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Autore: Beatrix Bonnie    08/11/2014    1 recensioni
-Seguito de L'orologio d'oro-
I tempi spensierati sono finiti: con il ritorno di Colui-che-non-deve-essere-nominato, Mairead, Edmund e Laughlin, insieme ai loro amici del FIE, dovranno affrontare il crescente clima di razzismo dell'Irlanda magica, tra ansie per gli esami finali, nuovi caos a scuola e un Presidente della Magia che conquista sempre più potere. Per Edmund non sarà un'impresa facile, soprattutto visto che il ragazzo sarà anche impegnato nella ricerca di un leggendario manufatto magico di grande potenza, che potrà salvarlo dalla maledizione impostagli da Sigmund McFarren. Ma dove lo porterà la sua ricerca? E questo oggetto esiste davvero o sono solo farneticazioni di un vecchio?
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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CAPITOLO 10
Regalo di Natale






Reammon sorseggiava accigliato il suo caffellatte mattutino. La sua casa non era mai stata così in ordine: per forza di cose, era da un mese che non poteva più lavorare! Il Governo aveva imposto delle leggi severissime sull'importazione di qualsiasi cosa, perfino dei reperti archeologici. Per non parlare del fatto che uscire ed entrare dal paese era diventato praticamente impossibile, visto che l'autorizzazione andava chiesta un mese prima e comunque non era detto che la concedessero. Era stata la morte dell'archeologia, la morte del suo lavoro. Non c'erano più pezzi di vasi abbandonati per casa, antichi arazzi distesi sul divano o spade arrugginite sul tavolo da pranzo. La villetta a schiera era stranamente ordinata, anonima. E Reammon particolarmente accigliato.
In quel momento, qualcosa picchiò alla finestra della cucina. Reammon si affrettò ad aprirla, per permettere al gufo postino di entrare a scaldarsi. Fuori ancora non nevicava, ma il tempaccio di inizio dicembre si faceva sentire. Reammon slegò dalla zampa dell'animale la copia del Corriere del Mago che aveva preso l'abitudine di farsi mandare a casa e gli permise di acquattarsi davanti alla stufa per scaldarsi un po'.
«Vediamo che ha combinato il Governo, oggi» commentò ad alta voce, srotolando la copia del giornale. Quando lesse il titolo in prima pagina, per poco non sputò il caffellatte che aveva bevuto: il Parlamento aveva approvato la proposta del Governo sul Censimento dei Nati Inglesi. Ora era legge. Ora ogni Nato Inglese, compresa sua figlia, avrebbe dovuto registrarsi presso gli uffici del Governo, come un fuorilegge qualunque.
Era follia. Pura follia.
Reammon afferrò al volo la sua bacchetta – con la casa così in ordine aveva smesso di perderla in giro... o almeno la perdeva meno spesso di prima – e uscì furioso di casa, dimenticandosi del povero gufo postino davanti alla stufa (e infatti avrebbe trovato al suo ritorno una bella ordinanza d'accusa per Sequestro di Gufo Postale, sanabile con la restituzione dell'animale e il pagamento di una multa parecchio salata).
Sulla porta di casa, per poco non si schiantò contro un signore che gli si era appena materializzato davanti. Lo riconobbe ancora prima che questi smettesse di girare. «Non provare a fermarmi, papà.» Il suo tono di voce non era mai stato così tagliente.
«Reammon...» provò il vecchio Aaron, la voce spezzata dal dolore. «Ti prego, non fare idiozie.» Conosceva bene suo figlio e temeva che la notizia dell'approvazione della legge sul Censimento potesse indurlo a compiere qualche scemenza.
Reammon si allontanò di qualche passo. Il suo volto era una maschera di pietra. «Non sono idiozie. Questa è giustizia.» E poi piroettò su se stesso e si smaterializzò.
