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La traversata risultò più
difficile del previsto, poiché le correnti del fiume erano imprevedibili e
spesso impetuose, e complice anche una notte senza stelle riuscire ad
orientarsi risultò piuttosto difficile.
Poi,
quando mancava poco allo spuntare dell’alba, finalmente Arthur e Gora
raggiunsero la riva opposta, mettendo piede per la prima volta nel territorio
del regno.
«Ma
perché devo fare sempre tutto io?» imprecò Gora tirando faticosamente la barca
a terra e assicurando la cima ad una radice.
Solo
quando vide l’appiglio in questione scivolargli via da sotto le mani si accorse
che ad emergere dalla fanghiglia non era un pezzo d’albero, ma il braccio di un
cadavere, la cui comparsa improvvisa da sotto la melma con gli occhi spalancati
e la bocca aperta lo fece quasi saltare per lo spavento; non che non fosse
abituato ad avere a che fare con i morti, ma i suoi nervi non erano fatti per
simili sorprese.
«Ma che diavolo…»
Arthur
tornò un momento indietro, accorgendosi prima del suo compagno che quello non
era il solo cadavere accatastato lungo la sponda; l’acqua, poi, era tutto un
brulicare di corpi, poveri sventurati trascinati via dalla corrente: soldati
soprattutto, ma anche donne, vecchi e bambini, molti dei quali mutilati o
segnati da orrende ferite.
Gli
occhi di entrambi corsero all’orizzonte, verso la città, che da un momento
all’altro aveva iniziato a brillare più forte, tramutandosi in una enorme
torcia accesa nell’oscurità, emanando fiamme di morte.
«Mio
signore, voi credete che…»
Un
gemito li fece trasalire.
Poco
distante, nascosto nel canneto, un soldato di fanteria rantolava i suoi ultimi
respiri; la ferita che gli aveva dilaniato lo stomaco non appariva inferta con
una spada o con la magia: sembrava più il morso di una belva, che aveva
dilaniato le carni e lacerato gli organi.
«Cosa è
successo?» domandò Arthur aiutandolo a tenere la testa fuori dall’acqua
«M… mostri…» disse quello un
attimo prima di morire. «Sono apparsi all’improvviso. Hanno ucciso…
ucciso tutti. Gli imperiali sono entrati… la città è caduta…»
Nei suoi
occhi c’era il terrore, che seguitò a perdurare anche quando il soffio vitale
si fu definitivamente esaurito, lasciando impressa su quel volto una spaventosa
maschera di terrore.
«Mio
signore, pensate che quei mostri di cui ha parlato…»
«Muoviamoci.»
disse Arthur posando a terra il corpo ed avventurandosi a passo spedito nel
folto degli alberi che lambivano la riva.
La piccola divisione di
soldati reali procedeva in colonna lungo la strada maestra che tagliava la
foresta, in silenzio e a passo di marcia, con alla testa il Colonnello Owan ed il suo secondo in comando, il Capitano Drake.
«Quanto
manca per arrivare a Barenheim?» domandò il Capitano
«Non
molto. Saremo lì per domani a mezzodì.»
Lontano
dalla prima linea, immerso nella schiera di soldati che avanzavano, un giovane
poco più che ventenne procedeva scudo a goccia in braccio e visiera dell’elmo
sollevata, sorreggendo a spalla con la mano destra, stranamente rinchiusa
all’interno di un guanto metallico, una lunga lancia alabardata in cima alla
quale era annodato un lungo nastro di seta blu.
«Mi
sembri nervoso, Niza» gli disse il soldato che gli
stava accanto, sensibilmente più anziano di lui, pelle scura da nomade del sud
e baffoni ridondanti malamente pettinati. «Eppure non è la tua prima
battaglia.»
«È che
si tratta di una cosa talmente seria, Gorm» rispose
il ragazzo. «Barenheim è la nostra principale linea
difensiva, e se dovesse cadere…»
«Non
essere così pessimista!» esclamò il gigante ridendo di gusto. «Ho passato più
tempo sui bastioni di quella città che nel letto di mia moglie, e puoi credermi
se ti dico che quelle mura non andranno giù tanto facilmente! È la fortezza più
inespugnabile del continente! Neppure la Dea riuscirebbe ad abbatterla!»
«Il tuo
problema è che spergiuri un po’ troppo.»
«Non
sono un buon credente, dovresti saperlo. Ho visto tanto di quel marcio nel
corso della mia vita che credere in qualcosa mi risulta assai difficile.
Ma del
resto a voi giovani non manca la fantasia. Anche quella aiuta a sentirsi
motivati, in fin dei conti.»
Un
grande albero che svettava a lato della strada cadde fragorosamente ostruendo
il passaggio, e non serviva un genio per accorgersi che non si era trattato di
una caduta accidentale.
