Serie TV > The Vampire Diaries
Segui la storia  |       
Autore: beagle26    13/11/2014    10 recensioni
Elena: occhi sinceri, energia positiva e un’osservatrice acuta. Ha un passato complicato che ha cercato di affrontare e elaborare a modo suo.
Damon: esuberante, spiritoso, e' cresciuto all'ombra del fratello minore, più remissivo, ma in fondo non gli ha mai invidiato niente... Eccetto Elena.
Elena saprà leggere negli occhi di Damon ma avrà paura di guardarli troppo a fondo.
Damon si avvicinerà a lei, ma questo comporterà un confronto con sé stesso che forse non è pronto ad affrontare.
Due anime solitarie per motivi diversi, attratte una verso l'altra da un'intesa profonda che se da una parte li unisce, dall'altra li porta a respingersi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena, Elena/Stefan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 18 – THINGS LEFT UNSAID
 
 
Then leave me in the rain
Wait until my clothes cling to my frame
Wipe away your tear stains
Thought you said you didn't feel pain
 
Well this is torturous
Electricity between both of us
And this is dangerous
'cause I want you so much
But I hate your guts
***
Poi lasciami sotto la pioggia,
Aspetta che i miei vestiti si aggrappino al mio corpo.
Asciuga le macchie delle tue lacrime
Pensavo mi avessi detto che non provavi dolore.
 
È straziante.
C’è elettricità tra noi due,
Ed è pericoloso
Perché ti voglio come non mai
Ma ti odio con tutta me stessa.
 
Landfill
 
 
Damon
 
Basta un attimo perché l’aria in questa stanza diventi irrespirabile e un sapore amaro mi invada la gola. È quello dei ricordi dolorosi che riaffiorano, identici, incuranti di tutto il tempo passato.  È la sensazione soffocante, impotente, di vivere un dannatissimo déjà-vu.
 
Potrei maledire il karma, ma in realtà è tutto perfettamente nello stile di mio padre, l’ultima persona che mi aspettavo di vedere questa sera. Presentarsi qui e, con un tempismo degno di lui, scegliere il momento più inopportuno per farlo. Oggi – decisamente – non è il mio giorno fortunato.
 
“Come stai Damon?” mi chiede. Freddo, altèro come solo lui sa essere, ma con una punta di malcelato disagio nella voce e nei modi, così insolita che farmela sfuggire è impossibile.
 
Aggrotto le sopracciglia, gli rivolgo un sorriso strafottente. “Vediamo un po’… a parte il fatto che il tuo amico Klaus mi ha scippato la vita per la seconda volta, direi alla grande papà, ti ringrazio.”
 
A me sembra di essere stato perfino divertente, ma Giuseppe non è dello stesso avviso.
Contrae la mascella, irritato, forse persino ferito dai miei soliti modi.
Non mi stupisco. La mia ironia, dote che certamente non ho ereditato da lui, l’ha sempre infastidito.
 
Mi viene da pensare che stavolta possa essere stato Stefan a convincerlo a venire qui, forse con l’idea distorta di lasciarmi un buon ricordo di casa, o peggio, la falsa speranza che il tutto possa concludersi con una bella pacca sulla spalla e un commovente discorso padre figlio sul senso della vita.
Non è così che andrà, ma mio fratello non riesce proprio a reprimere la sua dannata ingenuità quando c’è di mezzo Giuseppe. Osservo il loro dialogo silenzioso, la muta preghiera di Stefan che lo implora di essere paziente e non sputtanare tutto con una lite proprio oggi.
 
“Dobbiamo parlare.” dice nostro padre, di nuovo rivolto a me.
 
Ci risiamo. Altra frase sentita e risentita, che non è mai, e dico mai, il preludio a qualcosa di positivo.
 
“Sai che c’è? Per questa volta preferirei saltare la parte in cui mi spieghi quanto ti ho deluso. E anche quella in cui mi offri il tuo aiuto, perché non ho intenzione di accettarlo. Stavolta scelgo di fare a modo mio. Quindi se non ti dispiace…”
 
Lui fa per rispondere, ma prima che possa parlare è Stefan ad intervenire.
 
