Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Loda    09/12/2014    2 recensioni
Quanto poco abbiamo conosciuto le vite di Petra, Auruo, Gunther e Erd e il loro rapporto con lo stesso Levi? Questa fan fiction va un po' indietro nel tempo e propone una possibile versione della loro storia all'interno della legione, con il punto di vista di Petra.
Personaggi: Levi, Petra, Auruo, Gunther, Erd, Hanji, Erwin, Eren più altri inventati.
[dal testo] Petra uscì dalla camera di Levi con circospezione e cercando di camminare piano - i suoi passi le rimbombavano minacciosamente nelle orecchie, le pareva impossibile che nessuno li sentisse. Era mattino presto e in cuor suo sperava che nessuno vedesse l'ennesima delle sue vergogne. Non fu abbastanza furtiva - quando mai era stata capace di nascondere qualcosa - perché incontrò Erd lungo il cammino e la sua colpevolezza le si dipinse in faccia. Erd l'aveva colta in flagrante e lei non seppe mentire. Lui era confuso, lei disse solo: "Non dirlo ad Auruo... Non dirlo a nessuno." La verità era che Erd non l'aveva colta in flagrante, solo che lei aveva voglia di parlare con qualcuno.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Auruo, Bossard, Erd, Gin, Gunter, Shulz, Petra, Ral
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La squadra di Levi - capitolo II
Capitolo II
 
 
 
 
L’allenamento sarebbe stata una banale scusa per non guardare in faccia nessuno, ma c’era il momento della colazione da superare. 
Al loro tavolo c’era parecchio silenzio. Assieme al pasto nella bocca, negli occhi dei presenti si consumava solo il doloroso affanno dei ricordi.
Petra bevve il suo tè in silenzio, guardandosi intorno. Aniela e Toska erano sedute al tavolo più rumoroso, diametralmente e coscienziosamente opposto al suo.
Il tavolo più piccolo era quello dei capi. Anche da lì proveniva un discreto chiacchiericcio ma Petra riconobbe solo quelli che ne stavano in silenzio: il suo caposquadra, il comandante e il capitano. Gli altri erano volti allegri e sconosciuti, o di cui sapeva solo il nome, che evidentemente avevano trovato un modo diverso di dimenticare le battaglie.
«Ehi, Petra» le giunse una voce.
Petra si voltò e vide che, in piedi, accanto a lei, si era fermata Giulia. La salutò con un sorriso tirato; era schizzata via dal letto di prima mattina e non aveva fatto in tempo a dare il buongiorno a nessuna delle sue compagne. «Hai dormito bene? No, eh?» domandò Giulia, comprensiva.
Petra non rispondeva e la ragazza andò avanti: «Non fare caso a quelle due… Sono qui da un anno e credono di poter fare bullismo. Si vede che hanno solo diciassette anni.» Le strizzò un occhio e Petra allentò un po’ la forzatura del suo sorriso, addolcendosi.
«Bullismo?» intervenne Auruo, con la bocca piena di riso «Ma che dite?»
Ma Giulia era già andata oltre, esibendo la sua siluette perfetta, ricoperta fino a metà schiena da morbidi capelli castani.
Qualcuno al tavolo fischiò. «Petra, accidenti, la prossima volta invitala al tavolo con noi!»
Tutti si misero a ridere e la tensione fu finalmente allentata. Anche Petra cominciava a sentirsi meglio ma non appena incrociò nuovamente lo sguardo di Auruo, seduto di fronte a lei, di nuovo abbassò gli occhi.
Lui la scrutava. «Che è successo ieri sera?»
Petra sbuffò e si alzò in piedi – erano finiti i tempi in cui poteva deprimersi. «Niente di che, ho solo delle compagne di stanza stronze, va bene?»
Fece per andare ma Auruo la fermò, indicando le ciotole di riso e di frutta abbandonate sulla tavola. «No che non va bene! Non hai mangiato nulla… Petra!»
Petra scivolò via dalla mensa. Non aveva fretta e non era preoccupata per l’allenamento: la paura era un’occasione d’oro riservata per l’incontro coi giganti.