«Imboscata!»
strillò immediatamente il comandante. «Formazione difensiva!»
I
soldati, pur disciplinati, impiegarono qualche attimo a rendersi conto di
quanto stava accadendo, e prima che avessero il tempo di formare una barriera a
cerchio per coprirsi vicendevolmente le spalle palle nere grosse come pietre
presero a piovere loro addosso da tutti i lati del sentiero, esplodendo al
contatto con la terra o con gli scudi e generando tremende deflagrazioni che sventravano
corpi e distruggevano carri, oltre a ricoprire la strada di un fumo denso e
acre, fitto come il fumo.
Chi
aveva avuto già modo di combattere in guerra conosceva bene quel ritrovato
spaventoso; il regno non era ancora riuscito a produrlo, non in grandi quantità
almeno, ma se c’era una cosa che rendeva pericoloso l’esercito imperiale era
proprio la superiorità tecnologica.
Mentre
il fumo ancora si sollevava, e il nervosismo iniziava già a dilagare tra le
truppe, nugoli di soldati imperiali spuntarono dalla nebbia da tutte le
direzioni, avventandosi per larga parte contro la colonna malamente disposta
mentre da dietro i loro compagni fornivano loro copertura tirando frecce a
ripetizione.
Travolte
da ogni direzione, le truppe reali opposero una resistenza caparbia, ma che
nonostante la differenza numerica a loro favore si trasformò ben presto in una
disperata lotta per la sopravvivenza, con intere divisioni che cadevano una
dietro l’altra sotto la spinta inarrestabile degli imperiali e delle loro armi
micidiali.
Niza e Gorm si aiutavano l’un l’altro, con il primo che persa la
lancia aveva sfoderato una spada tanto magnifica quanto inusuale, più simile ad
una scimitarra che ad un comune spadone, ideale per tagliare di netto le spesse
corazze imperiali con tanto di occupanti, ed il secondo che come una specie di
ciclope mulinava il mazzafrusto in tutte le direzioni aprendo teste come
fossero meloni.
Ma con
la morte del generale, seguita quasi subito da quella del suo vice, quello che
restava dell’armata andò completamente nel panico, e a quel punto i più
pensarono solo a trovare un modo per scappare, venendo però massacrati senza
scampo appena cercavano di voltare le spalle alla battaglia.
Gorm da un
momento all’altro si ritrovò isolato e circondato di nemici, e malgrado la sua
ostinata resistenza alla fine tre spade lo trafissero quasi contemporaneamente,
anche se fu necessario un affondo di lancia dritto nel collo per riuscire ad
abbatterlo del tutto.
«Gorm!» gridò Niza vedendolo
scomparire dietro il profilo dei suoi assassini.
Provò a
correre verso di lui, ma subito dopo aver mosso un passo vide una di quelle
palle nere rotolargli inerte davanti ai piedi, la miccia accesa e quasi
consumata.
«Oh, per
la Dea!».
L’esplosione
lo travolse prima che avesse il tempo di buttarsi completamente a terra,
scaraventandolo via; le orecchie quasi gli scoppiarono per il frastuono, e
l’ultima cosa che sentì prima che tutto si oscurasse furono le grida
agonizzanti dei suoi ultimi compagni rimasti vivi che cadevano tutto intorno a
lui.
Arthur e Gora avevano
lasciato il fiume già da alcuni giorni, accampandosi solo poche ore a notte, ma
la verità era che stavano procedendo alla ceca.
Nessuno
dei due aveva idea di dove fosse il villaggio che stavano cercando, o quello
che ne rimaneva, tranne il fatto che, a dare retta all’unico taglialegna che
gli era riuscito di incontrare, doveva trovarsi da qualche parte verso est,
forse neanche troppo lontano da lì.
Si
tenevano lontani dalle strade principali e dai centri abitati, ma era il
minimo; con quello che stava succedendo, e dato che quasi sicuramente Barenheim era caduta, era impossibile sapere come avrebbe
reagito la popolazione locale se avessero scoperto da dove provenivano.
Ma se
Arthur aveva qualche idea di cosa stesse facendo o chi stesse cercando, Gora di
contro sembrava saperne ancora meno; seguiva Arthur come un cagnolino,
standogli sempre un passo indietro, e benché non gli fosse espressamente
ordinato eseguiva sempre tutti i compiti più umili, ricevendo in cambio il più
delle volte null’altro che una silenziosa indifferenza.
In compenso possedeva, a dispetto della
postura a volte un po’ gobba e del suo incedere incerto, un’agilità quasi
sovrumana, e durante le marce spesso seguiva il suo signore dall’alto degli
alberi, saltando da un ramo all’altro come una scimmia sì da poter scorgere
anzitempo eventuali pericoli.
