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Autore: WingsOfButterfly    24/11/2014    2 recensioni
[...]Silvia tentò ancora una volta di rimproverare Nina, ma quest’ultima non le lasciò finire la frase. Le prese il viso tra le mani e la baciò, con forza e prepotenza. Le infilò la lingua tra le labbra senza attendere che fosse lei ad aprirle e con quel bacio le tolse il fiato. [...]
[...]Silvia rimase seduta dov’era, lasciando che lo sguardo di Nina vagasse su di lei. Le piaceva sentirsi i suoi occhi addosso, veder crescere in lei la voglia di prenderla e possederla. [...]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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CAPITOLO 1



«Nina, alzati!».
Una voce maschile, irritata e sconfitta, riecheggiò nella piccola stanza in cui, su un letto molto più simile ad una brandina, tra un gomitolo di coperte, riposava una ragazza.
«Mmm, ancora cinque minuti».
Roberto sbuffò e si avvicinò al letto con aria decisa, tirando via tutte le coperte.
«Muoviti! Sono già le otto» intimò, lasciando poi la camera con passo pesante.
«Tu sei un mostro!»  gli urlò dietro la ragazza, rabbrividendo e alzandosi dal letto.
Nina dimenticava sempre tutto, era lunatica, distratta e goffa nella vita di tutti i giorni, ma non a lavoro, dove si trasformava in una persona responsabile e precisa. Tuttavia, era una ritardataria cronica. Anche a lavoro. Per quello, non c’era speranza.
Una decina di minuti dopo la ragazza comparve nella sala comune, dove gli altri archeologi, studenti e responsabili, stavano terminando la colazione. I corti capelli neri e ricci completamente arruffati, una felpa grigia di almeno due taglie più grande e un pantalone blu da lavoro con diverse macchie di terra e fango sulle ginocchia. Nina era un’archeologa. Assieme a Roberto era responsabile della campagna di scavo vicino Siena. Il Comune aveva concesso loro di alloggiare in una vecchia Abbazia , nei locali che una volta ospitavano una comunità di recupero per tossicodipendenti, e prima ancora erano stati il refettorio del convento.
Gestire venti ragazzi non era semplice, per fortuna c’erano Roberto e gli altri responsabili.
«La bella addormentata finalmente ci ha degnato della sua presenza» la voce di scherno di AnnaChiara, una ragazza alta, magra e bionda, raggiunse le orecchie di Nina quasi come un gracchiare fastidioso.
«Anna, per favore, è lunedì mattina e sono appena le otto…lo sai che prima delle dieci le mie funzioni cerebrali non sono attive» la rimbeccò Nina, sedendosi accanto a Roberto e facendo sprofondare il viso tra i gomiti.
«Faremo tardi a causa tua. Sai che odio fare tardi» l’apostrofò Roberto con aria seccata.
Roberto  era l’opposto di Nina, chirurgico e maniacale in qualsiasi cosa facesse, sempre puntuale, ligio al dovere. Erano amici dai tempi della scuola, avevano frequentato la stessa facoltà e ora erano colleghi. Chi si domandava come fosse stato possibile che non fossero mai finiti a letto insieme, nemmeno una volta, per sbaglio, da ubriachi, non sapeva che il motivo era tanto semplice quanto banale. Nina era lesbica. E loro due erano come fratelli.
Nina alzò la testa di scatto, guardò Roberto per un secondo, arricciò il labbro in quello che doveva essere un sorriso, ma al ragazzo parve più un ghigno, e allungò velocemente una mano per rubargli la tazzina di caffè da sotto il naso. La bevve tutta d’un fiato, poi si alzò con aria soddisfatta.
«Bene ragazzi, tutti pronti che si va sul cantiere. Forza giù alle macchine!» proclamò con aria solenne, rivolta agli altri ragazzi.
Quelli si alzarono ancora insonnoliti e sbadiglianti e andarono a recuperare zaini e felpe per avviarsi giù nel cortile.
«Tu sei una persona orribile» dichiarò Roberto, passandole accanto senza nemmeno guardarla.
«Sì, ti voglio bene anch’io».
Era il primo lunedì di ottobre e quel giorno cominciava il secondo turno di scavo, il che significava che erano giunti venti nuovi studenti archeologi sostituendosi al gruppo che aveva scavato a Settembre. I responsabili si erano presentati e avevano anche presentato il progetto e lo scavo, durante la riunione organizzativa che si era tenuta la domenica sera precedente. Tuttavia, i ragazzi ancora non si conoscevano così bene per cui quella mattina erano ancora un po’ tutti spaesati.
Su indicazioni dei responsabili riempirono sei macchine e si avviarono sul cantiere.
 A metà mattinata tutte le squadre erano ben avviate e lavoravano a pieno regime, mentre Nina e Roberto erano seduti su una panca di legno sotto la tettoia che usavano come campo base.
«Sono tutti novellini a ‘sto giro» fece notare la ragazza, sfogliando l’elenco con i nomi dei ragazzi.
«Non tutti. Guarda» Roberto indicò un nome sul foglio – Lei non è una matricola, ci ho fatto caso ieri sera.
«Silvia Pecci, laureata in Archeologia a Pisa con 110, iscritta al primo anno della specialistica in Archeologia medievale a Siena. Nata a Pisa il 13 marzo 1990» Nina lesse con distratto interesse, poi chiuse i fogli e li ripose in una cartellina «Meglio così, almeno una che, si spera, abbia esperienza e quindi non combini guai» decretò senza tanta enfasi.
«La tua abnegazione per l’istruzione di questi giovani studenti mi stupisce ogni giorno di più» commentò sarcasticamente Roberto.
La giornata trascorse tranquilla, senza imprevisti. La sera Nina era seduta in sala computer concentrata a scrivere il diario di scavo di quel giorno. Le dita che picchiettavano furiose sui tasti, il capo abbassato e un ciuffo riccio e ribelle che le cadeva sulla fronte leggermente aggrottata per la concentrazione. Ad un certo punto un urlo di imprecazione riecheggiò sotto l’alto soffitto della stanza, facendo alzare le teste di tutti gli altri responsabili ugualmente impegnati ai pc, e contemporaneamente le schermate divennero nere.
«Ma che diavolo …» Nina alzò gli occhi verso l’ingresso scattando repentinamente in piedi.
Accanto alla vecchia porta di legno consumata c’era Silvia, che con una mano si teneva allo stipite, in bilico sul piede destro, dal momento che il sinistro era completamente arrotolato in una serie di cavi elettrici. La vicina presa di corrente  accanto allo stipite era completamente sradicata dal muro.
«Accidenti» borbottò la ragazza, cercando di liberare il piede da quell’imbroglio di cavi.
«Ma porca miseria! Guarda che hai combinato!» Nina le si avvicinò guardando disperata la presa elettrica ormai inutilizzabile «E’ saltato tutto, compreso i diari di scavo che stavamo scrivendo e ci toccherà riscrivere tutto daccapo perché tu non sei capace di guardare dove metti i piedi».
«Nina, non è il caso» Roberto si avvicinò alle ragazze, piegandosi sulle ginocchia per aiutare Silvia ad uscire da quella trappola di cavi.
«Se a casa combina certi guai, chissà cosa può combinare sul cantiere» ribatté dura verso l’amico «Invece, è proprio il caso».
«Mi dispiace» tentò di scusarsi Silvia «Di solito sono goffa, ma non a questi livelli».
Nina alzò lo sguardo su di lei, era poco più bassa, i capelli castani gonfi e scarmigliati, le guance colorate di un tenue rosso, forse per l’imbarazzo, gli occhi marroni grandi e sinceramente dispiaciuti.
Sospirò passandosi una mano tra i capelli, facendola scivolare indietro sulla nuca fino a fermarla sul collo. Cominciò a massaggiarlo come per tentare di scacciare tutta la tensione che sentiva accumularsi proprio lì.
«Sposteremo le spine su un’altra presa, dovrebbe essercene una dietro quel mobile».
Tornò a sedersi davanti al suo computer, sfogliando stizzita una serie di appunti.
Roberto si rimise in piedi davanti a Silvia, dopo aver liberato il suo piede, e le sorrise indulgente.
«Sul lavoro è una perfezionista, per tutto il resto…pff!» un gesto vago della mano e gli occhi alzati al cielo terminarono per lui il senso della frase.
«Sembra infuriata» constatò Silvia, osservando le spalle di Nina visibilmente contratte.
«Le passerà».
Qualcuno rimise a posto le spine e i computer si accesero nuovamente consentendo ai responsabili di riprendere il loro lavoro.

