16.
Prendersi cura
Si era preso cura di
lei in tutti i modi possibili a lui noti, trattandola con riguardo e
delicatezza.
L’aveva accudita con
attenzione, come avrebbe fatto con una scultura di vetro, tanto fragile da
dovere essere maneggiata con calma.
Perché era quello
che era realmente, qualcosa di estremamente fragile e bisognosa di cure, troppo
preziosa per essere distrutta a causa di una mossa sbagliata. E, quando l’aveva
fatta stendere sul letto, nuda e con la schiena sulle lenzuola bianche, aveva
capito che era davvero estremamente delicata.
Ma non debole.
L’aveva accarezzata
lentamente e le aveva dato tutte le attenzione che non aveva mai concesso a
nessun’ altra.
Perché lei non era
come le altre.
Lei era la sua
piccola lottatrice orgogliosa, bella e dolce, ma con un talento innato per le
battaglie. E, quelle contro di lui, le vinceva sempre.
Come aveva vinto
quella sera quando, con un’ oculata strategia di tentazioni e piccole
suppliche, era riuscita a convincerlo e ad attirarlo fra le sue braccia. Non
che fosse contrario a quel rapporto fisico, dato che era ciò che desiderava con
tutto sé stesso, solo avrebbe voluto farlo con il giusto tempo. A lui non
importava di aspettare, sapeva quanto la desiderava e che prima o poi sarebbe
stata sua, e per lui prima era meglio di poi. Ma, per lei, era pronto a fare
tutto per bene per lasciarle il tempo di cui aveva bisogno per concedersi.
Perché anche quella
forma di rispetto faceva parte dei sentimenti che provava per lei. La
desiderava nella maniera più infima e carnale che avesse mai sperimentato, era
attratto dalla sua dolcezza quanto dalla sua forza, ma c’era altro. La considerava
ancora come una rosa nel deserto da proteggere e da salvaguardare, per lui era
davvero la sua piccola ragazza di cui doveva prendersi cura. Lui era più
grande, ma non vedeva quella differenza d’età come una limitazione. Si sarebbe
occupato di lei, l’avrebbe fatta crescere insieme a lui e non avrebbe permesso
a niente e nessuno di farle del male o di portargliela via.
Perché, anche se in
modi singolari e non tanto evidenti, era stata lei per prima a prendersi cura
di lui.
Lo aveva attratto
come la luce fa con le falene, lo aveva intrappolato in un limbo di sguardi e
desideri repressi e poi lo aveva addomesticato con maestria. Lo aveva preso,
lasciato, attirato, scacciato, aveva dettato le regole pur vestendo i panni del
mite agnellino. Era lui il più forte, era vero, e lei era veramente in sua
balia diverse volte, pronta a lasciarsi guidare e ad obbedire.
Ma lo teneva legato
a sé come se fosse suo.
E lui, per la prima
volta, era pronto ad accettare di appartenere a qualcun altro.
Completamente nudo,
ritrovandosi privo non solo dei suoi vestiti, si era sentito tuttavia forte
quando si era sistemato su di lei. L’aveva guardata negli occhi, si era chinato
a baciarla e aveva intrecciato una mano in quella della ragazza.
Lei era arrossita e
si era irrigidita più volte, alternando momenti di imbarazzo a momenti di
piacere. L’aveva rassicurata, aveva cercato di farla rilassare e l’aveva
guidata verso quell’ esperienza che non aveva mai vissuto. Aveva fatto scorrere
la propria mano sul quel corpo pallido, scivolando sul suo ventre fino alla
parte più intima del suo copro, l’aveva sentita soffocare piccoli gemiti di
dolore ma non si era frenato. Poi era entrato in lei, lentamente. Le aveva
posato un bacio sul collo quando lei aveva gettato la testa all’indietro,
serrando gli occhi, e le aveva posato un dito sulle labbra per indicarle di
mantenere il silenzio quando aveva visto che iniziava a lasciarsi scappare
qualche lacrima. Si era preoccupato lui stesso di asciugare quelle poche
lacrime tamponandole con le sue labbra e aveva baciato, a ogni piccola spinta, quelle
sue labbra serrate, costringendola a schiuderle e ad abbandonarsi totalmente a
lui. E, quando il dolore era passato, si erano persi nella passione e avevano
raggiunto il piacere insieme.
E adesso lei
dormiva.
Mentre Eric, invece,
era perfettamente sveglio.
Era seduto nella sua
metà di letto, schiena al muro. Guardava la spalla scoperta di Aria alzarsi ed
abbassarsi al ritmo del suo respiro, vedeva la sua testa corvina, ma non
riusciva a scorgere altro dato che era rivolta dal lato opposto a lui. Senza
conoscerne realmente il motivo, sentiva un’ondata di calore serrargli la gola,
ma non era passione.
