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Autore: indiceindaco    19/10/2014    4 recensioni
Quando cala il sipario, ed il pubblico abbandona le poltroncine in velluto rosso, ed il brusio della gente si fa fioco, sempre più fioco, cosa succede dietro le quinte? Ad ormai quattro anni dall'uscita dell'ultimo libro, dall'ultima pagina voltata con emozione, aspettativa, malinconia, da quell'ultima frase che ha commosso tutti, nel bene e nel male. Il sipario è calato, il teatro è già stato ripulito, eppure no, non è finita qui.
Harry, Ron ed Hermione, ancora insieme si trovano ad affrontare la vita, quella vera, quella oltre le quinte di scena. E tanti cambiamenti si prospettano all'orizzonte. Scelte da prendere, scelte da rimandare, scelte in cui perdersi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Un po' tutti | Coppie: Draco/Harry, Remus/Sirius, Ron/Hermione
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo, Più contesti
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XXV. In.Finito
 
- Perché io e quelli che amo scegliamo persone che ci trattano come se fossimo nulla?
- Perché accettiamo l’amore che pensiamo di meritarci.  
Noi siamo infinito.
 
Draco era immobile, incapace di compiere quel passo necessario che ci consentisse di lasciarsi tutto alle spalle, incapace di riavvolgere il filo delle proprie azioni, e tornare indietro. Dava le spalle a Potter, che ancora stringeva la presa sul suo braccio, e credeva che quello fosse davvero l’unico punto di contatto con il mondo esterno. L’unico appiglio per non lasciarsi scivolare a terra, per non cedere alla disfatta, allo sgretolarsi dei mille pezzi che aveva senza successo rimesso insieme. Paradossale che quel sostegno non l’avesse nemmeno richiesto: era stato Potter a fermarlo, ancora una volta, a metterlo di fronte all’evidenza, costringendolo a trovare il coraggio di affrontarsi. Avrebbe potuto divincolarsi, sfuggire. Ma per andare dove? Come avrebbe potuto anche solo immaginare un percorso da seguire, una porzione d’asfalto sulla quale abbandonare i propri passi?
-Lo volevo quanto lo volevi tu. Come può non essere giusto?
Le parole di Potter erano così semplici, essenziali, riempivano il silenzio con quell’ineluttabile esattezza tipica della verità, incontestabile.
Draco chinò il capo, chiudendo gli occhi, desiderando di smettere di pensare, di scansare i ricordi che si facevano spazio nella sua mente. La promessa che si era fatto, prepotente, premeva sulla sua coscienza, ricordandogli quello che aveva sofferto e superato, sebbene non del tutto. La razionalità spargeva sale, su quella ferita non ancora rimarginata, come a ricordargli gli sbagli compiuti, e tutti avevano lo stesso nome: Theodore.
Credeva a quel sentimento che lo aveva legato a Theo, ci aveva creduto fino a ferirsene, fino a non accettare la realtà, a giustificarlo, proteggerlo, mettendolo prima di se stesso… fino alla notte dell’incendio. La notte in cui si era spinto troppo oltre, in cui tornare indietro sarebbe stato impossibile. No, non lo era stato. Blaise lo aveva trattenuto, mille volte, dal cedere, ed era principalmente grazie al suo migliore amico che aveva riacquistato una propria specie di equilibrio, e Draco non avrebbe mai trovato le parole adeguate per ringraziarlo, lo sapeva. Eppure al primo accenno di tempesta tutto si era nuovamente sgretolato fra le sue mani, sabbia tagliente, che infettava ogni sua cellula. Fallimento, sentiva sussurrare da una voce sconosciuta, nella sua testa. Ciò