Incontrò Gunther e non le chiese come si sentiva – Petra gliene fu grata. Le fece un gesto vittorioso con la mano e le sorrise. Gunther aveva la sua stessa età ma era all’interno della legione da un anno intero e un anno all’interno della legione corrispondeva a molti più anni nella vita reale. Sembrava un po’ più vecchio, con quegli scuri capelli radi e la fronte corrugata. Aveva un’espressione matura ma gli occhi, bastava guardarli un po’ più a lungo, ed erano i grandi occhi di un ragazzino.
Prima ci fu la corsa. Petra amava correre perché poteva pensare. Combattere contro i giganti, oppure anche tentare di colpire la collottola di simulazione durante gli addestramenti, richiedeva una concentrazione tale che non aveva neanche il tempo di pensare alla morte.
Le piaceva pensare, e credeva che finché avrebbe pensato sarebbe rimasta sempre umana. Non importava cosa pensare – poteva ricordare con affetto i genitori, poteva rivolgere la mente ai suoi amici, o anche commemorare le cose più brutte; sperava di portarsi sempre tutto questo appresso, nel cuore, e negli occhi, e guardandosi allo specchio avrebbe capito che il suo viso non era stato snaturato.
Mentre correva, s’immaginò nel bagno, e mentre si guardava allo specchio, scorgeva il riflesso impietoso del capitano. Un ricordo del futuro, un incubo che si sarebbe avverato? Non voleva guardarsi e vedere di essere diventata come lui.
Corse più forte, con un debole sorriso. Le schiene dei compagni che aveva di fronte rappresentavano un punto fisso da poter guardare, e si sentiva serena.
Avrebbe imparato solo in seguito che era molto meglio non pensare a nulla. Sarebbe arrivato un giorno in cui avrebbe pagato oro pur di levarsi ogni parola dalla testa, sarebbe arrivato un giorno in cui allo specchio avrebbe visto solo il riflesso dell’odio, perché voleva dannatamente gli occhi del capitano, oh, quanto li avrebbe voluti.
 

 
Il momento della giornata più tranquillo era quello del dopocena. Si ritrovavano in molti nella sala comune a fare dei giochi o delle chiacchiere. La spedizione appena passata cominciava a sembrare lontana – erano passati solo due giorni, ma quando la vita è ineluttabilmente breve, due giorni possono essere due anni –  e si poteva di nuovo respirare senza avere la sensazione di fare un torto a chi non c’era più. Toska e Aniela erano con un gruppo di ragazzi della loro età, erano disposti in cerchio e facevano girare sul pavimento una bottiglia di vetro. Dalla loro parte schiamazzi e gridolini, ogni qualvolta la bottiglia decretava una nuova coppia.
Petra era con Giulia ed altre ragazze ma qualcuna cominciò a parlare, in maniera tetramente vivace, di matrimoni e la ragazza si ritrovò a far vagare il suo sguardo curioso verso il gruppo di ragazzi, tra cui c’erano Auruo e Gunther.
«Io non ho rinunciato al matrimonio» diceva Marianne «Perché noi ragazze dovremmo rinunciare a noi stesse per qualcosa? Io voglio essere sia un soldato sia una moglie.» Era molto magra, con poche curve e pure il suo viso aveva lineamenti un po’ spigolosi; pareva che ogni angolo della sua pelle fosse deciso a non lasciarsi ammansire da nulla.
«Anch’io sognavo di sposarmi» sospirò un’altra, di cui Petra non sapeva il nome. Era bassa e minuta, ma le guance piene e graziose. «Ma alla fine ho dovuto fare una scelta. Mio padre mi ha detto che una volta partita non sarei più potuta tornare a casa. Se proprio volevo fare il maschio, bene, ma mi sarei dovuta comportare come tale.»
«Terribile» replicò Marianne, incredula «Fare il maschio…»
«Ma come pensi di poterti sposare, Mary?» intervenne Giulia «Dove lo trovi marito? Qui? E rinuncerete ad essere soldati entrambi?»
Marianne abbassò lo sguardo e Petra pensò che tutto il suo corpo ossuto tentava di nascondere un amore segreto che sognava di sposare. «E tu, Petra? Che ne pensi?» chiese ancora Giulia.
Penso che quella di Marianne sia solo un’illusione, pensava Petra, penso che il ragazzo di cui è innamorata non vorrà mai lasciare la legione, o che morirà prima che si decida di farlo.
«L’amore era una cosa a cui potevo rinunciare» disse, dopo un po’ «La mia voglia di combattere, di essere utile, invece, no. Ho solo seguito il mio istinto, ecco.»
