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Autore: StephEnKing1985    16/11/2014    3 recensioni
Inghilterra, primi del '900. Louis Tomlinson è un giovane professore d'inglese, che viene chiamato ad insegnare in un prestigioso college maschile poco fuori Londra. Da subito dovrà fare i conti con colleghi anziani un po' troppo altezzosi, e con ragazzi sottomessi che vivono nel terrore degli altri insegnanti. Un giorno assiste per caso a un tentativo di suicidio di un ragazzo che beve della soda caustica. Ogni indizio porta a concludere che il ragazzo soffrisse di un esaurimento nervoso, ma diversi fatti ed elementi fanno supporre a Louis che ci siano altre e più terribili spiegazioni al suo gesto. Intanto, mentre nell'istituto fa la sua comparsa Harry Styles, un ragazzo taciturno e dal passato oscuro, iniziano a verificarsi strani ed agghiaccianti fenomeni, tutti legati al filo rosso di un incendio che distrusse un'ala dell'edificio una ventina d'anni prima...
Genere: Drammatico, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Niall Horan
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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13.

 

Durante il viaggio di ritorno, sul treno che l’avrebbe riportato a Chestnut Castle, rilesse tutti i nomi che aveva trovato sui giornali posteriori all’edizione del 1890. Come aveva intuito, in quella scuola c’erano stati altri casi di morte per suicidio, e i giornali, seppur con la nota omertà che contraddistinguevano la stampa britannica verso i fatti che coinvolgevano proprietà della Regina, di quegli eventi ne avevano riportato l’essenziale.

Nel 1895, vale a dire cinque anni dopo l’incendio provocato dal suicida Elijah Pickford, era stato trovato in camera sua, suicida con lo stesso modus, il giovane Robert Hayden, di appena diciotto anni.

Ed era uno.

Due anni dopo invece era toccato a Jack Knight, che si era reciso le vene nel bagno del dormitorio, durante una lezione. Lui aveva solo diciassette anni.

Suo coetaneo, ma con modus differente, era stato Thomas Xavier Rice, che si era tolto la vita gettandosi dalla finestra del corridoio del terzo piano. Questo era accaduto tre anni dopo.

Cinque anni dopo invece, era toccato a Gerald Holmes, diciottenne anch’egli, avvelenatosi con la stessa modalità che aveva scelto Sean Cortland: bevendo un composto chimico venefico.

L’anno successivo, durante la notte di Capodanno, era stata la volta del diciottenne Justin Taylor, che si era gettato nella tromba delle scale dal terzo piano.

 Nel 1909 ci fu un mistero nella tragedia. Se tutti i precedenti casi erano stati archiviati dalla polizia come morte per suicidio, questo invece presentava dei coni d’ombra. La vittima, Nathaniel Ellsworth, era stata trovata distesa supina sul bordo del laghetto nel parco dell’Istituto, con la testa immersa nell’acqua. Fin da principio la polizia aveva dubitato che si trattasse di un suicidio, bensì di un omicidio. Il caso Ellsworth quindi non era stato frettolosamente archiviato come suicidio.

E poi, in ultimo, c’era stato il suicidio di Sean Cortland, l’unico al quale Louis aveva assistito direttamente. Stando a quanto aveva scoperto dai giornali dei vari anni, c’erano stati diversi suicidi, cominciando dal 1890, anno in cui scoppiò un tragico incendio con una sola vittima, tal Elijah Pickford.

Nella sua mente cominciarono a insinuarsi delle ipotesi, che andavano dalla semplice fatalità alla preordinazione occulta.

Da bambino aveva sentito spesso storie riguardanti fantasmi che infestavano case e manieri dell’antica Londra. Spesso erano storie romantiche nella loro soprannaturalità, ma altrettanto spesso si trattava di storie che facevano drizzare i capelli sulla testa: ad esempio Louis aveva sentito di quest’ospedale che prima era una prigione dove venivano eseguite condanne a morte, che a sentire i medici, era infestato dagli spettri dei condannati che apparivano di notte, terrorizzando i pazienti. Storie alle quali Louis aveva sempre creduto troppo poco per mancanza di validi elementi probatori. Scrisse una nota sul taccuino: cercare libri di occultismo e di parapsicologia.