che più lo terrorizzava era ricommettere gli stessi errori, era quella la verità che era stato talmente bravo nel celare a se stesso. Tremava al pensiero di poter abbandonarsi di nuovo ad un’emozione. Per tutto quel tempo non aveva fatto altro che recuperare i detriti di quella stessa sabbia che dilaniava le sue ferite, per costruire un muro invalicabile attorno a sé, una barriera che impedisse alle emozioni di raggiungerlo, sconvolgerlo. Si era negato così ostinatamente persino a ste stesso che adesso non era facile trovare una risposta alle parole di Potter, che ancora non lo lasciava andare, che sembrava non voler minimamente arrendersi.
-Ho fatto talmente tante scelte sbagliate, Potter, da non saper più distinguere quelle giuste.- disse, con un filo di voce, il capo ancora chino, e sul viso l’espressione di chi non sente più il bisogno di nascondersi, sebbene Potter non potesse vederla.
Potter allentò la presa, lentamente, come avesse capito che Draco non sarebbe scappato via, come se quelle parole fossero un tacito accordo.
-Quanto a lungo dovrai ancora condannarti, Malfoy? Tutti sbagliamo, ogni giorno. È così che funziona la vita: prove ed errori. E se ogni tanto si compie una scelta sbagliata beh…basta saper rimediare. E andare avanti. Perché è questa l’unica cosa che possiamo fare: andare avanti.- disse Potter, con la voce ferma, calda e rassicurante. E Draco si sentì in un attimo assolto, perdonato. Sentì che anche per lui poteva esserci una vera possibilità. Sapeva che quelle parole, seppur diverse, erano le stesse di Blaise, ma la voce di Potter le rendeva diverse…vere. Si voltò, per fronteggiare l’altro, quasi avesse trovato la forza di rispondergli, di spiegargli, quasi si sentisse adeguato, autorizzato a guardarlo finalmente negli occhi.
-Ho avuto un incubo, l’altra notte, che mi ha ricordato delle cose che avrei voluto dimenticare.- Draco non riusciva nemmeno a spiegare a se stesso perché stesse dicendo quelle parole, da quale parte di sé provenissero, o come fossero state articolare, - Ho sognato della notte in cui ho fatto una scelta a cui non potrò mai rimediare. La notte in cui ho perso la persona che amavo. E in cui ho capito, accettato, chi questa persona fosse in realtà. In cui ho toccato il fondo, e perso me stesso.
Fece una pausa, abbassando lo sguardo, Potter di fronte a lui lo osservava assorto, in silenzio, forse quasi in apnea.
-Sognarlo e…ricordarlo è stato doloroso, difficile. E così ho bevuto. Ho cacciato Blaise e ho bevuto. Ho continuato a bere. Ma i ricordi restavano lì…
La voce gli tremava adesso ma Draco era troppo determinato, troppo risoluto per fermarsi, per smettere di parlare e per lasciare che gli occhi straripassero.
-E sono venuto qui…forse perché volevo mandarti a quel paese, insultarti, e sputarti addosso la mia rabbia, il mio odio. Pensavo mi avrebbe aiutato. Ferire qualcuno…Ferire te. Per allontanare i ricordi. Per smettere di sentire quanto faccia male…ancora. Ma poi…Hai aperto la porta, prima ancora che bussassi, e stavi lì, e senza farmi domande mi hai fatto entrare…Senza neanche chiedermi cosa diavolo fossi venuto a fare, senza neanche guardarmi negli occhi. Semplicemente hai aperto la porta e…Poi non so cosa mi sia preso. Solo avevo bisogno di…
Potter gli mise un dito sulle labbra, riportando gli occhi di Draco, adesso sorpresi, nei suoi.
-Basta…- disse l’ex-Grifondoro, semplicemente. E sorrise. Così, come se fosse la cosa più naturale del mondo, e a Draco quel sorriso sembrò una benedizione.
 
