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Autore: Lost In Donbass    14/12/2014    3 recensioni
California, 1987.
Questa è l'America della perdizione, della musica, delle libertà negate. E' il tempo di un'epoca giunta al limite, dove non c'è più niente da dire. E' l'America delle urla, delle speranze, dei cuori infranti.
Nella periferia di un'insulsa cittadina si muovono otto ragazzi, otto anime perdute e lasciate a loro stesse. Charlie se ne vuole andare ma gli manca il coraggio di voltare le spalle. Jimmie Sue spera, crede in qualcosa che la possa salvare ma a cui non sa dare un nome. Jake è al limite, soffoca tutto nel fumo, dimentica grazie all'alcol, non ne vuole più sapere. Jasper ha finito di sperare, di pregare, di credere; ha dimenticato cosa vuol dire piangere, cosa vuol dire vivere.
Tirano avanti come possono. Sono le creature di una periferia assassina e di una società fraudolenta e fallace. Sono dei bastardi senza gloria e senza onore.
E questa è la loro storia.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TALES FROM ANOTHER BROKEN HOME
 
CAPITOLO PRIMO : Don’t want to be an american idiot
A Charlie non piaceva andare a fare la spesa. A Charlie non piaceva uscire di casa. E l’ultima cosa che avrebbe voluto fare in quel momento era andare a comprare al piccolo supermarket vicino casa. Si trascinava per l’ampia strada stretta tra le solite due file di vecchie casette instabili con giardino e una sfilza infinita di macchine di ogni tipo. Il cielo era grigiastro, smorto e inutile. “Color vomito” pensò il ragazzo, misurando a piccoli passi il selciato dismesso della via. Oltretutto, se proprio vogliamo vedere, odiava il supermercato perché era lì che si riunivano … loro. Si, quei ragazzi di periferia, quelli strani. Quelli che gli mettevano ansia ogni volta che gli passava vicino. Obiettivamente, anche lui era un ragazzo “di periferia”. Ma lui non si drogava, non beveva, non si tingeva i capelli, non picchiava la gente e non faceva graffiti sui muri. Lui era un ragazzo per bene che cercava di attenersi alle regole, forse in contrasto con quel nullafacente ubriacone di suo padre. Viveva nella più triste e degradata periferia della California. Una cittadina scialba e fatiscente, con quelle case di cartongesso con giardinetto. Quelle cittadine dove crescevano i poco di buono. Charlie, nonostante avesse passato i suoi quindici anni in questa situazione che lui considerava “umiliante”, non si era dato per vinto e si era prefissato l’obiettivo un giorno o l’altro di andarsene da quel buco. Lui non era come gli altri, aveva delle idee ferrate e delle aspettative. Leggeva, si documentava nonostante la scuola fosse assolutamente inutile e a casa non c’era altro che il padre più sciatto del mondo. Charlie odiava tantissimo suo padre, ma non aveva il coraggio di andarsene nascondendosi dietro alla scusa “e se io me ne vado, il mio vecchio che fa?”. Oh si, Charlie sapeva che era una stupida scusa. Un qualcosa che cercava di inculcarsi nel cuore per non sentirsi colpevole della sua vigliaccheria che lo teneva saldo in casa propria. Tirò un calcio a una lattina accartocciata e affrettò il passo. Prima arrivava a destinazione meglio era. Il piccolo supermarket era sfornito di tutto, e in più quella poca roba che vendeva era scadente. Quando arrivò davanti al vecchio negozio, la cui insegna a led penzolava oramai inutilizzabile, ebbe voglia di girare i tacchi e andarsene. Ma se voleva mangiare qualcosa doveva per forza arrischiarsi all’interno. Seduti sull’asfalto davanti a lui stavano una discreta quantità di ragazzi di ogni età, uno peggio dell’altro. Charlie era la pecora nera lì. Ma ci voleva così tanto per … oh, insomma al diavolo! Lui odiava la gente senza aspirazioni, ed era quello il motivo del perché odiava la sua città e la gente della sua città. Erano spenti e senza desideri. Charlie si avviò impettito, sotto gli sguardi dei ragazzi, verso l’entrata del supermarket tentando di darsi un’aria rispettabile. Cosa che non gli riusciva molto semplice, data la sua bassezza e la sua faccia da bamboccio.
