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Autore: Omlynee    02/12/2014    3 recensioni
In un mondo completamente devastato dalla guerra, tre ragazze lottano ogni giorno per la sopravvivenza. Vivono in una città che loro credono priva di popolazioni civili ma, quando una di loro si imbatte in una di esse, le loro vite cambieranno per sempre.
Dal capitolo 2:
Abbassai lo sguardo, cercando dove avevo lasciato la mia cena e notai due figure che, arrivando dalla strada più grande, si avvicinavano alla carcassa.
- Ehi, Kai, guarda qua - disse uno all'altro, indicando il cadavere.
L'altro si avvicinò all'animale e si chinò su di esso. lo vidi afferrare saldamente la mia freccia, ancora conficcata nel costato, e sfilarla.
- Non siamo soli, David. c'è qualcun altro qui - e, così dicendo, alzò lo sguardo alla ricerca di qualcosa, o meglio, qualcuno.
Posò lo sguardo sull'edificio su cui mi trovavo.
Mi abbassai velocemente, appiattendomi sul tetto del palazzo, sperando di non essere vista. Ma in cuor mio sapevo che era troppo tardi: i nostri sguardi si erano incrociati per meno di un secondo, ma abbastanza da far intendere all'uno la presenza dell'altra.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2: Superheroes

She’s got lion in her heart                                             Lei ha un leone nel cuore
A fire in her soul                                                           Un fuoco nella sua anima
He’s a got a beast in his belly                                        Lui ha una bestia nella sua pancia
That’s so hard to control                                               Che è difficile da controllare
Cause they’ve taken too much hits                                Perché hanno preso troppi colpi
Taking blow by blow                                                    Prendendo colpo su colpo
Now light them match up like watch them explode      Ora illuminali come se stessero per esplodere

Superheroes, The Script

 

Quel fottutissimo cane sarebbe stato la nostra cena, ormai lo avevo deciso.
Stavo curiosando tra i resti di un palazzo abbandonato, poco lontano dalla piazza, quando era apparso quel maledetto bastardo e mi aveva morso una mano. Colta alla sprovvista avevo provato ad accoltellarlo ad un fianco ma quello, velocemente, si era allontanato. Presi a rincorrerlo. Percorse tutta la strada principale poi, arrivato ad un bivio, svoltò bruscamente verso destra e si addentrò in una parte della città a me sconosciuta. Ma non mi fermai, ero determinata a ucciderlo. Intanto il cane stava rallentando, stanco della lunga corsa. Tesi l'arco che stavo tenendo nella mano insanguinata e presi la mira. Un mugolio strozzato invase il vicolo desolato quando una freccia gli trapassò il costato. Si accasciò a terra e lì rimase immobile.
Adesso dovevo solo trascinarlo fino al rifugio. Mi guardai intorno, cercando la via più corta per tornare a casa, ma non conoscevo quella zona. La strada era stretta, parallela ad una più grande. Qui gli edifici erano meno alti e in condizioni migliori rispetto a quelli del posto in cui vivevo.

