Presidente Cercasi
Capitolo 1 – Ciò che va e ciò che non va
Capitolo 1 – Ciò che va e ciò che non va
Mi
trovo in una situazione a dir poco schifosa. Per farla breve, domani
viene a trovarmi mia madre.
Cos’ho contro mia madre?
Assolutamente niente, anzi, le voglio un gran bene. Infatti il problema non è lei, ma quel che lei crede. Ovvero che io abbia ancora il mio lavoro da segretaria. Lavoro che, guarda caso, non ho più.
E tutta per colpa del mio capo, il quale ha pensato bene di licenziarmi per poter assumere la biondina da strapazzo con la quale se la faceva tutti i giorni.
Sia ben chiaro: non avevo nulla da ridire sulla sua relazione. Non era sposato, era adulto e vaccinato, pertanto aveva pieno diritto di spassarsela con una donna sexy e longilinea. Almeno, questo lo pensavo finché la suddetta donna sexy e longilinea non è finita seduta alla mia scrivania, lasciandomi con i miei effetti personali impacchettati in mano e le labbra schiuse a sillabare la parola “Licenziamento?”.
Ho già fatto domanda in parecchie aziende, ma praticamente tutti mi hanno riferito di essere tanto, tanto dispiaciuti ma di non aver bisogno di una segretaria. Zero risultati. Ormai è una settimana che faccio avanti e indietro, sentendomi quasi come uno stupido animale che ha perso i suoi padroni e vaga per i quartieri alla ricerca della sua cuccia.
Con un sospiro, abbasso il viso a sgranocchiare di malavoglia lo snack che, allo stesso tempo, è anche il mio pranzo. Ho lo stomaco tutto attorcigliato – l’inattività non mi si addice – e di conseguenza fatico ad ingoiare i bocconi.
Fisso distrattamente le foglie secche che ingombrano il marciapiede, scricchiolando sotto la suola delle mie scarpe.
Finita la merenda, getto la carta nel bidone più vicino, con una mossa rapida del braccio che sa d’insofferenza.
Sto ripetendo mentalmente i punti forti del mio curriculum, quando all’improvviso sbatto contro qualcuno. Lo scontro è talmente inaspettato che il respiro mi si blocca in gola con un sussulto. Inciampo in avanti, ma quel qualcuno mi afferra prontamente, impedendomi di cadere.
Paonazza, perché sono perfettamente consapevole di essere stata io quella distratta, quella che non stava badando minimamente a dove metteva i piedi, farfuglio qualche scusa, poi guardo meglio il soggetto e rimango senza fiato.
Occhi azzurro cielo, ciuffi lilla chiaro che gli ricadono distrattamente sul viso perfetto. Un fisico aitante, ma soprattutto un sorriso ultraterreno.
«Tutto okay?» chiede, con gentilezza, trattenendomi saldamente per le braccia, come se non fosse del tutto sicuro di potersi fidare del mio equilibrio.
«Okay?» rispondo, ma la mia sembra più una domanda che un’affermazione, forse anche per merito dell’espressione smarrita e interrogativa che so di aver stampata in faccia. Cerco di darmi un contegno. «Tutto a posto» dico.
«Bene» commenta lui di rimando, sorridendomi. Con una certa cautela, allenta la presa sulle mie braccia.
Fisso inebetita i suoi occhi cobalto, e quando le sue mani scivolano via dai miei gomiti inizio subito a sentire la mancanza della sua stretta amichevole. In un attimo folle, mi balena in mente il pensiero che non mi importa se non riuscirò a trovare lavoro, mi sarebbe sufficiente rimanere qui a guardare queste iridi intense. Confusa, allontano le mie riflessioni.
Giusto in tempo perché il ragazzo mi faccia cenno con il mento, a mo’ di saluto. «Ci vediamo» aggiunge.
Ci metto un po’ a ricordarmi della mia lingua. «Arrivederci» replico infine, dopo qualche esitazione.
Lui mi sorride un’ultima volta, poi si allontana. Resto imbambolata a guardarlo camminare lungo il marciapiede ad una velocità disinvolta.
Quando scompare dalla mia vista il cuore mi si calma, e solo ora che riprende il suo ritmo normale mi rendo conto di quanto abbia battuto forte.
Istintivamente, ripenso alle parole del ragazzo… Ci vediamo… Magari.
Sorrido fra me, incamminandomi per la mia strada. Per quanto mi dispiaccia, sembra che i miei passi mi portino nella direzione opposta rispetto a quella presa dal giovane.