-Ehi
Una voce lo fece sobbalzare leggermente. Ma dai, non poteva essere rivolta a lui! C’era così tanta gente in giro … eppure non seppe perché ma sembrava proprio che la voce stesse parlando con lui. Non si voltò e entrò nel supermercato. Latte latte latte … eccolo lì! Si avvicinò velocemente all’ultima bottiglia di latte rimasta nel banco frigo.
-Di solito si risponde ai saluti.
Una mano si posò sulla sua spalla e Charlie si voltò con un urletto. Davanti a lui c’era un ragazzo abbronzato, con i capelli bronzei e spettinati. Charlie lo fissò negli occhi con un certo terrore. Vide chiaramente le pupille molto dilatate (brutto segno per Charlie) e uno strano luccichio nella profondità degli occhi nocciola dello sconosciuto.
-Non credo di conoscerti.
Ecco, bravo Charlie, fai vedere quanto sei fifone … ottimo lavoro … pensò sarcastico picchiandosi mentalmente per aver rivelato subito la sua evidente paura nei confronti dei propri coetanei.
-Ma davvero? Io credo di conoscere te Charles Matthew Bailey.
Lo sconosciuto rise. Una risata roca e bassa, catarrosa.  Charlie deglutì. Come diavolo faceva a conoscerlo?! E come mai lo importunava così?!
-Come fai a saperlo?
Con un gesto del capo il ragazzo gli indicò la sua tracolla dove c’era scritto “Charles Matthew Bailey”. Charlie si rilassò impercettibilmente, almeno era sicuro di non essere seguito di nascosto … ma aspetta un attimo?! Arrossì per la sua stupidità. Con il nome scritto sulla borsa a caratteri cubitali cosa si aspettava, che non lo vedesse? Ma quanto era stupido!
-Beh piacere. Io mi chiamo Jake Harris.
Il ragazzo gli tese la mano. Charlie non poté far a meno di notare che sulle nocche aveva tatuato qualcosa che però non riuscì a leggere. Gli strinse tremante la mano.
-Ehi Charles, mica mordo!
Jake rise di nuovo gettando la testa all’indietro, e rivelando una considerevole quantità di collane appese al collo.
-Cosa vuoi da me?- Charlie tentò di darsi un contegno
-Niente, volevo semplicemente parlarti. Di dove sei?
-Di qui …?- la risposta di Charlie risultò più come una domanda che altro.
-Non sapevo esistesse la banda del supermercato!- Jake scoppiò ancora una volta a ridere. Quella cosa a Charlie dava un po’sui nervi.
-Temo di non seguirti … - che intendeva con banda del supermercato?!
-Di che banda sei, Charles!- la voce di Jake era divertita
-banda intesa come … gruppo di ragazzi che … - il ragazzo cominciò a impappinarsi con la lingua.
-Si, intesa come quello.
Charlie tossicchiò. Che dire adesso? Bande? Una cosa che lui aveva sempre ripudiato.
-Ehm, veramente non faccio parte di nessuna banda- lo disse a voce bassa, nel tentativo (idiota) di non farsi udire, ma Jake lo udì, eccome se lo udì
-Cosa?! Non sei in nessuna banda?!?!
Charlie alzò lo sguardo spaventato. La voce del ragazzo era cambiata, era più …
-Ma allora dobbiamo rimediare Charles!
Questa volta la voce pareva quasi esaltata.
-No, scusa Jake, ma io sono contrario.
Incrociò le braccia sul petto e tentò di risultare convincente. Jake ghignò
-E perché sei contrario alle bande Charles? Ti hanno fatto qualcosa di male?
Rise di nuovo e questa volta la risata era graffiante. Charlie non riuscì a reprimere un brivido. Stava rischiando e lo sapeva.
-No ma … trovo inaccettabile il loro modo di agire e di inserirsi nella società odierna.
Deglutì e sentì la guance scaldarsi. Si stava rendendo ridicolo … abbassò lo sguardo sulle sue vecchie scarpe da ginnastica
-Sbaglio o dici così perché non hai amici?
