Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Gio_Snower    26/10/2014    2 recensioni
Fanfiction dedicata alla JeanMarco weeks.
Day One: Zero Gravity : In origine c'eravamo solo noi e l'Universo.
Day Two: Olympus : Ad un tratto spuntò una nuova razza che ci mise su un piedistallo e iniziò a chiamarci Dei.
Day Three: Homecoming : Ci siamo rincontrati ed è stato come ritornare a casa.
Day Four: Candlelight : Questa nuova vita è come la fiamma di una candela.
Day Five: Ash : E' il nostro destino, poiché siamo come cenere nel vento.
Day Six: Uniform : Non stiamo commettendo nessuna atrocità, è il volere di Dio.
Day Seven: Dreams : Sarà l'ultima volta? Sperarlo è come sognare, e noi siamo fatti della sostanza dei sogni.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Homecoming



In un paesino francese, sperduto fra alberi rossi e montagne ricoperte di verde, la vita continuava con una tranquillità quasi innaturale. Lo scorrere del tempo sembrava non aver effetto né sull'aspetto di  quel paesino né sulla gente che lo abitava. 
Fra essi c'era Marc, un ragazzo dai capelli scuri e gli occhi neri, la pelle abbronzata dal sole piena di lentiggini, e figlio di uno dei più grandi proprietari terrieri della zona.
Marc era un ragazzo calmo e ben educato, amava leggere e studiare, era un bravo ballerino e le figlie dei proprietari terrieri di quella zona arrossivano in sua presenza, deliziate dalla sua gentilezza. 
Ma lui, alle grandi sale da ballo, preferiva l'aperta campagna. Adorava stare sotto le fronde degli alberi e leggere sotto il sole cocente durante le giornate leggermente ventose, fresche. Quando scappava da casa per andare in uno dei suoi posti speciali, potevi vederlo vestito come un qualsiasi ragazzo della sua età nato in una famiglia non agiata. La camicia bianca, le bretelle scure, i pantaloni rozzi, ma resistenti e le scarpe dalle suole usate e scolorite, un libro rivestito da una copertina consumata, le cui pagine erano indubbiamente ingiallite. 
Un giorno, durante il suo ventitreesimo anno d'età, stava leggendo un trattato d'origine medievale che narrava la storia di un amore proibito. Solitamente non sceglieva libri che parlavano d'amore poiché, appena sentiva quella parola, veniva assalito da una malinconia sconosciuta. 
Girò la pagina con delicatezza, gustandosi il racconto e le parole che lo creavano, sorridendo lievemente alle parole d'amore che si scambiavano gli innamorati, quando qualcosa lo distrasse. Alzò lo sguardo dal tomo fra le sue mani per incontrare due occhi d'ambra. Mentre osservava quelle profondità ambrate, rimase senza fiato e arrossì. Qualcosa nel suo petto iniziò a battere più forte, a pulsare, e Marc capì solo dopo che quel qualcosa, che batteva così furiosamente, era il suo cuore.
Il ragazzo davanti a lui era vestito semplicemente. I capelli erano color stoppa, ma sulla radice tendevano ad un castano scuro, come le sopracciglia che s'aggrottavano sopra gli occhi ambrati, al naso romano e alla bocca dalle labbra sottili, ma ben cesellate. Il suo volto era lungo e bianco e, per un momento, Marc pensò al muso di un destriero, però, appena il ragazzo davanti a lui sorrise, si tolse subito dalla mente quel pensiero.
«Chi sei?», gli domandò, incapace di trattenersi. 
«Non credo ti interessi», rispose bruscamente l'altro, le sopracciglia aggrottate in segno di disprezzo e un sorriso simile a un ghigno. 
Marc arrossì imbarazzato, ma poi sentì la risata dell'altro, così il suo volto divenne rosso per la  rabbia. Eppure, sentire la sua risata, lo faceva in qualche modo rilassare. Quella voce brusca, quell'aspetto, specialmente quegli occhi, per lui erano tutti familiari, come se molto tempo prima li avesse sentiti e visti.
«Mi chiamo Jean, visto che ci tieni a saperlo», gli disse, «È da maleducati chiedere il nome degli altri senza dire prima il proprio, lo sai?»
«Ah... Io s-sono Marc», balbettò, sentendosi in colpa. Jean aveva ragione. 
«Posso sedermi vicino a te?»
«Certo, vieni pure!», rispose Marc sorridendo. Non riusciva a trattenersi. L'altro ridacchiò, ma si avvicinò e si sedette vicino a lui.
«Cosa stavi leggendo?», gli chiese adocchiando il tomo fra le sue mani. La sua espressione parlava da sé: a lui non piaceva leggere. 
«Un racconto medievale».
«Di che parla?»
«Una storia d'amore proibito...»
«La cosa, chissà perché, non mi stupisce».
«Cosa vorresti dire con questo?», esclamò un poco agitato. Non voleva essere frainteso e, pensare che lui lo vedesse come un rammollito, lo faceva in qualche modo infuriare. 
«Calmati», gli ingiunse Jean fissandolo con i suoi decisi occhi ambrati. All'inizio era sembrato sorpreso, poi aveva sorriso leggermente. 
Parlarono un po', come se il tempo non fosse importante, ma solo il loro incontro lo fosse. 
Quando Marc alzò gli occhi, si rese conto che il sole stava tramontando. Sebbene fosse un giovane nobile, non voleva far preoccupare la sua dolce madre, visto che non era sua abitudine star fuori oltre quell'orario. 
«Devo andare», disse, e si alzò, sebbene a malincuore. 
«Aspetta», lo chiamò Jean, rosso in volto. 
«Sì?»
«Ti va... ecco...», si grattò il viso con un dito e guardò verso il basso, «Ti va di vederci domani? Sempre qui».
Marc gli sorrise, il tramonto rosso sull'orizzonte dietro le spalle che gli illuminava il volto lentigginoso ed i capelli scuri, dandogli un che di luminoso.
«Certo!», rispose. «A domani, Jean», mormorò.
«A domani, Marc», fu la risposta sussurrata dell'altro.