Marianne alzò un sopracciglio e le puntò addosso i suoi occhi scuri. Petra pensò che erano piuttosto freddi, eppure non potevano essere gli occhi di una persona senza sentimenti. Non erano uguali a quelli del capitano. «Non puoi rinunciare a una cosa che non hai mai provato.»
Petra si sentì arrossire. Proprio perché non l’ho mai provato, a volte, credo di aver fatto la scelta sbagliata, pensava.  Sorrise lievemente, stringendosi nelle spalle. «Credo non invecchierò abbastanza per potermene pentire.» Nel momento in cui lo disse, la sua voce ebbe un tremito. Era la prima volta che esprimeva a voce alta la consapevolezza della morte, ma doveva abituarsi, nella legione tutti ne parlavano, e difatti nessuna delle ragazze fece caso a quel tremito.
Alcune risate maschili la colpirono dietro la schiena e s’insinuarono nelle sue orecchie. Chissà di cosa parlavano i ragazzi, e chissà se parlando di cose allegre si poteva davvero stare meglio. Si guardò intorno, mentre ancora Marianne prendeva la parola, e si accorse che la sua quarta compagna di stanza, Claire, se ne stava in disparte leggendo un libro.
«Quella è un po’ strana» affermò la ragazza bassa e minuta, essendosi accorta di dove poggiava lo sguardo di Petra.
«Dovrebbe andare in camera a leggere. Non so come faccia qui, con la confusione» spiegò Giulia, scrollando le spalle.
Marianne fece un grosso sospiro. «Gli ultimi momenti prima della morte… c’è chi li passa scopando, c’è chi li passa leggendo. Ognuno si salva come può!»
Le altre due scoppiarono a ridere. «Mary! Che cretina!»
Claire non era brutta, e Petra non capiva per cosa venisse presa in giro. Aveva un viso tondo, molto pallido, e i capelli scuri tagliati male che le ricadevano a scaglioni sulle spalle; ma aveva un bel fisico e una bocca che, immobile e quasi sempre chiusa, pareva perfetta. Petra era più interessata a cosa ci fosse scritto in quel libro, piuttosto che a parlare ancora d’amore e altre cose astratte che nella sua vita non potevano esistere.
Ne approfittò per andare da lei quando nella sala tutti si agitarono, dopo la visita del caposquadra Hanji e del capitano Levi. Hanji era un’abilissima donna soldato, era esuberante e sempre allegra e, insieme col silenzioso e forte Levi, formavano un duo intrigante e inquietante allo stesso tempo.
Hanji doveva avere quasi trent’anni, e per Petra rappresentava quel tipo di donna idealista e sicura di sé, che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, e che il pentimento non sapeva neppure che volesse dire. Col sorriso sulle labbra e gli occhi scintillanti annunciò che era stata fissata una spedizione per la settimana a seguire. Levi non mostrava entusiasmo. Le stava accanto, più basso di lei, con le braccia incrociate al petto e guardava in giro, come se la spedizione non lo riguardasse davvero. Il suo sguardo cadde su di Petra e lei sussultò. Fu questione di un attimo ma a quegli occhi grigi bastava meno di un secondo per penetrare un’anima candida come quella di Petra.
«Levi» fece Hanji, raggiante, sistemandosi gli occhiali, noncurante dell’aria glaciale che era scesa nella sala alla parola spedizione «Vuoi aggiungere qualcosa?»
Levi alzò un sopracciglio. «Non c’è niente da aggiungere, quattrocchi» disse, allungando un passo verso la porta «Ci vediamo agli allenamenti.»
Lei sospirò e lo seguì a pugni stretti e, una volta in corridoio, esplosero le voci di entrambi. Petra avrebbe voluto ascoltare ma nella sala c’era una gran confusione. Qualcuno ebbe una crisi di pianto ma la maggior parte dei ragazzi parlava gli uni sugli altri in maniera concitata. Petra raggiunse Claire, che aveva alzato lo sguardo dal libro, e si guardava intorno con i suoi piccoli occhi neri, la bocca ancora fermamente serrata.
«Ehi, Claire, ma riesci a leggere in mezzo a questo caos?» scherzò.
L’altra non fece neanche l’accenno di un sorriso. «In realtà non leggo molto. Cerco solo di tenermi impegnata.»
Petra non sapeva cosa dire. «Oh… E di cosa parla il libro che stai leggendo?»
