Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Carlos Olivera    06/11/2014    1 recensioni
Sequel de "La Mano della Dea" di Ely79
Un viaggiatore solitario, una guerra secolare in procinto di finire, una minaccia oscura che travalica lo spazio ed il tempo.
Arthur Del Sole Nero viaggia senza sosta alla ricerca di vendetta, in un continente devastato dalla guerra. La sua strada si incrocerà con quella di un giovane soldato, e per entrambi sarà l'inizio di un lungo viaggio della speranza volto a salvare l'unica cosa degna di valore in un mondo in procinto di sgretolarsi, ma su cui pende una minaccia infinitamente più pericolosa delle sorti di un conflitto.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

1

 

 

La traversata risultò più difficile del previsto, poiché le correnti del fiume erano imprevedibili e spesso impetuose, e complice anche una notte senza stelle riuscire ad orientarsi risultò piuttosto difficile.

Poi, quando mancava poco allo spuntare dell’alba, finalmente Arthur e Gora raggiunsero la riva opposta, mettendo piede per la prima volta nel territorio del regno.

«Ma perché devo fare sempre tutto io?» imprecò Gora tirando faticosamente la barca a terra e assicurando la cima ad una radice.

Solo quando vide l’appiglio in questione scivolargli via da sotto le mani si accorse che ad emergere dalla fanghiglia non era un pezzo d’albero, ma il braccio di un cadavere, la cui comparsa improvvisa da sotto la melma con gli occhi spalancati e la bocca aperta lo fece quasi saltare per lo spavento; non che non fosse abituato ad avere a che fare con i morti, ma i suoi nervi non erano fatti per simili sorprese.

«Ma che diavolo…»

Arthur tornò un momento indietro, accorgendosi prima del suo compagno che quello non era il solo cadavere accatastato lungo la sponda; l’acqua, poi, era tutto un brulicare di corpi, poveri sventurati trascinati via dalla corrente: soldati soprattutto, ma anche donne, vecchi e bambini, molti dei quali mutilati o segnati da orrende ferite.

Gli occhi di entrambi corsero all’orizzonte, verso la città, che da un momento all’altro aveva iniziato a brillare più forte, tramutandosi in una enorme torcia accesa nell’oscurità, emanando fiamme di morte.

«Mio signore, voi credete che…»

Un gemito li fece trasalire.

Poco distante, nascosto nel canneto, un soldato di fanteria rantolava i suoi ultimi respiri; la ferita che gli aveva dilaniato lo stomaco non appariva inferta con una spada o con la magia: sembrava più il morso di una belva, che aveva dilaniato le carni e lacerato gli organi.

«Cosa è successo?» domandò Arthur aiutandolo a tenere la testa fuori dall’acqua

«M… mostri…» disse quello un attimo prima di morire. «Sono apparsi all’improvviso. Hanno ucciso… ucciso tutti. Gli imperiali sono entrati… la città è caduta…»

Nei suoi occhi c’era il terrore, che seguitò a perdurare anche quando il soffio vitale si fu definitivamente esaurito, lasciando impressa su quel volto una spaventosa maschera di terrore.

«Mio signore, pensate che quei mostri di cui ha parlato…»

«Muoviamoci.» disse Arthur posando a terra il corpo ed avventurandosi a passo spedito nel folto degli alberi che lambivano la riva.

 

La piccola divisione di soldati reali procedeva in colonna lungo la strada maestra che tagliava la foresta, in silenzio e a passo di marcia, con alla testa il Colonnello Owan ed il suo secondo in comando, il Capitano Drake.

«Quanto manca per arrivare a Barenheim?» domandò il Capitano

«Non molto. Saremo lì per domani a mezzodì.»

Lontano dalla prima linea, immerso nella schiera di soldati che avanzavano, un giovane poco più che ventenne procedeva scudo a goccia in braccio e visiera dell’elmo sollevata, sorreggendo a spalla con la mano destra, stranamente rinchiusa all’interno di un guanto metallico, una lunga lancia alabardata in cima alla quale era annodato un lungo nastro di seta blu.

«Mi sembri nervoso, Niza» gli disse il soldato che gli stava accanto, sensibilmente più anziano di lui, pelle scura da nomade del sud e baffoni ridondanti malamente pettinati. «Eppure non è la tua prima battaglia.»

«È che si tratta di una cosa talmente seria, Gorm» rispose il ragazzo. «Barenheim è la nostra principale linea difensiva, e se dovesse cadere…»

«Non essere così pessimista!» esclamò il gigante ridendo di gusto. «Ho passato più tempo sui bastioni di quella città che nel letto di mia moglie, e puoi credermi se ti dico che quelle mura non andranno giù tanto facilmente! È la fortezza più inespugnabile del continente! Neppure la Dea riuscirebbe ad abbatterla!»