Nei giorni successivi continuarono ad incontrarsi sotto l'albero in cima alla collina. Da quel posto si vedeva tutto il paesino e, girandosi, potevano osservare le montagne che svettavano su un cielo azzurro con qualche nuvola dipinta sopra. 
Parlavano del più e del meno, a volte si sfioravano, timorosi. 
«Così da piccolo mi sono sbucciato un ginocchio cadendo da un ponte», gli raccontò una volta Jean.
«Ma dai!», esclamò Marco, ridendo.
Un'altra volta stavano parlando del loro futuro.
«Vorrei una ragazza dai capelli neri», gli confidò Jean, «Minuta», aggiunse strizzandogli l'occhio.
Marc sentì il suo cuore stringersi in una morsa dolorosa, ma non disse niente e sorrise.
«Sono sicuro che la incontrerai», gli rispose. 
Quando Marc incontrava lo sguardo di Jean, sentiva sempre quel senso di familiarità, come se l'avesse incontrato prima, ma non ricordasse. Distoglieva a fatica lo sguardo e sembrava lo stesso per l'altro ragazzo che, dopo un po', si alzava e se ne andava, per ritornare il giorno dopo con un semplice “ciao” di saluto.
Eppure incontrarlo era come ritornare a casa, come se conoscere Jean l'avesse reso davvero sé stesso. 
Marc iniziava a chiedersi perché il suo cuore battesse così forte in sua presenza e se per Jean fosse lo stesso. 


Era fatto di luce azzurrina che sfumava nel nero. Correva sul mondo, scivolava nell'oceano e, qualche volta, osserva da lontano qualcosa. Provava molti sentimenti. 
Passava il suo tempo così, ma non era solo.
Erano in molti, lo sapeva, ma preferiva stare con uno di loro in particolare. Lui era fatto di una luce ambrata e, nonostante corresse con lui sulla superficie del pianeta e si tuffassero insieme nelle acque blu, non provava lo stesso per quel qualcosa che osservavano; mentre lui, lo sapeva, sentiva una connessione con quello che guardava, che spiava. 
Desiderava quella cosa, ma non voleva rinunciare a un'altra. 
Agognava a quella cosa solo per...