In ogni modo, però, sembra che come giornata non sia poi tanto brutta.
Cos’ho contro mia madre?
Assolutamente niente, anzi, le voglio un gran bene. Infatti il problema non è lei, ma quel che lei crede. Ovvero che io abbia ancora il mio lavoro da segretaria. Lavoro che, guarda caso, non ho più.
E tutta per colpa del mio capo, il quale ha pensato bene di licenziarmi per poter assumere la biondina da strapazzo con la quale se la faceva tutti i giorni.
Sia ben chiaro: non avevo nulla da ridire sulla sua relazione. Non era sposato, era adulto e vaccinato, pertanto aveva pieno diritto di spassarsela con una donna sexy e longilinea. Almeno, questo lo pensavo finché la suddetta donna sexy e longilinea non è finita seduta alla mia scrivania, lasciandomi con i miei effetti personali impacchettati in mano e le labbra schiuse a sillabare la parola “Licenziamento?”.
Ho già fatto domanda in parecchie aziende, ma praticamente tutti mi hanno riferito di essere tanto, tanto dispiaciuti ma di non aver bisogno di una segretaria. Zero risultati. Ormai è una settimana che faccio avanti e indietro, sentendomi quasi come uno stupido animale che ha perso i suoi padroni e vaga per i quartieri alla ricerca della sua cuccia.
Con un sospiro, abbasso il viso a sgranocchiare di malavoglia lo snack che, allo stesso tempo, è anche il mio pranzo. Ho lo stomaco tutto attorcigliato – l’inattività non mi si addice – e di conseguenza fatico ad ingoiare i bocconi.
Fisso distrattamente le foglie secche che ingombrano il marciapiede, scricchiolando sotto la suola delle mie scarpe.
Finita la merenda, getto la carta nel bidone più vicino, con una mossa rapida del braccio che sa d’insofferenza.
Sto ripetendo mentalmente i punti forti del mio curriculum, quando all’improvviso sbatto contro qualcuno. Lo scontro è talmente inaspettato che il respiro mi si blocca in gola con un sussulto. Inciampo in avanti, ma quel qualcuno mi afferra prontamente, impedendomi di cadere.
Paonazza, perché sono perfettamente consapevole di essere stata io quella distratta, quella che non stava badando minimamente a dove metteva i piedi, farfuglio qualche scusa, poi guardo meglio il soggetto e rimango senza fiato.
Occhi azzurro cielo, ciuffi lilla chiaro che gli ricadono distrattamente sul viso perfetto. Un fisico aitante, ma soprattutto un sorriso ultraterreno.
«Tutto okay?» chiede, con gentilezza, trattenendomi saldamente per le braccia, come se non fosse del tutto sicuro di potersi fidare del mio equilibrio.
«Okay?» rispondo, ma la mia sembra più una domanda che un’affermazione, forse anche per merito dell’espressione smarrita e interrogativa che so di aver stampata in faccia. Cerco di darmi un contegno. «Tutto a posto» dico.
«Bene» commenta lui di rimando, sorridendomi. Con una certa cautela, allenta la presa sulle mie braccia.
Fisso inebetita i suoi occhi cobalto, e quando le sue mani scivolano via dai miei gomiti inizio subito a sentire la mancanza della sua stretta amichevole. In un attimo folle, mi balena in mente il pensiero che non mi importa se non riuscirò a trovare lavoro, mi sarebbe sufficiente rimanere qui a guardare queste iridi intense. Confusa, allontano le mie riflessioni.
Giusto in tempo perché il ragazzo mi faccia cenno con il mento, a mo’ di saluto. «Ci vediamo» aggiunge.
Ci metto un po’ a ricordarmi della mia lingua. «Arrivederci» replico infine, dopo qualche esitazione.
Lui mi sorride un’ultima volta, poi si allontana. Resto imbambolata a guardarlo camminare lungo il marciapiede ad una velocità disinvolta.
Quando scompare dalla mia vista il cuore mi si calma, e solo ora che riprende il suo ritmo normale mi rendo conto di quanto abbia battuto forte.
Istintivamente, ripenso alle parole del ragazzo… Ci vediamo… Magari.
Sorrido fra me, incamminandomi per la mia strada. Per quanto mi dispiaccia, sembra che i miei passi mi portino nella direzione opposta rispetto a quella presa dal giovane.
In ogni modo, però, sembra che come giornata non sia poi tanto brutta.