***
 
Hermione, seduta sul divano, osservava le mille sfumature sfilare sul volto del suo ragazzo. La lettera di Ginny era ormai accartocciata nelle sue mani, mentre Ron continuava a riprodurre suoni composti metà da sillabe metà da grugniti. La ragazza non osava proferir parola, e in silenzio ascoltava tutta una serie di improperi e rimproveri rivolti ad un’interlocutrice assente:
-Miseriaccia, Ginny! Ma cos’ha che non va quella ragazza? Insomma, che le passa per la testa? Lasciare Harry! Hermione, dico…ti rendi conto? Ha lasciato Harry! Dev’essere impazzita. Dove lo trova, dico io?! Dove lo trova uno migliore di Harry! Miseriaccia! Gli va dietro da quando aveva dieci anni, Herm! Dieci anni, per Merlino!
Ron, sbraitando, aveva preso a camminare avanti e dietro furiosamente, sotto lo sguardo vigile di un’Hermione sempre più senza parole.
-Ma…perché, dannazione, Ginny! Perché? Stava andando tutto così bene… Oh Godric, chissà come l’ha presa Harry! Vedrai è solo un brutto periodo…Devo farla rinsavire! Hermione, noi…Noi dobbiamo fare qualcosa! Andremo ad Hogwarts, ecco che faremo. Ma prima da Harry…E poi…
Ormai il discorso di Ron aveva perso qualsiasi filo logico, la sua voce rincorreva frasi smozzicate, in preda al panico. Succedeva sempre, quando Ron sentiva di non avere il controllo della situazione, quando si sentiva impotente e cercava di cambiare il corso di eventi assolutamente indipendenti da lui. Ogni volta, Hermione, lo osservava in silenzio, lasciando che il suo ragazzo si sfogasse, per poi affiancarlo, poggiargli una mano sulla spalla e dirgli che tutto sarebbe andato bene. Non questa volta. Hermione non aveva risposte, punti fermi, per poterlo rassicurare. Sapeva che le cose tra Ginny ed Harry non andassero meravigliosamente, ma ancora faceva fatica ad accettare il contenuto irreversibile di quella lettera. Ginny stava crescendo, era comprensibile le sorgessero dei dubbi su ciò che fino a quel momento aveva dato per scontato. Ma da lì a compiere quella scelta così radicale…Hermione avrebbe voluto riempire chilometri e chilometri di pergamena, porgere a Ginny delle domande, portarla a ragionare, convincerla che fosse solo un periodo buio della relazione con Harry. Ma aveva come l’ammutolita certezza che non una parola avrebbe smosso quella che sembrava essere una decisione inamovibile, definitiva.
-Noi non faremo proprio niente, Ronald. Tua sorella è abbastanza grande da sapere cosa è giusto e cosa non lo è, per se stessa ed anche per Harry.- disse Hermione con voce piatta, mentre, sotto lo sguardo attonito di Ron, si sentiva sprofondare tra i cuscini soffici del proprio divano.
-Grande abbastanza? Ha diciassette anni! Cosa può capirne? Bisogna che qualcuno stia…
-Ron!- esplose Hermione, interrompendolo, - Questa scelta non ci compete. Spetta solo a Ginny e… no, non possiamo farci niente. Non ha lasciato Harry perché quell’idiota non le dedica attenzioni, non l’ha lasciato perché la distanza ha affievolito quello che prova, e neanche perché qualcun altro le fa il filo! Maledizione, Ron…Ginny non lo ama più. E niente…NIENTE, cambierà questa cosa. Quindi… accettala! Possiamo solo star accanto ad Harry.
Ron, improvvisamente rassegnato all’evidenza, si lasciò cadere sul divano al fianco di Hermione, ancora con le guance arrossate e gli occhi fiammeggianti dalla sfuriata.
Il ragazzo fissò il vuoto per un po’, chinando il capo, avvilito, poi in un gesto fulmineo abbracciò Hermione e nascondendo il viso nell’incavo del suo collo sussurrò:
-Non farmi mai una cosa del genere.
Hermione lo strinse un po’ più forte.
 
***
 
-E così la Granger crede ci sia una parola d’ordine a proteggere questa roba, eh?
Malfoy lo osservava leggermente perplesso, oltre il bordo della tazza di thé fumante.
-La fai sembrare una cosa del tutto priva di senso.
-Perché è del tutto priva di senso, Potter!
Erano in cucina, seduti l’uno di fronte all’altro, protetti dalle rispettive tazze, come immersi in un’atmosfera senza spazio e senza tempo, dove non esisteva nient’altro che le pareti della cucina, senza un prima né un dopo, solo quell’istante, a parlare normalmente, di nuovo Potter e Malfoy, come se nulla fosse successo. Non che ad Harry dispiacesse, lo trovava quasi confortante, non dover far i conti con quello che era successo, non ostinarsi a trovare spiegazioni. Eppure ogni volta che Malfoy portava la porcellana alle labbra, Harry non poteva far a meno di risentire quel tocco sulle proprie, quella sensazione famelica talmente familiare da sconvolgerlo, da farlo vergognare come un ladro. E non poteva far altro che concentrarsi su quel momento, su quella ingenua farsa che stavano portando avanti, cercando di scacciare quell’emozione conturbante.
-Sentiamo allora, quale sarebbe la tua teoria?- disse Harry deglutendo. Si disse che se concentrarsi su qualcosa di concreto avrebbe aiutato. Malfoy inarcò un sopracciglio, ponderando un po’ la risposta, poi si sporse sul tavolo, incrociando le braccia al petto.
-Ci hai scritto sopra, no? E non ne hai ottenuto nulla. Punto numero uno: esistono degli appositi incantesimi di dissimulazione per oggetti di questo genere, per eludere qualsiasi intrusione diversa da quelle legittime. Punto numero due: quando l’ho toccato, ho avuto la netta impressione che si trattasse di un diario, perché ho percepito dei ricordi rinchiusi lì dentro, ma non ho assistito a nessuno di quei ricordi, perché non erano destinati a me. Il che ci porta al punto numero tre: quando un oggetto magico è protetto respinge chiunque cerchi di violarlo, tranne il proprietario ed il destinatario. A rigor di logica, date le considerazioni precedenti, Potter, converrai con me nel dire che…
-Il diario vuole essere letto!- proruppe Harry, quasi illuminato, interrompendo bruscamente Malfoy, che lo guardò leggermente infastidito.
-Io avrei detto piuttosto che il proprietario voleva che qualcuno lo leggesse, ma l’idea è quella, sì.- disse il ragazzo, riagguantando la tazza da thé, con aria soddisfatta.
-Un momento però…- riprese Harry dubbioso, -Come spieghi il fatto ch’io non sia in grado di leggerlo? Ammesso che il diario sia appartenuto a Sirius, dato che si trovava nella sua stanza, allora… deve averlo lasciato per me, come un messaggio nascosto. Eppure solo tu e Ron avete percepito qualcosa. E ancora: il diario non ha reagito in nessun modo quando sono stato io a scrivere! Ma secondo il tuo ragionamento…
Malfoy si lasciò sfuggire un ghigno divertito:
-Dai troppe cose per scontate, Potter. Chi ha mai detto che il destinatario fossi tu?
 