“Solo un minuto Damon. Da soli.”
 
Entrambi ci voltiamo verso Elena, che si abbraccia i gomiti schiacciata contro la parete vicino alla porta spalancata, nuovamente in bilico tra l’andare e il restare.
Ha gli occhi fissi nei miei e sono pieni di domande. Non so se è per quello che mi ha detto prima che fossimo interrotti o per lo stupore di trovarsi nel bel mezzo di questa patetica rimpatriata.
Nel suo viso teso leggo un’incertezza e una fragilità disarmanti, ma nonostante tutto non fa un passo. Magari sta aspettando che sia io a chiederle di andarsene e io credo di doverlo fare, anche se so di non volerlo veramente. Forse dovrei perfino ringraziarlo, Giuseppe. Ritrovarmelo qui mi ha ricordato tutti i motivi per cui non devo cedere a quello sguardo di Elena, capace di rendermi debole più di qualsiasi altra cosa.
 
“Per favore Damon. Fidati di me.”
 
C’è un non so che nell’insistenza di mio fratello. Forse sono le parole che usa, o il tono in cui le dice. Forse solo la consapevolezza di dovergli qualcosa, non importa quanto poco senso ci sia nella sua richiesta.
Mi dico che sì, posso farlo.
È chiaro che protesterò un po’, magari mi sforzerò per qualche secondo di sopportare le accuse di Giuseppe, lo aggredirò sottilmente con le mie provocazioni.
Stef rimarrà deluso per l’ennesima volta ma almeno, mi dico, non potrà accusarmi di non averci provato.
 
“Ok, ok…Hai vinto.” rispondo, roteando gli occhi “Dammi solo un momento.” aggiungo, rivolgendomi per l’ultima volta alla figura esile in fondo alla stanza.
 
 
Elena
 
Sento il rumore della porta che, lentamente, viene richiusa alle mie spalle.
Non voglio voltarmi.
Rimango concentrata sul viavai di macchine nel parcheggio sotto di noi, che fanno scricchiolare il ghiaino riempiendo di suoni distanti un silenzio che non vorrei poter sentire.
 
E invece è proprio qui. Nitido, palpabile come polvere, mentre si deposita nella distanza fra di noi e la rende più tangibile che mai.
Mi aggrappo alla balaustra, mi sforzo di non contare i secondi mentre attendo che Damon dica qualcosa. Qualunque cosa.
Proprio come una ragazzina sciocca, dopo avergli detto che sono innamorata di lui penso di meritare un po’ di più dei suoi occhi che mi scavano dentro.
Perché li sento lo stesso, dietro le mie spalle, anche se non posso vederli.
Li sento come tutto quello che lui non dice, ma che so che sta pensando con tutta la forza della sua testardaggine: che siamo sbagliati, soprattutto che lui è quello sbagliato per me.
 
 
Come se fosse semplice, come se non avessi provato a levarmelo dalla testa, come se accettare che lui mi fosse entrato nel sangue, sotto la pelle non avesse significato rimettere in discussione tutto, tutta me stessa.
 
Mi giro verso di lui, stanca di quell’attesa frustrante.
Lo trovo appoggiato con una spalla allo stipite, le braccia serrate contro il petto come se volesse creare una barriera anche fisica fra di noi.
 
So di avere la delusione marchiata negli occhi, ma lui sembra essere impermeabile a qualsiasi emozione.
Riesco a distinguere chiaro nel suo sguardo duro e asettico il senso di sconfitta per quello che sarà domani. Pesa nella gola. È come un nodo allo stomaco, una voce nella testa che gli urla che quello che abbiamo non basta e questa cosa fra di noi non funzionerà mai.
Magari ha ragione.
Magari non saremo mai in grado di tenerci insieme, avere una vita normale se ogni volta dobbiamo ritrovarci sull’orlo di un precipizio e lottare con le unghie e con i denti per non annegare per poi arrenderci a quello che proviamo. Quell’amore sporco e imperfetto che ci consuma.
 
