14.
La cosa giusta
Aprì gli occhi e
rimase incantata dallo spettacolo del sole che tramontava fuori dalle vetrate,
la luce arancione inondava i palazzi abbandonati ed entrava fin dentro la
stanza. Sulle pareti c’erano giochi di chiaro scuro e, sui vetri, splendevano i
bagliori aranciati.
Tuttavia, oltre al
gioco di ombre che accarezzavano gli edifici fuori, Aria vide qualcosa di
ancora più bello.
Eric era in piedi
davanti alle vetrate, dandole le spalle, e guardava fuori assorto. Indossava
pantaloni pieni di tasche, ovviamente neri, e una t-shirt dello stesso colore.
In pubblico non era mai solo con la maglietta smanicata, poiché indossava
sempre sopra un giubbino di pelle o un gilet imbottito, perciò le piaceva
ancora di più vederlo in quel modo. Poteva vedere la sua muscolatura, le spalle
forti e i fianchi solidi. La nuca era scoperta, i capelli erano tagliati molto
corti, tranne la parte sopra la testa che, colpita dal sole, mostrava riflessi
dorati. Eric in realtà era biondo ma, con le luci soffuse della residenza, i
suoi capelli sembravano sempre neri, o al massimo castani. Pensò che fosse un
vero peccato che non si vedessero tanto spesso le sfumature dei suoi capelli di
un castano chiaro, dorato. I suoi occhi poi, che riuscì a vedere di sfuggita
tramite il suo profilo, non erano grigio fumo, né cerulei o neri, erano verde
chiaro.
Aria sorrise e pensò
che Eric sarebbe dovuto uscire alla luce del sole più spesso, tanto erano belli
i suoi veri colori.
Il ragazzo se ne
stava con un mano in tasca, mentre con l’altra sorreggeva un bicchiere di vetro
con dentro un liquido trasparente. Poteva trattarsi d’ acqua ma, dal modo in
cui la luce rossastra lo attraversava, pensò che si trattasse di alcol di
qualche tipo.
L’espressione era
come al solito tesa e letale, quasi anche il sole che tramontava avesse
commesso un peccato troppo grave per essere perdonato. Bevve un sorso dal suo
bicchiere e, quando si voltò, lo fece per un solo istante, quasi per sbaglio, e
la ragazza capì che era un modo per controllarla. Tornò al paesaggio fuori,
sovrappensiero, ma poi si ricordò del dettaglio dei due occhi blu che lo
fissavano e si girò ancora una volta verso il letto.
Aria si accorse di
essere distasa sulla metà in cui aveva dormito la notte prima, quella vicina
alle finestre, stesa a pancia in giù. Non indossava più la sua canottiera,
aveva solo i pantaloni stretti da allenamento. Si accorse di avere ancora
addosso per lo meno il suo reggiseno, che però era slacciato e le rimaneva
addosso solo perché c’era distasa sopra. Aveva la guancia sul cuscino e un
braccio che penzolava giù dal letto, così guardò Eric, immaginando il momento
in cui il ragazzo l’aveva sistemata in quel modo.
-Stai bene?- chiese
lui, con una mano ancora in tasca mentre
con l’altra soppesava il bicchiere.
Aria lo guardò senza
capire cosa provava, e si limitò a fare un cenno contro il cuscino.
Eric parve fermarsi
un attimo a riflettere, poi si allontanò per posare il bicchiere sul bancone lì
vicino e, una volta tornato indietro, si sedette vicino alle sue gambe sul
letto.
-Hai intenzione di
metterti a frignare come prima? Perché se devi comportarti come una poppante
dimmelo subito, così me ne vado!-
Aria alzò gli occhi
al cielo e sorrise, per i soliti modi di Eric che non erano mai dolci. Peccato
che sapeva benissimo che, nella sua affermazione, c’era anche una punta di
verità. –Penso che tu sia uno stronzo…- gli disse, valutando l’idea di
sollevarsi.
