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Autore: Nidham    06/11/2014    1 recensioni
Breve elucubrazione della mia ladra nel momento piu' triste del videogioco, quando una scelta porta a tragiche conseguenze. Fatemi conoscere il vostro parere, visto che è anche il mio primo tentativo^^
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'ambiente che lo accolse era quasi inquietante per la sua normalità: una stanza ampia di pietra scura, con un camino spartano privo di fiamma, un largo tavolo rettangolare di legno massiccio e due panche grezze sui lati più lunghi, una rastrelliera senza armi e qualche cassapanca borchiata, chiusa con robusti lucchetti.

“Che razza di posto è mai questo?” si domandò istintivamente l'elfo, cercando di non sfiorare niente, per paura di vederlo svanire o di far scattare chissà quale trappola inimmaginabile. “Sembra la sala d'arme di qualche palazzotto di Denerim, certo non una torre creata da un dio e corrotta da un demone.”

Non c'era alcun rumore lì dentro, né calore e la luce filtrava tremula e spaventata da strette feritoie quasi invisibili vicino al soffitto. Poi udì chiaramente il cigolare di una porta dal piano di sopra e nella frazione di secondo che impiegò per decidere se nascondersi o fuggire, la voce di Alistair l'aveva già raggiunto e pietrificato.

“Finalmente, credevo che non ce l'avessi fatta.”

“E' un'illusione” ripeteva Zevran nella sua mente. “Un incubo.”

Ma le sue labbra non volevano saperne di articolare parola, né le sue gambe di muovere un passo, mentre l'oscurità veniva dissipata dal crepitare azzurrognolo di una torcia fumosa, trasportata lungo la stretta scala di legno da un malmesso e arruffato Custode.

Sembrava più vecchio, o forse solo più stanco: i capelli erano sconclusionati e lunghi sul collo, con striature grigiastre derivate dalla polvere o da un repentino incanutimento; le labbra, screpolate e pallide, avevano una piega amara, ma determinata; un occhio era coperto da una benda insanguinata, mentre l'altro lo scrutava febbrile da un intrico vorticante di piccole rughe.

L'assassino non riusciva a smettere di guardarlo, come un cervo davanti all'arco di un cacciatore.

“Non si è salvato nessun altro?” il tono del Re era freddo, la voce controllata, come se ponesse una domanda per cui già da tempo si fosse rassegnato alla risposta. “Dovremmo abbandonare questo avamposto, abbiamo tardato anche troppo. Non c'è più niente da salvare.”

Zevran doveva fuggire, lo sapeva, lo ricordava. Stava ripiombando nel sogno, perdendo la propria razionalità, e non osava permetterselo, per cui non poté essere meno che sorpreso quando sentì se stesso pronunciare una risposta accalorata.

“Ci sono ancora delle case non evacuate, maestà” l'ultima parola era un misto di rispetto, ironia e implicito richiamo al dovere. “Ci sono bambini, donne indifese...”

“E c'è un'intera regione sotto assedio” adesso Alistair era davanti a lui, con l'armatura ammaccata e sporca di sangue, una mano inerte contro il fianco e lo scudo quasi incrinato pendente da un laccio disfatto sulla schiena. “Conosco la situazione, ma non posso fare niente per loro, neanche rischiando di sacrificare tutti gli altri. I genlock sono ovunque e presto banchetteranno con gli ultimi cadaveri.”

C'era della logica nelle sue parole e il profumo di una discussione troppe volte affrontata e mai finita.

Di certo Zevran non era il più adatto a criticare il principio del bene comune, a meno che non fosse contrario al proprio, ma anche il tempo in cui avrebbe scelto se stesso prima del dovere era ormai sepolto nella storia e adesso non poteva permettersi una manfrina sulla necessità di rischiare molti per tentare di salvare pochi.

E poi chi mai avrebbero dovuto salvare? C'era una sola persona che doveva proteggere e quella torre con il suo strano abitante non era che un tentativo di depistarlo e fargli perdere tempo prezioso.

“So che non vuoi sentirlo dire” Alistair aveva ripreso a parlare, sedendosi sul bordo di una delle panche che scricchiolò pericolosamente sotto il suo peso. “So che non vorrei sentirlo dire neppure io, ma facemmo una scelta, molto tempo fa, e ora dobbiamo affrontarne le conseguenze.”

Fu contro la sua stessa volontà che l'elfo chiese: “Quale scelta?”

La domanda sembrò divertire quello strano fantasma o apparizione, perché una risata roca e crudele riempì la stanza, aumentandone il gelo.

“Avevo proprio bisogno di un po' del tuo sarcasmo” scosse la testa, stringendo i denti per soffocare un lamento, fisico o morale. “Avevo bisogno di ricordare quella scelta, anche se non esiste attimo in cui non la porti nel cuore.”

Un boato feroce, ma ancora distante, li fece voltare entrambi verso la porta, guardinghi.

“Si stanno avvicinando” il Custode fissò gli occhi in quelli confusi e spaventati di Zevran, fraintendendo la causa del suo turbamento. “Abbiamo ancora il tempo di visitare la loro tomba un'ultima volta. Vuoi venire con me?”

Avrebbe dovuto rispondere che no, non voleva assolutamente seguirlo e che anzi avrebbe fatto meglio a occuparsi di altre faccende all'esterno, approfittando di una qualsiasi scusa per sottrarsi a quel delirio, invece lo osservò alzarsi a fatica, col passo malfermo e le spalle curve sotto un invisibile peso, e lo seguì verso una botola laterale che non aveva notato prima, nascosta dall'oscurità o ancora non generata da quella sconcertante visione; lo accompagnò nelle tenebre di una claustrofobica scala a chiocciola scivolosa e umida, coperta di ragnatele, ma priva di vita, come tutto ciò che li circondava, fino a raggiungere una cappella sotterranea incredibilmente ampia e lussuosa, con lanterne perenni dalla luce verdastra e fiori di ferro battuto dalle tinte vivaci lungo tutte le travi e sul soffitto, a formare una visione incantata da regno di fiaba.