***
 
 
La sua mano vagava pigramente tra quei capelli scuri morbidi, seguendo percorsi astratti e un passo più in là alla rassicurazione. Pansy, in silenzio, accarezzava i capelli di Blaise, adesso finalmente libero da quella facciata di calma e freddezza, adesso finalmente accoccolato sulle sue gambe come un gatto. Avevano perso il conto dei bicchieri, e dei ricordi che quella situazione aveva riportato a galla. All’inizio era stato doloroso, il racconto dell’incontro con Theodore, la reazione di Draco, il freddo di quelle notti che nessuno avrebbe potuto dimenticare. Pansy, come tutti del resto, aveva finto di rimuovere quella parte di una vita che sembrava non esserle mai appartenuta, aveva messo su ampi sorrisi di circostanza e aveva tirato avanti. Ma l’orrore stava lì, nascosto da qualche parte, sempre in agguato. Sapeva che anche per i suoi migliori amici fosse così, l’incubo di Draco ne era la prova. Eppure Pansy, con quel suo fare superficiale, era riuscita a scacciarlo un’altra volta, quella sera, sul divano di Blaise, dopo qualche bicchiere e racconto divertente, di quelli al tempo della scuola, quando bastava star seduti in Sala Comune per sentirsi al sicuro, a casa, amata dalla propria famiglia. Era sempre così per lei: Draco era l’amico problematico, complicato e troppo spesso confuso. Blaise era l’ancora, il porto sicuro in cui approdare quando la tempesta imperversava, sempre confortante. Theodore, per quanto facesse male, era la certezza, la risoluzione, l’assoluto. Era sempre stato il più inamovibile di loro, quello con un obiettivo: vendetta. E lei? A lei era stato riservato il ruolo dell’amica un po’ matta, sempre frivola, dalla risata facile. Le andava bene, perché sapeva che ne andava dell’equilibrio del gruppo, ed aveva finito per piacerle quel ruolo, un po’ da clown. Non che potesse fare altrimenti, i suoi amici avevano bisogno di quella Pansy. Ma poi il destino aveva rimescolato le carte in tavola, fregandosene di equilibri, di bisogni e di progetti per il futuro. Li aveva investiti in pieno, senza riguardi, senza chieder permesso o scusarsi. E Draco era diventato tormento, Blaise impotenza, Theodore morte…di lei che ne era stato? Trucco sbavato e occhi serrati, aspettando che il peggio passasse, perché ad ogni tempesta c’è una fine. E quando il miracolo di essere sopravvissuti li investì, ognuno era solo a rimettere insieme i pezzi della propria vita, ognuno lontano da se stesso e dagli altri. Solo.
Pansy sapeva che nulla sarebbe tornato come prima, ma c’erano momenti, come quello, che riusciva quasi a risentire il calore del camino della Sala Comune, a risentire di avere un posto da chiamare casa.
Blaise, lì con la testa sulle sue gambe, si era finalmente addormentato, abbassando le sue difese, come sempre era stato capace di fare in presenza di Pansy, e la ragazza finalmente si concesse una lacrima silenziosa. Una sola.
I tempi del trucco sbavato erano finiti, sebbene si ostinassero a tornare. Pansy sapeva che era tempo di riprendere il proprio ruolo, così senza far rumore agguantò un cuscino e sgattaiolò via, concedendo a Blaise un meritato riposo. 
 
