Capitolo 1: Fotografie e strani sogni
«Un po’ a
sinistra, ecco!» - delicatamente, pose una mano sotto il mento della modella e
le fece voltare il viso, in modo da avere la giusta posizione per la foto.
Continuò
così, senza fermarsi, per due o tre ore; non sapeva quanto era passato quando,
gli altri membri dello staff e la ragazza, chiesero mezz’ora di pausa.
La
fotografia era più di un lavoro, era da sempre la sua più grande passione.
Dietro all’obiettivo era in grado di vedere da nuove prospettive, ogni suo scatto
trasmetteva emozioni. Si mise a scaricare sul computer le ultime foto fatte, ne
cancellò parecchie: alcune non avevano la luce giusta, altre erano “piatte” o
gli sembravano troppo finte. I suoi colleghi lo prendevano in giro, dicevano
che sprecava molti ottimi scatti, che avrebbe potuto ritoccare digitalmente e
rendere perfetti. S’infuriava ogni volta che glielo facevano notare, pensava
che una foto non andasse mai ritoccata e, se non era venuta perfetta subito,
tanto valeva buttarla.
«Ehi Nate,
hai mandato in stampa le foto per la mostra?».
Il giovane
si passò una mano tra i corti capelli corvini, spalancò gli occhi e si voltò lentamente
verso il suo collega, iniziando a balbettare.
«C-Cosa hai
detto?»
L’altro
rise, convinto che l’amico lo stesse prendendo in giro.
«La mostra
di domenica! Hai già le foto pronte, vero?»
L’espressione
sul volto di Nathan la diceva lunga. I suoi occhi blu, solitamente brillanti di
entusiasmo, erano vacui e la sua bocca si aprì e richiuse senza emettere alcun
suono. Si alzò in piedi, iniziò a camminare avanti e indietro accarezzandosi
nervosamente la barba, che iniziava a crescergli sul mento.
«Merda!» -
esclamò infine.
I suoi
movimenti divennero frenetici e senza logica. Andò verso il calendario appeso
alla parete, puntò l’indice destro sulla domenica della mostra, e controllò più
volte quanto tempo aveva. Tre giorni. Mancavano tre giorni e lui non aveva
neanche scelto le fotografie da esporre. Prese a pugni il calendario.
«Merda!
Merda! Merda! E ancora merda!»
L’amico lo
osservava preoccupato. Aveva capito che Nathan era indietro, quindi provò a
infondergli un po’ di ottimismo.
«Calmati,
se le mandi adesso, saranno pronte per domani pomeriggio e potrai…» - fu
interrotto bruscamente dal fotografo, che si era diretto alla propria scrivania
per controllare gli appuntamenti sull’agenda.
«Calmarmi
dici? Ralph, ti rendi conto che devo ancora scegliere le foto?» - mostrò
all’altro il foglio di carta con le righe piene di appuntamenti. Dopo quel
servizio sarebbe dovuto andare a una festa di compleanno di bambini, e poi dal
commercialista e a una cena per il cinquantesimo anniversario di una coppia.
«Mi spieghi
quando le faccio tutte queste cose?» - mentre gridava, scuoteva l’agenda aperta
vicino agli occhi castani del collega, che lo guardava in silenzio.
Quando si
alterava in quel modo, bisognava lasciarlo sfogare senza interferire per
evitare di diventare oggetto della sua ira.
Era passato
un quarto d’ora da quando aveva concesso la pausa, richiamò tutti con tono
perentorio. Sentiva il suo staff lamentarsi, qualche insulto lo raggiunse ma
non se ne preoccupò. Dopo pochi minuti i suoi collaboratori erano lì, nello
studio fotografico, con espressioni pigre, scocciate e curiose. Si stavano
sicuramente chiedendo come mai li avesse richiamati così presto; per quanto
amasse il duro lavoro, solitamente rispettava i tempi delle pause.
