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Autore: Clairy93    17/11/2014    7 recensioni
[Seguito di “Mi avevano portato via anche la luna”]
Trieste. 1950.
La guerra è terminata ma quella di Vera Bernardis è una battaglia ben più difficile da superare. E’ sopravvissuta all’abominio dei campi di concentramento, è divenuta un’acclamata scrittrice e ora ha una famiglia a cui badare.
Ma in certi momenti quel numero inciso sulla sua carne sembra pulsare ancora e i demoni del suo passato tornano a darle il tormento.
Situazioni inaspettate sconvolgeranno il fragile mondo di Vera ponendo in discussione ogni cosa, anche se stessa.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mi avevano portato via anche la luna'
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Sto per incontrare Massimo.
Ci siamo dati appuntamento in Piazza della Borsa.
Percorro le familiari vie di Trieste, così silenziose e tranquille a quest’ora del pomeriggio.
Le case ai lati della strada appaiono modeste, alcune in dissesto, eppure ognuna è unica a suo modo.
Molte di esse ancora presentano le ferite causate dalla guerra e dai bombardamenti.
Tuttavia è straordinario osservare l’impegno dei triestini, tenaci nel rialzarsi con dignità dalle macerie, per restituire alla nostra città l’immagine del suo illustre passato.
In questo momento, percepisco in modo ancora più intenso il legame con la mia Trieste.
Entrambe, siamo a pezzi.
Stiamo provando a rimetterci in piedi nonostante un dramma devastante sia franato su di noi, inermi ed impreparate.
Ma ci proviamo, a rimetterli insieme questi pezzi. Con fatica, con sacrifici, ma con la speranza un giorno di sentirci più stabili, sicure.
Sovrappensiero, non mi accorgo di aver imboccato proprio il vicolo che mi conduce di fronte alla Caserma Vittorio Emanuele. Solitamente cerco di evitarlo, è un luogo intriso di troppi ricordi perché io vi transiti restando impassibile.
Così tengo il capo chino, fisso sul selciato, e proseguo a passo spedito finché non raggiungo Piazza della Borsa.
Appoggiato alla colonna in pietra che si erge al centro della piazza, scorgo Massimo. Guarda un punto indefinito davanti a sé, mentre accosta alle labbra la sigaretta che regge tra le dita.
Quando mi vede, pare illuminarsi.
Inspira una profonda boccata, getta la sigaretta a terra spegnendola con la suola, e rapido mi raggiunge.
L’imbarazzo che scende su di noi è evidente dal modo impacciato con cui ci salutiamo. Ripensando all’ultima volta in cui ci siamo visti e a quel momento d’intimità che abbiamo condiviso, non riesco a reggere il sorriso raggiante che invece compare sul viso di Massimo.
Inizio a tormentarmi le mani, osservando le righe rosse e verdi incrociarsi sulla sua camicia.
“Ti va di fare quattro passi?” propone Massimo, forse intuendo il mio palese nervosismo.
Io annuisco, sollevata.
Camminare mi consente di non doverlo guardare negli occhi e sentire inevitabilmente le ginocchia vacillare.
Ci inoltriamo in una stradina secondaria, immergendoci nel cuore di Trieste.
L’estate è alle porte.
I balconi e le inferriate delle case si ravvivano con cascate di campanule colorate, mosse da una brezza leggera e illuminate dai caldi raggi del sole.
Alcune anziane signore sono sedute sull’uscio, ricamano e chiacchierano allegre con le amiche. Alcune sollevano il capo al nostro passaggio, sorridendoci cordiali.
Rivolgo lo sguardo verso il cielo.
Mi chiedo se sia mai stato così azzurro.
Forse il cielo di Trieste ha davvero qualcosa di unico. Fin da bambina mi piaceva credere che quella tonalità così limpida di azzurro, fosse tale perché il cielo a Trieste s’incontra con il mare, fondendosi in un magico tutt’uno.
Mi soffermo su questi dettagli, e mi rendo conto di quanto sia difficile rivelare ad alta voce la vera ragione per cui ho voluto incontrare Massimo quest’oggi.
“Voglio lasciare Trieste.”
Lui non risponde.
Continua a camminare, in un greve silenzio, fissando il vuoto.
Provo a decifrare la sua reazione ma non appena mi volto, Massimo mi rivolge uno sguardo così intenso che sembra trafiggermi.