Un rumore improvviso mi distrasse.
Passi.
Qualcuno si stava avvicinando.
Lasciai la nostra ricca cena di malavoglia e corsi dietro un palazzo, dalla parte opposta alla fonte dei suoni che, di secondo in secondo, si faceva sempre più vicina. Mi arrampicai, cercando dove mettere le mani e i piedi, ma era difficile. Provai a fare più silenziosamente possibile, non volevo che si avvertisse la mia presenza.
Durante la salita mi cadde l'occhio sulla mano che il cane aveva addentato precedentemente, ma mi accorsi che il morso era sparito. Ero preoccupata: da qualche mese, ormai, qualsiasi ferita solcasse la mia pelle, si rimarginava nel giro di pochi istanti. Non sapevo cosa fare, non lo avevo detto neanche a Gaia e a Giulia. Anche se, pensandoci bene, finché questa stranezza si fosse limitata a curare le ferite, non poteva altro che fruttare a mio vantaggio.
Arrivai in cima all'edificio senza la minima fatica e mi guardai intorno. Da lì la panoramica era notevole. Individuali immediatamente la zona che mi era più familiare, quella che già conoscevo, così come la strada di casa.
Abbassai lo sguardo, cercando dove avevo lasciato la mia cena e notai due figure che, arrivando dalla strada più grande, si avvicinavano al cadavere. Gli avrei voluto urlare di noi avvicinarsi al mio pasto, che, se avessero anche solo di portarselo via gliel'avrei fatta pagare.
- Ehi Kai, guarda qua - disse uno all'altro, indicando la carcassa. A parlare era stato un ragazzo dai capelli neri, piuttosto giovane, avrà avuto meno di vent'anni.
L'altro, Kai, anche lui molto giovane, si avvicinò all'animale e si chinò su di esso. Lo vidi afferrare saldamente con una mano la mia freccia, ancora conficcata nel costato, e sfilarla.
- Non è morto per cause naturali - disse, porgendo la freccia all'amico.
Questo, dopo averla osservata attentamente, assunse un'aria corrucciata e dette fiato alla bocca: - Non è una delle nostre -
- Non siamo soli, David. C'è qualcun altro qui - e, così dicendo, alzò gli occhi verso gli edifici, alla ricerca di qualcosa, o meglio, di qualcuno. Posò lo sguardo sul palazzo su cui mi trovavo.
Mi abbassai velocemente, appiattendomi sul tetto del costruzione, sperando di non essere vista. Ma in cuor mio sapevo che era troppo tardi: i nostri sguardi si erano incrociati per meno di un secondo, ma abbastanza da far intendere all'uno la presenza dell'altra.
Sentii dei rumori, si stavano avvicinando. Chiusi gli occhi. Mi concentrai sui suoni, provando a calcolare quanto distavano da me.
Silenzio.
Tutto taceva.
Riaprii gli occhi e mi sporsi a guardare la strada. Non c'erano, erano spariti.
Mi alzai e scesi dalla costruzione. Se n'erano andati. Possibile? Forse era stata solo la mia immaginazione e quel ragazzo non mi aveva vista.
Volsi lo sguardo verso il luogo dove prima giaceva il cane, trovando al suo posto solo una grossa macchia di sangue. Quegli stronzi si erano portati via la mia cena. Provai un moto di odio verso quei due individui.
Avevo due alternative: la prima era incorrere i due ladri, perché in fondo era questo che erano, e riprendermi il cane; la seconda era tornare a casa. Tuttavia, non sapendo che direzione avevano preso i due, l’unica cosa che mi rimaneva da fare era tornare a casa.
Il tragitto non fu per niente piacevole: avevo addosso la terribile sensazione di essere seguito e osservata. Mi girai almeno una decina di volte e mi misi persino a correre. Però quando la mia corsa terminò, non ero arrivata a casa, bensì al margine di uno strapiombo largo circa sette metri e profondo almeno il triplo.
Dall’altra parte, dove la strada riprendeva, vidi alcuni palazzi di cui riconoscevo i tratti, questo stava a significare che ero quasi arrivata, dovevo solo scavalcare quell’enorme crepa.
Calcolai che con un semplice salto non sarei mai riuscita a superarlo, ma, se fossi salita sul tetto di uno degli edifici sull’orlo del precipizio, avevo qualche possibilità di farcela. Mi sarei fatta male, ne ero sicura, ma era l’unica possibilità che avevo.
Arrivai in cima alla costruzione e guardai di sotto. Erano come minimo trenta metri da lì alla strada e almeno un centinaio fino al fondo dello strapiombo. Menomale che non soffrivo di vertigini.
Presi la rincorsa e, subito dopo aver staccato i piedi dal tetto dell’edificio, mi sentii precipitare nel vuoto.

  
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