«Non lo so.»
Forse avevano ragione le ragazze a dire che era strana. Petra si era appena decisa a congedarsi quando Claire parlò di nuovo: «Sono qui da due anni e leggo sempre lo stesso libro. Ti sembrerà assurdo.»
«Beh, credo che col silenzio potresti…»
La mora scosse la testa. «Mi piace il rumore delle voci.»
Si alzò in piedi e chiuse il libro. Petra provò a scorgere la copertina e a rubare qualche informazione, ma non ci riuscì. Claire lo abbracciava, e ci si aggrappava come se fosse esso stesso la vita.
«Scusa, ora si è fatto tardi, vado in camera.»
Petra la lasciò andare, senza saper che dire. Pensava che le persone potessero essere ben strane, o forse avevano solo modi di reagire diversi.
«Petra?»
Petra si voltò. Auruo era dietro di lei con aria un po’ afflitta. «Che fai tu? Non vai a dormire?»
La ragazza cercò le sue compagne di stanza. Giulia ancora chiacchierava con Marianne, e Toska era finita coll’avvinghiarsi ad un bel biondo muscoloso. Aniela li guardava con occhi invidiosi e cercava piano piano di avvicinarsi.
«Non lo so» ammise Petra. Rialzò lo sguardo  sul suo alto amico. Inquieto, si passava di continuo una mano tra i capelli biondo cenere, e non faceva altro che mordicchiarsi il labbro inferiore. «Ma che cos’hai?» gli chiese.
«Non pensi alla prossima spedizione? Dovremo riviverlo… Tutto quanto.»
Petra annuì. «Beh, dovremo abituarci, suppongo. Oppure morire. Ma preferisco la prima, e tu?»
Auruo fece un risolino ma continuava a guardarla in un modo che a Petra non piaceva.
«Io sto bene, Auruo, sul serio. Ti prego, non preoccuparti per me, questa volta andrà meglio.» Cercava di sorridere convinta ma le veniva difficile se il suo miglior amico non condivideva il suo stesso spirito.
Continuava a guardarla e Petra, a disagio, gli sferrò un pugno sul petto.
«Ma che fai?!»
«Ti mostro quanto sono forte!»
«Non ce n’era affatto bisogno!»
«E invece sì, se hai la faccia da pesce lesso!»
«Che hai detto?!»
Petra scoppiò a ridere e lo abbracciò. In punta di piedi e con le braccia al suo collo, gli disse: «Siamo forti, Auruo, ce la caveremo ancora per un po’.»
Gli diede un bacio sulla guancia e decise che era arrivato il momento di andare a dormire.
Non vedeva più Toska ed Aniela, quindi fece un cenno a Giulia e s’incamminò. Non sentiva sulla schiena lo sguardo di Auruo che si chiedeva per quanto ancora se la sarebbero cavata, e quanto tempo ancora aveva da passare con lei.
Entrò in camera. Era buio e cercò di non far rumore perché Claire forse stava già dormendo. Ma sentì degli ansimi e, con una flebile luce di luna che veniva dalla finestra, distinse dei corpi in movimento su un letto.
S’immobilizzò, in imbarazzo. Cosa doveva fare? Andare a letto come se niente fosse? Uscire dalla stanza e rimanere in attesa? Scorgeva pelle e capelli, e tre paia di piedi gli uni sugli altri. Gli ansimi si facevano più forti: l’uomo aumentava la frequenza dei respiri, una delle due ragazze lasciò andare flebili strascichi di grida. Gli occhi di Petra si stavano abituando al buio e rimasero ipnotizzati dal groviglio di gambe. Il letto cigolava e la ragazza si riscosse. Sentendosi andare a fuoco, uscì in fretta e furia senza più preoccuparsi di non fare rumore. Non sapeva dove andare e si rifugiò in bagno.
Si diede della stupida e si disse che avrebbe aspettato solo qualche minuto, poi sarebbe rientrata e al diavolo tutto. Si avvicinò al lavello e si lavò le mani, come se avesse avuto la sensazione di aver toccato qualcosa di sporco, ma smise presto e si concentrò sul suo riflesso allo specchio.