Era rabbia.
Il rancore che si
riscoprì a provare verso quella ragazzina gli fece capire che non poteva più
sopportare di sentirsi debole. La breccia nel suo cuore che Aria aveva creato
lo rendeva fragile e la sua forza, la sua freddezza, ne risentivano. Non era
più disposto a tollerare quella distrazione compromettente che gli sottraeva
tempo prezioso, il tempo per abbondarsi al piacere doveva giungere al termine.
Non c’era nessun legame che lo tenesse realmente incatenato a lei.
Luna, la gatta con
il suo nuovo nome, assegnatole proprio da Aria, si era intrufolata nella stanza
e si era raggomitolata sul letto vicino ai piedi del ragazzo, ronfando tranquillamente.
Ma dovette disturbare il suo sonno quando, dopo aver scostato le coperte, si
alzò in piedi e il gatto rotolò giù miagolando. Eric aggirò il letto mettendosi
con le spalle rivolte alle finestre e abbassò gli occhi su di lei. Aria dormiva
su di un fianco, i pugni raccolti vicino al petto, sotto al mento, e i capelli
tutti in disordine sul cuscino. La guardò, spense ogni voce nella sua testa
sporgendosi verso di lei e, con il dorso di una mano, seguì il profilo del suo
viso. Avrebbe potuto intensificare il tocco e farle dal mano, avrebbe potuto
serrare la mano attorno al suo esile collo e mettere fine alla sua vita.
Avrebbe potuto
liberarsi di lei e porre fine al suo tormento.
Ritrasse la mano ed
intensificò lo sguardo, cercando di analizzarle il viso nella scarsa luce della
stanza.
Era il ghiaccio che
poteva spegnere le fiamme del suo cuore.
Lei era cura, la sua
cura.
-Ti proteggerò io…-
sussurrò.
La luce delle stelle
attraversava le tende e, in quel gioco di luci ed ombre, tornò dalla sua parte
del letto e andò a stendersi al suo posto. Si coprì con la trapunta e si
avvicinò al corpo della ragazza, si mise su di un fianco rivolto verso la
finestra e, con la schiena di Aria ancora addormentata contro il suo petto, gli
mise un braccio attorno ai fianchi e la strinse a sé.
Con i loro respiri
che si fondevano, Eric chiuse gli occhi e si abbandonò ai sogni che, forse per
una notte, non sarebbero stati incubi.
Quando il corpo vicino
a lei scivolò fuori dal letto, Aria si rigirò verso il posto vuoto lasciato dal
ragazzo e si raggomitolò su sé stessa. Poi sentì dei passi e, subito dopo, il
rumore della cordicella che faceva scorrere le pesanti tende ai lati delle
finestre, lasciando il sole del mattino libero di entrare. Quando la luce
illuminò prepotentemente la stanza, infastidendola, si portò la coperta sopra
la testa e mugugnò piano. Sentì qualcuno ridacchiare e poi la porta del bagno
che si apriva per poi richiudersi.
Respirò il profumo
del cuscino di Eric e rimase per qualche altro secondo a godersi il calore
residuo del letto poi, aprì gli occhi. Essendo ancora sotto le lenzuola, si
accorse della macchia rossa che spiccava sul bianco candido, stampata al centro
sul lenzuolo che copriva il materasso.
Scattò seduta e si
tolse le coperte dalla testa, le guance dello stesso colore della macchia sul
letto e il cuore a mille per l’imbarazzo. Si guardò intorno, rossa di vergogna,
e coprì con la trapunta il punto incriminato per non doverlo guardare più.
A distrarla ci pensò
Luna, la gatta nera, che balzò sul fondo del letto in silenzio. Evidentemente
era accucciata per terra, oltre i loro piedi e, percependo il suo risveglio, si
era fatta avanti in cerca di attenzioni. Di fatti la gatta strisciò abilmente
vicino alle sue gambe, dove si rotolò più volte sulla schiena facendo le fusa.
Aria sorrise, si sistemò il lenzuolo sotto le ascelle a coprire il seno
scoperto, e accarezzò il pelo soffice del gatto.
Eric aprì la porta
del bagno in quel momento e, incrociando il suo sguardo, fece un ampio sorriso.
–Buongiorno!- Esclamò malizioso, con un sopracciglio alzato.