«Il tuo problema è che spergiuri un po’ troppo.»

«Non sono un buon credente, dovresti saperlo. Ho visto tanto di quel marcio nel corso della mia vita che credere in qualcosa mi risulta assai difficile.

Ma del resto a voi giovani non manca la fantasia. Anche quella aiuta a sentirsi motivati, in fin dei conti.»

Un grande albero che svettava a lato della strada cadde fragorosamente ostruendo il passaggio, e non serviva un genio per accorgersi che non si era trattato di una caduta accidentale.

«Imboscata!» strillò immediatamente il comandante. «Formazione difensiva!»

I soldati, pur disciplinati, impiegarono qualche attimo a rendersi conto di quanto stava accadendo, e prima che avessero il tempo di formare una barriera a cerchio per coprirsi vicendevolmente le spalle palle nere grosse come pietre presero a piovere loro addosso da tutti i lati del sentiero, esplodendo al contatto con la terra o con gli scudi e generando tremende deflagrazioni che sventravano corpi e distruggevano carri, oltre a ricoprire la strada di un fumo denso e acre, fitto come il fumo.

Chi aveva avuto già modo di combattere in guerra conosceva bene quel ritrovato spaventoso; il regno non era ancora riuscito a produrlo, non in grandi quantità almeno, ma se c’era una cosa che rendeva pericoloso l’esercito imperiale era proprio la superiorità tecnologica.

Mentre il fumo ancora si sollevava, e il nervosismo iniziava già a dilagare tra le truppe, nugoli di soldati imperiali spuntarono dalla nebbia da tutte le direzioni, avventandosi per larga parte contro la colonna malamente disposta mentre da dietro i loro compagni fornivano loro copertura tirando frecce a ripetizione.

Travolte da ogni direzione, le truppe reali opposero una resistenza caparbia, ma che nonostante la differenza numerica a loro favore si trasformò ben presto in una disperata lotta per la sopravvivenza, con intere divisioni che cadevano una dietro l’altra sotto la spinta inarrestabile degli imperiali e delle loro armi micidiali.

Niza e Gorm si aiutavano l’un l’altro, con il primo che persa la lancia aveva sfoderato una spada tanto magnifica quanto inusuale, più simile ad una scimitarra che ad un comune spadone, ideale per tagliare di netto le spesse corazze imperiali con tanto di occupanti, ed il secondo che come una specie di ciclope mulinava il mazzafrusto in tutte le direzioni aprendo teste come fossero meloni.

Ma con la morte del generale, seguita quasi subito da quella del suo vice, quello che restava dell’armata andò completamente nel panico, e a quel punto i più pensarono solo a trovare un modo per scappare, venendo però massacrati senza scampo appena cercavano di voltare le spalle alla battaglia.

Gorm da un momento all’altro si ritrovò isolato e circondato di nemici, e malgrado la sua ostinata resistenza alla fine tre spade lo trafissero quasi contemporaneamente, anche se fu necessario un affondo di lancia dritto nel collo per riuscire ad abbatterlo del tutto.

«Gorm!» gridò Niza vedendolo scomparire dietro il profilo dei suoi assassini.

Provò a correre verso di lui, ma subito dopo aver mosso un passo vide una di quelle palle nere rotolargli inerte davanti ai piedi, la miccia accesa e quasi consumata.

«Oh, per la Dea!».

L’esplosione lo travolse prima che avesse il tempo di buttarsi completamente a terra, scaraventandolo via; le orecchie quasi gli scoppiarono per il frastuono, e l’ultima cosa che sentì prima che tutto si oscurasse furono le grida agonizzanti dei suoi ultimi compagni rimasti vivi che cadevano tutto intorno a lui.

 

Arthur e Gora avevano lasciato il fiume già da alcuni giorni, accampandosi solo poche ore a notte, ma la verità era che stavano procedendo alla ceca.

Nessuno dei due aveva idea di dove fosse il villaggio che stavano cercando, o quello che ne rimaneva, tranne il fatto che, a dare retta all’unico taglialegna che gli era riuscito di incontrare, doveva trovarsi da qualche parte verso est, forse neanche troppo lontano da lì.

Si tenevano lontani dalle strade principali e dai centri abitati, ma era il minimo; con quello che stava succedendo, e dato che quasi sicuramente Barenheim era caduta, era impossibile sapere come avrebbe reagito la popolazione locale se avessero scoperto da dove provenivano.

Ma se Arthur aveva qualche idea di cosa stesse facendo o chi stesse cercando, Gora di contro sembrava saperne ancora meno; seguiva Arthur come un cagnolino, standogli sempre un passo indietro, e benché non gli fosse espressamente ordinato eseguiva sempre tutti i compiti più umili, ricevendo in cambio il più delle volte null’altro che una silenziosa indifferenza.