Immobile come una statua, contemplò ogni centimetro del suo volto, né per vanità né per noia. Aveva ancora le gote un po’ arrossate mentre si chiedeva cosa si provasse a stare tra le braccia di un uomo. Non si era mai innamorata ed era facile rinunciare all’amore, così come diceva Marianne. Provò ad immaginarsi in un altro bagno e in un’altra vita. Le piastrelle erano lucide, il lavello era grande, lo specchio non era graffiato. Mentre si guardava, provò ad immaginare i suoi stanchi occhi, truccati come quelli delle donne in età da marito. Cercò un colore che potesse stare bene col color ocra, e che non fosse in contrasto con lo stupido colore dei suoi capelli, che poteva essere un biondo molto scuro, un castano molto chiaro, un rosso fuoco ormai spento o semplicemente, come diceva Auruo, color carota. Il blu? Il verde? Petra fece una smorfia e si sparse con l’immaginazione della feccia di vino rosso sulle guance, per dare più vitalità a quel viso pallido e magro. Lo immaginò più pieno, con due guance ridenti, le labbra pitturate e un bel sorriso sincero. I capelli raccolti in una qualche acconciatura interessante, il collo e le spalle scoperte, e poi un vestito blu notte con cui sarebbe andata…
Bastò sbattere le palpebre e ogni colore della fantasia scomparve. Rimase solo quell’antipatico arancione di quei capelli che, pigri e sciatti, precipitarono di nuovo dritti sulle spalle.
I suoi occhi grandi luccicarono d’oro, velati dalle lacrime, e lei non capiva perché guardarsi le facesse male. Credeva che guardarsi e vedere ancora la sua umanità le sarebbe stato di gran conforto, ma quel che vedeva erano solo pallore, graffi, ferite e lacrime.
Pensa, Petra, finché pensi sei salva, si diceva, pensa ad Auruo, pensa alla mamma, al papà, pensa alla spedizione. Si aggrappò con le mani al lavello, con forza, e  cominciò a salirle la nausea perché più pensava alle persone care, più si chiedeva se le avrebbe mai riviste.
Il rumore dello sciacquone la fece sussultare. Si girò di scatto e vide Claire chiudersi la porta di un gabinetto alle spalle. «Li hai colti in flagrante, eh?» disse.
Petra ricordò quasi a fatica di chi parlasse.
«Sono arrivati noncuranti del fatto che io fossi già a letto. Allora me ne sono andata io.»
«Sì» rispose Petra «Ora… Beh, ormai avranno finito.» Cercò altro da dire ma finì col dire il banale. «Non sono stati carini.»
Claire ridacchiò e fu la prima volta che Petra vide i suoi denti. Come le labbra, erano perfetti, come se si fossero mantenuti bianchi e belli nel buio di quella bocca così schiva. «Cosa vuoi che gliene freghi, stanno per morire.»
Stava per uscire dal bagno ma Petra non era d’accordo e voleva parlare ancora. «Non… non c’entra. Bisogna mantenere la propria umanità e la propria dignità fino alla fine.»
Claire scosse la testa. «Con la propria umanità non si va da nessuna parte. Guarda il comandante Erwin, il capitano Levi, anche il caposquadra Hanji… Sono le persone meno umane che conosca, guarda come sono arrivati in alto.»
Petra rimase di stucco. Non aveva mai pensato fosse possibile paragonare Hanji al capitano Levi, le erano sempre sembrati l’uno l’opposto dell’altra.
«Loro lo sanno» continuò Claire «che siamo tutti nient’altro che bombe, che presto o tardi esploderanno.»
Petra voleva ribattere ma non sapeva come farlo. Non pensava di essere una bomba, non ancora, o forse non riusciva solo ad accettarlo. Forse dopo due anni avrebbe pensato le stesse cose che pensava Claire –  se fosse stata ancora in vita.
«Scusami» disse l’altra, con un sospiro «Non volevo conversare troppo. Preferisco non farmi degli amici.»
Petra era incredula. Fece per replicare ma la sua compagna di stanza era già uscita dal bagno e lei rimase di nuovo sola col suo riflesso.
Quest’ultimo le lanciò uno sguardo malinconico, o solo confuso, prima di abbandonarla anch’esso.










Capitoletto riflessivo (o noioso?) e scritto un po' in fretta... Nel prossimo, se non vengo nel frattempo "folgorata" da qualche geniale idea, dovrei entrare nel vivo con la spedizione!
Ringrazio chi mi segue e la mia recensitrice :)
   
 
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