Piazza del Controllo a Dubh Cliathan era affollata e caotica. Il Palazzo del Governo era preso d'assalto. Reammon, rabbrividendo per il freddo (aveva infatti lasciato il mantello di lana a casa), si infilò tra la folla, sgomitando per arrivare davanti e capire cosa stesse succedendo, ma l'unica cosa che riuscì a fare fu quella di infiltrarsi su un lato per avere una scarsa visuale dell'ingresso. C'erano alcune persone con l'aria smarrita che venivano invitate ad entrare nel Palazzo dai Tiratori Scelti; dovevano essere i primi Nati Inglesi che si presentavano per il Censimento. Altri Tiratori Scelti tenevano a bada la folla che gridava e lanciava imprecazioni contro i Nati Inglesi. Ad un certo punto, partirono addirittura delle uova marce: alcune si infransero sui gradini di marmo dell'ingresso, ma uno centrò in pieno una ragazza che scoppiò a piangere. Reammon sentì la rabbia montargli in corpo, assetato di una giustizia fatta col sangue. Spintonò la folla per raggiungere la prima fila, la bacchetta levata davanti a sé.
«Ehi, amico, vuoi fare un tiro?»
Reammon fu costretto a fermarsi, perché il tizio che gli aveva parlato se ne stava accucciato in terra con le gambe incrociate proprio davanti a lui. Aveva le palpebre semichiuse e l'aria beata, ma la prima cosa che attirava l'attenzione erano i capelli biondo sporco arricciati in una miriade di rasta che arrivavano fino in terra. Reammon balbettò. «Scusa?»
«Dico, vuoi un tiro?» ripeté il tizio, allungando una pipa verso di lui. «È roba buona, eh...»
«No, g-grazie...» mugugnò Reammon, troppo scioccato per dire qualcosa dotato di senso.
«Noi protestiamo contro il Governo, eh» continuò il rastone. «Perché le leggi sono sbagliate e ognuno dovrebbe essere libero di esprimesi come vuole, eh.»
Reammon sgranò gli occhi. Lui era un tipo strano e ne aveva viste di cose strane nella sua vita, ma il gruppo di maghi anarchici gli mancava. «Ok, ehm... ottimo» rispose con un sorriso di circostanza. Al di là dell'assurdità della situazione, il tizio con la pipa aveva avuto un effetto benefico: aveva fatto sgonfiare la sua rabbia come un palloncino buco e gli aveva impedito di fare qualcosa di veramente stupido.
Per fortuna.
Ma il tutto durò veramente poco, perché sulla scena comparve una delle persone che Reammon odiava di più al mondo: Scipio Diablaiocht. Appena uscito dal Palazzo del Governo, scortato da due Tiratori Scelti, se ne stava ritto in piedi a controllare con i suoi occhietti perforanti che tutto filasse liscio. La rabbia repressa di Reammon riesplose in superficie come un vulcano. Erano passati i tempi in cui Reammon si divertiva a prendere in giro l'altezzoso Diablaiocht fingendo che fossero amici di vecchia data, ogni volta che andava nel suo ufficio per fare il catalogo dei reperti archeologici che introduceva in Irlanda. Ora, per colpa di quell'uomo, un lavoro non ce l'aveva più e il Governo aveva preso una svolta dichiaratamente razzista, sotto le pressioni dell'EIF, di cui Diablaiocht faceva segretamente parte. Ora tutto il suo odio era riversato contro Diablaiocht e il sistema che rappresentava.
«TU!» Reammon scavalcò il rastone a terra, la bacchetta puntata in avanti. «Tu! Levati quella smorfia soddisfatta dalla faccia!»
Diablaiocht si voltò verso di lui e gli riservò uno sguardo di pura commiserazione. «Ti stai mettendo nei guai, Boenisolius» commentò piatto.
«Non mi importa!» Reammon era fuori di sé. «Prima mi hai portato via il lavoro, ora vuoi portarti via anche mia figlia! Tutto questo è follia, pura follia! Queste leggi sono folli!»