Eric inarcò un
sopracciglio. –Prova a dirlo ancora.- La minacciò.
-Dacci un taglio!-
borbottò Aria, facendo leva sulle braccia per mettersi a sedere. –Dovresti
avere almeno un minimo di considerazione per me!-
Quando riuscì a
sedersi vicino ad Eric, dovette tenersi un braccio davanti al petto per
sostenere il reggiseno. Valutò l’idea di riagganciarlo, ma si ricordò delle ferite
sulla schiena e cambiò idea. Ripensandoci, il ricordo di quello che era
successo e delle frustate le fece torcere lo stomaco, ed ebbe un sussulto.
-Ti fa ancora male?-
chiese Eric, male interpretando il suo fremito.
Lo guardò, aveva
usato ancora quella voce strana, quasi preoccupata e tremendamente grave, molto
bassa.
Cercò di guardarsi
la schiena, ma sulla spalla non c’erano più i segni delle frustate, così cercò
di toccarsi con le mani. Non aveva più le strisce rosse, ne sanguinava, c’era
solo qualche piccolo taglietto non ancora rimarginato.
-Cos’ è successo?-
chiese, ancora in cerca dei segni infuocati.
Eric scrollò le
spalle e guardò fuori dalla finestra. –Quella pomata cicatrizzante fa
miracoli.- rispose semplicemente.
Aria non chiese come
mai la sua schiena fosse pulita, senza nessuna traccia di sangue, né perché
avesse scelto di portarla nella sua camera e medicarla lui, invece di lasciare
quel compito all’infermiera.
Si guardò la spalla
sinistra. –Il mio tatuaggio è a posto vero, non c’è rimasto qualche segno?-
-No, è tutto al suo
posto!- disse scocciato.
-E non mi rimarrà
qualche cicatrice?-
Eric fece un’
espressione strana, i suoi occhi si assottigliarono alla ricerca di qualche
ricordo lontano, e la guardò. Ma non in viso. –Credo di sì, ti rimarrà qualche
traccia sulla parte bassa…-
Aria ricordò le
frustate che aveva ricevuto sui fianchi scoperti, e deglutì al ricordo del
dolore. Muovendosi appena, in realtà, i piccoli tagli non ancora rimarginati
bruciavano e, proprio sulla parte bassa della schiena, sentì i segni delle
frustate dolerle ancora.
Si mosse in cerca
della sua canottiera, stanca di doversi sostenere il reggiseno e di essere
praticamente nuda.
-Non cercare quello
straccio che avevi addosso, l’ho buttato!-
Aria si voltò verso
di lui, e notò la sua espressione cupa. C’era qualcosa nel modo in cui parlava
che la incuriosiva, era come se faticasse a dire certe parole. A volte,
sembrava pronto ad esplodere dalla rabbia.
Eric si alzò dal
letto e si avviò verso il bancone, quello vicino alla piccola porta del
guardaroba. Aprì un’ anta e prese qualcosa, poi tornò sui suoi passi.
-Mettiti questa,- le
disse sventolandole davanti una t-shirt come quella che indossava. –È anche
larga, così non ti si attacca sulle ferite.-
La ragazza prese la
maglia che le veniva data con una mano, mentre con l’altra lasciava cadere il
reggiseno. Vide, con la coda dell’occhio, Eric irrigidirsi. Era ancora in piedi
e fece scattare la testa verso il tramonto.
Aria sorrise, mentre
infilava la testa dentro la maglietta. –Guarda che puoi anche guardare…-
Eric la incenerì con
uno sguardo ma, fortunatamente, il secondo dopo sospirò e le si sedette
nuovamente accanto.
Con la sua t-shirt
addosso, si sentiva al sicuro. Era davvero troppo grande per lei, non solo era
una taglia da uomo, ma Eric e i suoi muscoli avevano anche bisogno di più
tessuto. Così Aria si ritrovava con le maniche che le arrivavano ai gomiti
anziché a metà braccio, e con le gambe coperte fino alle cosce.
