalla. «M’imbarazzano da morire tutte queste cose» Tom la strinse a se, baciandole una spalla. «Mi piacciono i tuoi abbracci, i tuoi baci e le tue parole, sapendo l’effetto che mi fanno» cominciò lei, senza sciogliere quell’abbraccio, mentre il ragazzo apriva bene le orecchie: era curioso e allo stesso tempo aveva paura di sapere. «Mi piace il modo in cui mi guardi, che sembra voglia strapparmi il mondo dagli occhi e l’amore dal cuor; mi piacciono i tuoi occhi che sanno farmi sentire a casa; e poi mi piaccio anche io, quando sono con te; con te sono una persona migliore, mi tiri fuori sorrisi che non pensavo di avere, e riempi il senso di ogni cosa» sorrise al nulla, sentendo il ragazzo cullarla avanti e indietro. «Mi piace il fatto che sembriamo capirci, volerci e amarci, ma forse è presto» ridacchiarono, e lei finalmente trovò il coraggio di guardarlo in faccia e lo trovò con uno stupido sorriso sulle labbra. «Mi prendi quando sono sul punto di crollare, mi asciughi le lacrime e contiamo i battiti del nostro cuore, che non è mai andato così veloce, vero?» domandò sorridendo appena e lui annuì, sfiorando il naso della ragazza con il suo. «E ti prendi cose che nessuno si era mai preso, e ti ho dato cose che non avevo mai dato» sorrise maliziosamente e lui ridacchiò, avvicinandosela. «E ti preoccupi sempre per me, se ho mangiato, se sento freddo, se sto bene, se mi manca affetto» sorrise dolcemente.

Tom era quasi commosso: nessuno gli aveva mai detto tutte quelle cose, non voleva piangere davanti a lei, ma non riuscì a trattenersi, e le prime lacrime cominciarono a solcargli le guance.

Emmeline si preoccupò e gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarla negli occhi.

«Grazie» sussurrò lui semplicemente, sorridendo appena.


 
***


Non sapeva esattamente da quanto tempo era li: non sentiva niente e nessuno gli diceva qualcosa, stava per avere un infarto, se lo sentiva.

Odiava gli ospedali.

Era notte fonda e si era svegliato con un brutto, bruttissimo presentimento, e nel voltarsi aveva trovato Emmeline seduta sul letto, completamente sudata, che cercava di trattenersi dall’urlare e di bestemmiare, probabilmente: le lenzuola erano completamente bagnate e lui era entrato in panico, nell’esatto momento in cui capì che le se erano rotte le acque e che stava per diventare padre.

L’aveva rassicurata, le aveva consigliato di respirare come le avevano insegnato al corso pre-parto, mentre lui si vestiva velocemente; l’aveva aiutata ad alzarsi e l’aveva accompagnata in macchina, ed era partita la corsa pazza verso l’ospedale.

L’aveva sentita gridare e piangere e lui era andato in panico, gli scoppiava la testa e li, in quell’ospedale, in quella sala d’attesa, non sapeva cosa pensare e fare: aveva telefonato ai genitori di Emmeline che sarebbero arrivati nella mattinata, aveva telefonato a Georg, in panico, e con Ellen l’avrebbero raggiunto a breve, e sua madre lo guardava da lontano, sapendo bene che voleva stare solo.

Una parte di lui voleva entrare in sala parto, vedere venire alla luce suo figlio, tagliare il cordone ombelicale e piangere come un bambino e abbracciare Emmeline, baciarla e ringraziarla, ma l’altra parte di lui, sarebbe svenuta e quindi aveva deciso di rimanere fuori ad aspettare.

Si alzò, cominciando a camminare avanti e indietro, sotto gli occhi attenti di sua madre che, probabilmente, non l’aveva mai visto così: Tom stava letteralmente morendo di paura e di felicità, allo stesso tempo.

Dio, non vedeva l’ora di conoscere il suo piccolino.

Osservò uno a uno i quadri che erano appesi alle pareti, lesse tutti i cartelloni e i fogli che gli capitavano sotto agli occhi e poi si appoggiò con la fronte alla parete, cercando di calmarsi.

Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi su se stesso: riusciva a sentire il suo cuore battere all’impazzata, ma non se ne preoccupò molto.