E fu
proprio durante una di queste esplorazioni dall’alto che il ragazzo, aguzzata
la vista ed il naso per fendere la nebbia densa e umida che li avvolgeva, percepì
distintamente qualcosa di insolito.
«Mio
signore, lo sentite anche voi?»
Anche
Arthur allora si concentrò, e non gli occorse molto per notare anche lui uno
strano odore.
«Polvere
pirica» mormorò. «E sangue» e poggiata una mano al suolo gli bastò scostare un
po’ le foglie per scorgere tracce evidenti del passaggio di uomini: molti
uomini. «Duecento soldati; forse di più. Imperiali.»
Più per
curiosità che per vera volontà di aiutare eventualmente qualcuno i due
seguirono quell’odore, che diventava via via sempre
più forte, fino a giungere sul ciglio di una strada completamente tappezzata di
corpi senza vita, per la grandissima parte soldati reali, trafitti e sventrati
da colpi di armi bianche o dilaniati dalle esplosioni delle granate.
Nessuno
dei due parve eccessivamente sconvolto, benché quello spettacolo fosse tale da
mettere a dura prova anche lo stomaco più forte; tuttavia, se la reazione di
Arthur fu la solita indifferenza, quasi quello scempio di corpi non lo toccasse
minimamente, Gora di contro, battute due volte le mani e chiusi un attimo gli
occhi come a rivolgere una preghiera ai caduti, si avventurò con fare famelico
tra i cadaveri appena i suoi occhi caddero per caso su alcune monete d’oro
scivolate fuori da un sacchetto tagliato e semi nascoste dal fango.
Arthur
non disse nulla, neppure quando il suo seguace prese a spostare corpi nella
speranza di trovare qualcosa tra quelli ammassati più in basso, infilando poi
ogni oggetto di valore nella borsa lasciata a penzolare dalla cintura.
«Accidenti,
quanto pesa!» mugolò scostando un cavallo da tiro sotto il quale si
intravedevano delle gambe.
Sotto di
lui comparve effettivamente un altro soldato, un ragazzo, che però come Gora
fece lo ebbe davanti agli occhi li vide aprire d’improvviso la bocca, gemendo
con forza alla ricerca di aria.
«Mio
signore, questo è ancora vivo!» disse appena smaltito lo spavento.
Quando
Arthur lo raggiunse Gora aveva già liberato dalla catasta di cadaveri quel
poveretto, mettendone a nudo le condizioni pietose; la parte sinistra
dell’armatura era completamente aperta, ed erano evidenti i segni di una
esplosione anche piuttosto ravvicinata, che aveva bruciato la carne e
incenerito la tunica sottostante.
Al
centro della celata, lasciata aperta, era conficcato un grosso pezzo di
metallo, probabilmente un detrito; se fosse stata abbassata, quella specie di
grossa punta avrebbe certamente trapassato la calotta, ma evidentemente, nella
sfortuna, quel tipo era stato parecchio fortunato.
Ciò non
toglieva che stesse comunque molto male, e a meno di non ricevere cure adeguate
era probabile che non sarebbe sopravvissuto a lungo.
«Che
cosa facciamo, mio signore?»
Arthur si
inginocchiò accanto al ragazzo, e sollevatagli la testa si strappò con uno
scatto veloce il curioso pendente a punta di freccia che portava al collo,
iniziando a passarlo lentamente sulle parti ferite; la strana pietra opaca
incastonata al centro del monile si accese di una luce dorata, e come d’incanto
le bruciature, le piaghe e i fendenti iniziarono a rimarginarsi, sostituendo i
tessuti danneggiati con altri nuovi ed in perfetta salute.
Il ragazzo
mugolò qualche secondo, ma subito dopo il suo volto, da contrito per il dolore
che era, si distese, fino a che non diede l’impressione di stare semplicemente
dormendo un piacevole sonno, dal quale, faticosamente, si ridestò dopo che
Arthur si fu allontanato al termine della guarigione.
«Che… che è successo?» chiese riprendendo conoscenza.
Poi, un
fulmine parve folgorarlo.
«La
battaglia!» esclamò, e con un balzo fu in piedi, ma accortosi dello spettacolo
che aveva intorno le ginocchia gli tremarono a tal punto che per poco non cadde
nuovamente.
«Che è
successo qui?» chiese Arthur
«Erano
truppe dell’Impero. Ci sono saltate addosso all’improvviso. Ricordo che stavo
combattendo, c’è stata un’esplosione…» poi il ragazzo
notò un bisonte nero riverso sulla pancia e con il corpo trafitto da più spade,
ed i suoi occhi si fecero ancor più lucidi. «Gorm…»
quindi, un pensiero gli accese nella sua mente. «Devo raggiungere subito Barenheim! Devono sapere che gli imperiali hanno passato il
fiume.»