I Tiratori Scelti si accorsero di quel pazzo furioso e sfoderarono immediatamente le loro armi, circondandolo. Reammon non se ne curò. Non gli importava più di nulla, voleva solo far sentire la sua voce, gridare a tutti quanto fosse assurdo quel Censimento, quanto l'Irlanda stesse cadendo in un baratro d'odio e di razzismo. La gente doveva rendersene conto.
«Abbassa la bacchetta o ti faccio arrestare» gli ordinò Diablaiocht, teso. Non voleva che scoppiasse una qualche baruffa tra Tiratori e manifestanti: sarebbe stata una pessima pubblicità per il Governo.
«NO!» gridò Reammon. «Dovete starmi a sentire, tutti quanti!» Si rivolse verso la folla di sostenitori del Governo. «Questa legge è una pura follia! State legittimando un Governo razzista solo perché avete paura di chissà quale attacco. Questi maghi e streghe che state costringendo ad un censimento barbaro e disumano sono cittadini irlandesi come voi! E la nostra Costituzione vieta che qualcuno sia discriminato per le sue origini!»
«Stai zitto!» urlò qualcuno dalla folla.
«Fai schifo!»
«Lurido sasanachfuil!»
«Sei un sostenitore dei Mangiamorte!»
Altre grida si levarono verso il cielo, qualcuno tirò fuori la bacchetta, il rastone e i suoi compagni si prepararono a tirare pietre contro i manifestanti, mentre i Tiratori Scelti tentarono insieme di proteggere Diablaiocht e di impedire che si scatenasse il peggio.
«Boenisolius, abbassa quella bacchetta!» latrò Diablaiocht, da qualche parte alle sue spalle.
Reammon strinse la presa sulla sua arma. Non aveva intenzione di cedere, dimostrando così che non era disposto a combattere per difendere le proprie idee. Proprio in quel momento, qualcuno si materializzò in mezzo al gruppo. Reammon ci impiegò parecchi secondi a realizzare chi fosse: ampia stempiatura e mantello da mago di un improponibile color malva scuro. Suo padre Aaron.
«Questa stupida baruffa è finita.» Il suo tono non era mai stato così deciso. Di solito era la moglie Josephine che faceva rispettare le regole in casa, mentre Aaron se ne stava tranquillo a fumare la pipa davanti al caminetto, quasi messo da parte dall'ingombrante carattere di Joey. Quella volta, invece, ebbe l'incredibile effetto di congelare la situazione. Forse perché nessuno si aspettava l'energica comparsa di un vecchietto con gli occhiali di corno che mettesse tutti a tacere.
«Reammon, andiamo via.» Nessuno si oppose a quell'ordine, né i sostenitori del Governo che volevano gambizzarlo, né i Tiratori Scelti che l'avrebbero voluto arrestare. Aaron si voltò verso il figlio tra il silenzio generale, lo afferrò per un braccio e si smaterializzò.

Edmund si catapultò fuori dalla sala comune dei Raloi per andare incontro a Mairead. Aveva appena terminato la sua prima lezione di Occlumanzia con la professoressa Sidera O'Elan, quando aveva scoperto, tornando in sala comune, che il Parliamint aveva approvato la legge sul censimento dei Nati Inglesi. Doveva assolutamente parlare con Mairead.
Se la ritrovò di fronte quando raggiunse l'ingresso. Aveva le guance arrossate per il freddo, la sua Nimbus sulla spalla e il volto mesto. «Mairead» la chiamò Edmund, facendosi incontro. «Ho saputo.»
La ragazza alzò le spalle. «Già.»
«Come ti senti?» indagò Edmund, per quanto sapesse che la domanda era piuttosto stupida.
Mairead fece una smorfia. «Sono andata a volare per scaricarmi un po'.»
Edmund capì immediatamente che le parole non sarebbero servite, tanto più che lui era pessimo quando si trattava di consolare la gente, per cui agì d'impulso. Gettò le braccia intorno al collo di Mairead e la strinse in un abbraccio. «Troverò il modo di proteggerti, te lo prometto.»