«Signor Kaulitz?» si sentì chiamare da una voce femminile, dolce, e nel momento in cui si voltò, di scatto, rischiò di cadere a terra, come una pera cotta: quell’infermiera teneva in braccio il suo bambino; si commosse e si avvicinò, timoroso e curioso allo stesso tempo. «Vorrei presentarle sua figlia» gli sorrise dolcemente, mettendo quella piccola creatura tra le braccia del padre, spiegandogli attentamente come mettere le mani. «È bellissima e sana, complimenti e congratulazione» aggiunse poi, osservandolo intenerita.

Tom non la stava ascoltando, troppo concentrato a guardare sua figlia e a cercare di non farla cadere o di farle del male: era così piccola, delicata e bella, la sua piccola principessa.

«Come sta Emmeline?» mormorò, senza staccare gli occhi dal visino della piccola, che dormiva tranquilla tra le sue braccia: probabilmente sapeva già che quel ragazzo impacciato era suo padre.

«Sua moglie sta bene, è stata molto brava» rispose l’infermiera e Tom alzò di scatto la testa, preso in contropiede.

«Non è ancora mia moglie» sorrise imbarazzato e lei gli sorrise, come a volersi scusare. «Posso vederla? Ho bisogno di vederla.» mormorò, pregandola con lo sguardo.

Lei annuì semplicemente: nessuno glielo avrebbe impedito.

Si voltò un momento verso sua madre, che gli stava sorridendo con le lacrime agli occhi e lui ricambiò il sorriso, felice come una Pasqua.

Fu accompagnato in una stanza, dove trovò una Emmeline quasi addormentata, sicuramente sfinita, e ancora sudata: sorrise teneramente e si avvicinò a lei, sedendosi appena sul letto, sempre con la piccola tra le braccia.

La ragazza aprì un occhio, anche se sapeva già di chi si trattasse: avrebbe riconosciuto il suo profumo tra mille.

Fece un sorriso stanco e si sforzò per sistemarsi meglio e tirarsi un po’ su: voleva rivedere la sua bellissima bambina.

Tom le posò un bacio sulla nuca dolcemente.

«Sei stata così brava, piccola» mormorò lui, attirando l’attenzione della ragazza su di se.

Emmeline gli sorrise e si allungò per baciarlo castamente sulle labbra, prima di riportare l’attenzione sulla loro bambina.

«Abbiamo fatto un capolavoro, amore!» squittì lei, sfiorando con un dito, la guancia paffuta della piccola. «Come ti senti?» gli chiese poi.

«Dovrei fartela io questa domanda» ridacchiò appena lui. «Adesso mi sento meglio» sussurrò e la vide annuire, distrattamente.

Non aveva occhi per lui adesso, questo lo sapeva bene, ma non gli interessava molto.

«Ha il tuo stesso naso e le tue stesse orecchie, guarda» mormorò la ragazza, e il moro si precipitò a guardare con attenzione quei due dettagli: ed era vero.

«E ha lo stesso neo che ho sulla guancia» continuò lui. «Però ha le tue labbra, piccola, e il taglio degli occhi» aggiunse e la ragazza gli sorrise.

«No, il taglio degli occhi è il tuo» lo corresse, prima di posare un bacio sulla testolina piena di capelli scuri della piccola. «È una piccola Kaulitz» aggiunse ridacchiando.

Tom non rispose, non sapeva cosa dirle, si limitò a guardarla intensamente.

Sobbalzò nel momento in cui quel piccolo fagottino che aveva tra le braccia si mosse: i loro sguardi s’incatenarono per la prima volta e lui tremò dall’emozione.

Emmeline sorrise intenerita nel vedere la sua bambina sveglia, intenta ad osservarli, probabilmente curiosa.

«Ciao piccola» sussurrò Tom, posandole un bacio sulla fronte, prima di lasciarla tra le braccia della neomamma, che la accolse con amore sul suo petto.

Il ragazzo portò un braccio intorno alle spalle della sua ragazza, stringendola affettuosamente e regalandole un altro bacio sulla tempia: guardava con amore le sue donne e probabilmente quello era il giorno più felice della sua vita.

Non poteva credere di essere diventato padre, doveva essere un sogno.

Le osservava con amore, osservava la donna che amava baciare diverse volte il frutto del loro amore e si sentiva così felice.

