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Autore: Dzoro    19/10/2014    0 recensioni
In un mondo abitato da manichini meccanici, dominato dai Vampiri e con seri problemi di immigrazione aliena, succede un evento impensabile: Carmilla, una bambina vampiro, torna umana. Il compito di proteggerla viene affidato ad un improbabile eroe, il medico-manichino Verzetti. Riuscirà a salvarla dalle grinfie del perfido tenente Controcazzi e a conquistare il cuore di Samanta, la bella manichina dal morbido seno di Seitan, e a pagare l'affitto?
Storia in pausa natalizia, ci vediamo a gennaio!
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sedici

L’uovo di metallo incandescente precipitò affossando l’asfalto del vicolo in una ammaccatura rigata di spaccature frastagliate che andava da un muro all’altro. L’uovo era ancora rosso per il calore, e le sue saldature scricchiolavano per l’improvviso raffreddamento in seguito al viaggio ad ipervelocità. Era un globo allungato e irregolare di metallo, coperto di tubi e indicatori analogici con le lancette che ondeggiavano frenetiche avanti e indietro. Sulla cima si aprì una spaccatura, poi si allargò percorrendo verso il basso tutta la superficie dell’uovo. Controcazzi ghignò.
“Vieni da papà.”
Due mani nodose spuntarono dall’apertura, e l’allargarono.
 