La ragazza rimase spiazzata per una frazione di secondo, poi ricambiò l'abbraccio. In fin dei conti, quella stretta le infondeva un piacevole tepore; per non parlare del fatto che Edmund profumava di buono. Non se n'era mai accorta.
Quando si separarono, Edmund aveva le gote arrossate per l'imbarazzo. «Scusa» farfugliò.
Mairead gli sorrise. «Non devi affatto scusarti» lo rassicurò. «Mi ha fatto bene un po' di calore.»
Edmund accennò ad un sorriso imbarazzato, quando si accorse di un aeroplanino di carta che planò verso di loro e prese a volteggiare sulla testa della sua amica. Lo indicò perplesso, ancora troppo imbarazzato per proferire parola.
Mairead alzò gli occhi, seguendo il dito di Edmund, finché non individuò l'aeroplano che ronzava sulla sua testa. Lo afferrò con un piccolo salto e lo aprì sotto lo sguardo attento del suo amico. Una grafia minuta e un po' sgraziata aveva steso poche righe, che la invitavano a recarsi presso l'ufficio del preside. Mairead guardò incerta il suo amico. «È un richiamo in presidenza» spiegò.
Edmund spiò il foglietto. «Quella è la scrittura di Captatio» commentò, riconoscendo la grafia. Dopodiché tornò a guardare l'amica e si strinse nelle spalle.
Mairead gli mise la sua Nimbus tra le mani. «Portamela in sala comune, per favore.» Qualsiasi cosa volesse il preside da lei, non era il caso di farlo aspettare. Salutò l'amico e tornò sui suoi passi, verso l'ufficio di Captatio, quando vide uscire dalla Sala Mor Henry, con l'aria sconvolta e preoccupata insieme.
«Ehi...» la salutò funereo. «Il preside mi ha appena convocato.»
«Anche a te?» domandò stupita Mairead.
Henry fu colto di sorpresa. Stava per chiedere qualcosa, quando sopraggiunse Dominique con il fratellino Ismael: entrambi tenevano in mano un aeroplanino di carta.
«Vi ha convocati Captatio?» li anticipò Mairead, mentre venivano raggiunti anche da Samuel, il gemello di Ismael che era finito nei Raloi.
«Come lo sai?» chiese Ismael, sospettoso.
Mairead sventolò il suo aeroplanino. «Abbiamo ricevuto lo stesso invito.»
«Sarà per la legge su Censimento dei Nati Inglesi» arguì Dominique.
E, come al solito, dimostrò di avere ragione. Infatti, nel giro di qualche minuto, circa una quindicina di studenti si era radunata in segreteria, ai piedi della scala a chiocciola che conduceva all'ufficio di Captatio. Mairead riconobbe di vista alcuni che, proprio come lei, avevano un genitore inglese e avevano subito varie angherie da gruppi sanguinisti, durante tutti quegli anni. Altri, però, avevano l'aria di non sapere perché il preside li avesse convocati.
«Ben arrivati.» Il professor Captatio comparve proprio in quel momento sulla cima della scala a chiocciola. «Salite tutti, vi prego.»
Mairead era stata poche volte nell'ufficio del preside, ma era certa che il mago vi avesse applicato un qualche incantesimo per renderlo più grande, altrimenti non ci sarebbero mai stati tutti. Anche perché lo studio era affollato e caotico esattamente come Mairead se lo ricordava. I ragazzi presero posto sulle sedie che Captatio aveva predisposto per loro e osservarono il preside con aria perplessa.
«Immagino che sappiate tutti il motivo per cui vi ho convocati.» Il tono del preside era mortalmente serio: era raro che l'allegro Captatio usasse quel tono. Il mago lo squadrò con attenzione uno a uno. «Oggi il Parlamento ha approvato la legge sul Censimento dei Nati Inglesi. Hanno intenzione di registrare le vostre bacchette magiche, in modo da venire a sapere ogni volta che compirete una magia.»