***
 
Draco guardava la fronte aggrottata di Potter e la trovava divertente, senza una reale motivazione logica, solo buffa. Era tutto così irreale e ovattato, da portarlo a chiedersi se si trovasse ancora nella stessa dimensione, se non ci fosse uno strano sortilegio che lo avesse purificato una volta varcata la soglia della casa di Potter. Come una catarsi, solo più violenta: aveva imboccato la porta, si era avventato sulle labbra piene di Potter, e adesso era pulito. In grado di pensare che un’espressione potesse essere buffa. Aveva dell’incredibile. Il tempo sembrava essersi ridotto ai minimi termini: qui ed ora. E Draco ne era grato, non sapeva perché, ma non poteva che esserne grato.
Certo, l’astuto pretesto di Potter di concentrarsi sul concreto, su mistero irrisolto del diario, era stato un buon deterrente, una trovata molto Grifondoro, eppure molto geniale. Faceva fatica ad ammetterlo, ovvio, ma era stato furbo da parte dell’altro, focalizzarsi su quell’oggetto, piuttosto che su quello che era successo. Ma qualcosa di inquieto suggeriva sibillino al suo orecchio che c’era ancora bisogno di parlare, di spiegare. Una parte maliziosa di Draco continuava a spingerlo oltre il bordo del tavolo, solo per scoprire cosa sarebbe successo. Potter, di fronte a lui, continuava a sfogliare quelle pagine bianche, sempre più perplesso. Draco lo osservava in silenzio, cercando di decifrare quell’espressione assorta, guardandola sfumare e riadattarsi ad ogni pagina, scrutando ogni singola piega delle labbra, sconvolgendosi nel rendersi conto di quanto lontano potesse vagare la mente di Potter, sebbene si ostinasse a rimanere legato all’irriducibile. Non sapeva come, ma era sicuro che i pensieri di Potter fossero costantemente rivolti al salone, all’ingresso di casa propria, alla porta di legno.
-Stavo pensando…- disse improvvisamente l’ex-Grifondoro, -Se solo tu e Ron siete riusciti a percepire qualcosa…forse il destinatario può essere…sì, insomma: né io né Herm ne abbiamo cavato nulla. Quindi mi chiedevo…se il destinatario fosse un…
-Un purosangue? Non è da escludere.- lo interruppe Draco, lasciandosi scivolare sulla sedia, con fare del tutto casuale, cosa che fece sobbalzare lievemente Potter.
- Ricapitolando: il diario può essere letto solo dal legittimo destinatario, che con buone probabilità è un purosangue…pensi ci sia modo di capire chi fosse questo destinatario, chi il proprietario? E, in sintesi, di capire se questo diario può in qualche modo essere pericoloso?
Draco lo guardava come affascinato. Non riusciva a credere quanto Potter potesse essere ostinato, nell’eludere persino se stesso, spendendo tutta la propria attenzione su quegli obiettivi così lontani da un bisogno che gli si poteva chiaramente leggere in faccia. Era così risoluto a risolvere quelle domande, forse proprio per sfuggire a l’unico interrogativo che in quel momento punzecchiava entrambi. Draco ne era ammirato: con quanta determinazione si può sfuggire da se stessi?
-Potter è solo un diario, che con buona probabilità contiene dei ricordi importanti. Ovvio che può essere pericoloso. In più è protetto, il che significa che quei ricordi non devono essere condivisi con nessuno, se non il destinatario.
-Ma c’è un modo, giusto? Malfoy, dimmi che c’è…
La veemenza nel suo tono gli era completamente estranea, gli dava sui nervi quell’ossessione, e Draco non riusciva proprio a giustificarla.
-Perché è così importante, Potter?- disse automaticamente, senza riuscire a trattenersi, come avesse relegato ancora una volta la razionalità nel più remoto angolo della propria coscienza. E non poté far a meno di prendersela anche con se stesso, perché Potter aveva quell’inconsapevole bravura nel farlo smettere di pensare, di agire coerentemente?
Potter lo guardò come risentito, ma con quello sguardo limpido, senza accuse, come di un bambino deluso dal gusto della propria TuttiGusti+1 preferita.
