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Autore: Atomic Chiken    13/12/2014    3 recensioni
Le ragazze di una piccola cittadina cominciano a sparire all'improvviso. Cosa si nasconde dietro a tutto questo? Un assassino, o qualcosa di molto più complesso e terrificante?
Dal testo:
Non poteva essere una persona. Non aveva nulla di umano. Era la cosa più disgustosa che avesse mai visto.
Perse i sensi, li riebbe.
Sentì il respiro della cosa sulla propria pelle. La sua bocca sfiorò l'orecchio di Marie.
Prima di divenire preda del buio udì qualcosa che le fece accapponare la pelle.
" Mamma ".
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alex Smith portò la tazza bollente alle labbra e bevve un lungo sorso. La riappoggiò sul tavolino e prese un gran respiro, poi si decise a guardarsi intorno. Non si sorprese nel vedere che la gente lo scrutava di nascosto, alcuni che parlottavano indicandolo, e altri che si limitavano ad ignorare la sua presenza. Riportò l'attenzione sulla tazza e mandò giù un altro sorso di caffè. Quel ben di Dio era ciò di cui aveva bisogno per sopravvivere a quella maledetta giornata. Aveva passato la notte in bianco tra il rigirarsi nel letto e correre in bagno a dare di stomaco. Le parole di Sanders gli rimbombavano ancora in testa.
"E' stata quella bestia!".
Quale bestia poteva essere peggiore dello stesso Sanders? C'era veramente lo zampino di qualcun'altro o Drew stava tentando di pararsi il culo? Qual era la verità, maledizione?!
Tutte le domande andarono in fumo quando Alex notò una figura accanto al suo tavolo. Voltò la testa verso di lui e rimase perplesso. Quando era arrivato?
"Buongiorno, sceriffo" esordì quasi con disprezzo Malcom Mcbeth. Prese posto di fronte ad Alex e incrociò le braccia al petto.
"Vedo che si sta godendo la colazione" disse. Smith non mancò di notare l'odio con cui pronunciò la frase.
"E' per Janet che è qui?" chiese Alex mantenendo un tono neutrale. Una smorfia attraversò il volto dell'altro.
"Lei cosa pensa?" rispose ironico il padre della ragazza. Poi si avvicinò all'uomo in divisa quasi saltando oltre il tavolo. Alex percepì l'alito dell'uomo sulla propria pelle, e la cosa quasi non lo costrinse a mollargli un pugno.
"Lei è un uomo di giustizia, Alex, e il suo compito è quello di mantenere la sicurezza di noi cittadini. Quando avvenivano piccoli crimini qui in città mi sentivo al sicuro, sapevo che c'era qualcuno che mi avrebbe protetto, qualcuno che avrebbe protetto tutti quanti. Adesso ho capito che non è così. Tutto quello che interessa a voi teste di cazzo è il malloppo che prendete a fine giornata, non ve ne frega niente di noi! A te non frega maledettamente niente di dove sia finita mia figlia, non te ne frega di cosa le succederà, non te ne  fregherà nemmeno quando l'ammazzeranno! Tutto quello che devi fare è finire quel tuo cazzo di caffè. Sì. Finisci il caffè, sceriffo. Finiscilo fino all'ultima goccia. Finiscilo e strozzati, per Dio. Io vado a cercare mia figlia".
Alex rimase a guardare sbalordito l'uomo alzarsi e dirigersi verso l'uscita. Tutto quello che riuscì a balbettare per fermarlo fu un indeciso "Non prenda decisioni stupide".
L'uomo aprì la porta infuriato e prima di uscire si rivolse un'ultima volta ad Alex.
"Ricorda queste parole, sceriffo: se non dovessi trovare mia figlia viva, ti verrò a cercare, ti verrò a cercare anche in capo al mondo. Ti verrò a cercare e te la farò pagare, lo giuro su Janet. Guardati le spalle, Alex".
La porta si chiuse con un tonfo lasciando il locale immerso in un silenzio irreale. Sotto gli sguardi accusatori dei presenti, Alex prese un gran respiro e finì tutto il caffè rimasto nella tazza. La giornata non poteva iniziare meglio.