 In compenso possedeva, a dispetto della postura a volte un po’ gobba e del suo incedere incerto, un’agilità quasi sovrumana, e durante le marce spesso seguiva il suo signore dall’alto degli alberi, saltando da un ramo all’altro come una scimmia sì da poter scorgere anzitempo eventuali pericoli.

E fu proprio durante una di queste esplorazioni dall’alto che il ragazzo, aguzzata la vista ed il naso per fendere la nebbia densa e umida che li avvolgeva, percepì distintamente qualcosa di insolito.

«Mio signore, lo sentite anche voi?»

Anche Arthur allora si concentrò, e non gli occorse molto per notare anche lui uno strano odore.

«Polvere pirica» mormorò. «E sangue» e poggiata una mano al suolo gli bastò scostare un po’ le foglie per scorgere tracce evidenti del passaggio di uomini: molti uomini. «Duecento soldati; forse di più. Imperiali.»

Più per curiosità che per vera volontà di aiutare eventualmente qualcuno i due seguirono quell’odore, che diventava via via sempre più forte, fino a giungere sul ciglio di una strada completamente tappezzata di corpi senza vita, per la grandissima parte soldati reali, trafitti e sventrati da colpi di armi bianche o dilaniati dalle esplosioni delle granate.

Nessuno dei due parve eccessivamente sconvolto, benché quello spettacolo fosse tale da mettere a dura prova anche lo stomaco più forte; tuttavia, se la reazione di Arthur fu la solita indifferenza, quasi quello scempio di corpi non lo toccasse minimamente, Gora di contro, battute due volte le mani e chiusi un attimo gli occhi come a rivolgere una preghiera ai caduti, si avventurò con fare famelico tra i cadaveri appena i suoi occhi caddero per caso su alcune monete d’oro scivolate fuori da un sacchetto tagliato e semi nascoste dal fango.

Arthur non disse nulla, neppure quando il suo seguace prese a spostare corpi nella speranza di trovare qualcosa tra quelli ammassati più in basso, infilando poi ogni oggetto di valore nella borsa lasciata a penzolare dalla cintura.

«Accidenti, quanto pesa!» mugolò scostando un cavallo da tiro sotto il quale si intravedevano delle gambe.

Sotto di lui comparve effettivamente un altro soldato, un ragazzo, che però come Gora fece lo ebbe davanti agli occhi li vide aprire d’improvviso la bocca, gemendo con forza alla ricerca di aria.

«Mio signore, questo è ancora vivo!» disse appena smaltito lo spavento.

Quando Arthur lo raggiunse Gora aveva già liberato dalla catasta di cadaveri quel poveretto, mettendone a nudo le condizioni pietose; la parte sinistra dell’armatura era completamente aperta, ed erano evidenti i segni di una esplosione anche piuttosto ravvicinata, che aveva bruciato la carne e incenerito la tunica sottostante.

Al centro della celata, lasciata aperta, era conficcato un grosso pezzo di metallo, probabilmente un detrito; se fosse stata abbassata, quella specie di grossa punta avrebbe certamente trapassato la calotta, ma evidentemente, nella sfortuna, quel tipo era stato parecchio fortunato.

Ciò non toglieva che stesse comunque molto male, e a meno di non ricevere cure adeguate era probabile che non sarebbe sopravvissuto a lungo.

«Che cosa facciamo, mio signore?»

Arthur si inginocchiò accanto al ragazzo, e sollevatagli la testa si strappò con uno scatto veloce il curioso pendente a punta di freccia che portava al collo, iniziando a passarlo lentamente sulle parti ferite; la strana pietra opaca incastonata al centro del monile si accese di una luce dorata, e come d’incanto le bruciature, le piaghe e i fendenti iniziarono a rimarginarsi, sostituendo i tessuti danneggiati con altri nuovi ed in perfetta salute.

Il ragazzo mugolò qualche secondo, ma subito dopo il suo volto, da contrito per il dolore che era, si distese, fino a che non diede l’impressione di stare semplicemente dormendo un piacevole sonno, dal quale, faticosamente, si ridestò dopo che Arthur si fu allontanato al termine della guarigione.

«Che… che è successo?» chiese riprendendo conoscenza.

Poi, un fulmine parve folgorarlo.

«La battaglia!» esclamò, e con un balzo fu in piedi, ma accortosi dello spettacolo che aveva intorno le ginocchia gli tremarono a tal punto che per poco non cadde nuovamente.