“A lui sarebbe venuto un colpo se avesse saputo di finire in un luogo del genere.”

“Lui?” solo parzialmente consapevole di non essere padrone di sé, Zevran rimase shoccato nel comprendere di stare guardando il sarcofago di marmo nero finemente cesellato di un uomo.

“Oghren” Alistair sembrava non trovare più divertente l'incomprensibile ingenuità mostrata dall'amico, ma sembrava anche troppo emotivamente scosso per darsene pensiero. “Quando ci ha lasciato, sei mesi fa, anche tu eri d'accordo sul non gettarlo in una fossa comune. E poi le ossa di lei non sono veramente in questo sacrario, non potrà darle noia che il suo sepolcro, infine, sia stato usato.”

“Meritava una degna sepoltura” acconsentì Zevran, mentre un'immagine incomprensibile gli oscurava la mente e il cuore: una donna in pesante armatura nera, col volto celato dietro una visiera a forma di testa di drago e una spada enorme trasudante fiamme, immersa per metà nel corpo esanime del nano, inginocchiato ai suoi piedi e inerme, come qualcuno a cui fosse stata strappata ogni volontà di lottare.

“Ho continuato a sperare, se si può chiamare speranza, che saremmo riusciti a portarla qui, nel luogo che avevamo costruito per il suo ultimo sonno, quando avevamo abbandonato il sogno di salvarla, ma credevamo di poter ancora concederle quel riposo che fin dall'inizio volevamo donarle. Ho sperato di raggiungerla e sconfiggerla, mentre osservavo i compagni morire e il mio regno sgretolarsi in un fiume di sangue e desolazione, ma ormai so che Oghren rimarrà per sempre da solo, quaggiù, tra le rose che avevo fatto forgiare per lei, finché la terra non sarà coperta di cenere e non rimarrà nessuno a maledire i nostri nomi e la nostra colpa.”

“Volevamo solo giustizia” mormorò l'elfo.

“E avevamo creduto di aver ottenuto un miracolo, quando ti risvegliasti nel tuo corpo, scacciandone il demone, annunciandoci di averla liberata e che sarebbe addirittura tornata da noi” Alistair sfiorava la pietra, dimentico che non contenesse davvero le spoglie della sua amata. “Credetti di non meritare il dono che il Creatore mi aveva concesso, quando corremmo a Denerim e la trovammo viva e rosea di salute nelle stanze del castello. Consegnai il ricavato di sei mesi di tasse a Leliana, perché lo donasse alla chiesa. Invece, lei non era lì. Che ingenui siamo stati a non vedere la morte dietro ai suoi occhi e il male nel miele delle sue parole. Eilin era perduta e noi avevamo liberato la bestia.”

“No!” stavolta era stato Zevran a gridare, non una sua strana e incontrollabile irrazionalità. “No.”

Lo ripeté con maggior veemenza, quasi la forza di quella negazione potesse dissipare da sola la spirale di menzogne in cui si era smarrito.

“L'abbiamo negato per molto tempo, ma è un po' tardi per negarlo ancora.”

“Tutto questo è ridicolo” l'elfo corse su per le scale, senza voltarsi indietro, senza ascoltare altre parole, senza concedersi il lusso di pensare, ma quando arrivò davanti alla porta, lo spettro di Alistair era già lì ad attenderlo.

“L'arcidemone ti ha usato come portale e ha trasformato Eilin da prigione in involucro per la sua anima. Fuggire non ti servirà a nulla.”

“Queste sono bugie” Zevran estrasse le spade corte, stringendole tanto forte da farsi sbiancare le nocche. “Tutto questo non è mai avvenuto.”

“Non avremmo dovuto, per il nostro egoismo, andare contro il volere divino. Lo sai tu, come lo so io.”

“Se il volere del Creatore è che un'anima innocente sia dilaniata dalle fauci putride di un mostro corrotto, allora sono pronto a sfidarlo” fece un passo avanti, mettendosi in posizione di guardia. “Tu non esisti e io devo cercarla.”

“Anche se la costringerai a diventare strumento e causa della fine?” non era più la voce di Alistair, non era forse neanche una voce, perché rimbombava solamente nell'anima dell'assassino, senza sfiorargli le orecchie.

“Se così fosse, ne trarresti abbondante giovamento, perché mai dovresti volermi fermare? Stai solo cercando di imbrogliarmi.”

“O forse neanche noi, che un tempo fummo uomini e peccatori, e che ormai siamo parte e origine di un crudele destino, vogliamo macchiarci di più colpe di quante l'Oblio stesso possa contenerne.”

“Sciocchezze” Zevran gli sputò in faccia il suo disprezzo senza esitazione. “Il male è male e non conosce rimorsi, solo desideri.”

“Tu hai conosciuto il rimorso.”

“Allora ne porterò il peso se la mia azione scatenerà il prossimo Flagello” colpì rapido e preciso, senza chiudere gli occhi, senza chiedersi che effetto avrebbe potuto fargli osservare la macchia vermiglia di sangue allargarsi sul corpo che aveva il volto di un amico. “Il male è male e io non sono mai diventato buono.”

Scavalcò il corpo inerte di quel fantoccio ormai privo di forma e lineamenti, uscendo nell'aria immota di quella città disperata da cui per nessun motivo avrebbe accettato di far ritorno.

  
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