Durante la riunione non venne a galla niente di nuovo. Le foto dei due rapitori ancora in libertà vennero mostrate su un enorme schermo, e Mason pregò tutti i distretti di mettersi alla loro ricerca. Alex non riuscì a stare attento a ciò che diceva quell'omone per più di cinque minuti, finendo così per chiudere gli occhi e riaprirli solo sentendo il proprio nome venir ripetuto continuamente da qualcuno.
"E' sveglio?" gli chiese la stessa voce. Alex si drizzò sulla sedia e guardò la sala confuso.
"Dove sono tutti?" domandò mentre cercava di ricomporre mentalmente i pezzi di ciò che fosse avvenuto.
"Se ne sono andati" rispose Harper con un sorriso divertito.
"Anche Pendergast?".
"Anche lui, ha detto che aveva qualcosa d'importante da sbrigare. Stavo per fare lo stesso quando ho notato che il nostro sceriffo non accennava ad aprire gli occhi". Alex si mosse sulla sedia goffamente e cercò di mantenere un'espressione seria. Il risultato che invece ottenne fece scoppiare a ridere la donna.
"E' sempre così disinvolto con il gentil sesso?". Alex le mostrò un sorriso imbarazzato.
"Di solito sono loro a trovarsi nella mia situazione" riuscì a dire senza mangiarsi qualche parola "ma da quando ho questo caso per le mani mi si sta fondendo il cervello".
"E' un momento difficile per tutti, effettivamente. Abbiamo un bisogno sincero di smuovere la situazione, e credo che sia per questo che il signor Pendergast mi abbia chiesto di fermarmi in questa città per un paio di giorni".
Alex la guardò con un'espressione perplessa.
"In che senso?" domandò.
"Più teste ci sono a lavorare, meglio è. E dal momento che il colpevole sembra essersi soffermato qui a Mainhill, non posso che assecondare la decisione di Pendergast".
"Lo ha chiesto soltanto a lei?" chiese ancora Smith.
"Così sembra, e mi ha anche chiesto di non dirlo a nessuno. Ho tutte le buone intenzioni di mantenere questa segretezza, seppur non ne capisca il motivo, ma mi sentivo comunque in dovere di avvertire lei".
Una forte pressione invase la testa di Alex. Pendergast era un buon collega, e a Smith non dispiaceva lavorare con lui. Erano partner, maledizione, e allora perché il poliziotto gli teneva nascoste tutte quelle informazioni?
"Beh, la ringrazio per il gesto" disse Alex alzandosi.
"E la ringrazio anche per avermi svegliato. Se non fosse stato per lei sarei mancato ad un impegno importante".
La donna gli sorrise e Alex non potè fare a meno di notare la perfezione di quel volto.
"Allora ci si vede in giro, sceriffo". E con queste parole gli diede le spalle, attraversò la sala e uscì dalla porta, lasciandolo nel silenzio più assoluto.
Alex tornò a sedersi e prese la penna sul tavolo tra le mani. Iniziò a batterla sulla superficie fredda, lo sguardo perso nel nulla.
Pendergast gli stava nascondendo qualcosa, di questo era sicuro.
Doveva solo scoprire cosa.


-


Scese dall'automobile e ordinò silenziosamente al guidatore di portare il veicolo all'interno della tenuta. Rimase a contemplare l'edificio in lontananza per un paio di secondi, una valanga di ricordi prese possesso della sua mente per un attimo, ma Pendergast li scacciò con un delicato movimento del capo. Si mise in cammino senza smettere di osservare la bellezza che lo circondava. Era rimasto lontano da quel posto per troppo tempo, e per troppo tempo aveva rischiato di cadere in un pozzo di nostalgia. Sfiorò con le dita i fiori, assaporò il loro profumo, lasciò poi che gli occhi cadessero sulla figura femminile ferma sulla soglia del cancello. Per poco quest'ultima non lo circondò con un abbraccio. Si fermò solo ricordandosi quanto Pendergast odiasse quei segni così stupidi d'affetto.
"Ilyas" sussurrò invece avvicinandosi a lui leggermente.
"Sono contento di rivederti" le disse Pendergast senza cambiare espressione. Forse con una piccola nota di delusione, Sue gli fece strada fino all'abitazione. Non lo vedeva da quasi due anni, dopo quell'evento*. Due anni in cui gli era mancato terribilmente. Ed ora che finalmente lo aveva di fronte, gli sembrava più distante che mai.
La ragazza venne riscossa dalla sua voce, leggera come il vento.
"Hai preparato la stanza?". Sue venne percorsa da un brivido gelido. Annuì lasciando entrare l'uomo in casa.
"Mi dispiace disturbarvi così all'improvviso, oltretutto con un comportamente simile" si rivolse alla ragazza e Ingrid, la donna alla quale aveva assegnato il compito di "badare" a Sue. Era scesa delle scale subito dopo il loro arrivo.
"Purtroppo non ho molto tempo a disposizione per i convenevoli. Ho bisogno di parlargli subito". Gli occhi di Pendergast si posarono in quelli della ragazza, e quest'ultima colse il messaggio.
"Di sopra, prima porta a sinistra".
Con un groppo alla gola, Sue lo guardò salire le scale e sparire oltre l'angolo. Rimase immobile a fissare quel punto, come se si aspettasse di vederlo apparire di nuovo.
"E' inutile" le disse Ingrid con una nota di consolazione nella voce.
"Lo conosco da una vita, e non mi ha mai dato corda. Quell'uomo è un labirinto anche per me". Ripiegò le labbra in un sorriso e si allontanò in una delle stanze di quell'enorme abitazione.