“Credo che adesso dovresti andartene.”
 
“Tutto qui? È solo questo che mi devi dire?”
 
Annuisce, gelido. “Chiederò ad Enzo di accompagnarti, non mi va che torni da sola.”
 
“A questo punto credo che la cosa non ti riguardi.”
 
Il tono è brusco, ma meno di quanto vorrei.
La ragazzina respinta è lì che scalpita per venire in superficie.
Aspetto, ancora, che lui dica o faccia qualcosa per fermarmi, ma lui non dice e non fa proprio niente. La sua fredda ostinazione raggiunge il bersaglio, precisa.
Sono costretta a voltarmi verso le scale, aspettando che mi trattenga o mi faccia andare via.
Esito appena un po’ quando appoggio il piede sul primo gradino, qualcosa dentro di me esplode in mille pezzi e fa dannatamente male, più di qualunque ferita fisica io mi porti addosso.
 
“Come vuoi.” concludo, allontanandomi in silenzio.
 
Poi, una presa salda mi afferra per il braccio, impedendomi di proseguire o anche solo di respirare. Sollevo il viso e Damon è ad un soffio da me. Di nuovo.
Il cuore si restringe e io devo lottare con tutta me stessa per non cedere alle mie debolezze,  all’istinto di premere le labbra sulle sue, riempire quel vuoto bruciante che sento dentro al pensiero che lui mi lasci andare sul serio, fargli ammettere che quello che c’è tra di noi è maledettamente reale, e non voglio permettergli di dimenticarlo così facilmente.
 
Lo sento, lo so che si sta raccontando una bugia.
Vero che è una bugia? Dimmelo!
 
“Perché vuoi costringermi a dirti qualcosa che hai già sentito, Elena? Qualcosa che già sai.”
 
La sua mano stringe il mio braccio fino a farmi quasi male.
 
“Non voglio costringerti a fare proprio niente. Vorrei solo che tu non rovinassi tutto solo perché sei convinto di non meritartelo. Solo perché sei così testardo, così stupido da volermi regalare  a tutti i costi una vita che non mi assomiglia più.”
 
Le sue pupille dilatate dalla rabbia e dalla frustrazione tremano in modo impercettibile quando lascia poco a poco la presa sul mio braccio e lo sfiora appena.
 
“Adesso vai.” dice, voltandosi senza più guardarmi per poi infilare la porta e sbatterla dietro le sue spalle.
 
“Grazie per avermi tirata fuori dal buio.” rispondo all’aria, a lui che non può più sentire.
E no, non sto parlando del coma.
Scendo i gradini e spero ancora che mi raggiunga, mentre l’amore che provo per lui si mescola ancora una volta all’odio.
 
 
Damon
 
Stefan cammina su e giù per la stanza mentre si numera le sulle mani, una alla volta, le attività che la famiglia Mikaelson ha potuto liberamente compiere grazie all’omertà e alla collaborazione di nostro padre.
 
“Frode, riciclaggio di denaro, conti bancari aperti da terzi e utilizzati in modo illecito per movimentare il denaro. Una serie di operazioni illegali che farebbero impallidire qualsiasi giudice.”
 
Un tassello alla volta, tutto torna al proprio posto.
Lo stile di vita della nostra famiglia, eccessivamente agiato per l’incarico ricoperto da Giuseppe.
La punizione fin troppo leggera per quello che ho fatto a Kol.
L’entusiasmo di Stefan nell’entrare a far parte di quel mondo che si è rapidamente trasformato in rifiuto quando si è reso conto del risvolto della medaglia.
La sua fuga, la sua aggressività così non da lui.
Adesso capisco che era soltanto deluso dall’uomo che aveva sempre preso come esempio, la persona a cui voleva assomigliare e che altro non è che un povero burattino al servizio di quella dannata famiglia e delle apparenze.
 