Aria deglutì. Aveva
il cuore a mille già per il sorriso di Eric, che mai aveva visto, poi per il suo
saluto arrogante. Eric aveva già fissato all’indietro i ciuffi più lunghi dei
suoi capelli biondo scuro, che creavano
quell’immagine di disordine perfetto. Si accorse che, in realtà, quella di
pettinare all’indietro i capelli, fissandoli con il gel, era un abitudine degli
uomini Eruditi. Ma lui si era rasato i lati della testa e dalla nuca, da
perfetto Intrepido, cosa che un Erudito non avrebbe mai fatto. Come, del resto,
non avrebbe mai avuto la sua fila di addominali.
Era uscito dal bagno
con indosso i suoi pantaloni neri, ma il petto era completamente scoperto, con
i muscoli in bella mostra alla luce del sole. Aria arrossì al pensiero che, la
sera prima, aveva fatto scorrere le sue dita tremanti su di lui e sul suo petto
forte, quando l’aveva sovrastata.
-‘giorno…- biascicò,
guardando da un’ altra parte mentre si portava indietro i capelli con una mano.
Il ragazzo accennò un
sorriso e si avvicinò a lei, camminando verso il suo posto e passando davanti
la porta. Luna saltò giù dal letto e sgattaiolò fuori dalla finestra, ed Aria
non riuscì a fare a meno di pensare che l’istinto del gatto le avesse suggerito
di allontanarsi, non appena aveva sentito l’energia del predatore invadere il
suo spazio.
Peccato che Aria
sapesse benissimo di non avere quella stessa possibilità di fuga.
Eric infatti fece
per sedersi sulla metà di letto in cui aveva dormito, ma Aria, al pensiero
della macchia al centro delle lenzuola, sussultò e cercò di tirare su le
coperte.
-Cosa nascondi?- Le
chiese lui.
Le tolse la mano e
scostò le coperte, piegando poi la testa da un lato quando incrociò la macchia
incriminante.
Mentre Aria si
metteva una mano sulla guancia per coprire l’imbarazzo, Eric rideva.
-Però…- commentò.
–Quasi quasi potrei tenermela lì, per ricordo!-
Il ragazzo si
sedette vicino a lei ad Aria si sentì avvolgere da un suo braccio forte,
percependo tutta la sua energia con cui la incatenava a sé.
-Mi dispiace…-
bisbigliò, coprendosi il volto con entrambe le mani.
Eric le afferrò un
polso e le fece abbassare il braccio. –Sai, ogni mattina viene un’ addetta alle
pulizie, ci penserà lei…-
Ma Aria arrossì
ancora di più.
Il secondo dopo non
ebbe tempo per pensare alla macchia del suo sangue sul letto, poiché Eric, che
ancora le teneva un braccio attorno alle spalle, prese a baciarle sensualmente
il collo e a mordicchiarle l’orecchio.
-Eric?...-
Ma Eric non le
prestò ascoltò, al contrario, si mise sopra di lei facendola stendere, poi le
tolse bruscamente il lenzuolo con cui si copriva e fece scendere la scia dei
suoi baci infuocati lungo la sua clavicola.
-Eric!- Riprovò,
sussultando quando le baciò un seno.
-Cosa c’è?- le chiese
rauco, sollevandosi per lanciarle un’ occhiata provocante. –Ti metto in
imbarazzo?-
Aria avvampò. –Sì!-
-Bè, è un problema
tuo!-
E, senza nessun
contegno, tornò a spostare i suoi baci sempre più in basso, fino ad arrivare
alla pancia. Fortunatamente però, quando la sentì irrigidirsi del tutto, rise e
si fermò.
-Meglio che mi fermi
qui…- Le disse, rimettendosi a sedere con i piedi giù dal letto. –Altrimenti mi
verrà voglia di saltarti addosso ma, dato che non abbiamo tempo, se vorrai
rifarlo dovrai aspettare!-
Aria alzò gli occhi
al cielo, si mise a sedere coprendosi con il lenzuolo e si portò le ginocchi al
petto, appoggiandovi sopra i gomiti.
Tuttavia, mentre
guardava Eric allungare le braccia sopra la testa per tendere i muscoli, non
riuscì a fare a meno di elaborare una serie di pensieri su di lui. Non capiva
come, quella stessa persona, fosse capace di spaventare mezza fazione di giorno
e, di notte, fosse in grado di concedersi attimi di estrema passione e
dolcezza. Quelle mani, in grado di ferire senza pietà, erano le stesse che
l’accarezzavano e che le tenevano il viso mentre la bacia. Forse aveva un’
abilità e il suo atteggiamento da duro era solo una messa in scena, ma sapeva
che non era quella la verità. Lui era davvero spietato a dal cuore di pietra
eppure, in sua compagnia, quegli stessi muscoli che di solito esprimevano
determinazione e ferocia, diventano braccia sicure in cui rifugiarsi.