Un ragazzo dei Raloi, che doveva essere al terzo o quarto anno, alzò la mano, ma non attese che il professore gli desse la parola. «Signore, io cosa c'entro con tutto questo?» domandò perplesso.
«Un ottavo di sangue inglese» rispose prontamente Captatio. «Questo è stato scelto come metro di giudizio per la classificazione dei cosiddetti “Nati Inglesi”.» Mimò le virgolette intorno alle parole “Nati Inglesi”, per dimostrare quanto ritenesse assurda quella pretesa.
Il ragazzo storse il naso. «Vuole dire che io sono considerato un sasanachfuil per il fatto che mio nonno Sam era Inglese?» chiese incredulo.
Captatio annuì. «Temo di sì, Alan.»
«Ma mio nonno è morto prima che io nascessi!» protestò Alan, con veemenza. «Non l'ho mai conosciuto! Io sono nato e cresciuto qui, sono Irlandese!»
«Per me lo siete tutti, ragazzi miei. Ma non è così che la pensa il Governo.» Il preside sembrava davvero dispiaciuto, come se fosse in qualche modo lui il colpevole della situazione in cui si trovavano.
Mairead si rese conto che non c'erano molte soluzioni, ma forse Captatio non li aveva convocati solo per dire loro quello che era successo. Forse aveva un asso nella manica. «Che cosa possiamo fare?» domandò speranzosa.
Captatio le rivolse un sorriso. «Fin tanto che sarò preside di questa scuola, non un agente del Governo metterà piede al Trinity. Finché resterete qui, sarete al sicuro perché vi proteggerò da questa assurda legge razzista» disse loro con decisione. «Per questo motivo, vi consiglio di organizzarvi in modo da passare a scuola le prossime vacanze di Natale.»
Un brusio si alzò dagli studenti, in particolare da parte dei più giovani, che aspettavano in grazia le vacanze per riabbracciare genitori e parenti, dai quali erano stati lontani per mesi.
«E quando sarà finita la scuola, signore? Che faremo?» domandò tremante una ragazzina dei Llapac.
Per un attimo gli occhi azzurri di Captatio furono attraversati da un barlume di tristezza, ma subito tornò a sorridere. «Per allora avrò trovato una soluzione, ve lo prometto.»
«Per noi non dovete preoccuparvi, signore» intervenne Dominique con sicurezza. «Io e i miei fratelli, in quanto abitanti dell'Ulster, siamo cittadini Inglesi e il Governo irlandese non può obbligarci a fare alcun censimento.»
Captatio annuì. «Molto bene, Dominique. Ma non contate troppo sulla vostra cittadinanza inglese per ritenervi al sicuro.» Il preside li guardò nuovamente uno ad uno. «Se non avete altre domande, siete congedati.»
Mairead sospirò. «Finirà mai, signore?» si sentì chiedere, come se quella voce sconsolata non appartenesse a lei.
Captatio le rivolse un sorriso triste. «Me lo auguro.»
I ragazzi lasciarono la presidenza con il morale a terra. Certo, Captatio aveva promesso loro che, fintanto che fossero rimasti a scuola, sarebbero stati al sicuro dal Censimento, ma non avrebbero potuto evitare il problema per sempre. E quello sembrava solo la punta dell'iceberg di future leggi anche più razziste.
In ingresso si erano radunati alcuni ragazzi del FIE: Edmund, Laughlin, Bearach, Moira, Dedalus e Faonteroy. L'unico allegro era Bearach, ancora eccitato per la partita di sabato scorso in cui aveva afferrato il Boccino con una presa spettacolare e aveva portato i Nagard alla vittoria contro i Llapac.
Moira si fece incontro a Henry e lo strinse in un abbraccio.
«Ehi...» Laughlin mise una mano sulla spalla di Mairead. «Ci saremo sempre noi al vostro fianco.»
La ragazza si concesse un sorriso. «Lo so, Laugh. Non potrei sopravvivere senza le tue battutine idiote.»
Laughlin sfoderò la sua migliore faccia strafottente. «Lo so! Sono incredibilmente indispensabile!»