Si guardò le gambe
fasciate dai pantaloni e si morse un labbro. -Eric…?-
Il ragazzo parve
intuire ciò che stava per dire, e si rifiutò di guardarla.
-…Per quello che è
successo, io volevo dirti che mi dispiace.-
Eric scattò come se
fosse stato aggredito, e si voltò verso di lei carico di collera. –Perché parli
se non sai quello che dici?-
Aria abbassò la
testa e assorbì la rabbia del ragazzo riparandosi nelle spalle. –So che non mi
ha frustata per lo scontro con Peter!- disse d’un fiato.
Il ragazzo la guardò
per un attimo, incerto, studiandola con un sopracciglio alzato.
-Peter ha detto a
quel capofazione, Finn, di noi due- disse timidamente, sollevando appena gli
occhi sul ragazzo. –È anche colpa mia, avevo paura che ti facessero qualcosa di
brutto.-
-Ma quanto sei
stupida?- sbottò, alzandosi e allontanandosi dal letto. –Eri a terra che
schizzavi sangue da tutte le parti, e tu pensavi a quello che potevano fare a
me?-
Aria lo guardò
stizzita. –E cos’altro avrei dovuto pensare?-
Eric serrò la
mascella e scosse la testa. –Avresti potuto pensare che ero un vero bastardo a
lasciarti lì senza fare niente. Potevi pensare che dovevo esserci io al tuo
posto, che sono un mostro e che è tutta colpa mia se quello schifoso di Finn ti
ha fatto del male!-
-Eric!- provò a
dire, percependo il suo turbamento.
Ma sentire il suo
nome lo fece solo infuriare di più. –Perché non sei come le persone normali?
Arrabbiati e basta invece di dire stronzate!-
-Perché uso la
testa, Eric!- urlò a sua volta, stanca di sentirlo parlare in quel modo. –Cosa
avresti ottenuto mettendoti in mezzo? Mi sarei arrabbiata molto di più se, per
qualche graffio, avresti fermato quel pazzo facendolo infuriare ancora di più!-
Eric rimase di
sasso, smettendo quasi di respirare. Tuttavia, metteva paura anche solo
guardarlo, tanto erano tesi i suoi muscoli.
-Chissà cosa avrebbe
fatto se lo fermavi, sarebbe solo finita peggio. Poteva prendersela con te,
oppure poteva arrabbiarsi ancora di più e fare di peggio a me! Era solo una
scusa quella della punizione per lo scontro non autorizzato, lo sai.- Disse
guardandolo negli occhi.
Eric guardò verso la
finestra.
-Perché dovrei
essere arrabbiata con te, quando hai fatto solo la cosa giusta?-
-La cosa giusta?- Le
chiese con un ringhio, incenerendola con un’ occhiataccia.
-Non potevi metterti
contro di lui, avresti fatto solo il suo gioco e saresti finito nei guai per
niente. Non trattarmi come una bambina Eric, non è niente qualche colpo di
frusta, so riprendermi. Non avrei mai voluto che rischiassi per me.-
Il ragazzo scosse la
testa. –Stai zitta!-
-Eric!- lo chiamò,
mettendosi in ginocchio sul letto. –A me il dolore è già passato, ora fatti
passare il tuo…-
Come se fosse appena
arrivata, Eric si accorse finalmente di Aria e della scintilla di coraggio nei
suoi occhi blu. Vide la sua espressione risoluta, che contrastava con la
dolcezza nascosta nel suo sguardo. Smise di pensare, dato che farlo gli dava
solo dei problemi, e si avvicinò al letto.
Mise un ginocchio
sul materasso e, avvolgendo il viso della ragazza con entrambe le mani,
intrappolò le sue labbra in un bacio.