“Non era proprio quello che mi aspettavo, quando hai chiesto di vederci.”
In risposta chino all'istante la testa, mordendomi il labbro.
“E dove pensi di andare?” domanda Massimo, cogliendo distintamente una nota di sdegno nella sua voce.
“A Roma.”
“Roma?!”
“Dall’uscita del mio romanzo, la redazione del Messaggero mi ha scritto più volte per offrirmi un lavoro. Ho intenzione di accettarlo.”
“E Tommaso?”
“Verrà con me, ovviamente.”
La notizia lo disorienta. Ma conosco Massimo, so che è ben lontano dalla sua indole limitarsi a condividere in ligio silenzio la mia scelta.
“Perché vuoi andartene Vera?” mi domanda infatti.
“Non posso più restare. Ho bisogno di ricominciare da zero, e per farlo devo allontanarmi da questa città.”
“E pensi che scappare ti aiuterà a superare il dolore?” chiede sfrontato.
“Non parlarmi così!”
“E come vuoi che ti parli Vera?!” Massimo irrompe con voce tuonante “Cazzo, mi stai dicendo che andrai a Roma! Come dovrei reagire secondo te?”
“E’ molto difficile per me prendere questa decisione...”
“Stronzate!” grida lui, sovrastandomi “Lo sai che andartene sarebbe la soluzione più facile! Invece di affrontare i problemi, sali sul primo treno e sparisci!”
Mi manca l’aria. La vista si annebbia. Mi sostengo ad un muro, cerco di regolarizzare il respiro.
Con fatica alzo il capo e pur essendo intorno a me ancora tutto sfocato, scorgo Massimo di spalle, a pochi passi da me.
Ha la schiena inarcata, i pugni stretti lungo i fianchi.
Improvvisamente si volta, mi raggiunge in due rapide falcate e con mio stupore mi stringe al suo petto, avvolgendomi protettivo tra le sue forti braccia.
“Perdonami…” sussurra al mio orecchio.
Io nascondo la testa nell’incavo del suo collo.
“Resta Vera. Non voglio perderti di nuovo.”
Lui mi accarezza dolcemente la nuca, baciandomi ripetutamente i capelli.
“Non posso. Sento di dovermi allontanare da te.”
Sciolgo l’abbraccio con uno sforzo indescrivibile, tuttavia Massimo mi trattiene per le spalle, per nulla intenzionato a lasciarmi andare.
“Quando parti?”
Aggrotto la fronte, mentre con fatica cerco di ingoiare quel fastidioso nodo alla gola.
“Vera, quando lasci Trieste?” mi sprona, scrollandomi per un braccio.
“…Domani!”
L’espressione sconvolta di Massimo è un macigno deflagrato nel mio stomaco.
“Vera…” mormora il mio nome, incredulo.
I suoi bellissimi occhi neri m’implorano. Nel silenzio disceso tra noi, li sento gridare e gemere in modo straziante tanto che la testa sembra scoppiare.  
“Massimo, ti prego. Non pretendo che tu approvi. Ma ti prego, cerca almeno di capire. Sento che è la cosa migliore, per me e per Tommaso.”
“Sai che non è così.” replica lui, risoluto.
“Perché continui a mettere in discussione le mie decisioni?! Sono in grado di fare le mie scelte!”
“Tu sei certa che questo trasferimento non confonderà Tommaso?”
“Non sta a te giudicarlo. Io sono sua madre, so cosa è meglio per lui.”
“E sei sicura che questo sia il meglio per te?” mi domanda Massimo, serio.
La fermezza che trapela dal suo sguardo mi fa indugiare per un momento.
“…Non importa. Al primo posto ci sarà sempre mio figlio. Ha provato fin troppo dolore, voglio che viva la sua infanzia serenamente. Roma gli piacerà, e sarà felice.”
“Ti limiti a considerare solo una faccia della medaglia. Perché sconvolgere Tommaso con questi cambiamenti? Perché non restare qui, e provare a rimettersi in piedi!”
“Perché qui non possiamo farlo.”
“Perché no Vera?! Ci sono io, sai che puoi contare su di me.”
“Ed è proprio questo…”
“Che cosa?!” m’interrompe, esasperato dalla mia esitazione “Ho fatto qualcosa di sbagliato?”
“No!”
“E allora perché vuoi allontanarti da me?!” tuona lui.
“Perché Tommaso si sta affezionando a te!”