La voce del ragazzo scosse Charlie come un colpo di vento improvviso. Lui … diamine, lui non aveva amici, questo era ovvio ma … Che poi era tanto ovvio che non avesse amici? Beh si, se non apparteneva a nessuna banda. Ecco un’altra cosa che dava sui nervi a Charlie. Se non appartenevi a una banda potevi sognarti gli amici. Non che gli servissero, ovviamente però a volte avere qualcuno con cui parlare non gli avrebbe fatto male. Scosse la testa arrossendo ancora di più.
-Ma ci avrei scommesso la testa- Jake gli alzò il mento con due dita. A Charlie quel contatto diede oltremodo fastidio. Aveva le dita che puzzavano di fumo.
-Sai Charles, ti andrebbe di venire a conoscere i miei amici?
A Charlie sembrò che nella voce dell’altro ragazzo ci fosse qualcosa di strano, come di falso, di preconfezionato … ma forse era soltanto la sua impressione
-Ehm io veramente … - tentò di sottrarsi alle dita di Jake, premute fastidiosamente sotto il suo mento.
-Sarebbe scortese rifiutare … vieni con me, non ti faccio nulla, voglio solo renderti partecipe della vita mondana di questa città.
Il sorriso sinistro del ragazzo fece rabbrividire Charlie da capo a piedi.
-Va bene vengo con te.
Charlie sospirò forte, sicuro di aver appena compiuto un errore madornale ma non gli sembrava il caso di insistere ancora. Quel Jake sarebbe stato capace di spazientirsi e … non voleva neanche pensare a cosa gli avrebbe potuto fare.
Il giovane sorrise soddisfatto e lo sospinse verso la porta del supermarket
-E’ così che si parla Charles! Muoviamoci, il latte lo comprerai dopo.
Charlie prese un profondo respiro cercando di calmare il suo cuore impazzito e seguì Jake senza fiatare. Per la prima volta lo osservò attentamente. Era decisamente carino a ben vedere, se escludiamo l’abbigliamento di felpa sformata e jeans troppo stretti. Per il resto era accettabile. Anche se le collane erano troppe e Charlie non approvava i tatuaggi, che notò sul polso lasciato scoperto dalla felpa e sulla scapola. A dirla tutta, su quell’argomento Charlie era un po’talebano. Notò che aveva un pacchetto di sigarette in tasca, che prontamente gli vennero offerte.
-No grazie non fumo- fu la risposta stizzita
-Ma come siamo seri Charles – anche il tono canzonatorio di Jake gli dava sui nervi.
-Non è questione ma il fumo fa male. L’ho letto che agisce sui polmoni in maniera negativa, intaccandoli di batteri!
-Fai passare la voglia di vivere ragazzino.
Jake si scostò il ciuffo dagli occhi e inspirò il fumo della sigaretta soffiandolo poi nell’aria. Lo guardò sorridendo con occhi penetranti.
-Ti ricordo che ho 15 anni compiuti! Anzi, ne ho quasi 16 e non ti permetto di chiamarmi ragazzino!
-Va bene, mi scusi Mr. Bailey … - Jake sogghignò. Quel ragazzo lo faceva sganasciare dal ridere. Non vedeva l’ora di presentarlo agli altri.
-Dove abiti?
-Non sono affari tuoi!- replicò Charlie, per poi aggiungere a bassa voce – Senti, se proprio devi chiamarmi preferirei che mi chiamassi Charlie.
-Oh bene, mi ero stufato di chiamarti Charles! E sentiamo, che ne sai delle bande visto che ti sto portando all’interno di una di esse? Cioè, immagino che qualche nome di banda lo saprai!
-Beh, io … so per esempio che una delle bande più importanti i questa città è la Bones Hole Club ma non saprei bene come definirla … - Charlie si voltò a guardare Jake in attesa di risposte.
-Ah, quelli … ma sono degli imbecilli fidati del sottoscritto. Non sono gente come noi, vera e pura gente di periferia.- Charlie poté sentire l’orgoglio nella voce di Jake – quelli sono dei figli di ricconi che se la spassano da “trasgressivi” ma ti posso assicurare che basta che gli tiri uno schiaffo sul braccio che subito vanno a piangere dalla mamma.
-Scusa Jake ma voi siete tipo quelle losche combriccole di New York o LA o Chicago? Tipo i Bloods o roba simile?