Scrutò una a
una le persone che aveva davanti. Chi avrebbe potuto mandare a fare i servizi
fotografici della giornata e dell’indomani?
Sbuffò
accorgendosi che Donna, la modella, non era ancora tornata dalla pausa.
«Mandate a
chiamare la ragazza, e che si sbrighi!» - Asya, la stagista che gli aveva
raccomandato il padre, squittì e corse fuori dalla stanza, con i lunghi capelli
neri che le ondeggiarono sulla schiena. Era una brava ragazza, non si lamentavano
mai delle tante ore di fila che lui la faceva lavorare. Non aveva mai chiesto
un aumento; era sempre l’ultima a uscire, insieme con lui. Qualche volta aveva
visto alcune sue fotografie, gli erano piaciute. La ragazza era giovanissima –
diciotto anni ancora da compiere - ma aveva talento e passione. Prima che
tornasse, Nathan, aveva deciso che avrebbe affidato i servizi fotografici di
quel giorno e del seguente a lei.
Quando
finalmente ebbe tutti davanti, aveva un piano d’azione pronto.
«Asya, sei
l’ultima arrivata e non ti ho mai affidato incarichi che richiedessero
particolari responsabilità, ti senti pronta per fare dei servizi fotografici in
mia vece?» - gli occhi scuri della ragazza brillarono di luce propria,
l’emozione che ci intravide gli ricordò se stesso qualche anno prima, quando
gli affidarono il primo vero servizio.
«Certamente,
Mr White» - il tono della ragazzina era deciso, nonostante il rossore sulle sue
guance.
Nathan
annuì, e mostrò all’aspirante fotografa il lavoro che avrebbe dovuto svolgere;
dal suo canto, Asya, era concentratissima e si rivelò molto professionale
nell’esporre dubbi e proporre consigli.
«Hai carta
bianca, portati chi vuoi ad assisterti» - disse infine il moro, indicando i
suoi collaboratori, i quali storsero un po’ il naso. Lavoravano per lui da
anni, ed erano tutti degli ottimi fotografi professionisti, ma erano carenti di
entusiasmo e passione per le emozioni che si catturano con una macchina
fotografica.
Si rivolse
poi al suo collega e amico Ralph, e gli diede i documenti da portare al
commercialista.
«Gli altri
sono liberi fino lunedì» - dichiarò infine.
La modella,
con indosso solo un accappatoio bianco e un paio di pantofole, lo fissava con
fare interrogativo. Non sapeva ancora cosa fare con lei: portare a termine il
servizio avrebbe richiesto ancora qualche ora, ma d’altronde non poteva
mandarla via; il book per la bionda doveva essere pronto nel minor tempo
possibile, e gli occhi color nocciola di lei glielo stavano ricordando
severamente.
«Ascolta…»
- iniziò a parlare titubante. L’avrebbe mandata da un altro studio a proprie
spese, era l’unica cosa sensata da fare. Puntò gli occhi in quelli della
ragazza, che capì qualcosa e lo bloccò prima che potesse iniziare il discorso.
Donna si
scostò i capelli dal viso, e prese la parola con fermezza.
«Ho speso
parecchio per farmi fotografare da te, sei l’unico in grado di farmi un book
che possa competere» - si alzò, tolse l’accappatoio mostrando le proprie
nudità, e andò ad accendere i fari per illuminare la postazione fotografica.
Prese la reflex di Nathan dalla scrivania e gliela porse, mentre lui la
guardava sbigottito.
«Non posso,
questa mostra è importante. Io… Ti manderò da un altro, uno fidato, e avrai le
tue foto» - posò la macchina fotografica, e si sedette alla scrivania. Per il
ragazzo l’argomento era chiuso, infatti, stava scorrendo la rubrica del
telefono per chiamare qualche collega disponibile.