Non avrebbe dovuto
stupirsi in realtà, d’altro canto anche lei, che solitamente era fredda come il
ghiaccio e cercava costantemente di tenersi alla larga dai contatti troppo
intimi con altre persone, con lui era totalmente diversa. Si apriva come i
petali di un fiore al mattino, perché solo lui sapeva come prenderla. Ogni suo
istinto di difesa crollava, ed Eric arrivava al suo cuore senza che lei avesse
la forza, né la voglia, di opporsi.
Nonostante tutto si
lasciò sfuggire una domanda. -Come ci riesci?-
Eric la guardò e
sollevò le sopracciglia, incuriosito. –A fare cosa?-
Aria abbassò gli
occhi. –Ad essere totalmente un’ altra persona quando sei con me…-
In un primo momento
Aria vide il volto di Eric rabbuiarsi, e il suo sguardo attraversarla con
diffidenza ma poi, cogliendo il vero significato di quella frase, accennò un
sorriso.
Era più un insieme
di malinconia e serenità, più che un sorriso, ma gli angoli delle sue labbra
sottili si curvarono appena all’insù, qual tanto che bastava a farlo passare
davvero per un sorriso.
-Lo faccio per me
stesso…- le spiegò con voce bassa e profonda, mettendole una mano sul viso.
-Per te?- chiese
lei, stringendosi nelle spalle al contatto con la mano calda di Eric sulla sua
guancia.
Eric piegò la testa
da un lato e il suo sguardo si accese. –So che se ti mostrassi il mio lato più
oscuro, ti perderei. Perciò ti mostro solo quello che vale la pena di vedere…-
Aria sentì il cuore
infuocarsi e le sua labbra si schiusero. Guardò Eric negli occhi e prese tra la
sue la mano del ragazzo, ancora sulla sua guancia, per portarsela sulle gambe,
poi abbassò gli occhi.
-Ho fatto una
scelta, e ho scelto quello che per me era più importante…- Le disse, liberando
la sua mano da quelle di Aria, per sollevarle il mento affinché lo guardasse
negli occhi.
Nel ricambiare il
suo sguardo, un mite sorriso le comparve fra le labbra. –So chi sei Eric, non
dare per scontato che se vedessi tutto di te me ne andrei, perché non sarà così!-
Eric fece una risata
strana, totalmente priva di gioia. Poi scosse la testa e si passò la lingua
sulle labbra. –Lo vedremo…-
Si voltò verso di
lei e le mise una mano dietro le nuca in modo che le loro fronti fossero una
contro l’altra, quando le si avvicinò ad un palmo dal viso. –Ricordati quello
che hai detto…- le sussurrò soffiandole sulle labbra. –Perché ne avrò bisogno
in futuro.-
Raggiunse di corsa
la mensa e superò il tavolo alla quale sedeva di solito, raggiungendo la
ragazza bionda in fila per il dolce. La presa da un polso e la trascinò fuori
dalla sala, verso un corridoio più tranquillo.
-Posso sapere che
stai facendo?- Protestò Sasha, con voce fredda.
Aria la ignorò,
continuò a trascinarla fino a quando non raggiunsero un punto che ritenne
adatto. La lasciò andare e si voltò verso di lei, guardandola negli occhi.
Era stato Eric a
darle l’intuizione che le permettesse di capire come riappacificarsi con la sua
amica, se lui riusciva a mettere da parte sé stesso per comportarsi meglio solo
per non perderla, perché ci teneva davvero, allora sarebbe riuscita a fare lo
stesso per Sasha.
Avrebbe messo da
parte l’orgoglio e, come Eric, avrebbe scelto ciò che per lei era veramente
importante. Le sue abitudini e il suo carattere non lo erano, l’amicizia con
Sasha sì.
Prese un profondo
respiro. –Sono un’ idiota, okay? Ho passato la mia vita a non fidarmi delle
persone, perché ero diversa e non sapevo cosa avrebbero pensato di me. Così ho
sempre pensato che era meglio stare da sola, anche adesso non riesco a
confidarmi con nessuno e non so come ci si comporti con un’amica, perché non ne
ho mai avuto una!- fece una pausa e prese un altro respiro. –Ma tu sei la migliore
amica che potesse capitarmi, e ti ringrazio per quello che fai per me. La tua
amicizia per me è veramente importante, non voglio perderti, perciò ti prego di
perdonarmi. Ho sbagliato a non fidarmi di te e a trattarti male, non lo farò
mai più…-
Sasha mosse appena
la testa ma non disse nulla, però continuò a guardarla con attenzione.
