Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Loda    25/10/2014    2 recensioni
Quanto poco abbiamo conosciuto le vite di Petra, Auruo, Gunther e Erd e il loro rapporto con lo stesso Levi? Questa fan fiction va un po' indietro nel tempo e propone una possibile versione della loro storia all'interno della legione, con il punto di vista di Petra.
Personaggi: Levi, Petra, Auruo, Gunther, Erd, Hanji, Erwin, Eren più altri inventati.
[dal testo] Petra uscì dalla camera di Levi con circospezione e cercando di camminare piano - i suoi passi le rimbombavano minacciosamente nelle orecchie, le pareva impossibile che nessuno li sentisse. Era mattino presto e in cuor suo sperava che nessuno vedesse l'ennesima delle sue vergogne. Non fu abbastanza furtiva - quando mai era stata capace di nascondere qualcosa - perché incontrò Erd lungo il cammino e la sua colpevolezza le si dipinse in faccia. Erd l'aveva colta in flagrante e lei non seppe mentire. Lui era confuso, lei disse solo: "Non dirlo ad Auruo... Non dirlo a nessuno." La verità era che Erd non l'aveva colta in flagrante, solo che lei aveva voglia di parlare con qualcuno.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Auruo, Bossard, Erd, Gin, Gunter, Shulz, Petra, Ral
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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primo capitolo

CAPITOLO I





Anno 846



«Vuoi che non si preoccupino per te. E allora devi salutarli col sorriso, tutto qua.»
Sentiva solo la sua voce, continuava a sentirla nella testa, ma non aveva il coraggio di alzare gli occhi dal dorso del suo cavallo. Lo scalpiccio degli zoccoli, il vociare della gente, i pianti, le risate non erano ancora diventati un ricordo. Vedeva ancora davanti a sé la criniera del suo cavallo, ipnotizzata da ogni crine rosso che oscillava, rosso colore del sangue – eppure dovevano essere marroni, lo ricordava bene.
«Eliza, tesoro, cos’è quella faccia?» Non stava più parlando con lei, era ovvio, e allora perché ricordava ogni parola? «Ehi, ci vediamo più tardi. Preparami qualcosa da mangiare, ti va? Quella di oggi è una spedizione veloce, non rientrerò tardi.»
Era stato allora che aveva deciso finalmente di alzare la testa. Gunther, di fianco a lei, col cavallo poco più avanti del suo, sorrideva a una giovane donna che lo guardava atterrita. In mezzo a tutta la gente che li accerchiava, la ricordava spiccare: era una bella ragazza, una lunga chioma rossa – rosso colore del sangue. Divenne ancora più bella quando riuscì a sorridere.
Gunther aveva quindi lasciato scivolare di nuovo lo sguardo in avanti, gli si intravedeva un alone nero pesare sulla fronte, gli occhi che non trasmettevano nulla del tono di voce che aveva rivolto ad Eliza.
Lei allora aveva capito. Si era fatta forza – ci era riuscita, e ora non ci riusciva più – e aveva di nuovo cercato con lo sguardo i suoi genitori. Loro si stringevano l’un con l’altra, sembravano così fragili.
Che ti salta in mente, Petra? Non te lo permetterò, non ti arruolerai!
Dov’era finito l’autoritarismo di suo padre?
Che ti è saltato in mente, Petra…
Si dipinse un sorriso sul volto e lo fece per loro. Alzò una mano e li salutò, si mostrò sicura, aveva continuato a sorridere fino al varco nelle mura.
Che ti è saltato in mente, Petra?
Le accuse velenose che continuava a rivolgere a se stessa avevano il tono e la colorazione della voce di suo padre. Non c’era nessun cavallo che la sosteneva ora, non c’era nessuno per cui dovesse fingere di essere serena. La sua divisa era sporca di sangue che non le apparteneva e non si preoccupava di pulirsi, non voleva lavare nulla, voleva solo ricordare.
Tremò più forte quando rivide nella sua mente il gigante che si avvicinava, che l’afferrava, e il suo cavallo cadeva a terra, e i suoi crini diventavano rossi. Continuava a guardare in basso per non vedere i denti del mostro che l’avrebbero divorata.
«Petra? Ehi, Petra, mi senti?»
Credeva di poter ricordare, ma si era già dimenticata.
Chi l’aveva salvata? Perché si era trovata a terra un minuto dopo?
«Petra!»