Marc si mise a sedere sul letto, la fioca luce dell'alba entrava dalla finestra inondando la sua figura. Era sudato e ansante e si domandava cosa fosse quel sogno appena fatto.
Sembrava così vero, così realistico...
Sembrava un ricordo.
Quel giorno, quando Jean arrivò nel loro luogo d'incontro, Marc decise di raccontargli il sogno. 
«Che cosa strana... Mi chiedo cosa voglia significare», mormorò Marc alla fine. 
Lo sguardo di Jean però era triste e limpido come mai l'aveva visto prima d'allora.
«Ciao», fu l'unico commento di Jean che si alzò e se ne andò dopo averlo guardato con tenerezza per qualche istante, tanto che Marc si chiese se quello sguardo fosse esistito davvero. 
 

“Oh grande Ermes, messaggero degli Dei!”, intonavano le voci. I canti, le tuniche bianche, il bastone, i simboli, le offerte, i templi, loro.
Occhi ambrati, capelli color stoppa, un sorriso sincero mentre osservava una bambina giocare con una bambola, accudendola. Lo vedeva solo di lato. 
Stava aspettando che...
Non si era accorto di lui il ragazzo che aveva di fronte e che portava una tunica nera.
Egli si girò e lo chiamò: “Ermes”.

Il ragazzo era Jean.
“Ade”, sentì dire dalle sue stesse labbra in risposta. 

Marc cadde dal letto, i capelli neri scompigliati, l'espressione confusa di chi non sa. Si tirò su e si sedette sul letto, nuovamente ansimante e sudato. Ade? Ermes? Pensava. Erano nomi così familiari.
«Ade», mormorò e nella sua mente comparve l'immagine di Jean.

Quel giorno andò nel loro posto d'incontro, ma Jean non si presentò. Mille domande affollavano la sua testa, ma non potendo chiedere spiegazioni all'altro, iniziò a convincersi che esse e quei sogni fossero frutto della sua immaginazione. Eppure una parte di lui, quando pensava a quei sogni, li collegava direttamente a dei ricordi dimenticati, come se sapesse già le risposte, ma non potesse impadronirsene. 
Il giorno dopo Marc ritornò sulla collina e, questa volta, Jean c'era. Era seduto all'ombra dell'albero, la schiena appoggiato al tronco, gli occhi ambrati socchiusi e il volto lievemente alzato verso il cielo, come se stesse pensando a qualcosa. Quando s'avvicinò, due occhi ambrati incontrarono i suoi. 
«Ce ne hai messo di tempo a ricordare», disse.
«Da quando ricordi?», rispose. Ormai aveva capito. Era tutto vero; quei sogni erano i ricordi del loro passato. 
«Dal primo giorno in cui t'ho incontrato...», ribatté Jean, la sua voce conteneva svariate note d'emozione, tra cui l'amarezza e una piccola felicità, «All'inizio non volevo accettarlo».
«Perché siamo così, ora?», domandò.
«Lo scegliesti tu, io ti seguii». Le profondità d'ambra lo fissavano senza pietà e Marc in quello sguardo si sentì perdere. 
«Grazie per non avermi lasciato solo», mormorò. «Sono felice di averti rincontrato».
«Anche io», rispose Jean, ma qualcosa nei suoi occhi diceva che c'era altro e Marc non poté non chiedersi cosa non si ricordasse. 
Marc si sedette vicino a lui mentre il silenzio calava fra loro come un muro invalicabile, ma che nessuno dei due accolse come un nemico, bensì come un qualcosa di naturale. Quando era vicino a Jean, si sentiva completo. Stare con lui era come ritornare a casa, e adesso sapeva perché. 
Il sole stava tramontando quando Jean si alzò per andarsene, ma Marc non voleva che lui se ne andasse, provava una spiacevole sensazione.
«Jean», lo chiamò.
Il ragazzo si girò e gli sorrise leggermente, le sopracciglia arcuate e un rapido cambio d'espressione, un ghigno arrogante, ma pieno di tristezza, poi un “ciao” prima di voltarsi e andarsene. 

   
 
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