Stefan ha trovato un modo per tirarsene fuori. Troppo ingenuo per aver pensato che glielo avrebbero permesso così, senza battere ciglio.
E poi ci sono io, col mio carattere del cazzo che è diventato un espediente per Klaus per convincere Stef che avrebbe fatto meglio a tornare sui suoi passi.
Klaus ha pensato che Giuseppe ci fosse troppo dentro, che non avrebbe mai detto una parola sui suoi piccoli segreti, ma non aveva fatto i conti con l’ostinazione di mio fratello.
Nemmeno io a dire il vero.
 
Nostro padre se ne sta alla finestra, con lo sguardo perso nella confusione della baia.
 
“Chissà perché non mi stupisco.” dico alle sue spalle ricurve. “Ho passato la vita a vederti nascondere lo sporco sotto il tappeto. Avrei dovuto immaginarlo.”
 
Lui si volta in un moto di rabbia che non fa che accentuare il mio disgusto.
 
“Ti piace la tua casa Damon? E tutte le opportunità che ti ho dato, ma che non hai mai voluto cogliere? L’ho fatto anche per voi.”
 
Se non fossi così nauseato probabilmente mi verrebbe perfino da ridere.
In effetti mi sfugge un mezzo sorriso amaro, mentre penso a tutte le volte in cui mi ha fatto sentire inadeguato, non all’altezza della sua cosiddetta morale. Quando mi ha spedito lontano da casa per sei mesi senza battere ciglio. Forse anche allora ha creduto di farmi del bene.
 
“Fai una bella cosa papà, la prossima volta che ti viene in mente di fare qualcosa per me, risparmiatelo. Anzi, sai che ti dico? Nessuno ti costringe a denunciare Klaus. Non è detto che funzioni, quindi non farlo.”
 
“Se non lo farà lui, lo farò io.” interviene Stefan. Mi scopro a pensare che vorrei avere un po’ della sua determinazione in questo momento.
Con un cenno del capo lo invito ad uscire. Lui fa quello che gli dico senza aggiungere una parola e un secondo dopo ci ritroviamo fuori e mi richiudo la porta alle spalle.
Ho bisogno di parlargli lucidamente, senza che entrambi ci lasciamo sopraffare dalla presenza scomoda di Giuseppe, che ha già influenzato fin troppo il nostro rapporto in questi anni.
 
Quando ritrovo lo sguardo di Stefan, non è alterato da nessun segno di cedimento.
 
“Ora si che ci vorrebbe qualcosa di forte, non credi? Quel coglione di Ric non mi ha lasciato un bel niente da bere. Che stronzo.” esclamo in un mezzo sorriso, tanto per provare a sdrammatizzare il momento, ma consapevole che ci vuole ben di più di una battuta del cazzo per tirare fuori Stefan dal castello di bugie con cui deve convivere da troppi mesi.
 
“Ok, senti Stef, non sei obbligato a farlo. Voglio dire, potrebbe non servire a niente per la mia situazione. Sono stato un coglione, e me lo merito non c’è altro da dire. Quindi ti ringrazio per il tentativo, ma no grazie. Finirai per incasinare tuo padre, magari per perderlo. E io lo so quanto lui significhi per te quindi… non farlo.”
 
Stefan sorride amaramente. “Sai che c’è? A volte sei più testardo di lui. Non vuoi proprio capire? L’ho già perso, Damon e adesso non voglio perdere anche te. Perciò piantala di fare l’eroe, lo sai benissimo che non è il tuo ruolo quello.”
 
Poi appoggia una mano sulla mia spalla e la stringe appena, prima di scendere le scale e lasciarsi inghiottire dal buio sempre più fitto del parcheggio ormai deserto.
Seguo la scia dei suoi passi. Ho bisogno di un attimo, forse qualcosa in più perché le sue parole si imprimano con chiarezza nella mia mente.
Magari non funziona. Continuo a ripetermelo, sperando che alla fine quelle tre parole diventino  una scusa sufficiente per farmi restare qui, ad aspettare che arrivi domani e tutto quello che porterà.
 
 
Elena
 
Giro la chiave e spingo la porta, ritrovandomi sola nel mio appartamento. Tutto è avvolto da un silenzio quasi irreale, spezzato soltanto dal ronzio familiare del mio vecchio frigorifero.
Dovrei farlo riparare prima o poi, appunto mentalmente.
Allungo un dito sull’interruttore, poi lo ritraggo in fretta, quasi spaventata.
 