«Posso
aspettare. Quando avrai finito con le foto, penseremo al book» - non l’aveva
notata, ma lei si era appoggiata con le braccia conserte alla sua scrivania,
ancora senza niente addosso. Era una bellissima ragazza, innegabile, ma con
quel lavoro era abituato a vedere donne dal fisico mozzafiato e il viso
grazioso.
«Non so per
quanto ne avrò, potrei finire sta sera sul tardi».
«Non ho
nessuno a casa che mi aspetta» - si issò sulla scrivania di Nathan,
rannicchiando le gambe e avvicinando le ginocchia al petto. Il suo sguardo
trasmetteva tenacia, e anche una certa dolcezza.
«E va bene,
ma non mi disturbare e» - indicò il corpo nudo di lei - «vestiti».
Donna
sorrise apertamente, lasciandosi sfuggire un gridolino di vittoria. Nathan si
era pentito di aver ceduto, nell’istante stesso in cui lo aveva fatto.
Quella sarebbe
stata una lunga notte. Mise un po’ di musica rock per concentrarsi al massimo e
diede le proprie attenzioni allo schermo del PC.
Aveva
ancora tutte le foto sulla memoria della reflex, solo per scaricarle sul
computer ci avrebbe messo qualche minuto.
Guardò
verso la modella, si era accomodata su uno dei divanetti arancioni che si
trovavano nel suo studio. Tra le mani stringeva un libro, dalla copertina
riconobbe Inferno, l’ultimo best seller di Dan Brown. Aveva letto tutti i libri
dello scrittore americano, ed era un grande fan di Robert Langdon, il
professore universitario protagonista di molti libri.
Donna si
rese conto dello sguardo del fotografo addosso, alzò appena gli occhi dal libro
e incrociò quelli del giovane uomo.
«Lo hai mai
letto?» - chiese, riferendosi al testo che teneva tra le mani.
«L’ho
finito da pochi giorni, dove sei arrivata?» - chiese, avvicinandosi alla
ragazza, che gli mostrò le poche pagine rimanenti.
«Non è solo
avvincente, fa anche riflettere».
«Già» -
annuì lei - «credi che una cosa del genere sia possibile?».
Nathan si
sedette affianco alla bionda, che gli fece spazio; si era posto questa e altre
domande qualche giorno prima, quando aveva raggiunto la parte finale del libro.
Ovviamente era quello lo scopo dell’autore, portare i lettori a una
riflessione.
«Scientificamente,
penso sia possibile una cosa del genere. Ma credo che solo un pazzo attuerebbe
un piano simile»
«Sì, ma il
problema della sovrappopolazione rimane. Alla fine sarebbe una selezione
naturale e casuale, non sarebbe come uccidere qualcuno.»
Ci aveva
pensato anche lui, e su quel punto si trovò d’accordo con Donna. Stava ancora
riflettendo sull’argomento, quando un suono del suo laptop indicò che il
trasferimento delle foto era terminato.
«Bene, il
lavoro mi reclama» - si congedò, tornando alla propria postazione. Sorrideva
tra sé e sé, quella ragazza non era la classica modella senza materia grigia,
fu meno dispiaciuto di non averla mandata via.
Le foto
erano tutte in una directory sul desktop del suo computer, poteva staccare il
cavo USB e mettere in carica le batterie per metà scariche. Dato che avrebbe
dovuto fare parecchie foto da lì a qualche ora, meglio evitare imprevisti.
Fece doppio
click sul primo file, aprendo così l’immagine a schermo intero.
Una foto in
bianco e nero ritraeva il muso di un cane meticcio con una palla da tennis in
bocca. Gli occhi del cane trasmettevano gioia, divertimento e spensieratezza.
Sì, quella foto era adatta alla mostra.