«E modesto!» replicarono in coro i ragazzi del FIE.
Ogni altra battuta distensiva fu bloccata dall'arrivo in ingresso del terzetto Diablaiocht, Best e O'Hara. L'atmosfera si raggelò all'istante. La Diablaiocht aveva stampato in faccia il sorriso più fastidioso dell'universo. «Mio papà mi ha raccontato quello che è successo stamattina in Piazza del Controllo» buttò lì, piantando i suoi derisori occhi scuri su Mairead.
«Non mi interessa» replicò la ragazza, consapevole che non sarebbe stato nulla di simpatico.
«Dovrebbe.» La Diablaiocht le rifilò un sorrisetto odioso. «Ha a che fare con tuo padre.»
«Lasciala perdere» intervenne Edmund, prendendo Mairead per le spalle e cercando di condurla via.
«La folla l'ha quasi gambizzato!» gridò loro dietro la Diablaiocht, che non voleva per nessuna ragione lasciarsi sfuggire l'occasione di stuzzicare un po' la sua avversaria.
Mairead si bloccò in mezzo all'ingresso. «Cosa hai detto?» sibilò voltandosi.
L'altra sfoderò un sorrisetto malizioso. «Sai, pare che si sia messo a protestare contro la legge sul Censimento e per poco non è stato travolto dalla folla inferocita...» Sembrava quasi che l'idea la divertisse. «A proposito – continuò, – che bel regalino di Natale che ha fatto il Governo a voi sasanachfuil!» In meno di un secondo, una decina di bacchette vennero sfoderate e puntate contro la Diablaiocht.
«Ripeti quello che hai detto» la sfidò Edmund, proteggendo Mairead dietro di sé, come un cavaliere senza macchia e senza paura avrebbe fatto con la sua damigella.

«Che sta succedendo qui?» intervenne la voce imperiosa della professoressa O'Connel. La Diablaiocht le rivolse un sorriso innocente. «Nulla, professoressa.»
I ragazzi del FIE furono costretti ad abbassare le bacchette, mentre osservavano impotenti la Diablaiocht con la O'Hara e Best che li superavano, per recarsi verso i dormitori. Nel passare al fianco di Mairead, la Diablaiocht fece un cenno col capo. «Comunque, buon Natale!»









Buongiorno a tutti!
Scusatemi per questo giorno di ritardo, ma ieri sono stata un po' impegnata e non sono riuscita a preparare il capitolo!
Comunque, la legge sul Censimento è passata all'approvazione. Il clima di razzismo è ormai alle stelle. Da notare che "un ottavo di sangue" (ovvero, almeno un nonno) è lo stesso metro di gidizio utilizzato da Hitler per definire chi fosse ebreo: almeno un nonno ebreo... ogni riferimento è PIÙ che puramente casuale!
Quanto a Reammon, lo so che le scene con lui come protagonista finiscono per essere sempre un po' tragicomiche, ma a parte qualche cosa buffa iniziale (tipo il gufo chiuso in casa o il rastone che fuma), ho cercato di rendere il momento abbastanza tragico. La stupida impulsività di Reammon è il suo marchio Raloi. Mentre la comparsa di papà Aaron era meditata da tempo: insomma, l'adorabile vecchietto ha sempre avuto poco spazio, vista l'ingombranza della moglie, per cui era giusto che fosse dedicata qualche riga anche a lui! *-*
Infine, Captatio terrà i ragazzi al sicuro... almeno fin tanto che sarà preside... oh-oh...!

Ora qualche immagine:
QUI Piazza del Controllo, con il Palazzo del Governo;
QUI un'immaginetta veloce che rappresenta Ailionora, Scipio, Aaron e Reammon;
QUI invece l'immagine del capitolo: l'abbraccio tra Mairead e Edmund! Che cari!

Il prossimo capitolo sarà venerdì 28 novembre!
Alla prossima,
Beatrix B.

   
 
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