Non vengo qui dal giorno dell’incidente, me ne rendo conto solo adesso.
L’ultima notte che ho passato qui dentro, Damon era con me.
Ho paura. Paura di accendere quella dannata luce e ritrovare per sbaglio qualche frammento di noi due incastrato da qualche parte.
Magari tra le coperte del mio letto o nelle tazze ancora sporche di caffè nel lavandino.
Nelle foto che non abbiamo fatto, nei film che non abbiamo visto, nei ricordi che non ci siamo costruiti.
Proprio così.
Non ci siamo costruiti niente, perché quello che avevamo lo abbiamo sentito subito.
 
È sempre stato lì, immediato, prepotente, impossibile da ignorare.
 
Non c’è nulla di tangibile. Nemmeno un ricordo normale.
Allora perché c’è così tanto da dimenticare?
 
 
“Non mi hai ancora detto quella cosa.”
 
“Quale cosa?”  
 
Damon mi risponde distratto, continuando a schiacciare tasti a caso sul suo telefono nel vano tentativo di riuscire a memorizzare il numero di Caroline. Cerco di ignorare quella sensazione fastidiosa e inopportuna che la situazione mi provoca, virando il discorso su un altro terreno.
 
“Quello che voglio. Sono curiosa.” chiedo, riferendomi al nostro primo incontro alla stazione di servizio. Avrei dovuto dimenticare, continuo a ripetermelo. Ma non l’ho fatto. Quella domanda, quel suo modo saccente di pormela, hanno continuato ad affiorare nei miei pensieri per tutti questi mesi.
Lui stacca gli occhi dal telefono, un che di sorpreso nella sua espressione sempre così sicura che non fa altro che mandarmi in crisi.
 
Non avrei dovuto chiederglielo. Proprio no.
Non avrei dovuto dargli la soddisfazione di fargli capire che ci ho pensato.
Sono già pentita, ma ormai è troppo tardi.
 
Imbarazzata mi avvolgo una ciocca di capelli tra le dita, sforzandomi di sostenere il suo sguardo indagatore e di nascondere il mio desiderio di una risposta.
 
“Tu vuoi un amore che ti consumi. Vuoi passione, avventura e anche un po' di pericolo…”
 
Ci rifletto per qualche istante, giungendo alla conclusione che solo un presuntuoso come lui avrebbe potuto rifilarmi una tale battuta da rimorchio e sperare che io ci cascassi.
Non importa quanto quelle parole, tra le sue labbra, suonino come una promessa.
 
“Con me non attacca Damon.” rispondo, ridendo ancora prima di scendere dall’auto e correre via, lasciandomi alle spalle tutti quei pensieri.
 
 
Sono ancora al buio quando mi accorgo della scia calda e bagnata che quel ricordo – uno dei tanti che devo resettare – ha lasciato sulla mia guancia, insieme alla consapevolezza che noi, così sbagliati, così imperfetti, non abbiamo bisogno di quei dannati ricordi normali.
Che Damon ha sempre avuto ragione su di me.
Solo che io non volevo ammetterlo, non volevo che si facesse spazio dentro di me.
Sospiro, premo le mani contro gli occhi ormai gonfi di lacrime.
 
È troppo tardi.
 
Continuo a ripetermelo, senza tuttavia trovare la forza di alzarmi dal pavimento freddo su cui mi sono lasciata scivolare e iniziare in qualche modo a fare quello che mi sono ripromessa. Lasciarlo andare, smettere di farmi infettare da quello che provo per lui.
Rimango lì per un tempo interminabile.
 
Poi un fruscio ovattato mi arriva da dietro la porta chiusa.
 
Istintivamente mi alzo in piedi, appoggiando la mano sana contro la superficie liscia. Resto in ascolto fino a che una voce che non credevo più di poter sentire, si fa strada oltre il legno scuro.
 
“Elena… Elena ci sei?”
 