Aveva un
massimo di trenta foto da scegliere, e lui ne aveva scattate almeno
cinquecento. A volte lo stesso soggetto, preso da differenti punti di vista,
trasmetteva cose opposte, come la signora sulla panchina che aveva ritratto
qualche giorno prima. In una foto si vedeva una donna stanca, con qualche
capello grigio che iniziava ad intravedersi attorno al viso, una borsa vecchia
ed un paio di jeans consumati; nell’immagine immediatamente successiva c’era
una donna matura, determinata e della quale si avrebbe voluto conoscere i
misteriosi pensieri. Doveva usarle entrambe, le avrebbe messe lontane, magari
ai lati opposti della sala per la mostra.
Mentre
lavorava, di tanto in tanto si girava verso Donna, un po’ per vedere se avesse
avuto bisogno di qualcosa ed un po’ perché gli piaceva. Sorrise stupidamente,
scuotendo la testa. Molti suoi colleghi si portavano a letto le modelle che
fotografavano, a lui era capitato qualche volta, quando era alle prime armi;
ora preferiva trovarsi compagnie al di fuori dell’ambito lavorativo,
soprattutto dopo quel casino con Nicole.
“Quella puttana!” – si ritrovò a
pensare, rabbiosamente. Aprì un cassetto della scrivania, dove aveva un
blocchetto di bollettini postali. Ancora cinque e avrebbe finito di pagare il
risarcimento per quella – se così poteva definirla – donna.
Era bella. Non altissima, ma superava
il metro e settanta, gli occhi blu come il mare e i capelli castani e setosi.
Non era inglese, era una francesina raffinata e timida. Aveva persino timore a
scoprire un pezzo di spalla per fare qualche scatto, Nathan non avrebbe mai
immaginato quello che sarebbe successo una volta che fossero andati via i suoi
colleghi.
Era rimasto solo in studio, stava
mettendo in ordine per i servizi del giorno successivo, quando si spensero le
luci. Era lei, ed era nuda. Lo capì quando se la trovò vicina. Profumava di
fiori di campo. Gli prese una mano e se la mise su un seno, prese l’altra e se
la porto sul fondoschiena. Dopo qualche istante in cui non sapeva se
respingerla o meno, si ritrovò a baciarla con foga mentre la mora gli slacciava
i pantaloni ed infilava le mani nei suoi boxer.
Passarono due settimane e ricevette una
denuncia per violenza sessuale. Avrebbe potuto far avanzare il processo per
diversi anni, avrebbe speso molti soldi in avvocato, quindi optò per il
patteggiamento.
«Non hai
fame?» - preso dai ricordi, non si era accorto della bionda alle sue spalle ed
era trasalito, facendola ridere.
Lievemente
imbarazzato guardò l’ora: erano le sette e mezza di sera. Si strofinò gli occhi
con le mani e sbadigliò. Era stanco, e iniziava ad avere fame. Si voltò con la
sedia girevole e si rivolse a Donna.
«Cinese?» -
la giovane lo ignorò completamente, proponendo comunque della cucina orientale.
« Mentre
venivo qui, ho notato un sushi bar interessante, che ne dici se ordiniamo
qualcosa lì?»
Cercò in
mezzo ai vari biglietti da visita, tenuti su una mensola vicino alla postazione
computer, un volantino ricevuto da poco.
«Ecco qui,
guarda!» - mostrò il pezzo di carta alla modella, che iniziò a studiare il menu
da asporto.
Ordinarono
la cena, che sarebbe arrivata una decina di minuti dopo. Lo sguardo della
ragazza cadde su una fotografia aperta a schermo intero, sul computer di
Nathan.
«Sei
davvero molto bravo, quella è sicuramente perfetta per la mostra» - disse
Donna, indicando lo schermo.
L’immagine
raffigurava una ragazza di schiena, con uno zaino blu sulle spalle e un trolley
viola nella mano sinistra. I capelli erano lunghi, rossi e riccioli, legati in
una coda di cavallo un po’ disordinata.