Massimo mi scruta, ancora più confuso.
“Posso essere un punto di riferimento per lui, posso aiutarlo! Vuoi dirmi cosa c’è di male in questo?”
“Perché tu non sei suo padre!”
Le mie parole esplodono e squarciano la pacifica atmosfera pomeridiana.
Vorrei poter rimangiarmele, ma mi maledico mentalmente quando realizzo che è tardi.  
“…E non potrei mai diventarlo, giusto?” asserisce Massimo, ostentando un sorriso che cela malamente il dispiacere provocato dalla mia affermazione.
“Tommy ha tanta confusione in testa. Allontanarci gli farà bene.”
“E’ Tommaso confuso, o lo sei tu?”
“Perché continui ad insistere?! Te l’ho già detto, so cosa è meglio per mio figlio. E so che per assicurargli una vita serena questo non è il posto adatto.”
“Vedi come fai?!” prorompe lui “Ti imponi questa eroica missione di assicurare la felicità a chi ami. Ma non puoi controllare tutto Vera! Ci sono delle cose che vanno oltre le tue intenzioni, e non ci sarà niente che tu possa fare! E se ti ostini a proseguire su questa via, perderai tutto ciò che di bello la vita potrà offrirti, perché sarai troppo presa dal preoccuparti dalle sventure che forse potrebbero accadere!”
Chino lo sguardo, cosciente della veridicità delle sue parole.
Per questo mi fa ancora più male sentirle e cacciarle dalla mia mente mi richiede un arduo sforzo.
“Qualunque cosa dirò non ti convincerà a restare, lo so.” continua Massimo, con voce sommessa “Se è quello che vuoi, non posso che lasciarti andare.”
Massimo sfila una mano dalla tasca dei pantaloni e mi sfiora la guancia, prendendo delicatamente il mio mento tra le dita.
“Ma ti aspetterò.” aggiunge in un lieve sussurro.
Esalo un sospiro e lo osservo avvilita.
“Anche tu devi ricominciare Massimo.”
“Vorrei fosse così semplice, davvero. Ma non ci riesco…” Massimo s’interrompe all’improvviso, chinando il viso verso il mio “Lo sai che ti amo, vero?”
Io annuisco, timidamente.
“…E tu mi ami?” mormora al mio orecchio.
M’immobilizzo, trattenendo il respiro e serrando i denti.
Massimo mi osserva combattuto, posando lo sguardo sulla mia bocca.
Si china lentamente su di me ma, per quanto le mie labbra sembrano premere verso le sue, mi obbligo a fermarmi.
Interpongo una mano tra di noi, allontanandolo.
“Quel bacio, a casa tua, non ha significato niente?” domanda lui, profondamente scoraggiato.
“Massimo, finiamola qui. Ti prego.”
Tuttavia i suoi occhi, pur arrossati ed ammantati dalle lacrime, restano fissi su di me, senza darmi tregua.
“Non posso. Non ci riesco Vera. Dopo tutti questi anni…Come faccio a lasciarti andare?”
“Rispetta la mia decisione…” mi si spezza la voce mentre avverto le lacrime affiorare prepotenti.
E infine, mi lascia andare.  
Ho trattenuto ogni emozione.
Ho dimostrato una freddezza ed un’indifferenza nei confronti di Massimo di cui non mi sarei mai ritenuta capace.
Ma ancora un momento, e sarei crollata.
Mi sforzo di non voltarmi perché lui vedrebbe anche le mie, copiose, calde e inutili lacrime.
Certo che ho pensato al nostro bacio.
Non avrei potuto fare altrimenti.
In quel momento, dopo tanto tempo, mi era sembrato di destarmi da un torpore paralizzante. Di tornare a vivere.
Ma non posso permettermi di indugiare.
Voglio solo scappare.
Lontano.  


Angolino dell'autrice: Buon lunedì mie meringhette spumose!
Dopo un capitolo come questo penso vogliate prendermi a sassate... Ma mi conoscete, mi piace complicare le cose!
Ne approfitto per ringraziarvi del vostro immenso supporto e dell'affetto enorme che mi dimostrate. Grazie di cuore!
E....beh! Se proprio mi volete bene e vi va di fare un salto, ecco il link alla mia pagina Facebook:  https://www.facebook.com/pages/Clairy93-EFP/400465460046874?ref=hl
Vi auguro una serena settimana! Un bacione.
Clairy.
   
 
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