-Perché qualcosa mi dice che è di Sirius. Qualcosa mi fa pensare che il destinatario fosse lui e…è un modo per sentirlo vicino, come di riaverlo qui, capisci? Magari si tratta di una delle solite idiozie tra lui e mio padre e… Lo so che è idiota e che non te ne può fregare di meno ma…Era il mio padrino. E se questo oggetto può ridarmi qualcosa che mi è stato tolto, allora…
Draco alzò una mano, per interromperlo. Poi sospirò, sotto quello sguardo speranzoso, chiedendosi cosa lo portava a farlo…
-C’è, Potter. Il modo c’è…- disse riluttante.
Quegli occhi primaverili si illuminarono, provocando a Draco un’inspiegabile sensazione di benessere, di esattezza. E per una volta decise che non era il caso di ignorarla, di inorridire. Per l’ennesima volta, trasse un profondo respiro, osservando Potter completamente in silenzio, in attesa del seguito della sua proposta:
-Se le mie intuizioni sono esatte, credo di aver capito di cosa si tratta…Avevo qualcosa di simile una volta, un regalo che mi è stato fatto…ma si trattava di un ricordo solo, ed il destinatario ero io, quindi è stato facile. Basta un incantesimo, che non credo sia di quelli che tu e i tuoi amichetti apprezzereste.- Draco fece una pausa, guardando l’espressione di Potter farsi solo un po’ più grave, -Serve il sangue del destinatario.- sputò fuori, prima che Potter potesse anche solo immaginare di ribattere.
-Malfoy…
-No, prima che tu lo chieda, non lo definirei un incantesimo propriamente oscuro. Certo, richiede un minimo spargimento di sangue, Potter, ma non sto parlando di un’ecatombe. Il sangue del destinatario è la chiave d’accesso, per così dire. Poi bisogna pronunciare una banalissima formula. E il gioco è fatto…
Concluso cautamente il discorso, Draco era preparato alla sfuriata di Potter sulla magia oscura, sulle conseguenze dell’uso di determinati incantesimi, era persino preparato a ricevere degli insulti, di certo non era pronto a quello che seguì:
-E se il destinatario fosse morto?
Draco strabuzzò gli occhi, piacevolmente sorpreso da quella reazione controllata, che sembrava naturale, spontanea. Aveva appena ammesso di conoscere, e di aver addirittura praticato, un incantesimo oscuro, e Potter non aveva battuto ciglio. Degno del peggiore dei Serpeverde, Draco doveva ammetterlo. Si chiese se ci fosse una minima parte di Potter che potesse essere sicuro di conoscere. No, quel ragazzo era una continua scoperta, e questo, Draco lo sapeva, continuava ad attrarlo fatalmente.
-Immagino si possa trovare una soluzione…Non sono sicuro della riuscita però.
Potter sembrò illuminarsi di nuovo, come colto da una folle consapevolezza, come si fosse sintonizzato sulla stessa frequenza dei pensieri di Draco, ed euforico lo guardava quasi avesse scoperto la pietra filosofale.
-Tu! Tu sei un Black…un Black a metà…voglio dire…
A Draco per poco non scappò una risata mentre si chiedeva se Potter fosse in grado di articolare una frase compiuta. Trovava quell'esaltazione tremendamente divertente, ma cercò comunque di placare l’animo di un Potter ormai definitivamente partito per la tangente.
-Ho detto che non sono sicuro che funzioni, Potter, sei sordo? E poi…cosa ti fa credere che ti aiuterò?
Per un attimo, uno soltanto, il viso di Potter lasciò trasparire l’ombra della delusione, per poi aprirsi in un ampio sorriso. L’espressione di Draco doveva averlo tradito, specialmente quando l’ex-Serpeverde, s’era reso conto che inconsciamente aveva dato per scontato di aiutare Potter. La cosa lo atterrì, come un pugno allo stomaco, e lo portò ancora una volta ad interrogarsi sulla propria sanità mentale. Ma ancora una volta fu Potter a ridestarlo:
-Ottimo! Quando si comincia?
 
 
 
 
 
 
Non possiamo scegliere da dove arriviamo,
ma possiamo scegliere dove andare da lì in poi.
 
  
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