Aria abbassò la
testa, strinse i pugni e, quando sollevò lo sguardo, tornò a guardare la sua
amica. –Io ti voglio davvero bene e ti prego di perdonarmi perché sei la migliore
amica che ho, e voglio che sia ancora così!-
Le labbra di Sasha
si arricciarono in un sorriso, che via via si ampliò, poi fece un cenno con la
testa e fece per andarsene.
Era felice del fatto
che avesse accettato le sue scuse, ma Aria pensò ancora ad Eric. Inoltre, era
tempo di chiudere con la sua vecchia vita e con le sue vecchie paure.
Inseguì Sasha e gli
si lanciò al collo poco prima che le desse completamente le spalle,
ritrovandosi stretta alla sua spalla.
La bionda, guardando
la testa scura di Aria nascondersi sul suo braccio, rise. –Addirittura?-
chiese, stretta ancora dall’amica. –Se arrivi addirittura ad abbracciarmi,
allora devo proprio perdonarti!-
Eric camminava per
il corridoio perennemente al buio che portava alla camere dei capi e dei membri
più importanti della fazione, era assorto nei suoi pensieri e particolarmente
di cattivo umore. Erano arrivati altri ordini dal quartier generale degli
Eruditi, ovviamente segretissimi, e solo il pensiero gli faceva venire il mal
di testa.
Aveva cercato Aria
per tutta la residenza, era andato persino al poligono, ma non l’aveva vista
per l’intera giornata. Non aveva bisogno di lei per calmarsi, ma almeno avrebbe
voluto vederla dopo la notte precedente e, il pensiero che lei fosse chissà
dove senza essersi preoccupata di farsi trovare, gli dava un certo fastidio.
Svoltò l’angolo che
portava alla sua camera con la mascella serrata e, quando la vide, quasi
sussultò. Tanto per cominciare non si aspettava di trovare qualcuno in
quell’angolo buio in cui nessuno andava mai, dato che portava unicamente alla
sua porta, perciò vedere quella figura seduta per terra al buio, lo colse
sicuramente di sorpresa. E poi, si trattava di Aria.
La studiò lasciando
che gli angoli della sua bocci si sollevassero in una smorfia, era tutto il
giorno che la cercava e se la ritrovava seduta davanti alla sua porta. La cosa
avrebbe dovuto fargli piacere, ma la giornata era stata troppo pessima perché
ragionasse in maniera lucida.
-Cosa diamine ci fai
qui?- Bisbigliò per non farsi sentire, ma era chiaramente adirato.
Aria si strinse
nelle spalle e abbassò la testa.
Eric alzò gli occhi
al cielo, ci mancava solo la versione debole di Aria. –Cosa ti passa per la
testa, venire qui da sola? E poi cosa fai ferma lì seduta, potrebbero vederti!-
Non aveva tempo per
capire per quale ragione la ragazza fosse stata irrintracciabile per tutto il
giorno per poi attenderlo davanti alla sua camera, con il rischio che qualcuno
li scoprisse, ma la faccenda non gli piaceva per niente.
Poi la parte del suo
cervello tornò vigile e lo portò ad osservare meglio la ragazza, cogliendo il
tremore lieve delle sue braccia. Era seduta con la schiena contro la parete, le
ginocchia al petto e le braccia strette attorno alle gambe, teneva la testa
bassa e il suo sguardo era assente.
Mettendo insieme i
pezzi del puzzle che aveva davanti, Eric si ricordò che quello era il primo
giorno del secondo modulo d’addestramento, ovvero il giorno a cui agli iniziati
veniva iniettato per la prima volta il siero di simulazione per vedere come
reagivano alle loro peggiori paure.
E, in molti, non
reagivano. Per giunta, la prima volta era sempre la peggiore.
Sospirò e si passò
una mano fra i capelli, mentre si guardava intorno e controllava che non ci
fosse nessuno nel corridoio precedente. Guardò Aria, ancora seduta per terra,
stretta nelle spalle e con le labbra serrate.
-È stato così
terribile?- Indagò, guardandola dall’alto.
E Aria si mosse,
ebbe un sussulto con il quale gli segnalò che aveva colto perfettamente il
significato della sua domanda, poi lo trapassò con un’ occhiata profonda ma
spenta. I suoi occhi scuri erano lucidi e tremanti, ma estremamente seri.
Eric serrò la
mascella e alzò un’ ultima volta gli occhi al cielo, prima di sospirare.
Estrasse dalla tasca una chiava e, oltrepassando la ragazza, aprì la porta
della stanza. -Dai entra, prima che ti veda qualcuno…-
Continua…