Dopo cena Nina era seduta a cavalcioni su un muretto esterno che circondava l’intera abbazia. Fumava una sigaretta e attraverso i cerchi di fumo osservava le stelle.
Passando davanti ad un finestrone, che dava proprio sull’ingresso, Silvia la vide. La osservò per qualche secondo poi, guidata dall’istinto, scese velocemente la scala aprì il pesante portone di legno e uscì.
I suoi passi sulla ghiaia misero in allerta Nina che alzò gli occhi verso di lei, ancor prima che riuscisse ad avvicinarsi. Sospirò indecisa se alzarsi e tornare dentro o lasciare che la raggiungesse. Mentre ci rifletteva, Silvia si era già fermata davanti a lei.
«Volevo scusarmi, se ci sono da fare dei lavori, pagherò io».
«Ma smettila, che dici. Quei fili buttati lì in terra così non stavano per niente bene, mi ripromettevo ogni giorno di trovare una soluzione ma rimandavo continuamente».
«Sì, però è vero che se avessi fatto più attenzione …».
«Sarebbe potuto capitare a chiunque» tagliò corto Nina. Fece un ultimo tiro alla sigaretta poi la gettò via «Siamo a posto».
Si alzò dal muretto e mosse qualche passo verso l’ingresso.
«Ma io …» la voce insistente di Silvia la costrinse a fermarsi e voltarsi verso la ragazza.
La fissò, in attesa che lei terminasse la frase, ma l’altra si limitò a guardarla. Uno squillo interruppe il loro contatto visivo. Nina estrasse velocemente il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans e rispose senza nemmeno guardare chi la stesse chiamando.
«Sei arrivata? Dove? Tra mezz’ora… ok».
Ripose il telefono e guardò Silvia ancora una volta.
«Devo andare».


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