Voleva solo del silenzio per potersi concentrare. Sentiva qualcuno che la scuoteva per un braccio, le voci si facevano insistenti. Lasciatemi stare, pensava, lasciatemi stare!
C’era del caldo tra le sue gambe. Pensava fosse sangue, pensava di essere ricoperta di sangue, ma non era vero. Serrò le cosce, non voleva che la gente vedesse la sua vergogna. Era una codarda, una maledetta codarda, non era quello il suo posto.
«Petra, ma che fai?! Petra!»
Che ti è saltato in mente, Petra?!
Strinse gli occhi che bruciavano per le lacrime e si coprì le orecchie con le mani.
«Basta… Basta…»
Gli occhi enormi del gigante continuavano a fissarla, la gente cadeva a terra in laghi di sangue, il gigante rideva, rideva… Le mancava l’aria, stava annaspando, forse era già stata divorata e si trovava in una cavità orribile, e stava affogando nel mare dei morti.
«Che succede qui?»
Una voce nuova e fredda si unì alle altre e fece trasalire Petra. Riconobbe finalmente i colori davanti a lei, si ricordò di essere rannicchiata come una stupida in un angolo della stazione di rifornimento.
«Petra…» Una voce dolce alla sua destra e un picchiettare delicato sul suo braccio – era Auruo, il suo miglior amico – ma lei aveva orrore di quello che c’era alla sua sinistra.
«Ha avuto un incontro ravvicinato con un gigante e ora… È la sua prima spedizione, capitano, la perdoni » sentì la voce di Gunther che in fretta cercava di giustificarla.
Petra avrebbe tanto voluto smetterla di piangere e di tremare ma l’orrore la stava tenendo in una morsa che le spezzava il respiro. Il capitano l’aveva vista nel peggiore dei modi. Sentì qualcosa scivolarle vicino al braccio e capì che Auruo le stava tenendo la mano. Lei a sua volta gliela strinse, con tutta la forza che aveva, perché era l’unico brandello di casa che le era rimasto e lei avrebbe tanto voluto tornarci, a casa.
«Soldato, riesci ad alzarti in piedi?» disse la voce severa del capitano.
Le gambe di Petra tremavano e lui chiese ancora: «Riesci a sentirmi?»
Il calore della mano di Auruo, cercò di concentrarsi solo su quello e poco a poco capì che le stava tornando il respiro.
«Mi basta un sì con la testa. Ti prego, non farmi perdere troppo tempo. Riesci a sentirmi?»
Petra obbedì e scosse la testa verso il basso.
C’era puzza di pipì e lei sperava che il capitano se ne andasse presto.  Non osava voltarsi per vedere se lui aveva notato la chiazza sui suoi pantaloni.
Ma lui non fece commenti. Disse solo: «Hai paura di morire.»
Petra non capì se era una domanda o un’affermazione e allora stette immobile. Capì che quello che diceva il capitano era vero. Non era la vergogna, non era il dolore di avere visto morire i suoi compagni, non era il rimorso di essere rimasta viva. Era una maledetta e agghiacciante paura.
Il capitano si era chinato su di lei e la sua voce, nonostante sussurrasse, per lei esplose come una bomba.
«Non morirai oggi, hai la mia parola. Ti terrò d’occhio e ti proteggerò, solo per oggi. Puoi smettere di tremare.»
Quanto doveva essere forte e sicuro di sé, un uomo, per poter parlare così?
Non disse altro e si rialzò. Lei si accorse con profondo disagio che aveva davvero smesso di tremare, e che il suo cuore riusciva di nuovo a controllare i battiti.
Lui se ne stava andando, lei gli vedeva gli stivali neri che col minimo rumore si allontanavano sicuri.
Auruo continuava a tenerle per mano e lei fece scivolare via la sua.
Cos’era successo? Il capitano aveva mostrato compassione?
Nessuno fiatava e lei, con un vago ronzio nella testa, si mise sulle ginocchia e poi, a fatica, si alzò. Si rivolse alla nuca mora del capitano, tra due forti spalle che sarebbero state davvero in grado di proteggerla.
Ma lei non lo avrebbe mai permesso.
«Capitano!» chiamò con voce un po’ rauca.
Non è per questo che sono entrata nella legione esplorativa, esplodeva una voce indignata nella sua testa, non è per farmi proteggere da un uomo che sono diventata un soldato.
Il capitano Levi si era voltato con viso impassibile.
«La ringrazio, ma non importa» disse Petra, con la voce che tramava appena  «So cavarmela da sola.»