«Oh,
questa… è stato uno scatto non premeditato»
Aveva
scattato d’istinto, dopo aver dato
indicazioni a quella ragazza appena approdata a Londra. Sorrise, pensando a
come era impacciata la straniera. Aveva una specie di taccuino, gli era parso
strano che nell’era di computer e smartphone qualcuno
usasse ancora segnarsi le cose su un pezzo di carta, e poi lei era stata così
confusionaria in quello che aveva scritto… Sorrise al pensiero di quegli occhi
verdi: brillavano di determinazione e voglia di costruirsi un futuro. L’aveva
salutato e ringraziato appena, per voltarsi subito e andarsene di fretta; fu
quello il momento in cui lui scattò, senza saperne bene il motivo. A quanti
stranieri aveva dato informazioni? Parecchi, eppure…
I suoi
pensieri furono interrotti dal citofono che suonava: era arrivata la cena.
«Ok, scendo
subito» - disse al fattorino, che gli aveva appena detto la cifra da pagare.
Prese il portafoglio e imboccò le scale e raggiunse il ragazzo che lo stava
aspettando vicino ad un motorino bianco.
Ovviamente,
il ragazzetto non aveva il resto, così glielo lasciò come mancia. Mentre
pensava a quanto fossero furbi i fattorini, per farsi lasciare le mance, notò
qualcosa muoversi nella siepe di recinzione del palazzo.
“Nate, sei
scemo? Sicuramente è un gatto”
Il rumore
tra le foglie continuò, ma non se ne curò più. Non si accorse di essere fissato,
non sentì bisbigliare, ebbe solo un brivido lungo la schiena, che attribuì
all’aria fresca della sera.
Tornò in
studio e trovò diversi oggetti che aveva sulla scrivania, riposti ordinatamente
in terra e, al loro posto, era stata improvvisata una tavola apparecchiata.
«Ti piace?»
- chiese Donna, andandogli incontro e prendendogli il sacchetto del cibo dalle
mani.
«Io… sì» -
era visibilmente imbarazzato. Si aspettava una cena davanti al computer, mentre
lei aveva fatto qualcosa di carino per lui. Sorrise e si misero entrambi a
tavola.
Era da
tempo che non cenava in modo così piacevole con una ragazza, di solito portava
fuori a cena la strafiga di turno solo per concludere in una qualche camera
d’albergo. Con Donna fu diverso, era una ragazza intelligente e brillante,
piacevole da stare ad ascoltare. Non avrebbe smesso di parlare con lei, se la
mostra non fosse stata così importante per lui e l’affermazione della sua
carriera: sarebbero arrivati personaggi importanti, e lui era veramente troppo
indietro.
Era quasi
mezzanotte quando, finalmente, riuscì a mandare in stampa le foto. Aveva messo
“urgentissimo” come oggetto della mail, ora non restava che sperare nell’arrivo
per tempo delle stampe. Mandò un messaggio a Ralph, avvisandolo che aveva
spedito le fotografie, e alzò lo sguardo su Donna, che si era addormentata sul
divano.
“E ora che
faccio? Dorme così bene, non posso svegliarla”
Sbuffò, e
si avviò verso un armadietto dove teneva delle coperte e un cuscino (spesso gli
capitava di rimanere a dormire in studio).
“Ok Nate,
ora sii delicato e non la svegliare”
Mentre le
metteva la coperta addosso, la ragazza si agitò nel sonno e lui si immobilizzò
qualche istante, temendo di averla svegliata. Dormiva con la bocca socchiusa,
le mani strette a pugno contro il petto, le ginocchia piegate verso il busto. A
Nathan scappò un sorriso, era così diversa dalla donna che poco prima si era
imposta per farsi fotografare da lui, ora sembrava addirittura vulnerabile.
Uno
sbadiglio lo colse di sorpresa, facendolo pensare a quando era stata l’ultima
volta che aveva chiuso gli occhi per più di un’ora.
“Dovrei
riposare anche io” – disse tra sé e sé mentre si accoccolava sulla poltroncina
vicino alla finestra e chiudeva gli occhi, scivolando velocemente nel sonno.
