Capitolo 2: Superheroes
She’s got lion in
her heart
Lei
ha un leone nel cuore
A fire in her soul
Un
fuoco nella sua anima
He’s a got a beast in his belly
Lui
ha una bestia nella sua pancia
That’s so hard to control
Che
è difficile da controllare
Cause they’ve taken too much hits
Perché
hanno preso troppi colpi
Taking blow by blow
Prendendo
colpo su colpo
Now light them match up like watch them explode
Ora
illuminali come se stessero per esplodere
Superheroes,
The Script
Quel
fottutissimo cane
sarebbe stato la nostra cena, ormai lo avevo deciso.
Stavo
curiosando tra i resti di un palazzo
abbandonato, poco lontano dalla piazza, quando era apparso quel
maledetto
bastardo e mi aveva morso una mano. Colta alla sprovvista avevo provato
ad
accoltellarlo ad un fianco ma quello, velocemente, si era allontanato.
Presi a
rincorrerlo. Percorse tutta la strada principale poi, arrivato ad un
bivio,
svoltò bruscamente verso destra e si addentrò in
una parte della città a me
sconosciuta. Ma non mi fermai, ero determinata a ucciderlo. Intanto il
cane
stava rallentando, stanco della lunga corsa. Tesi l'arco che stavo
tenendo
nella mano insanguinata e presi la mira. Un mugolio strozzato invase il
vicolo
desolato quando una freccia gli trapassò il costato. Si
accasciò a terra e lì
rimase immobile.
Adesso dovevo solo trascinarlo fino al rifugio. Mi guardai intorno,
cercando la
via più corta per tornare a casa, ma non conoscevo quella
zona. La strada era
stretta, parallela ad una più grande. Qui gli edifici erano
meno alti e in
condizioni migliori rispetto a quelli del posto in cui vivevo.
Un
rumore improvviso mi distrasse.
Passi.
Qualcuno
si stava avvicinando.
Lasciai
la nostra ricca cena di malavoglia e
corsi dietro un palazzo, dalla parte opposta alla fonte dei suoni che,
di
secondo in secondo, si faceva sempre più vicina. Mi
arrampicai, cercando dove
mettere le mani e i piedi, ma era difficile. Provai a fare
più silenziosamente
possibile, non volevo che si avvertisse la mia presenza.
Durante
la salita mi cadde l'occhio sulla mano
che il cane aveva addentato precedentemente, ma mi accorsi che il morso
era
sparito. Ero preoccupata: da qualche mese, ormai, qualsiasi ferita
solcasse la
mia pelle, si rimarginava nel giro di pochi istanti. Non sapevo cosa
fare, non
lo avevo detto neanche a Gaia e a Giulia. Anche se, pensandoci bene,
finché
questa stranezza si fosse limitata a curare le ferite, non poteva altro
che
fruttare a mio vantaggio.
Arrivai
in cima all'edificio senza la minima
fatica e mi guardai intorno. Da lì la panoramica era
notevole. Individuali
immediatamente la zona che mi era più familiare, quella che
già conoscevo, così
come la strada di casa.
Abbassai
lo sguardo, cercando dove avevo
lasciato la mia cena e notai due figure che, arrivando dalla strada
più grande,
si avvicinavano al cadavere. Gli avrei voluto urlare di noi avvicinarsi
al mio
pasto, che, se avessero anche solo di portarselo via gliel'avrei fatta
pagare.
-
Ehi Kai, guarda qua - disse uno all'altro,
indicando la carcassa. A parlare era stato un ragazzo dai capelli neri,
piuttosto giovane, avrà avuto meno di vent'anni.
L'altro,
Kai, anche lui molto giovane, si
avvicinò all'animale e si chinò su di esso. Lo
vidi afferrare saldamente con
una mano la mia freccia, ancora conficcata nel costato, e sfilarla.
-
Non è morto per cause naturali - disse,
porgendo la freccia all'amico.
Questo,
dopo averla osservata attentamente,
assunse un'aria corrucciata e dette fiato alla bocca: - Non
è una delle nostre
-
-
Non siamo soli, David. C'è qualcun altro qui -
e, così dicendo, alzò gli occhi verso gli
edifici, alla ricerca di qualcosa, o
meglio, di qualcuno. Posò lo sguardo sul palazzo su cui mi
trovavo.
Mi
abbassai velocemente, appiattendomi sul tetto
del costruzione, sperando di non essere vista. Ma in cuor mio sapevo
che era
troppo tardi: i nostri sguardi si erano incrociati per meno di un
secondo, ma
abbastanza da far intendere all'uno la presenza dell'altra.
Sentii
dei rumori, si stavano avvicinando.
Chiusi gli occhi. Mi concentrai sui suoni, provando a calcolare quanto
distavano
da me.
Silenzio.
Tutto
taceva.
Riaprii
gli occhi e mi sporsi a guardare la
strada. Non c'erano, erano spariti.
Mi
alzai e scesi dalla costruzione. Se n'erano
andati. Possibile? Forse era stata solo la mia immaginazione e quel
ragazzo non
mi aveva vista.
Volsi
lo sguardo verso il luogo dove prima
giaceva il cane, trovando al suo posto solo una grossa macchia di
sangue.
Quegli stronzi si erano portati via la mia cena. Provai un moto di odio
verso
quei due individui.
Avevo
due alternative: la prima era incorrere i
due ladri, perché in fondo era questo che erano, e
riprendermi il cane; la
seconda era tornare a casa. Tuttavia, non sapendo che direzione avevano
preso i
due, l’unica cosa che mi rimaneva da fare era tornare a casa.
Il tragitto non fu per niente piacevole: avevo addosso la terribile
sensazione
di essere seguito e osservata. Mi girai almeno una decina di volte e mi
misi
persino a correre. Però quando la mia corsa
terminò, non ero arrivata a casa,
bensì al margine di uno strapiombo largo circa sette metri e
profondo almeno il
triplo.
Dall’altra parte, dove la strada riprendeva, vidi alcuni
palazzi di cui
riconoscevo i tratti, questo stava a significare che ero quasi
arrivata, dovevo
solo scavalcare quell’enorme crepa.
Calcolai che con un semplice salto non sarei mai riuscita a superarlo,
ma, se
fossi salita sul tetto di uno degli edifici sull’orlo del
precipizio, avevo
qualche possibilità di farcela. Mi sarei fatta male, ne ero
sicura, ma era
l’unica possibilità che avevo.
Arrivai in cima alla costruzione e guardai di sotto. Erano come minimo
trenta
metri da lì alla strada e almeno un centinaio fino al fondo
dello strapiombo.
Menomale che non soffrivo di vertigini.
Presi la rincorsa e, subito dopo aver staccato i piedi dal tetto
dell’edificio,
mi sentii precipitare nel vuoto.