«È
inutile» gli rispose Gora. «La città è caduta.»
«Cosa!?»
sbiancò il ragazzo. «Caduta!? Barenheim!?»
«Come
credi siano arrivati fin qui gli imperiali che vi hanno attaccati!?»
«Ma allora… se le truppe imperiali hanno preso Barenheim, presto dilagheranno per tutta questa regione.»
«O probabilmente
l’hanno già fatto» rispose funereo Arthur. «Fossi in te me ne andrei da qui il
prima possibile, o la prossima volta potresti non essere così fortunato.»
«Ma voi
come le sapete tutte queste cose? Eravate anche voi a Barenheim?
Ci sono altri sopravvissuti?»
I due
non risposero, e Gora si lasciò sfuggire un’occhiata preoccupata all’indirizzo
di Arthur che il soldato non ebbe problemi ad interpretare; effettivamente c’era
qualcosa di strano nell’accento e nell’atteggiamento di quei due stranieri,
qualcosa che, date le circostanze, poteva dare adito ad una sola spiegazione.
«Siete imperiali
anche voi!» esclamò il soldato raccogliendo da terra la prima arma che gli fu
possibile, una spada spezzata all’estremità è oltretutto tutta scheggiata.
Arthur non
mosse un dito, mentre Gora parve preoccuparsi, facendo qualche passo indietro e
lasciando cadere il suo bottino.
Seguirono
attimi di profonda tensione, con un
silenzio rotto solo dal frusciare del vento tra gli alberi, e dall’insopportabile
ronzio delle mosche che già avevano iniziato a banchettare coi cadaveri. Per tutto
il tempo Arthur e il soldato seguitarono a fissarsi negli occhi, con quest’ultimo
che pur non avendo perso la veemenza iniziale sembrava meno determinato ad
attaccare di poco prima.
«Mi
sembri abbastanza accorto da capire che non ti conviene farlo.» rispose calmo
Arthur
E infatti,
alla fine, il giovane desistette, lasciando cadere la spada, con Gora che si
lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.
«Inoltre,
se fossimo davvero tuoi nemici, perché avremmo dovuto prenderci la briga di
salvarti?»
Solo in
quel momento al giovane soldato venne in mente di guardare il proprio corpo,
trovandolo incredibilmente sano e privo di qualunque ferita di guerra; ma lo
stupore più grande, tale da spingerlo quasi alle lacrime, fu quando si guardò
la mano che aveva retto la spada un attimo prima, sana e forte come ci si
aspetterebbe da un giovane di robusta costituzione come lui.
«Non… può… essere…»
Mentre ancora
quel ragazzo si fissava esterrefatto la mano Arthur girò le spalle e fece per
andarsene, seguito subito da Gora.
«Dammi
retta, vattene da qui. Le truppe imperiali potrebbero saltarti addosso in ogni
momento.»
«Aspettate!
Perché siete qui? Dove siete diretti?»
«A Ludgored.»
«Ludgored!? E che cosa c’è laggiù di tanto interessante da
spingervi a giungere fin qui dall’impero?»
«Non ti
riguarda.»
«D’accordo.
Ma almeno sapete come arrivarci?»
Arthur
si fermò, colpito dalla sottile ed intelligente malizia insita in quelle
parole. Quando si volse nuovamente il giovane soldato era di nuovo in piedi,
intento a sfilarsi l’armatura ormai inutile e a cercare fra i corpi una spada
ancora in buone condizioni.
«Se
questo posto è pericoloso per me, prima o dopo potrebbe diventarlo anche per
voi. Nessuno sarà disposto ad aiutarvi quando capiranno da dove venite, per non
parlare dei soldati e delle truppe reali che sicuramente si stanno già dirigendo
qui.
L’avete
detto voi, io non sono uno sprovveduto. So perfettamente che non sopravvivrei
un giorno da solo. La verità è che possiamo aiutarci l’un l’altro.
La fortezza
di Uppenhal è il castello più vicino, e con la caduta
di Rubinheim diventerà sicuramente la nuova linea del
fronte. Aiutatemi ad arrivare laggiù e io in cambio vi rivelerò come arrivare a
Ludgored.»
Di nuovo
i due si scrutarono, cercando di leggersi vicendevolmente nell’anima, e nel
momento in cui il giovane soldato vide Arthur porgergli la mano per aiutarlo a
risalire lungo l’avvallamento quest’ultimo capì di avercela fatta.
«Posso
sapere il tuo nome?»
«Arthur.
E il tuo?»
«Niza.»