Era in un bosco, sdraiato sulle foglie
secche a guardare le stelle. Non faceva freddo, non tirava un filo di vento.
Si guardò intorno, non riconobbe
niente. Nessun punto di riferimento, nulla gli era familiare. Le mani corsero
istintivamente al collo, dove teneva sempre la sua fedele reflex, ma non la
trovarono. Senza la sua macchina fotografica si sentì perso. Controllò nelle
tasche dei pantaloni: niente telefono, niente chiavi della macchina o di casa.
Come ci era finito lì? Cosa ci faceva in quel luogo? Era lontano o vicino a
casa?
«Nathan! Sbrigati, Nathan!»
«Chi ha parlato?» - un brivido gli fece
accapponare la pelle, e rizzare i peli sulla nuca. La voce non proveniva da una
direzione, sembrava essere tutta intorno a lui.
La voce non rispose. La temperatura,
all’improvviso, scese drasticamente, tanto che ogni suo respiro diveniva
condensa.
“Ma che diavolo succede?”
Le stelle sparirono, tutto si fece
buio. Una sfera di luce danzava di fronte a lui, puntando verso nord.
«Sbrigati Nathan! Non c’è molto tempo!»
La palla luminosa avanzò di qualche
metro, invitandolo a seguirla. Il ragazzo era titubante, ma d’altronde quella
strana cosa era anche l’unica fonte di calore, così iniziò a seguirla.
Camminò e corse per minuti
interminabili, forse per ore, era impossibile definire con esattezza il tempo.
Forse non aveva neanche fatto un passo, il paesaggio era sempre uguale,
immutato, eppure lui sapeva di essersi mosso.
La sfera luminosa si ingrandì ed
esplose, costringendolo a ripararsi gli occhi con un braccio. Quando riuscì
nuovamente a vedere, ebbe la certezza di essersi spostato.
Non c’era più il bosco, niente più
alberi e foglie secche. I piedi, che solo in quel momento si accorse di avere
nudi, poggiavano su freddo marmo. Davanti a lui sorgeva un trono di cristallo,
e tutto attorno si ergevano alte torri, del medesimo materiale brillante.
«Ben arrivato, Nathan» - finalmente
poteva dare una tonalità alla voce: maschile e profonda, di quelle che ti
entrano del cervello una volta e non ne escono più.
«Chi sei? Ben arrivato dove? Fatti
vedere!» - il panico trapelava dalla sue parole, senza rendersene conto aveva
assunto una posizione di difesa.
«Ogni cosa a suo tempo, caro ragazzo.
Ora, il tempo è scaduto.»
«Che? Ma se sono appena arrivato!
Parlami!»
«La prossima volta, Nathan. La prossima
volta arriverai da solo, nessuno ti guiderà. Ricordati solo di fare in fretta»
«Come fai a sapere che tornerò?»
« È il tuo destino»
Un lieve bruciore alla spalla sinistra
lo fece sussultare, si toccò ma la pelle era fresca.
Il marmo ed il cristallo svanirono,
chiamò la voce ancora due, tre, quattro volte, ma non ottenne più risposta.
La suoneria
del proprio cellulare lo svegliò. Erano le otto del mattino, e lui era
accovacciato sulla poltrona in pelle del suo studio. Si alzò pigramente,
imprecando contro chiunque lo avesse svegliato e, facendosi guidare dal suono,
trovò il telefono e rispose.
Era Ralph,
si era offerto di andare ad aiutarlo a sistemare il locale per la mostra.
Mentre parlava
con l’amico, guardò verso il divano dove, la sera prima, stava dormendo Donna.
Al posto della ragazza, vi erano la coperta piegata con sopra il cuscino ed un
biglietto.
Grazie di tutto, dormivi così bene che
non avrei mai potuto svegliarti.
Non preoccuparti per il book, lo faremo
più avanti. A presto!