Il ragazzo rise  e per poco non si soffocò con il fumo
-Ma scherzi?! Quelli sono criminali Charlie, noi siamo un semplice gruppo di amici niente di più! Ok, siamo una teppaglia ma non mi pare il caso di paragonarci a quelli lì! Dio, come sei innocente!
-Oh … - Charlie si scostò i capelli dal viso –Quindi non fate niente di male?
In realtà avrebbe voluto dire “non mi farete niente di male, vero?” ma gli sembrò un po’da poppanti chiederlo. Peccato che Jake colse al volo il suo messaggio
-No, tranquillo, nessuno ti toccherà con un dito. Siamo gentiluomini, che ti credi?- il ragazzo ridacchiò, soffiando un anello di fumo.
-Quindi non rischio niente?!- Charlie aveva decisamente paura di venir trattato con malagrazia e in più era la prima volta che parlava così tanto con un suo coetaneo.
-Che palle Charlie! Ti ho detto prima che nessuno ti sfiorerà! A meno che non lo voglia tu … - Jake fece un sorrisino malizioso.
Charlie non capì subito il doppio senso e lo guardò un po’stranito. Dopo un po’finalmente lo capì e assunse un’espressione offesissima.
-Ehm … ma si potrebbe sapere dove si trova il vostro covo?
Si stavano allontanando dal centro città e questo a Charlie non andava giù.
-Sotto il Suicide Ghost Old Bridge. Ce l’hai presente?
Il ragazzo non riuscì a trattenere un brivido. Certo che aveva presente il Vecchio Ponte dei Fantasmi Suicidi. Era conosciuto da tutti in città. Ai tempi doveva essere stato un enorme complesso residenziale mai completato e lasciato allo sbando. Ci si riunivano le bande e quindi Charlie ci stava ben lontano; oltretutto giravano strane storie su quel posto … e di andarci insieme a Jake proprio ne avrebbe fatto a meno.
Camminarono in silenzio fianco a fianco. A Charlie dava un po’fastidio quel silenzio pesante che era calato tra loro due e decise di stemperare la tensione.
-Senti … potrei chiederti cos’hai tatuato sul polso?
Il ragazzo dai capelli bronzei lo guardò con un sorrisetto indecifrabile e si scoprì meglio il polso sottile. Un crisantemo di piccole dimensioni gli decorava la pelle.
Charlie rimase leggermene spiazzato da quella visione. Cosa diavolo ci faceva un crisantemo tatuato sul polso di uno come Jake Harris?!
-Scusa ma posso chiederti che ci fa un crisantemo sul tuo polso?
-E’ un simbolo giapponese mi pare. Indica qualcosa tipo … la perseveranza e l’integrità personale. E’ qualcosa di curativo contro l’ubriachezza o le malattie nervose … ti piace?
Jake sorrise raggiante e Charlie annuì. La cultura giapponese lo aveva sempre affascinato ed infatti sapeva anche il significato del crisantemo ma continuava a non capire come facesse Jake a saperlo. Ok, ora si sentiva uno schifo con la puzza sotto al naso però ecco … il ragazzo che gli camminava al fianco non pareva un esempio di persona studiosa e interessata allo studio della culture mondiali. La sua curiosità venne soddisfatta dallo stesso Jake
-A me in realtà non me ne frega molto del Giappone a dirla francamente però sto tatuaggio me l’aveva fatto un annetto fa il mio migliore amico e così … cioè, lui è un maniaco dell’Impero nipponico e continuava a dire che il crisantemo era il fiore adatto a me, io continuavo a dirgli di no ma alla fine me l’ha fatto tatuare e a pensarci bene ora mi ci sono veramente affezionato.
Charlie annuì pensieroso. Beh, se questo amico gli aveva consigliato un tatuaggio simile proprio un bifolco non lo sarebbe dovuto essere.
-Eccoci Charlie! Siamo arrivati!

***
Buona sera,
capisco che il primo capitolo non sia nulla di esaltante ma vi prometto che il prossimo sarà decisamente meglio. Le situazioni drammatiche arriveranno un poco più avanti. Grazie a chi legge, a presto :)
Charlie 
  
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