Indietreggio di un passo.
Non lo vedo, ma è come se il suo sguardo fosse già qui, a trapassarmi le ossa e farmi sentire di nuovo viva.
 
“Cosa ci fai qui? Cos’è cambiato?”
 
“Bella domanda. In effetti, niente. Sono un coglione come prima Elena. E come prima non posso fare a meno di te. Anche se lo vorrei.”
 
 
Damon
 
Magari non funziona.
 
Me lo sono ripetuto mille volte ancora, mentre bruciavo la strada per arrivare fin qui. L’aria mi sembrava un po’ più rarefatta, mentre attraversavo una San Francisco illuminata appena dai raggi di un nuovo giorno.
 
Domani è già oggi, e io non ho la più pallida idea di cosa succederà.
 
Non so se l’idea di Stefan potrà mai funzionare.
Non so che ne sarà della mia famiglia, tantomeno di me.
Non so se sarò mai capace di smettere di navigare a vista e iniziare una buona volta a fare qualche progetto per quel futuro che ho immaginato con lei. So solo che lei è la variabile che fa la differenza in quella che ho sempre considerato una strada senza via d'uscita.
Lei che è dietro la porta, perché la sento. È lì, così vicina, così difficile da recuperare.
 
È una follia.
 
Ma sarebbe ancora più folle rinunciare.
 
E adesso vorrei solo poterla toccare, sentirla sulla mia pelle ancora una volta. Non importa se sarà la prima di tante altre o l’ultima.
 
“Apri questa porta, Elena. Per favore.”
 
Forse mi manderà a fanculo per sempre, anche se spero che non lo faccia.
Anche se al momento, non ho niente da prometterle, niente da offrirle se non le parole non dette che sono rimaste in sospeso su quel balcone.
È poco, ma maledettamente reale.
 
Qualcosa striscia oltre la porta.
Rimango in ascolto, con la paura di sentire il rumore dei suoi passi che si allontanano.
Poi un altro suono.
La chiave che gira, la serratura che scatta.
Elena è lì, con i suoi occhi incerti che si incastrano disperatamente dentro i miei.
Ancora una volta.
 
 
 
*********
Ok, sono pronta al lancio di pomodori.
Finisce proprio così… un po’ in sospeso. Il titolo era premonitore.
Niente minipony che pascolano, lascio tutto un po’ alla vostra immaginazione.
Non ci posso fare niente, questa storia è nata così, proseguita così e finisce così: facendo tutto quello che vuole lei e ribellandosi alle mie idee.
Ringrazio chi ha inventato quella porta che mi ha aiutata sul finale… e poi ringrazio tutte voi, chi ha aggiunto la storia alle varie liste, chi l’ha letta in silenzio, chi anche solo una volta ha trovato la voglia di commentarla e chi a un certo punto non ne poteva più e ha detto basta!!
Soprattutto quelle anime splendide che mi hanno sempre dato sostegno e parole meravigliose, anche al di là dei semplici commenti, dandomi la forza di non cancellare la storia le 15.000 volte che avrei voluto farlo, con le quali si è instaurato quel qualcosa di più. Voi sapete chi siete… grazie, con tutto il cuore. Solo per merito vostro oggi posso spuntare la casellina “completa”.
 
In alto al capitolo, la sua colonna sonora. Mentre qui ciò che ha ispirato tutta la storia.
 
Ora, dovrei sparire. Aspettate ad aprire lo champagne.
Miss incoerenza qui, potrebbe scrivere ancora di questi due, aprendovi una finestrella sul loro futuro se, e solo se, salterà fuori qualcosa di abbastanza decente da essere letto.
Quindi, se avete voglia, stay tuned… anche perché potrei avere la malaugurata idea di scrivere ancora (in generale, dico).
 
Sono imbarazzatissima e preoccupatissima per questo finale, lo ammetto, forse per questo sto facendo la pagliaccia più del solito.
 
Mi ritiro che è meglio.
Con amore e tanta, tanta gratitudine.
Vostra, Chiara
  
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Vampire Diaries / Vai alla pagina dell'autore: beagle26