La moto sterzò dentro un largo viale, passando sotto un arco decorato di bassorilievi. La via era occupata da condomini con davanti giardinetti tutti prato inglese e petunie, qualche chiesa e molte saracinesche abbassate, il tutto affacciato su marciapiedi sui quali vagavano un po’ di pipistrelli giornambuli, che si proteggevano dai pochi raggi ultravioletti lasciati passare della lente solare con luco-impermeabili dai colori sgargianti o parasole color rosso opaco. Non c’erano macchine, Verzetti condusse la derapata fino ad andare contromano, poi tornò sulla sua corsia.
“Credo che li abbiamo seminati.” Disse.
Una raffica di Gatling si abbattè di fianco alla moto. I proiettili aprirono decine di fori neri sull’asfalto, e ridussero il parabrezza di un utilitaria parcheggiata lì vicino ad una nuvola di ghiaia vetrosa. Verzetti sterzò bruscamente, facendo sbandare la moto a destra e a sinistra. Samanta e Carmilla urlarono. Verzetti buttò uno sguardo dietro di se, e la prima cosa che vide furono le maestosi ali piumate. Controcazzi si ergeva sopra di uno scudo dorato, sopra il quale era stata installata una gatling dello stesso metallo tramite in treppiedi fissato con viti. Lo scudo era sorretto dal muscoloso braccio di un angelo da assalto, vestito di una semplice toga bianca, e con un viso immobilizzato in un placido sorriso, incorniciato da cascate di riccioli d’oro. La creatura era più grossa perfino del tenente, e lo sorreggeva sopra la sua schiena senza problemi, mentre le sue ali sbattevano ritmicamente, facendolo sfrecciare in aria come un razzo.
“Oh porco bro…” esclamò Verzetti, prima che Controcazzi riprendesse a sparare. Verzetti prese a girare forsennatamente il manubrio, muovendo la moto in un disordinato zig-zag, incastrato a malapena in mezzo alla pioggia di proiettili, con intorno a se pezzi di asfalto che schizzavano come se grandinasse e i serbatoi delle macchine parcheggiate che esplodevano in fiammate e schegge di metallo e vetro. I passanti si appiattivano rannicchiati contro gli edifici, lasciando cadere i loro ombrelli da sole, che prendevano il volo nei vortici di detriti sollevati dalla mitragliatrice. L’angelo ruggì, e il suo ruggito era a metà strada tra quello di un falco e l’acuto di un immenso coro gregoriano.
“Rallenta, ce ammazziamo qui!” urlò Samanta, stretta intorno alla sua vita fino quasi fargli male. Verzetti avrebbe voluto rispondere che in quel momento sarebbero morti in qualsiasi caso, ma riuscì solo ad urlare, con tutti i megahertz dei suoi altoparlanti.
Controcazzi sghignazzava, mentre la gatling consumava un proiettile dopo l’altro metri di nastro. Il suo dito rilasciò per un attimo il grilletto.
“Fermatevi in nome della fottuta legge!” disse. Non vide l’ombra nera e massiccia che stava saltando da un tetto all’altro degli edifici intorno a lui. Non la vide saltare contro di lui.
Verzetti continuò ad urlare almeno una decina di secondi dopo la fine degli spari. Quando si accorse che il rumore era cessato, lanciò un’altra occhiata dietro di se. Non vedeva più ne l’angelo ne Controcazzi.
“È scomparso?” disse, insicuro se fosse una domanda o un affermazione. Poi, riportò lo sguardo sulla strada davanti a se. Una massa indistinta di metallo, piume e pelo si sfracellò rimbalzando davanti a lui. Verzetti frenò di botto, facendo strisciare la ruota posteriore in una lunga sbandata e inchiodando la moto in mezzo alla strada.
Il mannaro con gli occhialini era aggrappato con le unghie al braccio dell’angelo, che lanciava gridi simili al movimento centrale di O Fortuna. Controcazzi si reggeva con una mano alla gatling mentre l’angelo si agitava in un volo disordinato per il cielo sopra la strada, sventolando la mech-chela del braccio libero contro il muso del mannaro, mancandolo sempre di poche spanne.
“Ma che stai a guardà? Nnamo!” gli gridò Samanta in un orecchio. Verzetti non se lo fece ripetere. Riaccese il motore, e si buttò in una corsa disperata.
“A destra, svolta a destra.” Disse Samanta, e Verzetti obbedì.
La strada che avevano imboccato era lastricata di piastre di porfido multicolore, e scortata da due file di statue neoclassiche, eroi greci che tendevano le loro membra virili, impegnati a decapitare meduse, donare il fuoco agli esseri umani e strangolare minotauri. Ogni statua era posizionata su piedistalli grossi come cabine del telefono, e oscuravano i bagliori rossi del sole con la loro massa slanciata. In fondo al viale, si vedeva un cancello di ferro battuto, le cui sbarre di metallo argentato terminavano in decorazioni floreali e intrichi ricurvi di rampicanti metalliche. Il cancello interrompeva una muraglia che sembrava fatta dei massi di una piramide egizia, colorati di tinta color mattone e coperti da un fitto rigoglio di muschio ed edera.
“Ma quello è il castello di…” disse Verzetti.
“Sì, sì, saremo al sicuro lì.”
“Di chi?” chiese Carmilla.
“Lo conosci di persona?” disse Verzetti, non sentendo la domanda della bimba.
“No.”
“Ma chi?” disse Carmilla.
“Ma come facciamo ad entrare?”
“Eppiantala con queste domande! Vai!” disse Samanta. Verzetti accelerò. Davanti a loro, il cancello si mosse sui cardini, spalancandosi lentamente.
La moto superò la soglia, sollevando una raffica di ciottoli bianchi da una larga strada che si arrampicava su per una collina ricoperta di erba tagliata fine, aiuole straripanti di fiori che alternavano il rosso a tinte di blu e viola scuro e alberi potati in modo che avessero la forma di busti maschili e femminili, che allungavano in preda all’estasi le loro braccia verso il cielo, incurvando la loro schiena di legno e foglie. La moto slittò sulla ghiaia e sbandò. Verzetti frenò di botto, ottenendo un testacoda di settecentoventi gradi. Si ritrovarono un attimo dopo immobili, irrigiditi sui sellini, sorpresi di essere vivi.
“Mi scappa la pipì.” Disse Carmilla.
L’angelo d’assalto precipitò ad una decina di metri da loro. L’essere alato rotolò, mollò la presa sullo scudo che si perse rotolando e rimbalzando nelle profondità del bosco. Uno degli alberi lì vicino tremò tutto. Le fronde iniziarono a scuotersi, e in una nube di foglioline verde lucido Controcazzi cadde con le gambe all’aria. Si alzò lentamente, ringhiando: non aveva più il cappello, il suo volto era ricoperto di tagli sanguinanti, i suoi occhi dilatati e rossi. Digrignava con tanta forza che sembrava che dovessero uscirgli fuori scintille dai denti.
“Sporco abbendiabiti.” Sibilò, zoppicando verso di loro. Azionò le mech-chele: una cadde in pezzi per terra, ma l’altra sbattè le sue tenaglie tra loro, pronta all’uso. Verzetti diede gas alla moto: il motore emise un mugolio come quello che fa un ubriaco quando si tenta di svegliarlo.
“Porco, porco…” disse, con le parole che gli uscivano dalla bocca a pezzetti.
Le fronde frusciarono, senza che ci fosse un filo di vento. Una figura discese dal cielo, atterrando ad una spanna da Controcazzi: la lama di un fioretto si piantò contro la gola del tenente. L’impugnatura di filamenti di argento intarsiato era ben stretta nel pugno di un manichino, vestito in panciotto e camicia. Sulla sua testa, come quella di Verzetti liscia e priva di impianti, si trovava una parrucca bionda con tanto di codino.
“Non mi pare di averla invitata, tenete Italo Controcazzi.” Disse il Manichino, facendo cascare le parole una dopo l’altra, con pacatezza e decisione.
“Tu lo sai che potrei procedere ad un’esecuzione seduta stante per quello che stai facendo.” Disse Controcazzi, con il volto contratto in una rigida maschera di rabbia.
“Ha un bella faccia tosta, per essere uno con una lama puntata alla gola. E nel pieno della violazione del confine di uno stato indipendente.”
“Sporco appendiab…” la lama premette sulla gola, interrompendo la frase.
“Potrei sgozzarti qui, e i tuoi soldati non potrebbero nemmeno venire a prendersi il tuo cadavere. Vattene via, e non provare a farti rivedere, o dovremo fare qualche chiacchiera con il Parlamento.”
Controcazzi tacque. Indietreggiò. L’angelo era a pochi passi di distanza, che si grattava la testa con il piede, lanciando dei gorgheggi soddisfatti. Prese a pulirsi i capelli, leccandosi il dorso della mano e passandoselo sui riccioli.
“Vieni, bestia!” gli sbraitò addosso Controcazzi, prendendolo per la collottola e trascinandolo verso l’uscita.
Il manichino con il panciotto si voltò verso Verzetti, Carmilla e Samanta.
“Samanta, che piacevole sorpresa. Fabio.”
“Non è possibile! Tu?” disse Verzetti.
“Chi-i-i?” disse Carmilla.
“Oh, salve piccola. Mi presento. Mi chiamo Antonio Stucchi, segretario personale di Manfredi Otranto. Benvenuti al castello di Otranto.” Disse il manichino. 

_________
E questo è tutto per ora. Speravo di poter riprendere la pubblicazione con una seconda parte completa, ma purtroppo i progetti per la testa sono tanti, e il tempo è poco. Vi ringrazio se siete arrivati fin qui, fatemi sentire la vostra voce se volete altre bizzarre avvanture. Alla prossima!
   
 
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