Alzò lo sguardo dal taccuino e guardò dal finestrino la campagna inglese immersa nel paesaggio autunnale. Il cielo color piombo annunciava pioggia, ma per il momento non era scesa nemmeno una goccia. C’era solo nebbia. Un gran nebbione che si stava addensando sempre di più.

 

*****

 

Giunto all’Istituto su una carrozza, scese velocemente e pagò quanto dovuto al cocchiere, che ringraziò togliendosi il cappello e tornandosene da dove era venuto.

In quel momento Louis non aveva in mente nulla, solo di andarsene in camera a pensare, quando a un tratto vide un volto che non aveva mai visto prima.

Nell’atrio, seduto su una panca con un libro in mano, c’era un ragazzo. Aveva i capelli ricci e le gambe molto lunghe, accavallate con compostezza mentre leggeva un libro che Louis conosceva fin troppo bene: Anna Karenina, di Lev Tolstoj.

Nel momento in cui si accorse di essere osservato, il ragazzo alzò lo sguardo, incontrando quello di Louis. Gli occhi del ragazzo erano di un blu chiarissimo. Il suo viso era perfetto, così come le sue labbra. In quel momento, Louis ebbe una vampata di calore.

Arrossì violentemente, mentre nel suo cervello ogni tentativo di proferire parola era fallace: troppi pensieri in una volta sola, e troppi di questi non erano consoni a un insegnante nei confronti di uno studente. Così, sfidando l’etichetta che imponeva l’educazione di salutare, prese il corridoio verso il cortile e si avviò velocemente verso i suoi appartamenti.

Fuori, l’aria fresca sembrò riportarlo alla realtà. Quando arrivò al dormitorio, però, trovò un altro ragazzo ad aspettarlo.

- Niall! – esclamò, aprendo la porta a doppio battente – Che cosa ci fai qui? –

Il biondo professore di filosofia prima lo guardò e poi si allontanò verso le scale.

- Vieni – disse – voglio farti vedere una cosa. –

Senza fare domande, Louis si avvicinò alle scale, salendo i gradini lentamente.

Niall stazionava nel corridoio, aspettandolo come un cucciolo aspetta il proprio padrone.

- Dove stai andando? –

Louis salì gli ultimi gradini e Niall entrò in una stanza lì accanto. Doveva essere la sua. Louis si avvicinò a quella porta, e lentamente l’aprì, entrando.

La stanza era immersa nel buio, eccezion fatta per alcuni spiragli di luce che filtravano dalle imposte chiuse. Niall sembrava essere scomparso, ma doveva essere lì da qualche parte.

- Niall? – chiamò Louis, e nel buio vide baluginare la luce di un fiammifero.

Poco dopo apparve Niall che reggeva un lume. Solo che… non aveva più i vestiti.

Il giovane professore di filosofia si era denudato completamente, ed aveva posato il lume sulla scrivania, avvicinandosi sempre di più a Louis.

Louis chiuse la porta tenendo gli occhi fissi su quelli di Niall, pensando che non aveva mai visto creatura più bella.

Niall prese una mano di Louis e se la passò sul petto glabro. La sua pelle era morbida e priva d’imperfezioni, tanto che Louis si eccitò visibilmente.

- Ho paura a dormire da solo questa notte – disse Niall, abbracciando Louis e baciandogli il collo all’altezza dell’orecchio sinistro – Resteresti insieme a me? –

Louis abbracciò a sua volta Niall, accarezzandogli i capelli e combattendo contro la sua mano che voleva toccargli il sedere.

- Sì – rispose soltanto, mentre Niall prendeva la sua mano e se la portava sul sedere, dando modo a Louis di fare ciò che voleva.