Il viso di lui rimase impassibile e le sue labbra si schiusero per mormorare: «Ottimo.»
I suoi occhi erano ancora glaciali ma, forse Petra lo immaginò soltanto, una luce di approvazione vi brillò all’interno per un attimo.



Petra Ral non aveva conosciuto altro mondo che quello dei giganti.
Lei e la sua amica Stefanie avevano maturato insieme il sogno di entrare nella legione esplorativa. Fin da ragazzine, assistevano con ammirazione ad ogni passaggio di quell'esercito che ogni volta che varcava le mura - il confine tra umanità e mostruosità, la soglia della loro prigione - si trovava a faccia a faccia con le prorie decisioni e il proprio coraggio.
Quando li vedeva passare a cavallo, coi loro volti decisi e con il trionfo negli occhi, sognava il momento in cui sarebbe stata con loro.
Non c’era un motivo preciso, non c’era la voglia di gloria e lo spirito d’avventura; Petra nutriva solo il desiderio di fare qualcosa di utile.
Aveva sedici anni quando cominciò l’addestramento.
«Perché?» aveva soltanto chiesto suo padre.
«Vuoi… vuoi entrare nella polizia militare?» aveva detto sua madre.
«La legione esplorativa, mamma. Quelli che vanno fuori dalle mura.»
I litigi, le incomprensioni, i pianti.
Qualcuno lo deve pur fare, diceva Petra.
«E allora lascia che lo faccia qualcun altro!»
Petra Ral non era una ragazza come le altre che sognava di sposarsi e di avere bei vestiti. Anche suo padre dovette rendersene conto, perché alla fine la lasciò andare.
«Non avrò dei nipotini» piangeva sua madre. Stanca, col volto piegato dalle rughe, aveva faticato tanto per poterla crescere. «È così che ci ripaghi della vita che ti abbiamo donato?! Vendendola?»
Dopo tre anni di addestramento, Petra era tornata a casa.
Aveva spiegato di essere risultata la quarta migliore di tutto il gruppo, e che i primi dieci avevano la possibilità di scegliere se arruolarsi nella polizia militare o nella legione.
Sua madre si era allora buttata sulle ginocchia davanti a lei e l’aveva implorata di scegliere la polizia.
«Non sono come loro, mamma, non posso.»
Sua madre non era più riuscita ad alzarsi da terra ed era scoppiata in lacrime. Non conosceva la realtà dei giganti, era questo che la schiacciava. Suo padre, lui non aveva detto niente e non aveva mosso un muscolo. Gli occhi arrossati dicevano che stava per piangere ma la sua lingua affranta disse: «La quarta della classe. Siamo orgogliosi di te.»
Al momento del discorso del comandante Erwin, il momento decisivo in cui le reclute avrebbero dovuto decidere da che parte stare, Petra domandò di nuovo ad Auruo se era sicuro della sua scelta. L’aveva conosciuto durante l’addestramento. Cresciuto in una famiglia numerosa, Auruo non voleva altro che poterla tenere al sicuro. Avrebbe voluto anche lui, un giorno, una famiglia sua, a cui garantire un futuro, e per farlo avrebbe dovuto entrare nella polizia militare, per guadagnarsi (o comprarsi) quel posto tanto agognato nella cerchia di mura più interna.
Erwin fece il suo discorso e Petra si accorse, per la prima volta, che aveva paura. Aveva talmente tanto a lungo lucidato il suo sogno, che ne aveva sempre visto solo i contorni. L’involucro era bellissimo, rilucente d’oro, l’interno era spaventoso. Stava davvero donando il suo cuore.
Si voltò verso Stefanie e si chiese se quell’espressione che le vedeva in volto l’avesse anche lei. Gli occhi sgranati, le labbra che tremano, le guance rosse. Poi lei, inaspettatamente, scosse la testa e fuggì via.
Petra avrebbe voluto chiamarla, avrebbe voluto ricordarle che i passi dei soldati sono leggeri e furtivi, non veloci e vigliacchi.
Alla sua sinistra, Auruo era rimasto, con l’orrore e la lotta ben impresse sul suo volto. Non potevo mica lasciarti da sola, le aveva detto poi, dove pensavi di andare senza di me?
Non lo sai quanto te ne sono grata, pensava Petra, fuori dall’ufficio del capitano, mentre ricordava la vicinanza dell’amico e la sua mano che la teneva stretta.