Dapprima fu lento e dolce,
poi la strinse maggiormente e diventò quasi violento mentre cercava il contatto
con la sua lingua.
Quando smise di
baciarla, tenendo conto solo delle sue intenzioni e non del volere della
ragazza, Eric si spostò leggermente con il viso per poterla guardare, senza
toglierle le mani dal viso.
-Hai fame?- Le
chiese.
Aria scosse la testa
con una strana espressione.
-Bè- disse
rimettendosi in piedi. –Io credo che mangiare qualcosa ti farebbe bene. Vado a
prendere quello che trovo e te lo porto qui.-
Si avvicinò alla
porta e prese la sua giacca nera, sotto lo sguardo attento di Aria. Si voltò
vero di lei e la vide ancora in ginocchio sul letto, ma colse il sorriso
intrappolato nei suoi occhi. Non poteva dirle come le sue parole fossero
riuscite a placare la sua rabbia, né di come la sua presenza fosse diventata per
lui una vera e propria dipendenza. Ma lei era più furba, e aveva già capito
tutto. Sapeva che per orgoglio non si sarebbe mai fermato a discutere
ulteriormente, che il loro breve dibattito si era concluso e che tutto era
tornato al suo posto.
E sorrideva.
Avrebbe voluto
sorridere anche lui, ma non ne era capace.
-Ed io…- chiese lei,
osservandolo. –Resto qui?-
Capì ciò che voleva
dire e riuscì a concederle un breve sorriso d’intesa. –Sì Aria, dormi qui anche
sta notte!-
La vide sorridere
ancora, sta volta senza riserve.
Poi qualcosa nel suo
sguardo cambiò, e vide il lieve sussulto che la scosse. –Adesso sanno di noi?-
chiese senza guardarlo.
Serro la mascella.
–Sono andato a parlare con gli altri capi, mentre dormivi…-
Aria lo guardò in
silenzio.
-Mi sono assunto le
mie responsabilità e gli ho detto tutto prima che fosse Finn a farlo.- Fece una
pausa, in cerca di una qualche espressione sul viso della ragazza. –Si fidano
di me, e per questa volta chiuderanno un occhio, ma dobbiamo essere discreti.-
Incrociò le braccia
al petto ed attese che lei dicesse la sua.
-Quindi rimane
sempre un segreto, anche se non è poi più così segreto?-
-Esatto!- disse. –Il
primo modulo d’addestramento, dove eravamo io e Quattro e stabilire i punteggi
degli iniziati, è finito. Adesso sarà un computer a stabilire la vostra
classifica, anche se volessi, non avrei più modo di aiutarti.-
Le fece capire che,
dato che non c’era più il rischio di un favoreggiamento, i capi avevano
lasciato correre la sua scappatella. Non solo non lo avevano punito, ma gli
avevano anche concesso di continuare a vedere la ragazza, purché agisse
con circospezione.
Ma la realtà era
tutt’altra, perché ai capi non importava nulla dei punteggi alterati degli
iniziati, tutto ciò che gli avevano chiesto era se fosse o meno consapevole del
fatto che, scoppiata la guerra, non avrebbero accettato favoritismi o richieste
particolari per quella ragazza.
Anche lei sarebbe
scesa in guerra.
Se era disposto a
non interferire per lei, poteva farci quello che voleva. Ai capi bastava solo
che la lasciasse al suo destino, insieme a tutti gli altri membri della
fazione, quando sarebbe arrivato il momento. E quando glielo avevano chiesto,
lui aveva acconsentito.
Peccato che sapesse
benissimo che si trattava di una bugia, dopo averla vista piangere, e dopo non
aver potuto fare nulla per risparmiarla alla furia di Finn, non avrebbe più
permesso a niente e a nessuno di farle del male.
-Torno presto.- Le
promise, poi uscì dalla stanza.