 

*****

 

Nel frattempo, chiuso nel suo ufficio, il Preside Umbridge stava aggiornando un libretto… o meglio, un diario. Il diario che Louis aveva visto quando era stato convocato a seguito della figuraccia con il professor Baskerville. Nel caminetto, il fuoco scoppiettava, spandendo nell’aria quell’odore di fumo che tanto piaceva a Umbridge. Posò la penna, rilesse ciò che aveva scritto fino a quel momento e corrugò la fronte, sospirando ampiamente.

Si alzò dalla scrivania e andò verso una credenza che conteneva, fra i libri, un vassoio di liquori. Il vecchio Umbridge non era avvezzo a certi piaceri di bassa moralità, ma ogni tanto gli piaceva concedersi un goccio di Whisky, stanti le sue origini scozzesi. Prese un bicchiere e si versò due dita di liquore.

Il dolce liquido fu una carezza per la sua gola infiammata, ma prima di tutto per la sua mente troppo affaticata, nella quale girava, a ciclo continuo, una sola domanda:

Quanti, ancora?

Camminò verso il caminetto, dove erano posati alcuni oggetti, tra i quali un orologio, una vecchia fotografia incorniciata e dei ninnoli di ottone. Appeso alla parete, in modo da riflettere la luce, c’era uno specchio. Umbridge vi si riflesse, guardandosi bene in faccia. Se l’avessero visto dei suoi colleghi, la prima cosa che gli avrebbero detto sarebbe sicuramente stata: Salve, vecchio mio. Mi permettete di essere insolente? Vorrei dirvi che non avete una bella cera. Vi converrebbe un po’ di riposo, se accettate il mio consiglio.

Rise amaramente. Forse era l’unica cosa fare in una situazione come quella. C’era soltanto da sperare che con Sean Cortland le cose fossero finite lì, almeno per quell’anno.

E poi?

E poi… chissà. Forse avrebbe continuato a insegnare in quell’istituto, oppure si sarebbe dato alla scrittura a tempo pieno. Ah, com’era ardua la scelta, in bilico tra il mollare tutto domani stesso e continuare nella sua opera di reggenza di un istituto, sopportandone i costi e traendone benefici, primo fra tutti quello di formare sempre più nuovi individui capaci di portare avanti il nostro Glorioso paese.

Quella era la sua missione. E l’avrebbe portata a termine, ad ogni costo.

Perso nei suoi pensieri, a un tratto si sentì di non essere più solo nel suo ufficio. Guardò nello specchio, accorgendosi che dietro di lui, di spalle, era presente un ragazzo. Si girò di scatto, ma il ragazzo era ormai scomparso. Senza riflettere, Umbridge afferrò un attizzatoio dal camino, brandendolo come una spada.

- Chi c’è? Venite fuori! – disse, senza troppa convinzione.

Nessuna risposta. Si guardò intorno, con il sudore che stava cominciando a imperlargli la fronte.

Si avvicinò velocemente alla porta, girando il pomello che comandava la chiusura del lucchetto, sprangandosi dentro. Ansimava, mentre cercava di controllare le sue emozioni. Andò all’armadietto dove teneva i liquori, sempre tenendo fisso lo sguardo sulla porta, e si versò altre due dita di Whisky, che ingollò molto velocemente. Il liquore gli bruciò la gola e lo stomaco, ma lo stordì abbastanza da mantenergli viva quel poco di sanità mentale che gli era rimasta.

Barcollando, andò alla finestra, poggiando una mano sul vetro. Vide il suo volto nel riflesso, ma poi questo cambiò e assunse le fattezze di un ragazzo con il viso sfigurato, che gli urlò in faccia.

Umbridge saltò dalla paura, barcollando all’indietro e inciampando sui suoi stessi piedi. Il bicchiere che stringeva nella mano destra andò a versare il suo contenuto sul tappeto, spandendo nell’aria un gradevole odore di Whisky. Umbridge si girò sul fianco, tenendosi le mani sulla zazzera di capelli bianchi, cercando di proteggersi da quelle visioni.

- No… andatevene. Andatevene via! – gemette, tappandosi le orecchie.

Non serviva a nulla.

I ragazzi avevano cominciato a parlare, e Umbridge non sapeva quando avrebbero smesso.

 

 

   
 
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