Si fece forza, cercando di rammentare la ragazzina fiera e coraggiosa che era e bussò alla porta.
La voce di Levi la invitò ad entrare, lei aprì e si ritrovò col fiato sospeso, come se fosse davanti a un gigante.
Non era un uomo particolarmente accattivante, anzi, forse era tutto il contrario di accattivante, con quegli occhi piccoli e annoiati, capaci di demolirti l’animo in un istante, incastrati in un viso cereo e spigoloso. I capelli scuri e curati gli ricadevano sulla fronte ampia e distesa. Non si corrugava mai, quella fronte, il che era strano per un capitano – non avrebbe dovuto avere innumerevoli responsabilità? Si era guadagnato l’appellativo di insensibile, quel capitano, non per niente.
«Dimmi, soldato» disse, seduto alla sua scrivania, guardandola attentamente.
Petra deglutì. Avrebbe dovuto immaginarlo che lui non si sarebbe ricordato di lei.
Parlò lo stesso, sentendosi diventare rossa: «Volevo scusarmi con lei per quello che è successo durante la spedizione. E volevo ringraziarla per… essere stato indulgente. E per avermi concesso protezione. È stato… buono.»
Levi strinse gli occhi e parve riflettere.
«Oh» disse «Sei quella ragazza.» Chinò la testa da un lato e continuò a fissarla. «Non mi devi ringraziare.»
«Io…»
«Volevo solo che la smettessi di tremare, un soldato che trema non mi serve a niente. Saresti stata un pericolo non solo per te stessa, ma anche per gli altri. Non lo tollero. Spero non accada più.»
A Petra parve di rivedere le fauci del gigante, ma erano solo le labbra del capitano, taglienti come lame.
Fece per congedarsi ma lui parlò ancora, lei non vedeva l’ora che la smettesse. Non sarebbe dovuta andare da lui, cosa gli voleva dire? Giustificarsi? Assicurarsi che lui non la disprezzasse?
«Come ti chiami?»
Petra aveva già abbassato lo sguardo in segno di pentimento; lo rialzò stupefatta.
«Petra Ral, signore.»
«Hai un buon potenziale, Petra. Non sprecarlo» disse lui, con tono non meno duro.
 Non aggiunse altro e tornò a guardare le carte sulla scrivania. Petra capì di essere stata congedata e uscì dalla stanza. Non aveva capito bene il significato delle parole di Levi, si chiedeva come facesse a sapere che aveva un buon potenziale se l’unico momento in cui l’aveva vista stava frignando e si era fatta la pipì addosso. Forse era al corrente della classifica di loro nuovi arrivati? Sì, doveva essere così , quindi sapeva che lei era risultata la quarta del loro gruppo. Petra sospirò – che magra figura.
Camminò fino alla sala comune, nella speranza di trovare qualcuno di più amichevole di del capitano, ma poi si rese conto che era una speranza vana. Di solito, così le era stato detto, si faceva baldoria qualche sera prima della spedizione, una sorta di inno alla vita, o alla morte che stava forse per giungere. Invece la sera stessa delle spedizioni, dopo il rientro, ci si leccava le ferite ognuno per proprio conto – non c’erano mai motivi per festeggiare. Lei non aveva festeggiato neanche prima della partenza. I più grandi avevano provato a porle un bicchiere, poi l’avevano guardata in faccia e avevano capito che era nuova. «Ti ci abituerai» le aveva detto un ragazzo particolarmente allegro «Col tempo capirai che vale la pena di divertirsi, sempre. Non sai mai quando toccherà a te morire!» Poi aveva cercato di baciarla e lei era fuggita a cercare Auruo. Quello stesso ragazzo dopo qualche ora aveva cominciato a urlare che non voleva morire, poi aveva vomitato ed era scoppiato in lacrime. L’avevano portato via in braccio.
«Spero di essere già morto, prima di ridurmi così» aveva commentato Auruo.
«Mi dispiace per lui» aveva ammesso Petra «Mi dispiace così tanto…» Ricordava che le erano venute le lacrime agli occhi, allora Auruo l’aveva abbracciata e le aveva detto che sarebbe andato tutto bene, che loro avrebbero festeggiato al ritorno, perché era così che si doveva fare. Sembrava avere più senso e anche Petra stessa ne era convinta, ora non più. Nessuno aveva voglia di festeggiare sopra il ricordo dei morti e del sangue.