Aprì la porta della
camera e la richiuse subito dopo essere entrato, in equilibrio su un braccio
aveva due piatti sovrapposti e avvolti in un panno. Portò tutto sul bancone
dietro l’angolo e poi tornò indietro, per appendere la sua giacca all’appendi
abiti dietro la porta.
Aria era sul
balcone, le braccia sul davanzale e lo sguardo perso nell’orizzonte quasi buio.
Oltre gli edifici che circondavano la residenza si vedeva il bagliore lontano
del sole morente, che illuminava il blu del cielo serale.
Eric piegò la testa
da un lato notando il suo strano abbigliamento. Non indossava più i pantaloni
neri, che se ne stavano abbandonati sulla poltroncina, era coperta unicamente
dalla t-shirt che lui stesso le aveva dato. La maglia in questione la copriva
per bene fino alle cosce, e nei dintorni non c’era nessuno che poteva vederla,
perciò quello spettacolo era tutto per lui. A quanto pareva la ragazza aveva
abbandonato del tutto il suo pudore, esibendo senza imbarazzo le sue gambe
nude. Era a piedi scalzi e aveva raccolti i capelli in uno chignon scomposto dietro
la nuca.
Uscì anche lui sul
balcone, e si appoggiò alla ringhiera con le braccia, vicino a lei.
-Sei già arrivato?-
gli chiese, con un mezzo sorriso.
-Vuoi che vada via?-
-No!- Aria rise.
–Sei stato tu a fasciarmi la caviglia?-
Eric abbassò lo
sguardo sulla caviglia, abilmente fasciata con la garza bianca.
-Non dovresti stare
in piedi…- La rimproverò.
-Ma non mi fa male,
e poi cerco di spostare il peso sull’altro piede.-
-Fai come ti pare!-
rispose schietto, guardando il cielo inscurirsi.
Aria non rispose,
abbassò la testa e assottigliò lo sguardo, inseguendo pensieri lontani. Ma il
modo in cui si era rabbuiata all’improvviso fu notato da Eric, che allungò una
mano verso di lei per rimetterle dietro l’orecchio un ciuffo di capelli.
-Cosa c’è che non
va? Stai pensando a quello che è successo?-
Aria chiuse gli
occhi e sperò che quel contatto con la mano calda di Eric non finisse mai ma,
ovviamente, quando ebbe finito di parlare ritrasse il braccio.
-Sto solo aspettando
che sia notte fonda, così che oggi finisca. Dato che è ancora il mio
compleanno…-
Eric la guardò di
sottecchi e, per una ragione ignota, la sua espressione si indurì. –Immagino
che avresti voluto ricordarlo per qualcosa di diverso, invece sarà il giorno in
cui sei sta frustata da un idiota!- Lo vide serrare i pugni attorno alla
ringhiera. –La pagherà per quello che ti ha fatto, credimi!-
-Non m’ importa
niente di quello che è successo, Eric!- disse con decisone, voltandosi a
guardarlo. –Che tu ci creda o no, questo non è il peggior compleanno della mia
vita…-
Si sforzò di
sorridergli, ma Eric scosse la testa.
-Come fai a dire una
stronzata simile, ti picchiavano da piccola?-
Aria alzò gli occhi
al cielo. –No, cosa dici?-
-Però il giorno in
cui devo portati in infermeria ricoperta di sangue, non è il tuo peggiore
compleanno?- Disse quasi arrabbiato.
Perché era sempre
arrabbiato?
-No, non lo è!-
-E allora cosa può
esserti successo di peggio?- chiese, con una punta di ironia, mentre la rabbia
iniziava ad abbandonarlo con la stessa velocità con cui lo aveva assalito.
-La curiosità è per
gli Eruditi Eric, e tu non sei uno di loro!-
Per una delle tante
ignote ragioni che spingevano Eric a reagire in modo strano, il ragazzo nascose
una risata.
Aria inarcò un
sopracciglio, non capendo.