«Non abbiamo pronto il nome, però» mormorò ed Emmeline portò, finalmente, lo sguardo su di lui: Tom aveva ragione, non avevano pensato a un nome per una bambina.

«Arabella» rispose lei in un sussurro, baciandolo di nuovo sulle labbra.


 
***


Le aveva regalato un mazzo di girasoli.

Aveva letto che avrebbe dovuto fare un regalo alla sua donna, dopo che lei gli aveva dato uno dei regali più belli, un figlio, e Georg gli aveva consigliato un gioiello, ma lui aveva speso un sacco con l’anello di fidanzamento, quindi ha preferito prenderle i girasoli.

Emmeline era stata più che felice.

Simone e Gemma erano diventate pazze alla vista della loro nipotina, e le avevano regalato un sacco di cose che, probabilmente, si sarebbero rivelate inutili e avrebbero occupato un sacco di spazio in casa.

Anche il padre di Em era stato felice, così come Georg ed Ellen: la giovane si era convinta di volere un figlio dal ragazzo che aveva preferito guardarla scioccato, era presto, no? Dopotutto stavano insieme da quasi un anno.

Tom posò un bacio sulla fronte della ragazza: era tornato a casa per farsi una doccia e per darsi una sistemata, ma poi era tornato, aveva visto la sua bambina cercare il seno della madre, l’aveva cullata e l’aveva vista addormentarsi.

«Ciao» sussurrò la ragazza, cercando le labbra di Tom: le era mancato e le mancava infinitamente. «Dov’è la nostra principessa?» chiese curiosa, mentre lui le sorrise dolcemente.

«Mammina premurosa» la prese in giro, baciandola di nuovo. «Credo che la porteranno qui, non l’ho vista di la» alzò le spalle lui.

Emmeline s’incupì e si preoccupò, proprio come aveva fatto Tom in precedenza.

Era stato strano non vederla nelle culle della Nursery ed era ancora più strano il fatto che nessuno ne sapesse niente e che non fosse nemmeno con Emmeline.

Non tardò molto all’arrivo dell’ostetrica che aveva aiutato la giovane a mettere al mondo Arabella, accompagnata da un paio d’infermiere, ma della piccola non c’era traccia.

La ragazza cercò subito la mano di Tom, che strinse con forza.

«Non so come sia potuto succedere, visto che il reparto è sorvegliato costantemente» cominciò la donna. «Ma vostra figlia non è più qui» entrambi i giovani sgranarono gli occhi: non era possibile, non poteva essere possibile. «È stata rapita



 
*********

 
Perdonatemi l'ennesimo ritardo, sono imperdonabile, lo so!

Questa storia è nata ad aprile e se voi avete potuto leggerla è stato grazie alla mia migliore amica DreamerAlien, che mi ha convinta a postarla.
Mi ha fatto uno strano effetto, cliccare sulla casella "completa", perchè, come voi, anche io sono affezionata a questa storia, ai personaggi, alla coppia Emmeline-Tom.
Ho scelto un finale particolare, e infatti mi aspetto di trovarvi sotto casa mia con fucili e forconi, ma come vi ho già detto in precedenza, ci sarà un sequel (ora come ora non so quando sarà pronto il primo capitolo).
Voglio ringraziare, come è giusto che sia, tutte quelle persone che hanno letto "Gli stessi di sempre", siete davvero tantissime; voglio ringraziare quelle persone che mi hanno lasciato una recensione ogni volta; voglio dire grazie a quelle 17 persone che l'hanno inserita tra le preferite, e le 14 che l'hanno inserita tra le seguite: vi dico grazie infinitamente.
Ovviamente voglio ringraziare anche le 7 persone che mi hanno aggiunta tra i loro scrittori preferiti, uao.

Prima di salutarvi e di lasciarvi i miei contatti, voglio ricordarvi che le vostre recensioni (positive o negative che siano) sono sempre ben accette! Anzi se avete consigli da darmi o insulti da dirmi, non trattenetevi!

Okay, dopo avervi ringraziate, vi lascio: il sequel si intitolerà "Invaded" e per ora è l'unica cosa che posso dirvi e ovviamente vi aspetto, spero che siate curiose di leggere cosa succederà nella vita (inventata) dei nostri protagonisti. 


un bacio e un abbraccio,
difficileignorarti

 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: difficileignorarti