«Che è successo qui?» chiese Arthur

«Erano truppe dell’Impero. Ci sono saltate addosso all’improvviso. Ricordo che stavo combattendo, c’è stata un’esplosione…» poi il ragazzo notò un bisonte nero riverso sulla pancia e con il corpo trafitto da più spade, ed i suoi occhi si fecero ancor più lucidi. «Gorm…» quindi, un pensiero gli accese nella sua mente. «Devo raggiungere subito Barenheim! Devono sapere che gli imperiali hanno passato il fiume.»

«È inutile» gli rispose Gora. «La città è caduta.»

«Cosa!?» sbiancò il ragazzo. «Caduta!? Barenheim!?»

«Come credi siano arrivati fin qui gli imperiali che vi hanno attaccati!?»

«Ma allora… se le truppe imperiali hanno preso Barenheim, presto dilagheranno per tutta questa regione.»

«O probabilmente l’hanno già fatto» rispose funereo Arthur. «Fossi in te me ne andrei da qui il prima possibile, o la prossima volta potresti non essere così fortunato.»

«Ma voi come le sapete tutte queste cose? Eravate anche voi a Barenheim? Ci sono altri sopravvissuti?»

I due non risposero, e Gora si lasciò sfuggire un’occhiata preoccupata all’indirizzo di Arthur che il soldato non ebbe problemi ad interpretare; effettivamente c’era qualcosa di strano nell’accento e nell’atteggiamento di quei due stranieri, qualcosa che, date le circostanze, poteva dare adito ad una sola spiegazione.

«Siete imperiali anche voi!» esclamò il soldato raccogliendo da terra la prima arma che gli fu possibile, una spada spezzata all’estremità è oltretutto tutta scheggiata.

Arthur non mosse un dito, mentre Gora parve preoccuparsi, facendo qualche passo indietro e lasciando cadere il suo bottino.

Seguirono attimi di profonda tensione,  con un silenzio rotto solo dal frusciare del vento tra gli alberi, e dall’insopportabile ronzio delle mosche che già avevano iniziato a banchettare coi cadaveri. Per tutto il tempo Arthur e il soldato seguitarono a fissarsi negli occhi, con quest’ultimo che pur non avendo perso la veemenza iniziale sembrava meno determinato ad attaccare di poco prima.

«Mi sembri abbastanza accorto da capire che non ti conviene farlo.» rispose calmo Arthur

E infatti, alla fine, il giovane desistette, lasciando cadere la spada, con Gora che si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.

«Inoltre, se fossimo davvero tuoi nemici, perché avremmo dovuto prenderci la briga di salvarti?»

Solo in quel momento al giovane soldato venne in mente di guardare il proprio corpo, trovandolo incredibilmente sano e privo di qualunque ferita di guerra; ma lo stupore più grande, tale da spingerlo quasi alle lacrime, fu quando si guardò la mano che aveva retto la spada un attimo prima, sana e forte come ci si aspetterebbe da un giovane di robusta costituzione come lui.

«Non… può… essere…»

Mentre ancora quel ragazzo si fissava esterrefatto la mano Arthur girò le spalle e fece per andarsene, seguito subito da Gora.

«Dammi retta, vattene da qui. Le truppe imperiali potrebbero saltarti addosso in ogni momento.»

«Aspettate! Perché siete qui? Dove siete diretti?»

«A Ludgored

«Ludgored!? E che cosa c’è laggiù di tanto interessante da spingervi a giungere fin qui dall’impero?»

«Non ti riguarda.»

«D’accordo. Ma almeno sapete come arrivarci?»

Arthur si fermò, colpito dalla sottile ed intelligente malizia insita in quelle parole. Quando si volse nuovamente il giovane soldato era di nuovo in piedi, intento a sfilarsi l’armatura ormai inutile e a cercare fra i corpi una spada ancora in buone condizioni.

«Se questo posto è pericoloso per me, prima o dopo potrebbe diventarlo anche per voi. Nessuno sarà disposto ad aiutarvi quando capiranno da dove venite, per non parlare dei soldati e delle truppe reali che sicuramente si stanno già dirigendo qui.

L’avete detto voi, io non sono uno sprovveduto. So perfettamente che non sopravvivrei un giorno da solo. La verità è che possiamo aiutarci l’un l’altro.

La fortezza di Uppenhal è il castello più vicino, e con la caduta di Rubinheim diventerà sicuramente la nuova linea del fronte. Aiutatemi ad arrivare laggiù e io in cambio vi rivelerò come arrivare a Ludgored

Di nuovo i due si scrutarono, cercando di leggersi vicendevolmente nell’anima, e nel momento in cui il giovane soldato vide Arthur porgergli la mano per aiutarlo a risalire lungo l’avvallamento quest’ultimo capì di avercela fatta.

«Posso sapere il tuo nome?»

«Arthur. E il tuo?»

«Niza

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Carlos Olivera