Scosse il capo e
guardò il cielo, non aveva voglia di raccontargli dei suoi ultimi compleanni, e
di quanto li avesse odiati. Eric non era certo il tipo con cui scambiarsi
confidenze, e lei non aveva né voglia di annoiarlo, né voglia di deprimersi con
quei racconti. Ricordò il suo nono compleanno, quando si era rotta un braccio
correndo sotto la pioggia, ma non c’era motivo per parlarne. C’era il suo
tredicesimo compleanno, quello in cui sua madre le aveva finalmente comprato il
libro che tanto desiderava. Peccato che, invece di darlo a lei, lo unì ai
regali di sua sorella, per punirla per una colpa che in realtà non aveva. Era
stata proprio sua sorella a fare cadere la torta che c’era in frigorifero ma,
per difenderla, si era assunta lei la colpa. Quella stessa sera, sua sorella aveva
presto il libro e lo aveva strappato solo per dispetto.
Si morse il labbro
inferiore, pensando che quello era il primo compleanno che passava lontano
dalla sua gemella. Guardò oltre i palazzi bui e immaginò sua sorella ad affrontare al meglio la sua
iniziazione fra gli Eruditi, magari felice di essersi liberata di lei.
Abbassò la testa e
si morse ancora di più il labbro.
-Quindi preferisci
tenerti il segreto, piuttosto che dirmi qual è stato il tuo compleanno
peggiore?- La provocò.
Non guardò Eric
sentendolo parlare, al contrario rimase con la testa bassa. –Non è un segreto!-
Sbottò. –Solo che non vedevo l’ora di andarmene dagli Eruditi. I miei genitori
non facevano che dirmene di tuti i colori perché volevo cambiare fazione, non
avevo niente da festeggiare con loro. Volevo solo andarmene…-
-Odiavi così tanto
la tua vecchia fazione?- Le chiese il ragazzo, con uno strano sorriso nascosto.
-Per favore!
Qualsiasi cosa che facevo per loro era illogica. Credo che non sappiano dire
altro, solo illogico!- lo guardò per
un istante. –Non credo che tu possa capire cosa voglia dire vivere sedici anni
fra gli Eruditi…-
E, per l’ennesima
volta, Eric rise. Solo che, sta volta, Aria percepì un sapore amaro nella sua
risata.
-Lo trovi tanto
divertente?- Gli chiese, studiandolo.
Il ragazzo non le
rispose, si limitò a studiarla in silenzio, osservando la sua fronte corrugata.
A volte, nella mente
di Aria, passava l’idea di poter condividere qualcosa in più con Eric. Non se
la sentiva di fargli delle domande sul suo passato, perché temeva che non le
rispondesse e, d’altro canto, nemmeno lei era ben disposta a parlargli della
sua vita prima dell’arrivo fra gli Intepidi.
Era buona abitudine,
non appena si cambiava fazione, dimenticarsi dei sedici anni passati, e lei
voleva riuscirci. Forse anche Eric la pensava in quel modo.
-Vuoi rimanere qui
fuori tutta la sera?-
Aria si riscosse
alla parole di Eric, e si accorse del modo in cui la guardava.
Ricambiò il sorriso
malizioso e si scostò dalla ringhiera, posandosi una mano sul fianco. –Hai di
meglio da fare?-
Il ragazzo si lasciò
attraversare lo sguardo da una scintilla sinistra, prima che le sue labbra si
piegassero nell’ennesimo ghigno. Fece un cenno con la testa e le si avvicinò.
Aria non si oppose quando Eric la prese in braccio, mettendole un braccio sotto
le ginocchia e uno dietro la schiena ormai guarita.
Mentre tornava
dentro la stanza e si avvicinavano al letto, Aria gli fece passare un braccio
dietro il collo e, quando lui la baciò, lei ricambiò e gli accarezzò il viso
con la mano libera.
Continua…