Sconfortata dopo il colloquio col capitano Levi, fu tentata di andare nel dormitorio dei maschi a cercare Auruo. Forse anche Gunther, più grande e più esperto di loro, avrebbe potuto tirarla su.
Smettila di fare la bambina, si rimproverò, fermandosi in mezzo al corridoio. Anche loro erano stanchi, di certo non avevano voglia di sentirla di nuovo piangere.
Se ne tornò sui suoi passi e andò nel dormitorio femminile, diretta verso la stanza che condivideva con altre quattro ragazze. Avrebbe dovuto cominciare a fare amicizia anche con loro, del resto condividevano lo stesso destino. Non c’è niente di più triste che condividere lo stesso destino – forse perché era il loro destino ad essere triste – ma era anche appagante, in un certo senso: ci si sentiva capiti.
Sentiva un gran bisbigliare fuori dalla porta ma, non appena abbassò la maniglia, quello cessò. Le ragazze erano ognuna seduta sul proprio letto e guardarono Petra come se le avesse appena colte in flagrante.
«Ciao» salutò Petra, a disagio «Scusate per l’ora, forse ci ho messo tanto.»
«Ma dove sei stata?» domandò Aniela, sospettosa, mentre si raccoglieva i capelli biondi in una coda.
Petra ricordò le parole del capitano e si vergognò. Non voleva dire di essere stata da lui perché altrimenti avrebbe dovuto dire anche cosa si erano detti.
«Oh, ero con Auruo.»
Aniela fece un sorriso malizioso ma fu Toska a ridacchiare antipatica e a dire: «A farti consolare ancora, povera… Ora stai meglio?» Dal suo letto, le rivolse due occhi blu e freddi, con le sopracciglia fintamente preoccupate, incurvate verso l’alto in modo drammatico.
Petra non riuscì a dire nulla e si precipitò sul suo letto.
«Ral, stai attenta, che le lenzuola non le cambiano tanto spesso qui…» insistette Toska, e Aniela rise con lei della sua battuta.
Petra si spogliò silenziosamente e si impose di non piangere. Non sapeva cosa rispondere, avrebbe potuto mandarle a quel paese, ma non ci riusciva, forse perché la vergogna era ancora tanta. Ricordò suo padre mentre diceva quarta della classe…
«Oh insomma» si sollevò la voce di Giulia, dal letto sopra il suo «Voi alla vostra prima spedizione non avete avuto paura?»
Claire invece era girata su un fianco e non diceva nulla, le si vedeva solo la schiena incurvata e i corti capelli mori. Già dormiva, o faceva finta.
Petra si accucciò sotto le coperte e cercò di ignorare le voci delle sue compagne. Era molto stanca, ogni suo muscolo implorava pietà, e anche il suo cuore gridava di essere lasciato in pace. Aveva visto la morte in faccia, non poteva farsi turbare da simili commenti maligni. Doveva solo essere grata, perché era viva.
Ma, dopo poco, non poté fare a meno di piangere, con silenziosi singhiozzi soffocati nel cuscino, perché la sua mente vagava come in un delirio, e lei non poteva fare altro che restare aggrappata a quella giostra.
Sognò, o forse lo pensò soltanto, ancora il sangue. I crini del cavallo diventavano rossi, i capelli della ragazza di Gunther erano fuoco – lui non poteva salvarla. La bocca di un gigante si avvicinò e ne uscì la voce fastidiosa di Toska, poi Toska la inghiottì e mentre lei cercava di risalire dalla gola, nel flusso di sangue che incessantemente scorreva, e mentre poggiava il suo corpo su quella lingua viscida e velenosa, vedeva tra i denti sporchi e affilati il viso del capitano, che indifferente la guardava, e la salutava.  















Avevo scritto questa cosina tanto tempo fa chiedendomi se volessi davvero impegnarmi a portarla avanti. Non sono esperta di fan fiction, mi piace di più scrivere originali ma poi ho pensato potrebbe essere un esperimento interessante. Avrei tanto voluto che fossero più approfondite le storie di Petra e dei suoi compagni, e quindi perché non provarci? Cercherò di essere il più possibile fedele al manga-anime coi riferimenti, e ovviamente di non snaturare i caratteri dei personaggi: non sarà facile!

Non sarò proprio velocissima negli aggiornamenti perché vorrei dare la precedenza a un altro progetto più impegnativo, ma prometto che non abbandonerò la storia :) Fatemi sapere cosa ne pensate!
   
 
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