Ilyas Pendergast chiuse gli occhi. Liberò la mente, rallentò il respiro e rilassò il corpo fino all'ultimo muscolo esistente. Stabilizzò il vuoto in testa e ridusse il respiro fino a smettere d'aspirare aria. Aveva imparato quella tecnica di meditazione durante gli anni passati con i monaci buddisti. Teoricamente ci sarebbe voluta un'intera vita per riuscire a praticarla per bene, eppure lui e Pendergast ci erano riusciti a tempo di record.
Raggiunse l'insensibilità ad odori e suoni, divenendo così un tutt'uno con il nulla che lo circondava. Mentre cominciava a sentirsi leggero come una piuma, iniziò a dire il suo nome.
Xialiu.
Attese pazientemente, poi lo ripetè di nuovo.
Aspettò dei secondi, e un'immagine appena percettibile gli percorse la visuale. Onde simili ad un'interferenza gli invasero la testa, rischiando di fargli perdere il contatto.
Xialiu.
E finalmente sentì la sua voce.
Pendergast.
Da quanto non ci sentiamo, amico mio?

Dal giorno della tua morte, se la memoria non m'inganna.
Una risata divertita gli rimbombò in testa.
Diretto come al solito, il nostro Ilyas. Ricordi che sei stato tu ad uccidermi?
Ti ricordo anche che è stato per tua volontà.
Non posso darti torto, ovviamente. Qual è il motivo di questa visita, invece? Ah, lasciami indovinare. Un altro caso delicato con cui ti devo aiutare, o mi sbaglio?
Non ti sbagli mai. E sono sicuro che non dirai di no.
Mi conosci fin troppo bene, caro Pendergast. Di cosa si tratta?
Devi trovarmi due persone. Jamie Williams e Josh Minerva. Ho bisogno di sapere dove sono.
Morti.
Il vuoto in cui si trovava il poliziotto vacillò.
Morti? Come fai ad esserne sicuro?
Oh, non ne sono sicuro Ilyas. Lo so. Dubiti del sottoscritto?
Non sto dubitando. Ho bisogno di sapere se ne sei certo.
Certo che ne sono certo, li ho visti finire nel buco con i miei occhi.
Come sono morti?
Di questo non ne ho idea. Dimentica la credenza che dal mondo dei morti si veda tutto quello che succede in quello dei vivi, mio caro. Se fosse vero non passerei le giornate a rigirarmi i pollici dalla noia. Non riesci a mandarmi una bella televisione, quassù?
Un'altra risata interruppe la conversazione.
Ti ringrazio del tempo, Xialiu. Mi sei stato incredibilmente d'aiuto.
Figurati. Non avevo comunque niente da fare.
Tornerò una volta concluso questo caso.
Non ci contare, Pendergast. Ne avrai un altro tra le mani ancor prima di rendertene conto.
Ilyas sorrise.
Lo so.
Lentamente, così com'era arrivata, l'immagine si dissolse in una nuvola di fumo. Aprì gli occhi e rimase fermo a gambe incrociate per un minuto intero. Solo allora riprese a respirare normalmente. Nel buio della stanza alcuni pezzi si ricomposero, e un'idea si fece strada nella mente di Pendergast. Un'idea spaventosa che gli fece gelare il sangue.









*"Morte cieca", ovvero il titolo della prima storia che ho scritto in cui ci sono Sue e Pendergast.
(l'evento si riferisce dunque a ciò che è avvenuto nella prima storia).
  
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